Mentre il nostro pianeta si scioglie sotto gli effetti disastrosi del cambiamento climatico, le potenze comunemente riconosciute – tra cui Cina, Russia e Stati Uniti – si organizzano per ottenere vantaggi economici e commerciali e sfruttare lo scioglimento dei ghiacciai nel cosiddetto “Grande Nord”, la regione artica.

Nell’Artico, l’ampia sezione dell’emisfero boreale che si estende per oltre 8mila chilometri quadrati, convivono otto paesi: Canada, Stati Uniti, Russia, Norvegia, Svezia, Finlandia, Islanda e Danimarca (con la Groenlandia).

Con l’innalzamento delle temperature registrato negli ultimi decenni e il conseguente scioglimento dei ghiacci, la scienza afferma che la regione artica si stia riscaldando più velocemente rispetto ad altre regioni del pianeta; ciò rende adesso accessibile un’area in passato ricoperta di ghiaccio, portando con sé significative alterazioni nelle dinamiche geopolitiche della regione tra i Paesi che, qui, manifestano forti interessi.

L’importanza della regione artica

Il rinnovato interesse per la regione è dovuto a diversi fattori.

Innanzitutto, l’Artico è una regione ricca di giacimenti di risorse naturali, quali petrolio, gas naturale e minerali; con l’innalzamento delle temperature e lo scioglimento dei ghiacci è diventato decisamente più ipotizzabile e programmabile – anche se non semplice nell’attuazione – l’estrazione di queste risorse, in precedenza inaccessibili. La scoperta di nuovi giacimenti artici si incontra con l’interesse delle grandi potenze di garantirsi l’accesso e l’approvvigionamento da queste nuove riserve energetiche; riserve sempre più necessarie nell’ottica di sostenre lo sviluppo economico nazionale, specialmente alla luce dell’aumento della domanda di risorse a livello globale.

In secondo luogo, il progressivo aumento delle temperature avvenuto negli ultimi decenni ha reso navigabile questa porzione del globo, in passato inaccessibile a causa della presenza di ghiaccio per gran parte dell’anno. Questa nuova apertura ha suscitato, ovviamente, un forte interesse tra i principali attori dello scacchiere internazionale, interessati alla possibilità di un percorso più breve tra Europa e Asia con tempi e costi decisamente ridotti nel trasporto delle merci.

Attualmente, la principale rotta artica, conosciuta come Northern Sea Route (NSR), si estende da Novaya Zemlya in Russia fino allo stretto di Bering, lungo tutta la costa artica russa, per circa 11.000 chilometri. Questa rotta costituisce un collegamento tra il continente europeo e asiatico notevolmente più breve rispetto alla tradizionale via di 23.000 chilometri che attraversa il canale di Suez. Oltre a un minor tempo di navigazione, il passaggio per l’Artico consente di evitare complicazioni dovute alla pirateria somala a cui le navi che passano per il golfo di Aden sono soggette.

Dati gli evidenti vantaggi dell’utilizzo della rotta artica, questa via è divenuta la scelta privilegiata di un numero sempre maggiore di Paesi che preferisce questa opzione rispetto al tradizionale passaggio attraverso il canale di Suez; di conseguenza, i flussi di traffico lungo la Northern Sea Route stanno registrando un costante incremento con il 2021 che ha visto un numero record di viaggi attraverso la rotta artica: 85 passaggi, di cui la maggior parte effettuati da navi battenti bandiera russa.

La gestione dell’Artico

Essendo l’area di risorse naturali e con significativi vantaggi economici, la questione della sovranità nelle regioni polari è centrale nel futuro scenario delle relazioni internazionali, regionali e non; un po’ quanto accade nell’area del Mar Caspio, tale questione – ancora oggi irrisolta e priva di una soluzione definitiva – è responsabile della sovrapposizione di contese e rivendicazioni tra gli stati, ognuno dei quali mira a garantirsi un controllo effettivo sulle regioni di cui rivendica la sovranità oltre a rendite di posizione e vantaggi strategici. L’ambiguità circa la sovranità sull’Artico – insieme alla tendenza degli Stati a estendere a proprio vantaggio i confini delle rispettive zone economiche esclusive – ha contribuito a provocare una situazione di – attualmente sempre lieve – tensione nella regione.

L’unico strumento in grado di chiarire la contesa rimane il diritto internazionale.

Nel 1982 a Montego Bay, in Giamaica, venne firmata la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS) in cui vennero definiti i diritti e i doveri degli Stati riguardo alla gestione del mare e delle sue preziose risorse naturali.

In virtù di questa convenzione, i cinque stati che si affacciano sul Mar Glaciale Artico – Stati Uniti, Canada, Russia, Norvegia e Danimarca (attraverso la Groenlandia) – vantano la sovranità sulle risorse naturali presenti nelle acque e sul fondale marino all’interno di una zona economica esclusiva che si estende fino a 200 miglia nautiche dalla costa. La porzione di mare che oltrepassa questo limite delle 200 miglia è definita “alto mare,” ovvero acque internazionali, e pertanto è soggetta a una regolamentazione e a una gestione condivisa tra gli Stati conformemente agli accordi e alle normative stabilite dalla UNCLOS.

Una serie di altri accordi ha nel tempo cercato di disciplinare la questione della sovranità nell’artico, ma vista la complessità della situazione non si è ma raggiunta una soluzione definitiva e condivisa. Ad oggi, la situazione rimane ancora pacifica, specialmente in seguito alla creazione del Consiglio Artico nel 1996, un forum intergovernativo i cui membri sono gli otto stati presenti nella regione artica, organismo creato con l’obiettivo di aumentare la cooperazione tra Stati nella gestione dell’area e mantenere un dialogo aperto capace di equilibrare e mediare tra gli i vari interessi presenti nella zona.

La strategia artica della Russia

Paese artico per eccellenza, la Russia possiede più del 50% della costa artica (circa 24.000 chilometri). Non è, quindi, difficile immaginare che l’Artico rivesta per Mosca un ruolo di cruciale importanza sia per le ricchezze naturali come combustibili fossili e minerali, sia per l’enorme potenziale della rotta artica (Northern Sea Route), controllata principalmente dalla Federazione Russia.

E alla luce di questo, non deve sorprendere che questa regione occupi una posizione centrale nella strategia geopolitica russa: soprattutto in tempi recenti, la potenza euroasiatica vede nelle potenzialità dell’Artico un’opportunità per riacquistare la sua grandezza perduta e insieme il suo prestigio internazionale di potenza di primo rango.

Tuttavia, la centralità della regione non è dovuta solo ad una questione geopolilitica o limitata allo sfruttamento delle risorse energetiche e al potenziale commerciale dell’area; importante, infatti, è anche il risvolto militare dato dalla presenza nell’area. Mosca ha deciso di installare gran parte del suo deterrente nucleare – necessario a garantire una credibile nuclear second strike capability – ovvero la capacità di rispondere a un attacco nucleare con una potente rappresaglia, nella penisola di Kola, a nord-ovest del territorio nazionale russo; in tale logica, assicurare la difesa di questa penisola diventa un elemento cruciale per il Cremlino, specialmente alla luce del continuo avvicinamento ai confini russi da parte dell’Alleanza atlantica.

L’allargamento a Est della NATO, storico motivo la insicurezza della grande Madre Russia, e la percezione di essere accerchiati anche sul fronte settentrionale hanno spinto Mosca a compiere massicci investimenti per il potenziamento delle sue capacità strategico-militari nell’Artico.

Nel 2015, quando il Ministero della Difesa di Mosca sancì la sua ultima dottrina marina, vennero istituite due Brigate Artiche con il compito di proteggere la costa artica del paese; a questo si aggiungono la modernizzazione della Flotta del Nord, attrezzata con nuove navi rompighiaccio in grado di spostarsi con facilità nelle acque ghiacciate caratterizzanti la regione, e la costruzione e rinnovamento di infrastrutture e basi militari lungo tutta l’AZRF (Zona Artica della Federazione Russa).

Queste misure rientrano in un più generale quadro di un’accresciuta politica estera ravveduta e guardinga nei confronti di un Occidente sempre più ostile nei confronti della Federazione Russa. Tuttavia, sebbene nell’ultimo decennio si sia assistito ad un massiccio aumento di investimenti di tipo militare nelle aree artiche del paese, è importante sottolineare che strategia russa riflette una postura di natura difensiva, piuttosto che offensiva.

Di conseguenza, nella strategia artica del Cremlino si possono individuare due obiettivi centrali: da un lato, la sicurezza del fronte settentrionale minacciato da ciò che Mosca percepisce come un preoccupante espansionismo occidentale verso est; dall’altro, la salvaguardia della Northern Sea Route, il cui potenziale geopolitico ed economico diviene sempre più rilevante e strategico: soprattutto alla luce delle sanzioni e dell’interruzione degli scambi commerciali con l’Europa in seguito all’intervento russo in Ucraina, la rotta artica – così come gli altri progetti di connettività promossi da Mosca in Eurasia – assume un’importanza vitale affinché il paese non rimanga isolato e continui a prosperare economicamente.

Anche il Dragone guarda a Nord

Nell’estremo Nord, accanto alla superpotenza russa, si è recentemente affacciata la Cina, dimostrando un crescente interesse per la regione artica. Nonostante la considerevole distanza geografica, dal 2018, il gigante asiatico si considera una sorta di “stato semi-artico”, un termine non riconosciuto dal diritto internazionale ma indicativo della aspirazione di Pechino di beneficiare dei vantaggi offerti dall’Artico.

La Cina ha un obiettivo: espandere le sue rotte commerciali e i collegamenti tra Europa e Asia. In questo contesto, il passaggio nel Mar Glaciale Artico assume un’importanza centrale per la strategia artica della Repubblica Popolare Cinese, delineata nella Artic Strategy del 2018. Al centro di questa si trova il progetto di “Via della Seta Polare”; lanciata in queste anno, la Polar Silk Road è il braccio artico del mega progetto di connettività Belt and Road Iniziative, ideato e promosso da Xi Jinping nel 2013.

Ad oggi, soprattutto grazie all’attività della compagnia marittima di Stato COSCO, una delle principali compagnie di navigazione lungo questa rotta, la Cina è il secondo paese, dopo la Russia, per numero di passaggi compiuti attraverso l’Artico – circa 50 viaggi nell’ultimo lustro.

A tal proposito, la Cina sta aumentando sempre di più la produzione di unità rompighiaccio, capaci di navigare nelle acque ghiacciate dell’Artico.

Tuttavia la presenza cinese nell’Artico risale a molto prima: negli ultimi quindici anni, la superpotenza cinese ha investito oltre 90 miliardi di dollari nella regione, con particolare attenzione alla Groenlandia e all’Islanda, dove ha contribuito alla realizzazione di infrastrutture nel settore energetico e di centri di ricerca dedicati allo studio del territorio e alla ricerca nel campo delle risorse naturali. Questo tipo di investimenti rientra nel più ampio quadro di incremento del soft power cinese, portato avanti nel contesto della Via della Seta, con cui la Cina intende aumentare gli scambi con l’Europa e trovare un output ai suoi prodotti e stabilità per la sua economia.

Gli investimenti cinesi nella regione, uniti al lancio della Polar Silk Road, testimoniano la crescente presenza di Pechino nel Grande Nord e la sua volontà di assumere un ruolo centrale in una regione a lui lontana ma di enorme potenziale, consolidando la sua posizione come attore geopolitico rilevante anche nell’estremo Nord del pianeta.

La partnership sino-russa

Gli interessi cinesi e russi, dunque, convergono nell’Artico, creando una dinamica di collaborazione basata sul reciproco vantaggio.

Da una parte, Mosca vede in Pechino un importante sbocco per sostenere il suo commercio e la sua economia, necessità stringente specialmente da quando, in seguito allo scoppio della guerra in Ucraina, gli scambi commerciali con l’occidente si sono ridotti drasticamente.

Dall’altra, la Cina, con il suo fabbisogno energetico in costante crescita e il progetto di espansione dei mercati, guarda con grande interesse alle rotte commerciali del Mar Glaciale Artico, in particolare alla Northern Sea Route russa.

In questo modo, la collaborazione nell’artico tra le due potenze eurasiatiche diventa mutualmente vantaggiosa: la Russia trova nella Cina un nuovo sbocco per le sue risorse energetiche, mentre la Cina acquisisce una considerevole quantità di fonti energetiche a basso costo dalla prima. In un futuro non molto lontano questa collaborazione – basata oggi principalmente su aspetti economici – potrebbe evolversi in un solido asse sino-russo anche nella regione artica basato sul raggiungimento dei vantaggi reciproci insiti nel perseguire i dettami della logica win-win tanto cara a Pechino.

Tuttavia, esiste il pericolo di una crescente e potenzialmente pericolosa dipendenza di Mosca dal partner cinese che farebbe sì che questa partnership, adesso equilibrata e paritaria, sposti il suo baricento a favore della Cina; se questo dovesse accadere, il Cremlino potrebbe presto rendersi conto che proseguire su questa strada minaccerebbe la sua indipendenza strategica e, in tale eventualità, potrebbe prendere in seria considerazione di mettere un freno alla collaborazione con la Cina, al fine di preservare la propria autonomia strategica così come il controllo sulle proprie risorse e interessi economici.

La ricerca di approccio bilanciato e prudente sarà, dunque, essenziale per garantire che la cooperazione tra le due potenze nell’Artico rimanga sostenibile e vantaggiosa per entrambe.

L’Aquila statunitense nell’Artico

La presenza statunitense nell’Artico sembra risalire solo a tempi recenti.

Nonostante l’importanza strategica ricoperta da questa area e l’enorme ricchezza di materie prime e risorse naturali, rispetto ad altre parti del mondo, dove la presenza statunitense si è fatta sentire in modo puntuale, gli sviluppi legati all’estremo nord del globo sono stati a lungo trascurati nelle elaborazioni degli strateghi geopolitici di Washington.

Le attività americane nella regione sono state minime ed indice di questa limitata presenza è il limitatissimo numero di rompighiaccio posseduto da Washington (due unità). Solo di recente, si è verificato un cambio di prospettiva nell’atteggiamento dell’America verso questa regione polare, riconoscendone l’importanza.

Oltre al potenziale economico e strategico della regione, i cambiamenti geopolitici in atto nell’area, in particolare la rinnovata attenzione di Mosca verso l’Artico, hanno reso imprescindibile un cambio di rotta da parte degli Stati Uniti. Da una parte, le coste dell’Alaska si affacciano sul Mar Glaciale Artico, rendendo il territorio statunitense vulnerabile a possibili attacchi stranieri, soprattutto se si considera solo pochi chilometri di mare separano la Russia dagli Stati Uniti. Dall’altra, spostandosi sul fronte orientale dell’America, la crescente presenza russa a Nord, rende necessarie la messa in sicurezza dell’unica porta di accesso nell’oceano Atlantico dal mare del Nord, il cosidetto GIUK gap (GIUK è l’acronimo di Groenlandia, Islanda, Regno Unito, ndr).

Nonostante la rinnovata centralità del Nord nella strategia geopolitica del Cremlino, gli Stati Uniti, e conseguentemente anche la NATO, non hanno mai risposto con una controstrategia chiara e diretta. Solamente negli ultimi anni l’Artico è tornato in auge nei dibatti statunitensi e dell’Alleanza Atlantica.

L’Arctic Strategy pubblicata dal Petagono nel 2019 testimonia questa crescente attenzione nella strategia estera statunitense. Nel documento infatti si riafferma l’importanza strategica dell’Artico e la necessità degli Stati Uniti di esercitare un fermo controllo sulla regione.

Nel 2021, poi, la marina militare americana, in un documento denominato A Blue Arctic, affermava che “la pace e la prosperità dell’Artico richiedono una presenza navale americana rinforzata nella regione”.

Accanto a una sempre maggiore presenza statunitense, soprattutto militare, nella regione, i continui incontri tra Stati Uniti e paesi europei del Consiglio Artico, come Norvegia, Islanda, Danimarca e Svezia testimoniano l’intenzione di Washington di un artico più collaborativo e soprattutto sotto l’influenza occidentale.

In questo contesto rientra l’ultimissimo incontro, a giugno di quest’anno tra gli alti funzionari e militari statunitensi e le controparti norvegesi per discutere di cooperazione militare e civile nell’artico.

A seguire gli Stati Uniti in questa strada c’è ovviamente l’Alleanza Atlantica. Nel 2020, poco dopo che l’Assistente del Segretario Generale della NATO, definì la corsa al Grande Nord come un “great power game” che coinvolgeva anche Russia e Cina, il rapporto NATO 2030: United for a New Era, sottolineò la necessità di incrementare la collaborazione militare con gli alleati nella regione artica.

Sebbene, il potenziale strategico della regione sia sempre maggiore alla luce del progressivo scioglimento dei ghiacci, ad oggi l’azione degli Stati Uniti e della Nato nel Nord del globo ha come obiettivo principale la rassicurazione degli Stati Artici parte del fronte occidentale.

L’aumento della presenza militare nella regione è funzionale alla rassicurazione degli attori locali ed a esercitare una credibile deterrenza della superpotenza russa, sempre più minacciosa secondo quanto percepito dal suo fronte nemico. Se questo è l’obiettivo, è cruciale che i partner occidentali, specialmente nel contesto dell’Alleanza atlantica, sviluppino una strategia coerente e diretta a un impegno concreto nella regione.

Considerazioni per il futuro

Prospettando nel futuro, alcune considerazioni emergono riguardo alla situazione nell’Artico. Fino ad oggi, la regione artica è tra le più pacifiche all’interno di un sistema internazionale caratterizzato da lotta costante per il potere.

Tuttavia, la crescente competizione per l’accesso e il controllo delle risorse artiche potrebbe alterare questa condizione dal momento che sempre un maggior numero di potenze si troveranno nella regione a competere per l’accesso alle risorse e alle rotte di commercio.

In particolar modo, l’ingresso della Finlandia nell’Alleanza Atlantica e l’approvazione da parte di Erdogan dell’adesione della Svezia, sempre più vicina alla membership atlantica, hanno aumentato il livello di tensione nella regione, specialmente in un momento delicato come quello della guerra in Ucraina.

Questo progressivo avvicinamento della NATO ai confini russi non fa altro che alimentare il perenne senso di insicurezza che turba le autorità di Mosca.

In uno scenario in cui la guerra russo-ucraina vede un significativo coinvolgimento della NATO e un lento avvicinamento al fronte settentrionale russo, una mossa sbagliata da parte dell’Alleanza atlantica nella regione artica potrebbe essere interpretata dal rivale russo come un atto aggressivo e portare quindi ad un’escalation.

Tuttavia, va sottolineato che un tale scenario rimane ancora improbabile e, fino ad oggi, la regione si è mantenuta lontana da prospettive di conflitto.

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