Un anno di crisi in Sudan: intervista con l’Ambasciatore del Sudan in Italia, S.E. Sayed Altayeb Ahmed

21 Maggio 2024
5 mins read

A cura di Silvia Boltuc

Da Aprile 2023 il Sudan è dilaniato da una crisi interna sfociata in una sanguinosa guerra civile, centinaia di morti e un disastro umanitario destinato a peggiorare.

Membro dell’Unione Africana e della Lega Araba, il Sudan è di grande interesse strategico, posizionato al crocevia fra Africa e Medio Oriente e con importanti risorse naturali. Queste caratteristiche non solo posizionano il Paese al centro delle politiche regionali, ma hanno nel tempo attirato anche gli interessi degli attori internazionali.

Origine della crisi

L’origine del conflitto fra le Forze Armate Sudanesi (SAF), guidate dal Generale Abdel Fattah al-Burhan ed i ribelli delle Forze di Supporto Rapido (RSF), guidate dal Generale Mohamed Hamdan Dagalo (conosciuto con il nome di “Hemedti”), risiede nella linea temporale di integrazione delle RSF nelle Forze Armate regolari.  

Queste ultime proponevano un periodo di due anni, mentre le RSF hanno prima chiesto un periodo di 6 anni per poi rilanciare la richiesta con 10. La fusione dei due corpi militari mira a formare una armata professionista unificata come parte del processo di riforma della sicurezza e militare, che è uno dei 5 pilastri dell’accordo siglato da diverse forze civili con le SAF e le RSF.

Il 13 aprile 2023 le RSF hanno lanciato un attacco sull’aeroporto di Merowe, circa 300 km a nord di Khartoum. I ribelli hanno preso possesso di aerei da combattimento e istruttori di volo egiziani di stanza all’aeroporto.

Nonostante la subordinazione delle RSF al Comandante delle SAF, i ribelli si sono rifiutati di obbedire al suo ordine di ritirata dall’aeroporto di Merowe. Inoltre, hanno lanciato un attacco sulla residenza del Generale al-Burhan, Comandante delle SAF e Presidente del Consiglio Sovrano del Sudan, impiegando 200 Land Cruiser. L’obiettivo era prendere il controllo delle SAF attraverso l’uccisione di al-Burhan. Le Forze della Guardia Repubblicana hanno resistito all’assalto che ha causato la morte di 35 ufficiali.

Contemporaneamente a questo attacco, ne sono stati condotti altri due: i ribelli delle RSF hanno assaltato l’aeroporto di El Obeid nello stato del Kordofan Settentrionale, a occidente di Khartoum, mentre il Palazzo Repubblicano a Khartoum veniva assaltato da alcune delle guardie in realtà preposte alla sua difesa.

Un anno dopo questi tragici eventi, abbiamo intervistato l’Ambasciatore del Sudan in Italia, S.E. Sayed Altayeb Ahmed, per discutere la situazione sul campo e gli attori coinvolti.

Ambasciatore del Sudan in Italia, S.E. Sayed Altayeb Ahmed

Può darci un aggiornamento sullo stato attuale del conflitto?

‘Attualmente Dagalo sta attaccando la città di Al-Fashir, la capitale del Darfur Settentrionale, con lo scopo di isolare il resto del Sudan e ottenere il controllo dei confini dove passano le infrastrutture strategiche. La città è sotto pesante attacco, con il risultato dello sfollamento di circa mille civili, prevalentemente donne e bambini. L’intera popolazione di oltre 800.000 residenti è in grave pericolo.

Questo assalto si aggiunge alle tragedie di lunga data che affliggono il Darfur dal 2003, quando il Movimento di Liberazione del Popolo Sudanese si scontrò con le forze militari sudanesi.

Nonostante gli sforzi del Governatore per stabilire una nuova rotta per gli aiuti umanitari verso la regione occidentale, le RSF hanno rifiutato un accordo tra il governo e le agenzie delle Nazioni Unite, esacerbando ulteriormente la crisi.

Come riportato anche dalle Nazioni Unite, Il Sudan sta affrontando una delle crisi umanitarie in più rapida espansione a livello globale, con oltre 25 milioni di persone, tra cui oltre 14 milioni di bambini, che necessitano urgentemente di assistenza e sostegno.’.

Quali misure si stanno adottando per facilitare il dialogo ed i negoziati fra le due fazioni belligeranti, le Forze Armate Sudanesi e le Forze di Supporto Rapido?

‘Gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita hanno mediato numerosi cessate il fuoco tra SAF e RSF e facilitato i negoziati di Gedda lo scorso anno. A questi colloqui hanno preso parte rappresentanti dell’IGAD regionale dell’Africa orientale (Autorità Intergovernativa per lo Sviluppo), di cui il Sudan è membro, nonché dell’Unione Africana (UA). Anche i paesi del Golfo hanno organizzato una serie di incontri a Gedda e Manama, capitale del Bahrein.

Rimangono tuttavia alcuni ostacoli. Il Sudan non è attualmente una priorità assoluta per gli Stati Uniti, che sono più preoccupati da conflitti come quelli tra Russia e Ucraina, Hamas e Israele, Cina e Taiwan e dalle tensioni nell’area di Bab el-Mandeb. Washington continua a sottolineare l’assenza di una soluzione militare alla crisi, ma sembrano esserci poche speranze di raggiungere un accordo con Dagalo.

La base per negoziare un cessate il fuoco e raggiungere una soluzione politica al conflitto rimane la Dichiarazione di Gedda del maggio 2023.

Tuttavia, il nostro governo è stato escluso da numerosi incontri significativi riguardanti il Sudan. Ad esempio, non c’era alcuna rappresentanza del governo sudanese alla conferenza di Parigi organizzata da Francia, Germania e UE. Alla conferenza hanno partecipato gli Stati membri dell’UE, i paesi confinanti con il Sudan, nonché le Nazioni Unite, il Comitato internazionale della Croce Rossa e le organizzazioni non governative internazionali.

Consiglio vivamente ai governi europei e l’Italia, per il bene della popolazione sudanese, a interfacciarsi con il governo in carica per fornire gli aiuti umanitari necessari, altrimenti tale fornitura risulterà difficile se non impossibile.’.

Qual è la Sua previsione per il futuro?

‘Invito i paesi europei a guardare al futuro ed essere pragmatici. Se la crisi rimane irrisolta, oltre alla catastrofe umanitaria esistente che ha causato il più grande sfollamento interno al mondo (oltre 9 milioni di persone sfollate, pari a circa il 13% di tutti gli sfollati interni a livello globale), questa minaccerà anche la stabilità regionale e potrebbe innescare un effetto domino. La crisi in Sudan potrebbe estendersi a diversi paesi, a partire dai nostri vicini: Egitto, Libia, Ciad, Repubblica Centrafricana, Eritrea, Etiopia, Sud Sudan.

L’economia del Sudan sta vivendo il periodo peggiore della sua storia. Inoltre, il conflitto in corso ha gravemente danneggiato le infrastrutture. Il commercio bilaterale tra il Sudan e i paesi vicini come Libia e Ciad è crollato, con un impatto negativo sui nostri partner commerciali. Questa crisi aggrava la già terribile situazione in Libia. Per non menzionare il Sud Sudan. Anche se il Paese si è separato dal Sudan nel 2011, continua a dipendere interamente da noi per esportare il suo petrolio sui mercati internazionali. Uno dei due oleodotti che esportano il petrolio a Port Sudan sul Mar Rosso, quello più importante, è stato gravemente danneggiato. Il tracollo economico in Sud Sudan potrebbe portare a disordini politici, poiché i petrodollari sono la principale fonte di entrate del governo. Una tale crisi potrebbe innescare un conflitto interno tra le élite settarie.

Centinaia di migliaia di persone sono già fuggite dal Sudan verso sud, nel Sud Sudan, che è già alle prese con le proprie sfide interne. Questi esempi evidenziano il ruolo cruciale che la stabilità del Sudan gioca nella sicurezza della regione.

L’economia del Sudan si è contratta del 40% lo scorso anno e si prevede che diminuirà di un altro 28% nel 2024. Abbiamo urgentemente bisogno di un impegno internazionale con il nostro governo per risolvere la crisi. Ma la cosa più importante è che abbiamo bisogno di forniture mediche e di assistenza umanitaria.’.

Quale può essere il ruolo dell’Italia per la risoluzione di questa crisi?

‘L’Italia, in quanto Paese mediterraneo con interessi strategici in Africa, può svolgere un ruolo cruciale sia nello sviluppo economico che nella stabilizzazione regionale.

Incoraggio il governo italiano a considerare le prospettive a lungo termine di questo impegno. Il governo sudanese ricorda coloro che ci assistono nei momenti di bisogno e ci saranno significative opportunità di collaborazione negli sforzi futuri di ricostruzione. L’Italia potrebbe diventare uno dei nostri principali partner in questo senso, forti della nostra storia di cooperazione di lunga data.

Inoltre, è importante considerare le implicazioni per le rotte migratorie, il cui terminale ultimo spesso è l’Italia. Il Sudan ha fatto parte del Processo di Khartoum, volto a facilitare la collaborazione e lo scambio di informazioni tra i paesi lungo la rotta migratoria dal Corno d’Africa all’Europa. L’Unione Europea aveva affidato a Dagalo la responsabilità di impedire ai migranti di raggiungere la Libia e, successivamente, l’Europa, contribuendo indirettamente al suo potere e alla sua ricchezza. Raccomando all’Italia di impegnarsi con il nostro governo per prevenire future crisi migratorie e garantire che i signori della guerra non traggano profitto da tali situazioni.’.

*Articolo in media partnership con SpecialEurasia.

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