Porti Africani nel Commercio Globale: i Piani di Espansione Economica Cinese ed Europea

Start

I persistenti attacchi condotti dalla milizia yemenita Houthi nel Mar Rosso hanno drasticamente impattato il commercio marittimo tra Asia ed Europa, ponendo seri problemi alla sicurezza delle catene di approvvigionamento via mare. Il Mar Rosso, grazie allo snodo strategico del Canale di Suez, garantisce il 12% del traffico commerciale globale e il 30% del traffico container globale, congiungendo i mercati asiatici ed europei.
Accusato di essere il principale canale di rifornimento di Israele, nel novembre scorso gli Houthi hanno avviato una campagna militare contro le navi commerciali in transito lungo le coste yemenite con l’obiettivo di voler tagliare i collegamenti marittimi di rifornimento e commercio di Israele per costringere lo Stato ebraico a porre fine al conflitto in territorio palestinese.
Tuttavia, sono stati registrati attacchi contro navi legate a più di una dozzina di paesi, rendendo chiara la volontà di tagliare le rotte commerciali israeliane ma portando a dirette conseguenze tutta l’Europa.

La milizia yemenita può confidare in un solido alleato: l’Iran; fin dallo scoppio della guerra civile nel 2014, di fatto, i persiani hanno da sempre sostenuto la causa dei “Partigiani di Dio” fornendo al gruppo numerose armi e tecnologie, tra cui mine navali, missili balistici e da crociera e droni. E i risultati li abbiamo visti proprio nella capacità degli Houthi di bersagliare obiettivi sia nelle vicine acque del Mar Rosso, sia nei più distanti territori israeliani (sebbene fino ad ora i missili lanciati contro Israele siano stati sempre abbattuti).

A differenza dei pirati somali, i quali non disponevano di armi e mezzi particolarmente complessi, gli yemeniti conducono attacchi sofisticati grazie ad un esercito ben addestrato e armato di droni e missili tecnologicamente avanzati.

Nel dicembre scorso, gli Stati Uniti, coadiuvati da alcuni Stati europei, hanno annunciato lo schieramento di forze navali nell’ambito dell’operazione “Prosperity Guardian” per proteggere i trasporti marittimi nel Mar Rosso. La missione non si è limitata ad una mera protezione delle imbarcazioni in transito per il Mar Rosso, ma la coalizione US-UK si è spinta oltre lanciando attacchi su larga scala contro diversi obiettivi legati agli Houthi nello Yemen.

Ad ogni modo, non tutti i Paesi di un Occidente che si vuole collettivo hanno risposto alla “chiamata alle armi“: la Spagna, ad esempio, si è rifiutata di entrare nell’operazione, mentre Italia e Francia hanno messo a disposizione una propria fregata, senza però partecipare attivamente alle operazioni, elicitando le crescenti dissonanze all’interno della cooperazione militare tra Stati Uniti ed Europa.

Le conseguenze di quanto sta accadendo al largo delle coste yemenite sono evidenti, soprattutto agli operatori marittimi, commerciali ed economici: evitare il passaggio per il Canale di Suez per raggiungere il Mar Mediterraneo significa tracciare un percorso aggiuntivo di circa 4.000 miglia intorno all’Africa. Ciò sta influenzando la rotta di centinaia di navi, aumentando i costi, ritardando i tempi di viaggio e ponendo seri rischi alla sicurezza del commercio internazionale.

Questo grafico elaborato dal New York Times evidenzia il drastico cambiamento delle rotte marittime a seguito delle operazioni nel Mar Rosso.

Il seguente grafico dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) evidenzia invece l’aumento dei costi dovuti al prolungamento del transito delle merci. Nell’arco di un mese, il costo di trasporto medio di un container da Shanghai a Genova è più che triplicato.

La situazione nei porti africani è altrettanto problematica. Totalmente presi alla sprovvista, mettendo in luce l’inefficienza delle infrastrutture portuali del continente di fronte ad un esponenziale traffico navale, il congestionamento è stato inevitabile; il porto di Durban, ad esempio, centro nevralgico del commercio marittimo sudafricano, nonché uno dei porti più grandi di tutta l’Africa, si è trovato a gestire il flusso di navi in fuga dal Mar Rosso. Nonostante la sua grandezza, secondo il rapporto “The Container Port Performance Index 2022” della Banca Mondiale, Durban risulta tra i peggiori porti globali in termini di efficienza (341° su 348), principalmente a causa di una burocrazia farraginosa e di anni di insufficienti investimenti in termini di equipaggiamento, infrastrutture e manutenzione.

La congestione e i ritardi nel porto container di Durban sono stati gravi fin dai primi attacchi yemeniti: lo scorso novembre, più di 60 navi sono state trattenute al largo a causa delle prime criticità nel traffico portuale.

Nell’ottica di una costante minaccia nel Mar Rosso e di un sempre più probabile allargamento del conflitto nel Medio Oriente, sembra evidente la necessità di costruire un tragitto alternativo per le merci europee ed asiatiche: la rotta africana, sebbene più lunga e attualmente più dispendiosa rispetto a quella arabica, può trovare una propria centralità nello sviluppo economico e commerciale del continente i cuoi principali partner commerciali (Cina ed Unione Europea) potrebbero sfruttare l’occasione per rafforzare ulteriormente i legami commerciali con i vari Paesi investendo nelle infrastrutture portuali, proiettando, così, il continente africano nel commercio euroasiatico con un ruolo importante.

Da una parte, il progetto cinese della nuova Via della Seta promuoverebbe dei nuovi canali commerciali tra Asia, Europa ed Africa. Come vedremo più avanti, ciò si sta parzialmente concretizzando attraverso i grandi investimenti nelle infrastrutture portuali in delle aree geografiche chiave del continente, in particolare la costa orientale e il Golfo di Guinea. Dall’altra, l’iniziativa europea del Global Gateway, finalizzata nel rilanciare l’EU nel panorama internazionale, avvicinerebbe in maniera decisiva lo sviluppo africano a quello europeo, attraverso lo sviluppo di nuove infrastrutture volte all’accelerazione della transizione energetica e dell’integrazione economica tra i due continenti.

Insomma, l’Africa dispone di numerosi porti strategici, i quali possono essere attivati efficacemente per sollecitare lo sviluppo dei Paesi.

Sebbene abbiano investito in qualche progetto portuale, né Cina né Unione Europea hanno creduto finora ad una rotta alternativa al Mar Rosso, la quale in termini prettamente economici rimante nettamente la più conveniente grazie all’accesso diretto al Mediterraneo per mezzo del Canale di Suez.

Quello che però si potrebbe immaginare, in vista dei crescenti interessi da parte dei due continenti per l’approvvigionamento di energia rinnovabile, terre rare e nel complesso nell’intensificazione dei rapporti commerciali, è una riconfigurazione del commercio internazionale in funzione di una maggiore presenza delle merci africane nel mercato globale.

Prima di proseguire nell’analisi degli investimenti europei e cinesi nelle infrastrutture portuali dell’Africa, è bene comprendere dove sono collocati i principali porti del continente e quali ruoli detengono nella scacchiera del commercio internazionale.

I principali porti strategici dell’Africa

Sebbene il continente africano sia bagnato a nord dal Mar Mediterraneo, a est dal Mar Rosso e dall’Oceano Indiano e a ovest dall’Oceano Atlantico – i quali rientrano tra gli spazi marittimi più trafficati del commercio internazionale – i Paesi africani non sono ancora riusciti ad integrarsi completamente nel circuito degli scambi commerciali marittimi globali.

La limitata integrazione nel commercio marittimo globale è dovuta principalmente da una generale scarsità di infrastrutture (marittime e terrestri) adeguate al crescente volume di merci commerciate su scala globale. Inoltre, la scarsa diversificazione presente nelle economie dei Paesi africani (concentrate in gran parte nel commercio di combustibili fossili o materie prime) ha limitato lo slancio africano nel commercio marittimo.

Tuttavia, nell’ultimo decennio sono stati fatti importanti progressi nella costruzione di nuove infrastrutture portuali. Nel 2010 è stata siglata dai Paesi dell’Unione Africana (AU) la “Carta sul Trasporto Marittimo Africano“, finalizzata nella crescita e sviluppo delle flotte mercantili africane, favorendo una cooperazione più stretta tra gli Stati membri.

Il trattato sancisce anche la necessità di armonizzare le politiche di trasporto marittimo del continente e di mobilitare risorse per lo sviluppo di infrastrutture portuali.

Un secondo step è stato raggiunto successivamente nel 2017 durante la “Prima Sessione Ordinaria del Comitato Tecnico Specializzato dell’Unione Africana sui Trasporti, sulle Infrastrutture Intercontinentali e Interregionali, sull’Energia e sul Turismo” a Lomé, in Togo. L’incontro si è concentrato sulla questione dello sviluppo delle infrastrutture dei trasporti (aereo, stradale, ferroviario e marittimo) e sul ruolo della Commissione Economica per l’Africa (CEA) nel supportare l’Agenda 2063 in funzione di nuovi progetti di sviluppo sostenibile. Nello specifico, il commercio marittimo è risultato essere il più importante strumento di proiezione del continente nel commercio globalizzato.

Nel documento redatto dal team di esperti, sono state indicate quattro importanti criticità delle infrastrutture portuali:

  1. Terminal per l’attracco delle navi non sufficientemente grandi per diverse tipologie di navi commerciali;
  2. Scarso trasporto delle merci intermodale e mancanza di adeguati collegamenti con i Paesi dell’entroterra;
  3. Ridotta capacità dei terminal (dovuta al fatto delle grandezze limitate);
  4. Inefficiente governance nella gestione degli uffici della dogana e delle relative procedure amministrative.

Tra le “Policy Recommendations” suggerite durante l’incontro, è importante sottolineare la volontà di potenziare il commercio regionale al fine di “rafforzare l’emergente industria manifatturiera africana” oltre che “svolgere un ruolo cruciale anche nell’attuazione dell’Area di libero scambio continentale“.

Viene data ulteriore importanza al ruolo delle IT e dell’automazione all’interno della gestione delle attività portuali e alla necessità di promuovere riforme che limitino l’interferenza dei governi nell’amministrazione dei porti.

Facendo riferimento alla cartina, possiamo notare come una buona parte dei più importanti porti strategici siano collocati sulla costa orientale. Si potrebbe presumere che la costa orientale, affacciandosi proprio all’intenso traffico marittimo del Mar Rosso, sia più propensa ad “allacciarsi” alle rotte marittime internazionali.

Il porto di Djibouti, posizionato in prossimità dello stretto che lega il Golfo di Aden al Mar Rosso, risulta essere un buon punto di riferimento nella rotta commerciale. Secondo le statistiche della Banca Mondiale, il porto di Djibouti è il più efficiente dell’Africa Sub-sahariana, e decimo al mondo nella classifica dei porti di media grandezza. Il principale fruitore di questo porto è l’Etiopia, che non dispone di sbocchi sul mare (si stima che il 95% del commercio internazionale etiope transiti nelle acque del porto di Djibouti).

Tuttavia, nel gennaio 2024 l’Etiopia ha siglato un Memorandum d’intesa con il Somaliland per l’accesso al porto di Berbera, anch’esso strategico nella rotta commerciale del Mar Rosso. In questo modo, oltre ad avere un altro accesso al mare, riuscirebbe ad interfacciarsi in maniera più consistente con le rotte commerciali euroasiatiche.

Nella costa Sud-orientale dell’Africa troviamo il porto di Mombasa, in Kenya, e di Dar es Salaam, in Tanzania. Similmente a quanto visto a Djibouti, questi due porti consentono a diversi Paesi dell’entroterra di poter beneficiare degli scambi marittimi. In particolare, Uganda, Ruanda, Burundi, Repubblica Democratica del Congo e Zambia si avvalgono di queste due grandi infrastrutture portuali per poter ampliare le proprie reti commerciali.

Un terzo porto che compete con questi ultimi è quello di Beira, in Mozambico, poiché anch’esso ben collegato con diversi Paesi dell’entroterra, quali Zimbabwe, Zambia, Malawi e Repubblica Democratica del Congo.

Scendendo verso le coste sudafricane, il porto di Durban si impone su tutta l’Africa sub-sahariana per larghezza e volume di traffico annuale. Definito come “the busiest port in Africa“, quest’infrastruttura gestisce il 60% del traffico merci sudafricano e contribuisce per il 30% sul PIL della città.

Tuttavia, come detto in precedenza, risulta essere tra i peggiori porti al mondo in termini di efficienza, limitato da una scarsa attenzione nel mantenimento dell’infrastruttura. E’ per questo che nel 2021 il Presidente del Sudafrica Cyril Ramaphosa ha comunicato l’avvio di un progetto decennale di ammodernamento e ingrandimento dell’infrastruttura portuale da 7 miliardi di dollari, che porterebbe ad una triplicazione della capacità totale, passando da 2.9 TFEU (unità di misura utilizzata per definire il volume delle merci) a 11 TFEU.

Spostandoci nella costa occidentale, i porti di Walvis Bay, Lagos e Abidjan costituiscono i principali snodi del traffico marittimo africano che si affaccia all’Oceano Atlantico.

Il primo risulta essere il principale porto namibiano, oltre che sbocco marittimo per il Botswana e i territori settentrionali del Sudafrica.

Lagos e Abidjan, collocati nel Golfo di Guinea, contribuiscono all’economia delle due capitali nonché al resto dei propri territori nazionali. Inoltre, queste due infrastrutture offrono ai Paesi della regione del Sahel (quali Burkina Faso, Niger, Mali e Ciad) di poter commerciare via mare.

Il porto che però rimane ad oggi il più importante di tutto il continente (in termini di volume merci trafficate ed efficienza) è il Tangeri Med, in Marocco. Costruito in prossimità dello Stretto di Gibilterra, è divenuto un crocevia fondamentale per il commercio marittimo tra Mar Mediterraneo ed Oceano Atlantico. Nel giugno del 2019 è stata inaugurata la terza fase di espansione della serie di banchine e terminali, aumentandone di tre volte la capacità: si pensa che il colosso portuale possa essere capace di intercettare fino al 20% degli scambi globali nei prossimi anni. La classifica della World Bank del 2022 lo ha premiato come quarto porto più efficiente al mondo, primo nella classifica dei porti europei e nordafricani (sarebbe primo anche nella classifica dei porti dell’Africa sub-sahariana).

Un ulteriore aspetto che contribuirebbe lo sviluppo di tutti i porti africani è la creazione della “African Continental Free Trade Area” (AfCTFA). Il trattato, siglato da 47 Paesi africani, consentirebbe la creazione di un mercato unico africano che potenzierebbe il commercio interregionale ed internazionale. Secondo un rapporto della United Nations Conference on Trade and Development (UNCTAD), con la creazione di un mercato unico, il trasporto intra-africano aumenterebbe del 28% e la domanda di trasporto marittimo del 62%.

Tuttavia, la rapida crescita delle capacità portuali africane è principalmente dovuta al crescente interesse cinese ed europeo ad intrattenere relazioni commerciali con i Paesi del continente. Sia la Cina sia l’Unione Europea hanno, infatti, finanziato progetti di sviluppo delle infrastrutture e dei trasporti, con particolare riguardo proprio ai porti, al fine di poter fornire gli strumenti all’Africa per poter commerciare con le due potenze continentali.

La strategia cinese per il dominio marittimo globale passa per il continente africano

Nel corso dell’ultimo decennio, la Cina ha massicciamente investito nel continente africano, dimostrando la volontà di crearsi una propria sfera d’influenza nel continente. Con l’ulteriore sviluppo del progetto della “Belt and Road Initiative“, il colosso asiatico ha finanziato la costruzione di diverse infrastrutture in praticamente ogni Paese africano: ponti, strade, dighe, aeroporti sono solo alcuni esempi delle opere finanziate dalla Cina.

Al fine di potenziare quello che effettivamente richiede la nuova Via della Seta, ossia il dominio del commercio intercontinentale, sono stati costruiti o ammodernati numerosi porti lungo le coste africane. Uno studio pubblicato nella rivista scientifica “Research in Transportation Business & Management” ha evidenziato il coinvolgimento di ben quattro diverse società cinesi nei diversi progetti africani, ovvero la China Merchants Holdings (International) (CMHI), la China State Construction (CSC), la China Harbour e la China Road and Bridge (CRBC).

La seguente mappa dimostra come la Cina sia principalmente interessata ad investire maggiormente sia lungo le sponde orientali a stretto contatto con il flusso proveniente dall’Asia, sia nella porzione occidentale bagnata dal Golfo di Guinea. Queste due regioni sono di fatto le zone dove sono collocati i principali porti strategici per il commercio africano.

L’Africa occidentale risulta essere la regione più finanziata dalla Cina, per un totale di 6.5 miliardi di dollari investiti al 2020. Il territorio infatti dispone delle più importanti riserve di bauxite, petrolio, oro, ferro e altre terre rare, oltre che ospitare le principali produzioni mondiali di caffè, cacao, cotone e gomma.

Nel 2013 la CHEC ha investito e coordinato l’ampliamento del porto di Abidjan, considerato il principale porto strategico dell’Africa occidentale, per un costo complessivo di oltre 900 milioni di dollari. Simili progetti sono stati finalizzati dalla CHEC in Ghana, Guinea e Camerun. La CRBC ha operato in altri Paesi dell’Africa occidentale, quali Mauritania, Guinea Equatoriale, Gabon e Repubblica del Congo, sempre in progetti di ampliamento o ammodernamento delle infrastrutture portuali.

Spostandoci sulle coste orientali, Djibouti si è rivelato essere il principale partner nella strategia cinese del dominio marittimo africano. Nel 2012 la Cina ha acquisito il 23,5% delle azioni del Port de Djibouti S.A. (PDSA) per un totale di 1,44 miliardi di euro, accedendo ad una buona parte dei diritti decisionali.

Nel 2014 è stata invece allargata la capacità portuale del Paese con la costruzione del porto di Doraleh, il quale praticamente funge da espansione dell’attuale porto di Djibouti. Nonostante la rilevanza di queste due operazioni finanziarie cinesi, il vero atto che ha sancito la partnerhsip tra i due Paesi è stata la costruzione di una base navale cinese, la prima in assoluto in territorio estero. Grazie a questa base navale, la Cina amplierebbe ulteriormente la propria influenza sullo stretto strategico tra il Golfo di Aden ed il Mar Rosso.

Un articolo del Belfer Center suggerisce che “l’interesse della Cina per una struttura a Djibouti è molto più legato alla sua strategia marittima globale che alla sola regione del Corno d’Africa […] Le intenzioni di Pechino sono completamente acquatiche: è interessata alla proiezione di potenza attraverso l’acqua, non la terra. La struttura in Djibouti è probabile che sia il primo tale impianto in prossimità dell’Oceano Indiano da cui Pechino potrà in futuro proteggere le rotte commerciali marittime cruciali per la sua economia.”

Oltre al piccolo Stato di Djibouti, tra i principali Paesi coinvolti nei progetti portuali cinesi rientrano anche Madagascar, Kenya, Tanzania e Mozambico, per un totale di 3.6 miliardi di dollari. Come detto in precedenza, questi porti fungono da sbocchi sul mare per diversi Paesi dell’entroterra, facilitando il transito e commercio delle merci esportate (soprattutto per le terre rare). La costruzione e l’ampliamento di questi porti strategici produrrebbe un sostanziale progresso delle relazioni diplomatiche ed economiche sia con i Paesi costieri sia con la regione continentale adiacente.

Nonostante il dominio strategico cinese si stia focalizzando su tre regioni specifiche del continente (il Golfo di Guinea, il Golfo di Aden e la fascia costiera sud-orientale) il più prestigioso progetto cinese in Africa si trova in Algeria.

La progettazione del porto El Hamdania, nella città costiera di Cherchell, rappresenterebbe il secondo polo regionale per il Nord Africa nel Mediterraneo, entrando in competizione con il porto marocchino di Tangeri. Il porto, una volta completato, avrebbe una capacità di 25 milioni di tonnellate all’anno e 23 terminal in grado di gestire fino a 6,5 milioni di TFEU. Nel 2016, un memorandum d’intesa è stato firmato tra il Ministero dei Lavori Pubblici e dei Trasporti algerino e la CSC per lo sviluppo del progetto dal valore di 6 miliardi di dollari. L’accordo prevede il controllo delle operazioni portuali ai cinesi per i primi 25 anni in cambio di un finanziamento per la costruzione del porto di 3.3 miliardi di dollari.

Unione Europea: un passo indietro nel finanziare progetti portuali in Africa

Nonostante la Commissione Europea abbia stanziato 150 miliardi di euro per il continente africano nel quadro del Global Gateway Impact (finalizzato al finanziamento di progetti di sviluppo nei Paesi meno sviluppati), sono stati compiuti fino ad oggi pochi progressi nel finanziare opere portuali.

L’impegno europeo sembrerebbe essere quasi nullo se comparato con quello cinese, dato che al 2024 sono stati registrati solo 6 progetti inerenti alle infrastrutture portuali.

I finanziamenti europei sembrerebbero esser stati principalmente incanalati in opere infrastrutturali terrestri, come ferrovie ed autostrade. Di fatto, la creazione di corridoi strategici rientra tra i principali obiettivi della partnership euro-africana: lo sviluppo di percorsi di trasporto chiave, eco-sostenibili e sicuri finalizzati alla costruzione di nuove catene di valore, servizi e opportunità lavorative vantaggiose per le industrie africane ed europee.

Analizzando la seguente mappa, si può notare come, a differenza dalla strategia cinese di dominio marittimo, l’UE si concentri in quello terrestre, individuando dei percorsi che possano facilitare il transito di merci dalla terraferma ai porti. Da notare infatti come gran parte dei corridoi siano capaci di allacciare le comunicazioni tra i principali porti strategici, ad esempio tra Walvis Bay e Durban o tra il Cairo, Djibouti, Mombasa e Dar es Salaam.

I sei Paesi coinvolti nei finanziamenti europei per lo sviluppo delle proprie infrastrutture portuali sono Senegal, Mauritania, Capo Verde, Angola, Repubblica del Congo ed Etiopia. Quest’ultima, pur non avendo sbocchi sul mare, ha beneficiato di fondi europei per lo sviluppo dei propri dry ports, ossia i centri logistici terrestri dove vengono gestiti i container delle navi commerciali.

Un caso alquanto rilevante è l’interesse europeo nello sviluppo del porto congolese di Pointe Noire: il progressivo allargamento dei terminal e delle capacità di Pointe Noire rientra in uno dei maggiori investimenti cinesi nell’Africa sub-sahariana, con un finanziamento complessivo di oltre 2 miliardi di dollari (sul fronte europeo, invece, non è chiara la cifra stanziata per l’ampliamento).

Anche la Mauritania è coinvolta nel piano strategico cinese, avendo siglato nel 2009 un accordo per l’espansione del porto di Nouakchott.

Questi due casi potrebbero evidenziare la difficoltà europea nel permeare nel commercio marittimo africano attraverso lo sviluppo dei porti. L’espansione cinese lungo le coste africane non permetterebbe all’UE di ritagliarsi delle fasce costiere strategiche, rivelandosi capace di soffocare o assoggettare il funzionamento dei corridoi terrestri europei.

Il Ruolo dell’Africa nel Commercio Marittimo: Sfide e Opportunità per Cina ed Europa

Il crescente traffico marittimo lungo le coste africane rilancia il potenziale ruolo strategico del continente nel panorama economico globale, presentando sia sfide significative che opportunità promettenti per Cina ed Europa. L’Africa grazie alle proprie preziose risorse naturali continua ad attrarre investitori esteri, i quali finanziano progetti per la costruzione o l’ammodernamento delle infrastrutture portuali al fine di facilitare lo scambio delle merci trafficate, oltre che a stabilire nuove rotte commerciali fondamentali per lo sviluppo economico del continente (che ancora fa fatica a commerciare sia dentro sia fuori i propri confini).

La Cina ha intensificato massicciamente i suoi investimenti in Africa, costruendo o potenziando i porti strategici del continente. Il grande progetto della “Belt and Road Initiative” vede una propria realizzazione grazie alle nuove infrastrutture, estendendo le relazioni commerciali tra Africa e Cina. Inoltre, la base militare in Djibouti funge da avamposto strategico nell’area del Golfo di Aden, crocevia dei maggiori traffici marittimi tra Europa ed Asia.

Per l’Europa, l’Africa rappresenta il nuovo mercato per l’approvvigionamento di energia e terre rare. Talvolta legato da un discorso politico relativo alla gestione dei flussi migratori e della sicurezza regionale, l’interesse europeo negli affari interni africani da una parte propone strumenti per lo sviluppo socio-politico delle società africane, dall’altra impone delle policies percepite come stringenti dalle controparti africane.

In tutto ciò, la concorrenza cinese per l’influenza economica in Africa avanza grazie al piano di investimenti infrastrutturali su tutto il continente. L’assenza di finanziamenti europei nei progetti portuali ha facilitato l’avversario cinese nella propria espansione lungo le coste, individuando nei porti strategici africani la possibilità di costruire un vantaggio economico nel continente. Ciò potrebbe creare delle “barriere” per le relazioni commerciali euro-africane, fornendo maggior spazio alle rotte commerciali con il continente asiatico.

Le future relazioni tra Cina ed EU si costruiranno dunque sul suolo africano, dovendo scegliere se affrontare in maniera cooperativa o competitiva l’integrazione del continente nel commercio marittimo globale. Lo sviluppo del dialogo tra le due parti sarà determinante nel delineare le sfide, le opportunità e le strategie dell’espansione del mercato africano via mare, il quale dovrà ponderare il commercio delle preziosissime risorse energetiche e naturali di fronte alle affamate economie ed industrie europee ed asiatiche.

Iscriviti alla nostra Newsletter
Enter your email to receive a weekly round-up of our best posts. Learn more!
icon

Progetto di Ricerca CeSE-M

Dispacci Geopolitici

MATERIALI CORSO ANALISTA GEOPOLITICO 2023

Il CeSE-M sui social

Naviga il sito

Tirocini Universitari

Partnership

Leggi anche