Il Papa ha fatto bene. Una riflessione sull’ultima visita del Dalai Lama in Italia

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Essendo finito il Summit del Premi Nobel per la Pace, svoltosi a Roma dal 12 al 14 Dicembre, il Dalai Lama ha completato il proprio viaggio in Italia e possiamo fare qualche semplice riflessione. Come sanno tutti il Summit è stato spostato a Roma perché il Governo del Sudafrica non ha concesso il visto al Dalai Lama. Questo ha attirato al Governo Sudafricano parecchie critiche, con tanto di centinaia di persone arrabbiate che mostravano il proprio sdegno tramite email alle varie ambasciate sudafricane in giro per il mondo. La decisione di Pretoria non è stata inaspettata: facendo parte dei BRICS, gode di una amicizia strategica con la Cina che il governo vuole tenere cara. La scelta del Sudafrica è da comprendere e non da condannare: questo tipo di favori sono normali tra paesi alleati. L’Italia e altri paesi europei hanno fatto molto peggio: se ben ricordate, nel 2013 sospettando la presenza di Edward Snowden nell’aereo del presidente boliviano Evo Morales, con un atto di “prepotenza imperialistica” diversi paesi non hanno concesso il permesso di viaggiare nel proprio territorio all’aereo sospettato, costringendo il presidente del Bolivia ad una sosta di 10 ore a Vienna. Per fare un favore agli Stati Uniti abbiamo fatto una pessima figura internazionale.

Come ci si aspettava, la visita del Dalai Lama in Italia è stata segnata da gravi proteste ad opera della New Kadampa Tradition, l’organizzazione più famosa che ha protetto e diffuso il culto di Dorje Shugden, il Protettore vietato dal Dalai Lama, nel mondo occidentale. E’ stato molto curioso osservare come nei giorni immediatamente precedenti alla visita del Dalai Lama nei maggiori quotidiani sia uscita la notizia che la famosa cantante Romina Power si è convertita al Buddhismo e pratica proprio Dorje Shugden, quasi a voler preparare l’opinione pubblica sulla controversia che, dal Tetto del Mondo, si sarebbe spostata pochi giorni dopo a Roma. Questa notizia ha sicuramente dato il suo contributo al fatto che, a differenza dell’ultima protesta di Livorno, i media italiani non hanno trascurato il fenomeno e gli hanno attribuito la giusta importanza. Tutti tranne “Repubblica”, probabilmente. Ma questo non deve stupirci se consideriamo che il suo corrispondente per l’Asia, Raimondo Bultrini, ha scritto un libro molto famoso su questa controversia, chiamato “Il demone e il Dalai Lama”. Questo libro non costituisce una trattazione imparziale ma – come ammesso dallo stesso autore – è un vero atto di propaganda della posizione di Tenzin Gyatso su questa spinosa controversia.

A ogni modo, la visita del Dalai Lama in Italia ha probabilmente ricevuto più attenzione mediatica del previsto per un altro accadimento, relativo al fatto che il Papa non ha accettato di concedergli udienza nonostante le ripetute richieste. Questo ha attirato su Papa Francesco, per la prima volta dall’inizio del suo pontificato, un’ondata di critiche da parte di giornalisti e politici. Per diversi media è stata una notizia molto succosa il fatto che il nuovo Papa, che per alcuni è già rivestito da un’aura di santità, si sia piegato in maniera così miserevole alle esigenze della real-politik. O almeno questa è l’immagine che hanno tentato di dare. In realtà, la scelta del Papa è stata molto saggia.

Conosciamo tutti il conflitto religioso che riguarda il Cattolicesimo in Cina ed è inutile nasconderlo: da un lato, il Governo riconosce una Chiesa Cattolica Patriottica non sottoposta al Pontefice romano; dall’altro, esiste una Chiesa “sotterranea” in comunione con lui. Tra le due esistono diverse forme di incontro e contiguità. Questa controversia nasce dal fatto che, nonostante in Cina venga riconosciuta la libertà di religione in quanto concessione dello Stato all’individuo, questo diritto viene accordato a specifiche condizioni, tra cui il fatto che la religione non deve essere dominata da una nazione straniera. Quest’ultima condizione serve a prevenire minacce all’unità della Patria, ed è proprio questo che ha creato la presente divisione, essendo il Papa di fatto il Re di una monarchia assoluta. Per risolvere questo conflitto l’obiettivo da raggiungere è quello di trovare un accordo in cui i vescovi siano sia in comunione con il Papa sia approvati da Pechino. Ma per ottenere questo obiettivo ci vuole molto dialogo e un’abile diplomazia, e rovinare tutto per l’incontro con il Dalai Lama sarebbe stato inappropriato. Probabilmente – ma qui sto facendo un’ipotesi personale – un obiettivo che verosimilmente si potrebbe ottenere è una situazione simile a quella del Buddhismo Tibetano, i cui Tulku vengono riconosciuti tramite i metodi tradizionali prima, e poi approvati legalmente dal Governo Cinese dopo un certo iter. Ma va tenuto presente il fatto che il Cattolicesimo è una religione straniera, e non una tradizione nazionale autoctona – come il Buddhismo Tibetano – che il Governo Cinese vuole proteggere e preservare in quanto parte del proprio patrimonio culturale; questo rende le cose ovviamente molto più complicate.

In questi giorni molti opinionisti, tra cui lo stesso Bultrini, hanno detto o fatto intendere che ogni forma di dialogo con la Cina sarà infruttuoso o addirittura dannoso, e che della Cina non ci si può fidare. Questa affermazione è priva di fondamento e completamente fuori dalla storia. Basta considerare che dalla fine della Rivoluzione Culturale abbiamo avuto una tendenza opposta: molti Lama esiliati in India hanno smesso di criticare la Cina e alcuni hanno addirittura cominciato a supportarne il Governo, perché si sono resi conto che questo portava molti benefici e concessioni, tra cui la ricostruzione dei propri monasteri in Tibet e il supporto alle proprie attività religiose. Recentemente persino S.S. il Gyalwa Drukpa, capo di uno dei vari lignaggi del Buddhismo Tibetano, ha lodato la Cina in una intervista.

Tornando a ciò che è successo a Roma, ovviamente al Governo Cinese non interessa affatto che due leader religiosi si incontrino e che possano collaborare per nobili obiettivi come l’unità tra le religioni. Il problema è che il Dalai Lama non è solo un leader religioso, ma soprattutto un punto di riferimento politico che incarna istanze che minano all’unità della propria Patria. In altre parole, ciò che alla Cina non piace è la strumentalizzazione politica di questi incontri, che hanno in realtà il vero scopo di portare ulteriore supporto e legittimità alla causa tibetana. Se il Dalai Lama abbandonasse ogni coinvolgimento politico riteniamo non solo che questi incontri si sarebbero potuti svolgere senza problemi, ma addirittura che il Dalai Lama sarebbe già tornato in Tibet da molto tempo.

L’incontro tra il Pontefice e il Dalai Lama sarebbe stato non solo inopportuno ma probabilmente anche inutile. Di sicuro, se proprio il Papa volesse dialogare con il Buddhismo Tibetano o qualche sua scuola (cosa sicuramente encomiabile), potrebbe invitare in Vaticano molti altri Lama che non hanno alcun coinvolgimento politico, dentro o fuori il Tibet: perché attribuire tanta importanza all’incontro con il Dalai Lama, considerato che di fatto non è il capo di nessuna delle svariate scuole del Buddhismo Tibetano, e che essendo stato causa di divisioni e controversie dentro alcune scuole non viene da tutti apprezzato? Le proteste degli shugdenpa sono un segnale da prendere in considerazione, ma chi conosce le controversie del Buddhismo Tibetano sa che costituiscono solo la punta dell’iceberg. Si tenga presente che il Dalai Lama non è paragonabile ad un Papa del Buddhismo Tibetano, nonostante il Governo Tibetano in Esilio abbia tentato il possibile per renderlo tale. Pertanto, questo incontro avrebbe avuto una certa importanza solo dal punto di vista politico, non religioso, e questo è ciò che il Papa ha opportunamente cercato di evitare. Sicuramente Papa Bergoglio era ben consapevole che non incontrare il Dalai Lama avrebbe gravemente leso alla sua immagine, ma ciononostante, come un vero Pastore, ha preferito pensare al bene della sua Chiesa.

Marco Scarinci

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