Negli anni ’50, una delle dichiarazioni più illuminate e famose di Juan Domingo Perón fu presa quasi come una profezia quando il Presidente argentino disse che “l’ anno 2000 ci troverà uniti o dominati”. Perón si riferiva al sentimenti di unione e cooperazione tra i popoli dell’America Latina che da sempre ha potuto rappresentare un motivo di forza dell’intera regione ma che, tuttavia, spesso è stato abbandonato in favore di obiettivi politici afferenti il bieco nazionalismo, danneggiando, così, la potenziale forza unitaria dell’intera regione e rendendola debole e preda del potere tiranno delle grandi potenze.

Prima di analizzarne l’evoluzione in America Latina, è però importante approfondire la valenza del concetto di regionalismo nelle varie teorie delle relazioni internazionali. Nella teoria costruttivista – un approccio teorico che enfatizza il ruolo delle idee, delle norme e delle percezioni nella formazione delle relazioni internazionali – con il termine regionalismo si fa riferimento alla formazione e all’importanza delle regioni geografiche come attori chiave nel processo di costruzione delle norme e delle identità.

Nella teoria liberalista,invece, il regionalismo consiste nella creazione di alleanze economiche e istituzioni regionali per promuovere la pace e la stabilità. Queste istituzioni possono facilitare la risoluzione pacifica delle dispute, promuovere la crescita economica e favorire la democrazia all’interno della regione.

Tuttavia, secondo la teoria realista di Morgenthau, il regionalismo può anche diventare uno strumento da sfruttare per tutte quelle potenze regionali o “stati intermedi” che vogliono acquisire la leadership nella governance del sistema anarchico mondiale e dunque agiscono principalmente in base al proprio interesse nazionale per scalare la gerarchia dei poteri regionali e diventare la potenza dominante.

Le istituzioni, comunità, alleanze regionali possono, allora, diventare un modo per proiettare l’influenza globale attraverso la consolidazione degli ordini regionali come base per perseguire interessi nazionali, agendo secondo queste modalità principali: definendo i confini dell’influenza e dell’intervento in un territorio geograficamente delimitato; mostrando le capacità materiali e ideative necessarie per la proiezione di potere regionale; e influenzando gli affari regionali, compresi gli affari nazionali degli stati membri (Flemes e Nolte, 2010).

In America Latina, come nel resto del mondo, il regionalismo può essere analizzato attraverso le lenti delle diverse teorie delle relazioni internazionali. Mentre il realismo potrebbe concentrarsi sulla competizione per il potere, il liberalismo sottolineerebbe la cooperazione economica e istituzionale, e il costruttivismo potrebbe esplorare la costruzione di identità regionali e norme condivise.

Parlando, nello specifico, di America Latina, possiamo affermare che il regionalismo ha radici antiche, risalenti al XIX secolo durante le guerre di indipendenza: impegnati nella liberazione dai territori occupati dalla corona spagnola, i grandi libertadores, infatti, promuovevano un senso di fratellanza tra i popoli latinoamericani, vedendo in un’integrazione latinoamericana una forza necessaria per resistere alle dominazioni europee. “Prevedo che l’America non dimenticherà il giorno in cui ci abbracceremo“, scriveva San Martín in una lettera indirizzata a Simon Bolívar nei prolegomeni dell’incontro tra i libertadores che si sarebbe tenuto a Guayaquil; entrambi i personaggi capivano che non ci sarebbe stata una vera indipendenza e possibilità di progresso senza l’unità dei popoli del sud dell’America (Duhalte 2004). 

Tra i primi tentativi di integrazione vi fu quella promossa da Simon Bolívar, padre di tale sentimento di unione dei paesi dell’America Latina, che promosse il Congresso Anfizionista di Panama (1826), il primo summit dei rappresentanti delle ex colonie spagnole. L’obiettivo principale del Congresso Anfizionista di Panama era discutere e promuovere la cooperazione tra le repubbliche indipendenti dell’America Latina.

Bolívar, ispirato dall’idea di una confederazione di stati latinoamericani, cercava di creare un’organizzazione che potesse promuovere la sicurezza collettiva e la cooperazione economica tra le nuove nazioni emancipate dal dominio straniero. Simon Bolívar infatti credeva che l’unione latinoamericana avrebbe rafforzato il paese contro le dominazioni straniere, in particolare contro il colonialismo, si espresse in questo modo “L’America Latina è debole perché è divisa, e la sua debolezza è la forza dei vecchi colonialisti. Noi dobbiamo unirci o perire.” Successivamente aggiunse che “L’unione è la sola cosa che manca ai nostri sforzi per essere liberi.

Tuttavia di questa volontà bolivariana di integrazione e unione continentale ne rimase, di fatto, solo il sogno poiché, nella realtà dei fatti prevalse la spinta della corrente autonomista e la necessità da parte dei nuovi stati di garantire la propria sovranità nazionale piuttosto che progettare l’archietettura di un’unione regionale, decisione che trasformò l’America Latina in terreno di conflitti e scontri regionali; tra i più importanti ricordiamo la Guerra del Pacifico (1879-1884) che coinvolse Cile, Perù e Bolivia; la Guerra dell’Acre (1899-1903), che vide lo scontro tra Brasile e Bolivia per la regione dell’Acre, area ricca di risorse naturali ed infine la Guerra del Chaco (1932-1935) che coinvolse Paraguay e Bolivia ma che fu alimentata anche dagli interessi della statunitense Standard Oil Company, una delle più importanti imprese petrolifere del tempo.

La Standard Oil Company, infatti, fin dagli anni venti aveva avuto delle concessioni dal governo Boliviano per costruire delle raffinerie nella regione, tuttavia, secondo gli accordi raggiunti data la piccola produzione di petrolio che apparentemente non veniva commercializzata la compagnia non doveva pagare le tasse al governo Boliviano. Successivamente, però, quando le tensioni tra lo stato Boliviano e la compagnia aumentarono, il Governo di La Paz – per rispondere alle esigenze della Standard Oil Company e per beneficiare della commercializzazione del petrolio – chiedeva di avere uno sbocco sul mare; la questione divenne così determinate per lo scoppio della guerra nel Chaco.

Successivamente con l’affermarsi degli Stati Uniti come potenza mondiale e della dottrina Monroe sul continente americano, il regionalismo in America Latina si trasformò in Panamericanismo, promuovendo la cooperazione e l’unità tra tutti i paesi delle Americhe, comprese quelle del Nord e del Sud. Questa idea è stata promossa principalmente dagli Stati Uniti e ha avuto come obiettivo la collaborazione e l’integrazione tra i paesi americani.

Il termine è spesso associato all’Organizzazione degli Stati Americani (OAS), fondata nel 1948, che mira a promuovere la pace, la sicurezza e lo sviluppo nella regione. Tuttavia con il panamericanismo gli Stati Uniti hanno spesso camuffato i loro veri obbiettivi di influenza e potere sui paesi dell’America Latina, traendo vantaggio e sfruttandolo per raggiungere i propri obbiettivi come grande potenza mondiale.

In particolare la OAS è diventata uno strumento importante per gli Stati Uniti nel dopoguerra, e, all’inizio della Guerra fredda, l’organizzazione rappresentava per Washington uno strumento fondamentale per contenere il comunismo in America Latina consolidando un fronte anticomunista e prevenendo l’influenza sovietica nella regione.

Successivamente nel 1961 gli Stati Uniti perseguirono questi obbiettivi con L’Alleanza per il Progresso coinvolgendo l’intero continente americano cercando di porlo sotto la propria protezione attraverso un approccio assistenzialista. Tale iniziativa precedette un cambio di strategia verso un approccio più realista, caratterizzato da un maggiore coinvolgimento negli affari interni delle nazioni vicine. Questa transizione fu motivata dalle preoccupazioni degli Stati Uniti riguardo alla minaccia dell’infiltrazione sovietica, già evidenziata dal successo della rivoluzione cubana.

In seguito, soprattutto tra gli anni ’50 e ’70, la declinazione del concetto di regionalismo in America Latina si spostò maggiormente sullo sviluppo economico. Non a caso, prese vigore il cosiddetto “regionalismo economico” con il quale si mirava alla promozione e alla integrazione delle economie dei diversi Paesi latinoamericani. Questo approccio derivava dalla teoria strutturalista dell’economista argentino Raúl Prebisch (1950), che sostenevano l’esistenza di una divisione tra ilcentro, caratterizzato da sviluppo economico, e periferia, caratterizzata, invece, da sostanziale sottosviuluppo.

Prebisch vedeva nella possibile integrazione regionale una possibilità per ridurre il divario tra i due campi in cui si divideva il mondo. Tuttavia tale teoria venne inizialmente pensata per essere applicata all’interno di uno Stato e non a livello globale; ciononostante è possibile traslare tale visione a livello internazionale dividendo il sistema mondiale fra economie sviluppate, le quali utilizzano tecniche capitalistiche di produzione (il centro) ed economie con sistemi di produzione caratterizzati da arretratezza tecnologica, esportatrici di beni primari (la periferia).

La teoria strutturalista e quella della dipendenza,che vede i paesi meno sviluppati in uno stato di sottosviluppo persistente a causa della loro dipendenza dalle economie delle grandi potenze,  hanno fornito un approccio alternativo decisivo per ottenere la tanto ricercata autonomia regionale dai “centri di potere mondiali” (Deciancio, 2016a, p. 112). In questo contesto la “regione” mondiale è stata delineata come un’unità economica divisa tra centro e periferia, dove il centro è rappresentato dai paesi con un’economia sviluppata e industrializzata mentre la periferia dai paesi con un economia in via di sviluppo.

Il pensiero strutturalista prevede che i paesi che occupano le periferie dell’economia mondiale sarebbero rimasti stagnanti a meno che non fossero in grado di rompere la loro dipendenza dal ricco e avanzato nucleo di stati industriali, attraverso uno sviluppo autonomo che li portasse ad una emancipazione economica e politica. Poiché principalmente esportatori di materie prime che affrontavano diminuzioni secolari dei prezzi, si pensava che i paesi latinoamericani fossero condannati allo sottosviluppo a meno che non si mostrassero di essere in grado di entrare nei settori industriali più redditizi dominati dai paesi industrializzati.

Il regionalismo sviluppatista fu la risposta dello strutturalismo a questo dilemma. (Nesadurai, 2003)

I sostenitori di questa soluzione applicarono la teoria di Prebisch, cercando di ridurre il divario economico tra l’America Latina e le potenze mondiali. L’obiettivo era raggiungere l’indipendenza economica, trasformando la regione in una potenza economica industrializzata, invece, di presentarsi solo una area geografica, di fatto, fornitrice di materie prime al resto del mondo.

A tale teoria si aggiunse, poi, anche la la teoria della sostituzione delle importazioni, con la quale si supportava l’idea secondo cui i paesi “periferici” avrebbero dovuto imporre elevati dazi sulle importazioni di beni manufatti per incentivare la produzione interna, uscendo, così , dalla condizione di dipendenza dalla produzione delle grandi potenze (centro).

Queste due teorie insieme crearono una sorta di protezionismo regionale, dove la comunità regionale si impegnava a limitare il commercio con paesi terzi per favorire, piuttosto, il mercato sia regionale che di conseguenza dei singoli paesi che ne facevano parte.

Tra i primi progetti concreti di integrazione ci fu la creazione nel 1960 della Latin America Free Trade Association (LAFTA) e il Patto Andino del 1969.

Entrambi i progetti vennero sviluppati sotto iniziativa del CEPAL (Commissione Economica per l’America Latina), fondata nel 1948 rappresenta una delle cinque commissioni delle Nazioni Unite che opera per  promuovere lo sviluppo economico e sociale in America Latina e nei Caraibi.

Tra i membri della Latin America Free Trade Association troviamo il Messico più tutti i paesi dell’America del Sud ad esclusione di Suriname e Guyana. L’obbiettivo della LAFTA era quello di creare una zona di libero commercio simile a quella creata in Europa nel 1957 con la Comunità Economica Europeea (CEE); evidenti, tuttavia , erano i limiti della LAFTA in confronto alla CEE, l’operato della LAFTA si limitava, infatti, solo a materie commerciali. A differenza della CEE, a LAFTA non ha funzionato in maniera efficiente anche alla luce della disparità economica tra i diversi paesi membri e dall’instabilità politica, le variazioni nelle leadership politiche e nei governi influenzavano la coesione e la cooperazione all’interno dell’organizzazione.

All’interno della comunità Andina nasce, invece, dal trattato di Cartagena del 1969 firmato da Cile, Ecuador, Colombia e Perù, anche se, attualmente, il Cile ha ritirato il suo impegno dall’accordo.

Fondata con l’obiettivo di promuovere la cooperazione economica e sociale tra i suoi membri attraverso un programma di coordinamento di politiche industriali, la liberalizzazione commerciale tra i paesi membri e l’introduzione di una tariffa esterna comune per semplificare gli scambi.

Tra le altre iniziative regionali di quel tempo troviamo anche  il Trattato di Tlatelolco: firmato nel 1967 entrò in vigore nel 1968 come  “Trattato per la messa in atto del regime di non proliferazione nucleare in America Latina e nei Caraibi”.

Una delle principali disposizioni del trattato era il divieto per gli Stati membri di sviluppare, acquisire o possedere armi nucleari. Inoltre, vietava il dispiegamento di armi nucleari sul territorio regionale. Fu inoltre istituita l’Agenzia per la Proibizione delle Armi Nucleari in America Latina e nei Caraibi (OPANAL), un’organizzazione internazionale finalizzata a garantire il rispetto del trattato e a promuovere la cooperazione nel campo dell’energia nucleare a fini pacifici.

Successivamente, il regionalismo latinoamericano si evolse nel periodo post-Guerra Fredda, con gli Stati Uniti che affermavano la loro predominanza mondiale e regionale. Durante la Guerra Fredda, le dinamiche caratterizzanti l’America Latina erano influenzate dalla volontà e dagli interessi statunitensi, mentre fu nel periodo successivo, durante gli anni ’80 e ’90, che si verificò una fase di democratizzazione e di adozione a piene mani delle politiche economiche di stampo neoliberale.

In questo contesto, molti governi latinoamericani si conformarono all’ordine capitalistico mondiale, applicando politiche in accordo con il Washington Consensus. Il regionalismo mutò trasformandosi in un regionalismo aperto, volto a incentivare il libero commercio non solo tra i membri della regione ma anche con le economie esterne, finendo, così, per incentivare i rapporti commerciali con le grandi potenze economiche e, di fatto, tornando a dipenderne. Quanto detto venne definito, nel 1994, dalla CEPAL in questi termini: “un processo di crescente interdipendenza economica a livello regionale, spinto sia da accordi preferenziali di integrazione che da altre politiche, in un contesto di apertura e deregolamentazione. L’obiettivo è aumentare la competitività dei paesi della regione e costituire, per quanto possibile, una base per un’economia internazionale più aperta e trasparente”(1994).

Tuttavia, le iniziative volte a promuovere il mercato aperto e gli scambi con economie terze spesso si sono scontrate con gli accordi e misure già, di fatto, in atto oltre che alla complessità resa dalla situazione spesso difficile in cui versavano diversi latinoamericani dove venivano incentivate politiche neoliberali in accordo con le richieste statunitensi e del Fondo Monetario Internazionale (FMI).

Era infatti evidente la forte interrelazione con Washington e i governi neoliberali che, in questo periodo, dettero vita a tentativi di integrazioni come il North American Free Trade Agreement (NAFTA) firmato nel 1993 e volto a migliorare l’integrazione, principalmente, tra i paesi dell’America del Nord (USA, Canada e Messico) e non a creare una reale integrazione dei mercati interni ai paesi dell’America Latina. 

Tra gli accordi che riguardano, invece, più direttamente la regione sudamericana troviamo il Mercado Común del Sur (Mercosur) fondato nel 1991 con il trattato di Asunción firmato da Argentina, Brasile, Paraguay, Uruguay. Il progetto del Mercosur, però, nasce molto prima del 1991, quando il volere comune di Argentina e Brasile di superare la competizione economica ed eliminare le possibili minacce di sicurezza tra i due paesi si fece concreto nel tentativo di favorire piuttosto una cooperazione comune che avrebbe creato benefici comuni (Russell 1989). Si aprì, dunque, dagli anni ‘70 una fase di integrazione tra i due grandi Paesi che si rafforzò ulteriormente durante il periodo neoliberalista, successivo alla caduta delle rispettive dittature militari, e culminando, come detto, nella firma del trattato di Asunción che avrebbe visto il progetto iniziale incardinato su due soli Paesi allargarsi anche ad ulteriori due importanti economie come quelle di Paraguay e l’Uruguay; tra le varie fasi di attuazione del trattato vi era un accordo di libero scambio, la creazione di una zona di libero commercio e, infine, il raggiungimento dell’unione doganale tra i quattro Stati.

Successivamente con il Protocollo di Ouro Preto (1994) furono definiti questi punti chiave con la dichiarazione di unione doganale e la costituzione delle varie istituzioni di cui Mercosur si serve per il suo funzionamento: il Consiglio del Mercato Comune (CMC) e la Commissione di Commercio del Mercosur (CCM).

Durante la decade caratterizzata dalle spinte neoliberali, crebbero le disuguaglianze sociali visto che le popolazioni risentirono molto delle misure di privatizzazione e dei tagli alla spesa pubblica attuate dai Governi che, di fatto, andarono ad incrementare le disuguaglianze, il tasso di povertà e la disoccupazione. Dalla difficile situazione della classe popolare emersero numerosi movimenti popolari di protesta che si riversarono nelle strade e che, ben presto, grazie anche ai cambiamenti strutturali che permisero la apertura democratica della vita politica, arrivarono al potere tramite le vie elettorali.

Dal 1999, questi cambiamenti politici ed economici portarono all’elezione di Hugo Chávez in Venezuela, ed al potere una serie di governi progressisti di sinistra. Tale dinamica politica, definita “giro a la izquierda” – o marea rosa – videro la formazione di Governi come quello di Nestor Kirchner in Argentina, Luis Inacio Lula da Silva in Brasile, Evo Morales in Bolivia, Rafel Correa in Ecuador, Ricardo Lagos e Michelle Bachelet in Cile.

Con il cambio di rotta registrato in America Latina cambiarono anche le coordinate dei progetti di integrazione e il concetto di regionalismo stesso nella regione. Il nuovo regionalismo, infatti, assunse un carattere più politico ed ideologico diventando, spesso, centro di tendenza antiamericane e anticapitalistiche espresse da diversi leader tra cui, di certo, il più influente fu Hugo Chávez.

Il presidente Venezuelano infatti riprese l’ideale bolivariano per promuovere un latinamericanismo volto all’unione latinoamericana e all’esclusione ed espulsione degli Stati Uniti dalla regione, poiché, secondo il Presidente venezuelano, non potevano portare alcun giovamento alla causa sudamericana visto che erano mossi soltanto da interessi neo-imperialisti.

Il progetto principale, sotto impulso dello stesso Chávez con l’aiuto di Fidel Castro, fu l’Alianza Bolivariana por los pueblos de nuestra America (ALBA), fondata a La Avana nel 2004.

ALBA nasce come progetto di integrazione e cooperazione alternativo ai progetti precedenti dell’epoca neoliberale che principalmente vedevano come loro principale partner gli Stati Uniti e che nella maggior parte dei casi più che trarne benefici da questo scambio subiva la relazione asimmetrica con Washington.

Con la formazione dell’ALBA, infatti, l’Area di Libero Commercio delle Americhe (ALCA) progetto promosso dagli Stati Uniti va in crisi e, poi, fallisce. Tra i principali obbiettivi dell’ALBA, i cui paesi membri attualmente sono Cuba, Venezuela,Bolivia, Nicaragua, Antigua e Barbuda, Dominica,Grenada, Santa Lucia, San Cristofor e Nevis, San Vincenzo e Grenadine, vi era quello di costruire un forte blocco regionale coeso, pronto ad affermarsi a livello internazionale in un mondo che diventava sempre più globalizzato.

Al fine di raggiungere quest’ambizioso obiettivo però non si poteva fondare la cooperazione solo su accordi commerciali economici, bensì, si rendeva più che mai necessario ampliare il progetto ad altri settori, coordinando le varie misure e condividendo la stessa visione ideologica che ne era alla base.

Ciò prevedeva dunque obiettivi come la promozione della giustizia e dell’equità sociale, lo sviluppo infrastrutturale, l’integrazione energetica e, ovviamente, una serie di accordi economici attraverso anche la creazione di banche regionali.

Tra questi progetti ricordiamo dunque Petrocaribe, progetto lanciato dal Venezuela nel 2005 coinvolgendo diversi paesi membri dell’ALBA con l’obiettivo di fornire ai paesi membri una fonte affidabile e conveniente di petrolio per ridurre la dipendenza di molti paesi caraibici dai mercati petroliferi internazionali e alleviare, così, i loro bilanci energetici. Inoltre, Petrocaribe non si limitava alla sola fornitura di petrolio ma, includeva anche elementi di cooperazione finanziaria e tecnologica.

Un altro progetto nato sotto impulso del gruppo ALBA è stata la creazione nel 2007 del Banco del Sur (paesi mebri Venezuela, Argentina, Ecuador, Brasile, Bolivia, Paraguay e Uruguay); con l’istituzione di questa banca, i leader degli Stati membri volevano ridurre la dipendenza economica e finanziaria della ragione dalle principali istituzioni finanziarie mondiali quali il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale.

Il Banco del Sud d è stato concepito come un’istituzione multilaterale di sviluppo, avente l’obiettivo di fornire finanziamenti per progetti dei paesi partecipanti in settori chiave come quello dell’energia, dell’industria, delle infrastrutture e di altri settori chiave per la crescita sostenibile della regione.

Tuttavia dalla sua nascita vi sono state parecchie difficoltà e ritardi che non hanno permesso di raggiungere gli obiettivi programmati. In modo particolare sia sulla Banca del Sud che su Petrocaribe che in generale sull’ALBA ha inciso fortemente la crisi finanziaria venezuelana.

Inoltre, successivamente alla morte di Chávez nel 2013, l’ALBA ha perso la sua vera forza dato che dietro questo progetto di cooperazione regionale vi era anche l’interesse nazionale di Chávez di trasformare il Venezuela nel paese leader della America Latina. Per queste ragioni alcuni dei pilastri fondamentali dell’ALBA sono stati proprio quei principi ideologici cari a Chavez, come il socialismo del siglo XXI e l’antiamericanismo, fattori che hanno fatto sì che venisse creata di fatto un’organizzazione fortemente connotata sia ideologicamente che politicamente.

Se l’ALBA è stato un progetto di integrazione e cooperazione proposto da Venezuela e Cuba, l’ Unione delle nazioni Sudamericane (UNASUR ) è stato, invece, lanciato principalmente dal Brasile guidato da Inacio Lula da Silva.

L’UNASUR nasce ufficialmente come organizzazione intergovernativa nel maggio del 2008 a Brasilia; nel trattato costitutivo viene esplicitato che l’Unione “si propone di costruire, in modo partecipativo e concordato, uno spazio di integrazione e unione culturale, sociale, economica e politica tra le popolazioni coinvolte. Concedendo priorità al dialogo politico, alle politiche sociali, all’istruzione, all’energia, all’infrastruttura, al finanziamento e all’ambiente, tra gli altri settori, con l’obiettivo di eliminare le disuguaglianze socioeconomiche, raggiungere l’inclusione sociale e la partecipazione dei cittadini, rafforzare la democrazia e ridurre le asimmetrie nel contesto del potenziamento della sovranità e indipendenza degli Stati“.

Tra i membri fondatori troviamo l’Argentina, il Brasile, il Cile, la Colombia, l’Ecuador, Guyana, Bolivia, il Paraguay, il Perù, il Suriname, l’Uruguay e il Venezuela che operano all’interno dell’UNASUR secondo la struttura concordata formata da il Consiglio di Capi di Stato e di Governo, il Consiglio di Ministri degli Esteri, il Consiglio di Delegati, la Segreteria Generale e diverse istituzioni specializzate in vari settori.

Lula Inacio da Silva è stato una delle persone più influenti per la creazione e per il mantenimento dell’UNASUR sostenendo attivamente l’idea di un’America del Sud più integrata. Insieme a Lula, però, va anche ricordato il ruolo fondamentale rivestito da Nestor Kirchner il quale durante il suo periodo come presidente dell’Argentina (2003-2007), ha lavorato per rafforzare l’integrazione economica tra i paesi sudamericani, promuovendo scambi commerciali e cooperazione in vari settori.

A livello regionale l’UNASUR si è impegnata su diversi fronti, importante è stato il suo ruolo per risolvere o mediare crisi diplomatiche e politiche nella regione. Tra queste quella tra Colombia e Ecuador nel 2008 o quella tra Colombia e Venezuela nel 2009-2010.

Le tensioni tra questi paesi erano principalmente legate alla gestione del conflitto interno colombiano (tra le FARC e l’amministrazione Uribe) che vide nel 2008 l’invasione delle truppe colombiane in territorio ecuadoriano per colpire una base guerrigliera; nel caso venezuelano, invece, la crisi era alimentata dalla tensione tra Chávez e Uribe che accusava il presidente venezuelano di legittimare le FARC e offrire loro aiuto economico e supporto logistico.

L’UNASUR giocò un ruolo fondamentale nell’appoggiare la preservazione dell’ordine democratico e costituzionale come in occasione della crisi del Paraguay (2012), quando dopo la destituzione del presidente Fernando Lugo, l’UNASUR sospese il Paraguay dalla partecipazione alle attività dell’organizzazione, esprimendo preoccupazione per quel riguardava il rispetto delle norme democratiche del Paese.

In generale l’operato dell’UNASUR e dell’ALBA contribuirono a livello regionale a diminuire l’influenza di Washington nella regione e promuovendo, piuttosto, una partecipazione più attiva in progetti di integrazione regionale. Inoltre una caratteristica peculiare e inedita del nuovo regionalismo fu la capacità di proporsi come interlocutore credibile nei confronti dei mercati emergenti, in un’ottica di cooperazione sud-sud, creando, così, spazi di manovra più ampi e nuovi per le economie in via di sviluppo le quali, seppur con strategie e obiettivi diversi, hanno trovato in questa regione un importante alleato commerciale e, talvolta, politico. Basti pensare in questo senso all’enorme crescita che la Cina ha avuto negli ultimi anni in questo paese sia come partner economico che politico.

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