Javier Milei, nuovo Presidente dell’Argentina. Premesse e previsioni

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Oggi inizia la ricostruzione dell’Argentina“.

Con queste programmatiche parole, il futuro presidente dell’Argentina – si insedierà il prossimo 10 dicembre – Javier Milei ha sottolineato la svolta epocale che vuole condurre in Argentina.

Javier Milei, un economista ispirato dalle teorie neoliberiste di Milton Friedman, affiliato al partito La Libertad Avanza, ha trionfato alle scorse elezioni argentine con il 55% dei voti, sconfiggendo l’attuale ministro dell’economia Sergio Massa, rappresentante peronista e candidato della Unión por la Patria, che si è  invece fermato al 44%.

Il dato prettamente elettorale di distribuzione dei voti, dice che Milei ha conquistato il cuore degli elettori di tutte le province argentine, eccetto quelli di Buenos Aires, Santiago dell’Estero e Formosa, notoriamente legate ad una visione peronista della vita politica del Paese.

Il peronismo, movimento ideologico e politico nato dalla figura e dall’operato politico di Juan Domingo Perón, è un movimento complesso che a seconda delle varie fasi storiche ha assunto diverse caratteristiche. Tuttavia si può affermare che il peronismo spesso si sia concentrato su tre pilastri fondamentali quali la giustizia sociale (cercando di ridurre le disuguaglianze sociali e di classe attraverso politiche di redistribuzione delle ricchezze e interventismo statale), l’indipendenza economica e la sovranità statale, affermatasi anche attraverso un grande movimento nazionalista e un incentivo della partecipazione politica da parte delle “masse”.

Il trionfo di Javier Milei è un fenomeno interessante da analizzare e riconducibile alla matrice del populismo più conosciuto anche dalle nostre parti: considerato un outsider entrato ufficialmente in politica soltanto nel 2021, proveniente direttamente dai salotti dei talk show argentini dove aveva già gettato le basi della propria popolarità facendosi conoscere al grande pubblico.

Inoltre, Milei ha dimostrato di sapersi muovere anche attraverso mezzi di comunicazione non convenzionali, guadagnato popolarità su piattaforme social – come TikTok, ad esempio – con le quali ha raggiunto milioni di follower riuscendo a portare i suoi ideali politici anche in sfera solitamente poco attratte dalla retorica politica, attirando, così, l’attenzione e, da qui, il consenso elettorale di numerosi giovani.

Quest’uomo fuori dagli schemi si distingue dalla cosiddetta casta politica presentandosi come l’uomo del cambiamento, pronto a combattere l’élite politica tradizionale, caratterizzandosi come il momento di rottura tra il passato ed il futuro del Paese; la sua comunicazione politica è mirata a catturare l’attenzione dell’elettorato attraverso discorsi scenici e immagini impattanti: non è, forse, un caso che una delle immagini più iconiche della sua sfolgorante ascesa politica lo ritrae durante i comizi con la motosega in mano, simbolo dei tagli che vorrebbe applicare alla casta politica e alla spesa pubblica.

Alla luce della profonda crisi economica e della polarizzazione politica che affligge l’Argentina: la vittoria di Milei, tuttavia, non è, però da considerarsi sorprendente: i partiti tradizionali, in particolare il Kirchnerismo, hanno deluso con corruzione e incapacità di fronte alle sfide economiche, l’inflazione ha raggiunto oggi il 143%, mettendo in ginocchio parte della popolazione, in un contesto in cui i tassi di disuguaglianza, povertà e disoccupazione sono arrivati a livelli elevati e quantomai preoccupanti.

Il 40% della popolazione, circa 18,3 milioni vive sotto il livello di povertà mentre addirittura il 9,3% si trova in povertà estrema non avendo neanche la possibilità di nutrirsi giornalmente.

Statistic: Main problems of Argentina in 2022 | Statista
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Questo scenario di crisi colpisce soprattutto i giovani privandoli delle speranze per un futuro migliore. E questo, nel segreto delle urne, ha pesato non poco: presentandosi come l’alternativa anti-sistemica, Milei è percepito come “l’ultima speranza” per un cambio radicale in un sistema che ha fallito nel gestire il paese e nell’affrontare il drammatico livello di povertà e disoccupazione.

Nonostante spesso vi siano grandi differenze ideologiche con il leader di La Libertad Avanza, i giovani argentini preferiscono compromettere i loro ideali ideologici pur di non votare i partiti tradizionali, vedendo nel peronismo una casta corrotta ed economicamente incapace. Tale contesto diventa dunque favorevole per candidati come Milei che si presentano estranei alla vecchia tradizione politica e pronti a portare l’argentina in una nuova  e speranzosa direzione.

Posizionato nell’ala della destra estrema dello spettro politico argentino, l’agenda programmatica di Milei, include alcuni punti chiave per mettere in atto quel netto cambiamento come consistenti tagli alla spesa pubblica, privatizzazione dell’istruzione e del sistema sanitario, dolarizzazione dell’economia, abolizione della Banca Centrale Argentina, eliminazione dell’obbligo dell’educazione sessuale nelle scuole, liberalizzazione del mercato delle armi,  delle droghe e degli organi. Allo stesso tempo, ha assunto posizioni controverse, opponendosi al diritto all’aborto, al femminismo e mantenendo posizioni ambigue riguardo alla passata dittatura in Argentina.

Tuttavia per attuare queste misure Milei dovrà affrontare non poche difficoltà, sono diversi infatti i problemi che la dollarizzazione potrebbe causare. In primo luogo il tasso di cambio tra dollaro e peso verrebbe definito da Washington e non da Buenos Aires, successivamente ciò potrebbe avere delle gravi conseguenze sulle esportazioni, le autorità argentine infatti non potrebbero più manovrare liberamente la tassa di cambio per favorire certe valute estere.

Ma tra i problemi più evidenti vi è proprio la scarsità di riserve in dollari possedute dalla Banca Centrale Argentina, al momento non vi sono abbastanza dollari per pagare gli stipendi e le pensioni.

Ciò che Milei spera è, infatti, di riuscire ad aumentare tale riserva attraverso i tagli alla spesa pubblica, circa il 15%.

L’Argentina non sarebbe il primo paese dell’America Latina a passare al dollaro, in passato infatti già Panama nel 1904 ha fatto questa scelta, l’Ecuador nel 2000 e El Salvador nel 2001. Panama è l’unico caso dove si può dire che la misura abbia avuto pieno successo, anche se Panama non è un caso paragonabile all’Argentina data la particolare relazione con gli Stati Uniti. Nel caso dell’Ecuador, per esempio, non sono poche le difficoltà che tutt’ora il paese sta affrontando, trovandosi costretto a richiedere prestiti esteri, spesso per altro richiedendo prestiti alla Cina.

Ciononostante, non si può negare che il governo Argentino debba attuare diverse misure economiche e politiche per attenuare l’attuale crisi economica. L’Argentina, infatti, al momento oltre ad essere colpita da una forte inflazione e unita alla stagflazione – cioè la diminuzione della ricchezza prodotta (-2,5% la stima per la fine del 2023) – ha un debito estero di 44 miliardi di dollari con il Fondo Monetario Internazionale e circa ulteriori 10 miliardi in titoli e obbligazioni con fondi statunitensi quali Blackrock e Gramercy Funds Management.

Statistic: Argentina: Inflation rate from 2004 to 2028 (compared to the previous year) | Statista
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La crisi attuale in Argentina non è imputabile a un singolo governo, ma a una serie di scelte politiche che in diversi decenni hanno avuto pesanti ricadute sull’economia e hanno eroso il potere d’acquisto del peso, causando al contempo una crescita inflazionaria e un profondo indebitamento pubblico del Paese. Dalla fine della dittatura, nel 1983, l’Argentina ha visto, infatti, il susseguirsi di una serie di governi che pur mettendo in campo politiche differenti hanno cercato di rafforzare la democraticizzazione e lo sviluppo economico; tuttavia, queste scelte si sono rivelate tutt’altro che efficaci e, anzi, sono state numerose le volte in cui l’Argentina si è trovata in condizioni economiche precarie dovendo spesso dichiarare default

Il primo governo democraticamente eletto fu quello di Raúl Alfonsín, che assunse la presidenza il 10 dicembre 1983. Alfonsín rappresentava il partito Unione Civica Radicale (UCR) ed ebbe il compito di guidare la transizione del paese verso la democrazia e affrontare le molteplici sfide ereditate dal regime militare. Successivamente, nel 1989, venne eletto Carlos Menem (in carica fino al 1999) il quale decise di attuare diverse riforme economiche al fine di far fronte alla profonda crisi di iperinflazione registrata nel 1989; tra le varie misure attuate vi furono diverse politiche di liberalizzazione, privatizzazione e di aggiustamenti macroeconimici: per dieci anni l’Argentina guidata dalla presidenza Menem sperimentò la decade neoliberalista, periodo in cui, come sostenuto dall’accademico Guillermo O’Donnell, l’Argentina visse una fase di “democrazia delegante” caratterizzata da elementi paradossali se messi insieme: neoliberale, pro-americana, volta al libero mercato e per di più peronista.

Se la presidenza Menem durante il primo mandato riuscì a far ripartire l’economia e a raggiungere una breve stabilità, i nodi vennero al pettine con il secondo mandato caratterizzato da un tasso di disoccupazione insolitamente alta e persistente, pessima redistribuzione del reddito, un enorme debito estero e, infine, un immenso deficit finanziario. Con il “Piano di convertibilità”, infatti, il Governo di Buenos Aires aveva fissato il tasso di cambio tra peso argentino e il dollaro, misura che fu permise sì di raggiungere una breve fase di stabilità economica ma, altra faccia della stessa medaglia, questa misura contribuì anche ad aumentare vertiginosamente il debito estero e a diminuire, invece, la competitività delle esportazioni argentine.

Il tutto culminò con una profonda crisi economica nel 2001 sotto la presidenza di Fernando De la Rúa.

Il 2001 rappresentò  un anno critico per l’Argentina caratterizzato da una profonda recessione economica, instabilità finanziaria, stagnazione e crescente indebitamento estero, fattori che hanno generato una crisi economica devastante che travolse in pieno l’intero Paese il quale dichiarò il più grande default su debiti esteri della Storia, mai registrato fino a quel momento storico.

Nel dicembre 2001 la popolazione argentina insorse nelle strade in diverse manifestazioni e proteste tanto da indurre il presidente De la Rúa a rassegnare le proprie dimissioni.

La crisi del 2001 è stato una sorta di spartiacque nella Storia argentina moderna visto che ha influenzato diverse delle misure adottate dai governi successivi e, in particolare, ha contribuito a delineare una sfiducia generale del popolo argentino nelle istituzioni internazionali finanziare.

Nel 2003, , rappresentando il Partito Giustizialista e seguendo la tendenza conosciuta come “giro a la izquierda” degli anni 2000 – fenomeno che aveva visto il ritorno al Governo di molti paesi dell’America Latina dei partiti politici di sinistra che parlavano di ideali socialisti – il peronista Néstor Kirchner fu eletto presidente dell’Argentina.

Kirchner implementò misure sociali per aumentare la spesa pubblica, affrontando la povertà e le diseguaglianze derivanti dalla crisi. Durante il suo mandato, il PIL argentino crebbe grazie all’aumento del valore internazionale delle materie prime, la cui esportazione rappresentava una delle principali fonti di reddito dell’economia argentina.

A livello internazionale, Kirchner rinegoziò il debito pubblico argentino con i creditori, riuscendo ad ottenere un taglio; inoltre, manifestando protagonismo politico e diplomatico, partecipò attivamente agli incontri del Mercosur e dell’Unasur, promuovendo ed incentivando la cooperazione regionale. Incline a diversificare i partner internazionali, ampliò i rapporti economici con Cina e Russia, mantenendo una relazione ambigua con gli Stati Uniti, talvolta critica verso le politiche neoliberali “proposte” per la regione.

Il Kirchnerismo continuò con la presidenza di Cristina Fernández de Kirchner, al potere dal 2007 al 2015. Durante il suo mandato, l’Argentina affrontò una nuova crisi economica nel 2014, caratterizzata nuovamente da inflazione elevata, scarsa crescita economica e problemi di pagamento dei debiti. Il governo cercò, allora, di affrontare questi problemi finanziandosi internamente, aumentando le tasse sulle esportazioni e implementando programmi sociali per mitigare gli effetti della crisi.

Tuttavia la situazione non si risolse facilmente e rimase instabile fino a che non si instaurò il governo di Mauricio Macri, eletto nel 2015, il quale sposò la più neoliberista delle ricette adottando misure di austerità e privatizzazione nel tentativo di rilanciare l’economia; ciò non migliorò, certo, la situazione, anzi…

Nel 2019, Alberto Fernández, associato al peronismo, sconfisse Macri nella nuova tornata elettorale per le Presidenziali. Il mandato di Fernández iniziò con una crisi economica ereditata dalla presidenza precedente ma, un anno più tardi, nel 2020, il dilagare della pandemia accentuò ulteriormente la criticità della situazione portando l’Argentina a dichiarare – nuovamente – tecnicamente default nel maggio 2020. Successivamente il governo cercò un accordo con il FMI per posticipare i pagamenti dei debiti pubblici esteri ma, intanto, tra una popolazione già impoverita il tasso di povertà raggiunse il 44%.

Alla luce di questo percorso attraverso gli ultimi 40 di storia argentina, non sorprende se le ultime elezioni riflettano la frustrazione della popolazione alimentata da una lunga crisi economica. Il clima politico è fortemente polarizzato e ha portato alla vittoria Javier Milei, frutto – probabilmente – del rifiuto da parte dell’elettorato di affidare nuovamente le proprie sorti ai quei partiti politici tradizionali che fino ad adesso hanno portato soltanto crisi e delusione.

Numerosi leader politici di altri paesi, in particolare rappresentanti di ideologie più spinte a destra – come Jair Bolsonaro e Donald Trump – si sono congratulati mostrando il loro sostegno a Milei. Trump, ad esempio, ha dichiarato: “Tutto il mondo stava guardando! Sono molto fiero di te. Trasformerai il tuo paese e davvero renderai di nuovo grande l’Argentina“.

Anche a livello regionale sono state diverse le sentite congratulazioni per il vincitore: il governo uruguayano di Luis Lacalle Pou ha accolta la notizia con positività, in particolare, per la possibilità di rafforzare le relazioni bilaterali tra i due paesi e maturare una relazione tra i due presidenti più affine rispetto a quella tra il presidente uscente Fernandez.

Secondo il politologo Maura Casa infatti le relazioni del governo nazionale uruguayano con il peronismo, kirchnerismo e il Fronte Ampio sono state relazioni molto complesse e spesso conflittuali anche in virtù della poca compatibilità tra i due Presidenti (Ambito.com).

Anche Santiago Peña, presidente del Paraguay, si è congratulato  vedendo anch’egli nel nuovo governo un’opportunità per il suo Paese.  Peña vorrebbe infatti, rafforzare la posizione regionale del Paraguay e, nel fare questo, non vuole avere relazioni problematiche con nessun paese; testimonianza di questo è il tentativo di riallacciare tutte le relazioni diplomatiche come per esempio quella con il Venezuela.  

Lo stesso Peña si vuole, inoltre, proporre come figura di mediazione tra Milei e i leader della regione più scettici davanti agli ultimi sviluppi elettorali, con l’idea di creare, così, un ambiente proficuo per lo sviluppo del Paraguay. Tale posizione è stata confermata nella recente visita al papa del presidente paraguyano durante le quali Peña si è espresso in merito alla questione: “Questa domenica  si sono svolte le elezioni in Argentina […] Questa mattina ho parlato a lungo con un altro presidente latinoamericano, un po’ preoccupato per le prime dichiarazioni del presidente dell’Argentina, e io dico che sarò il ponte di unione tra ciascuna delle nazioni del nostro continente. Ho una vocazione, mi piace farlo, lo faccio all’interno del nostro amato Paraguay, lo faccio all’interno del nostro partito politico, e negli altri spazi politici senza pregiudizi e senza esitazioni” (lapoliticaonline.com).
In particolare il cambio di amministrazione dell’establishment argentino potrebbe beneficiare al Paraguay per risolvere la questione del pagamento di una tassa per tutte le navi paraguaye che passano per l’idrovia di Santa Fe.

Gabriel Boric, attuale presidente del Cile, nonostante sia stato additato dal nuovo presidente Milei con il poco lusinghiero appellativo di “empobrecedor”, cioè colui che crea povertà, ha confermato che lavorerà “incessabilmente per mantenere le nostre nazioni sorelle unite” (la Nacion).

Nonostante la distanza ideologica che li sepata, anche Luis Arce, presidente della Bolivia, si è congratulato e ha assicurato che manterrà relazioni stabili e solide con l’Argentina. Tuttavia l’ex presidente Evo Morales, ha dichiarato che nè lui nè il suo partito (MAS-IPSP) sostengono e sosterranno il nuovo presidente dichiarando che mai “desear éxito al fascismo,ultraderechismo y neoliberalismo” (la Nacion).

Tra i leader più sciettici sull’elezione di Milei troviamo il presidente del Messico Andrés Manuel López Obrador che ha classificato la decisione scaturita dalle urne come un autgol e ha riaffermato la sua posizione dicendo “è risaputo che noi (come governo) non siamo d’accordo con coloro che sostengono una politica autoritaria, di privatizzazione, razzista e classista”(la Nacion).

Sulla stessa linea il presidente colombiano Gustavo Petro che nonostante si congratuli con il futuro presidente, considera il giorno della vittoria di Milei come un giorno triste, una sconfitta per tutta l’America Latina; Petro infatti crede che “il neoliberalismo non ha proposte per la società, non è capace di rispondere ai problemi attuali dell’umanità”(la Nacion).

Ancor più dure sono state le dichiarazioni del presidente venezuelano Nicolas Maduro secondo cui le elezioni sono state vinte da un presidente neonazista che rappresenta una minaccia per il resto del continente con progetti neocoloniali, legati all’imperialismo statunitense.

Infine troviamo il Brasile di Inácio Lula da Silva, che spesso è stato criticato durante la campagna elettorale di Milei, considerandolo un comunista antidemocratico. Non si può nascondere il fatto che Inácio Lula infatti, ideologicamente molto lontano dal libertario Milei, non ha negato che si è sentito spesso attaccato dal nuovo presidente e si è spesso mostrato offeso per le parole denigratorie di Javier Milei. Inácio Lula inoltre ha aggiunto che non parteciperà alla cerimonia di passaggio dell’attuale presidente.

Tuttavia, Javier Milei, nella prima settimana dopo le elezioni, si è mostrato più cauto e meno rigido di come, invece, si era fatto vedere in campagna elettorale magari perché, in particolare, il Brasile rappresenta uno dei partner principali dell’Argentina (il Brasile assorbe il 14,3 % delle esportazioni argentine), e un tono più vibrante risulterebbe molto rischioso incrinare o addirittura interrompere le relazioni diplomatiche ed economiche con questo paese. A tal proposito, Diana Mondino che assumerà probabilmente il ruolo di ministro degli esteri nel futuro governo, questa domenica si è recata in visita in Brasile per incontrare Mauro Veira, attuale ministro degli esteri brasiliano con il fine di invitare ufficialmente Lula alla cerimonia di investitura di Milei il prossimo 10 dicembre.

Durante l’incontro sono stati discussi i punti chiave per l’accordo tra Mercosur e Unione Europea oltre che discutere i diversi accordi bilaterali tra i due paesi. La Mondino, Ministro degli Esteri in pectore ha infatti ribadito che il nuovo presidente non ha nessun intenzione di interrompere le relazioni con Brasile, e che, anzi, ha addolcito il tono specificando che queste dichiarazioni facevano solamente parte della strategia dell’opposizione. Tuttavia durante la campagna elettorale Milei non ha fatto segreto delle sue posizioni fortemente anticomuniste e antisocialiste e si è cimentato in una retorica fortemente ostile a paesi come Cina, Russia oltre che lo stesso Brasile, appunto. Durante un’intervista, il Presidente eletto ha usato parole che avevano un che di programmatico: “non farò accordi con nessun comunista. Sono difensore della libertà, della pace e della democrazia. I comunisti non ne fanno parte, i cinesi non ne fanno parte, Putin non ne fa parte, Lula non ne fa parte”.

Le dichiarazioni potrebbero dunque mettere a rischio le attuali alleanze economiche dell’Argentina. In primis l’adesione alla Belt and Road Initiative cinese potrebbe essere a rischio, così come l’appoggio regionale all’iniziativa brasiliana guidata da Inacio Lula da Silva; questi aspetti potrebbero comportare cambiamenti sostanziali nelle relazioni economiche e diplomatiche di Buenos Aires, con possibili conseguenze per la partecipazione dell’Argentina nelle alleanze e istituzioni regionali ed estere.

Le dichiarazioni di Antonella Mari dell’ISPI suggeriscono che potrebbero verificarsi modifiche significative a livello regionale, con l’Argentina che ritira la candidatura nei paesi BRICS e apporta modifiche alla sua partecipazione al Mercosur. Inoltre, potrebbe esserci un cambiamento nelle alleanze economiche e diplomatiche, con il Brasile e la Cina che potrebbero vedere un allontanamento dell’Argentina a causa delle divergenze ideologiche con Milei che non ha mai nascosto simpatie filo-statunitensi.

Il primo tassello di questo cambio di orientamento in politica estera è stato registrato durante la ventinovesima conferenza industriale della Unión Industrial Argentina (UIA), tenutasi a Buenos Aires durante l’ultima settimana di novembre, Diana Mondino ha confermato che l’Argentina non si unirà al blocco dei BRICS, decisione che segna un chiaro cambio di rotta e si discosta largamente dalla posizione del governo precedente, il quale aveva accolto con grande entusiasmo la possibilità di entrare nei BRICS dopo il summit del blocco a Johannesburg lo scorso Agosto (l’Argentina infatti sarebbe dovuta entrare ufficialmente nel blocco il prossimo gennaio 2024).

Queste le dichiarazioni di Mondino: “Capisco che siamo stati invitati a partecipare ai BRICS, ma non abbiamo accettato formalmente. Per entrare nella [Nuova Banca di Sviluppo dei BRICS- istituzione finanziaria creata dai membri BRCIS per finanziare progetti volto allo sviluppo economico e sociale nei paesi mebri], è necessario effettuare un contributo di capitale e l’Argentina non è in condizioni di farlo“.

La decisione di non unirsi ai BRCIS sembrerebbe ormai confermata: l’amministrazione Milei rimane, infatti, ferma sulla sua posizione nonostante una lettera persuasiva del presidente della Repubblica Popolare Cinese Xi Jinping consegnata attraverso l’ambasciatore cinese Wong Wei a Diana Mondino con la quale Pechino intendeva sottolineare i benefici comuni che si sarebbero raggiunti se l’Argentina entrasse ufficialmente nei BRICS.

Nell’incontro tra Mondino e l’ambasciatore cinese Wong Wei è, però, trapelato che l’Argentina non taglierà i rapporti con la Repubblica Popolare Cinese e che anzi è pronta a lavorare insieme; risulterebbe, infatti, un errore per l’Argentina tagliare completamente le relazioni con la Cina, Paese che al momento risulta essere uno dei principali partner economici del paese.

Ciononostante, l’Argentina di Milei sarà probabilmente un’Argentina che privilegerà le relazioni con Washington a discapito con Pechino. Il governo precedente infatti aveva accolto con grande favore le opportunità derivanti dalla collaborazione con la Cina: per questo motivo, poco prima dell’elezione di Milei, aveva firmato diversi accordi economici bilaterali, tra cui uno dei più importanti è stato quello firmato dal ministro dell’economia e candidato all’elezione presidenziale Sergio Massa con la Tibet Summit Resources (società con base in Cina) per investimenti di 1,7 miliardi riguardanti il Litio, risorsa fondamentale nell’attuale mercato globale per le batterie.

Anche in virtù di questo aspetto di rilievo a livello commerciale e tecnologico, Milei rappresenta un alleato fondamentale per gli Stati Uniti nella competizione con il suo avversario cinese, un personaggio che potrà, con le proprie scelte politiche, tenere saldamente ancorata l’Argentina nel campo occidentale; inoltre, nel momento in cui Milei procederà alla liberalizzazione e privatizzazione delle industrie del Paese e di quei principali settori ad oggi in mano allo stato argentino, lo farà prediligendo acquirenti statunitensi a scapito di partner russi o cinesi, due potenze che, come rioportato nel corso del testo, non rientrano nell’orizzonte internazionale di Milei; altro aspetto importante è il seguente: in un mondo che sta procedendo a passi sempre più decisi verso una dedollarizzazione dell’economia mondiale, la volontà di legare mani e piedi Buenos Aires a Washington permette agli Stati Uniti di boicottare per interposta nazione i vari sistemi e organizzazioni multipolari che nel tempo si sono organizzati, come quello dei BRICS, fermando così l’ascesa e la diffusione della moneta cinese, lo Yuan, come valuta di scambio internazionale.

Ed infine, la narrativa politica di Milei contribuisce a sostenere il discorso statunitense della polarizzazione del mondo tra, buoni e cattivi, tra democrazie e “Paesi del Male”, spingendo l’Argentina verso quelle che per gli Stati Uniti sono da considerarsi democrazie e l’ordine capitalista a trazione egemone statunitense, indebolendo, al contempo, le altre potenze mondiali quali per esempio Russia, Cina, Iran che nel discorso di Washington sono invece nemiche dell’ordine liberale.

In aggiunta, a peggiorare un quadro già di per sé dipinto a tinte fosche, Javier Milei ha confermato fermamente la sua intenzione di chiudere la Banca Centrale argentina. Le misure che Milei vuole attuare dal punto di vista economico saranno, così, indirizzate da una forte collaborazione (e conseguente appiattimento) con Washington. Non a caso una delle prime visite del nuovo Presidente è stata proprio negli Stati Uniti dove oltre ad incontrarsi con i rappresentanti del governo statunitense come Jake Sullivan, consigliere per la sicurezza nazionale dell’amministrazione Biden, ha incontrato le autorità del Fondo Monetario Internazionale – con un messaggio pubblicato sul proprio account X, la direttrice del FMI, Kristalina Georgieva, si è congratulata con Javier Milei per la vittoria ed ha confermato la volontà di lavorare insieme – con il quale dovrà lavorare a stretto contatto per gestire nel migliore dei modi il grande debito argentino per fare sì che le conseguenze della contingenza non impattino troppo la via sia dello Stato che della sua popolazione.

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