Tutte le strade portano al Mar Caspio

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Bacino situato al centro della regione caucasica e circondato da Azerbaigian, Iran, Russia, Kazakistan e Turkmenistan, dall’inizio degli anni 2000 il Mar Caspio si trova al centro di una strategia congiunta dei cinque paesi con la quale si vorrebbe trasformare la regione in un corridoio tra l’Asia e l’Europa, così da acquisire una maggiore centralità nello scacchiere internazionale.

L’importanza della regione caspica

La posizione strategica della regione del Caspio gli attribuisce una grande importanza geopolitica. La regione si trova infatti al centro dell’Eurasia, linea di demarcazione tra il Caucaso e l’Asia centrale. L’area è un punto di incontro tra le rotte orientali e quelle occidentali ed è la via di transito che collega l’Eurasia (da est a ovest) e il continente asiatico (da nord a sud).

A seguito della disintegrazione dell’Unione Sovietica, nella regione si è venuto a creare un vuoto di potere in quest’area precedentemente posta sotto il controllo sovietico; la disgregazione dell’Unione Sovietica, infatti, ha portato alla nascita di quindici nuovi paesi con confini nuovi: un tale sconvolgimento territoriale ha cambiato la geopolitica dell’area caspica che da quel momento è diventata il centro di competizione tra le maggiori potenze sia regionali che esterne.

La sua peculiare posizione geografica e il suo potenziale come corridoio di trasporto e commercio hanno, di fatto, svegliato l’interesse dei paesi circostanti per le questioni di questa composita e difficile. A quest’aspetto geografico cruciale si aggiunge la ricca presenza di fonti energetiche, in particolare di petrolio e gas naturale.

Tutto ciò non ha fatto altro che alimentare competizioni e accordi concorrenti sul controllo e lo sfruttamento di tali risorse; competizione che ha ovviamente finito per influenzare le dinamiche geopolitiche regionali e, di riflesso, internazionali.

Ad oggi la situazione sta parzialmente mutando, e al posto di una pericolosa competizione tra i paesi della regione, il trend si muove in direzione di una strategia congiunta per sfruttare appieno le sue risorse e le opportunità offerte dalle caratteristiche peculiari dell’area che circonda il Caspio.

La cooperazione tra i paesi che si affacciano sulle coste del Mar Caspio – insieme a quelli che vi orbitano – ha finora puntato non solo a una maggiore cooperazione su temi come l’economia e la sicurezza energetica ma ha anche – e soprattutto – a promuovere il commercio e lo sviluppo delle infrastrutture di trasporto.

Di conseguenza la creazione di corridoi di trasporto che attraversino l’area, facilitando gli scambi tra l’Europa e l’Asia, ha suscitato l’interesse di altre nazioni che cercano nuove rotte commerciali sicure e stabili che colleghino l’est con l’ovest dello sconfinato continente euroasiatico.

Oggi giorno la regione è diventata un crocevia di diversi corridoi economici che connettono l’Asia all’Europa, tra cui l’International Nord-Sud Transpot Corridor (INSTC), la Belt and Road iniziative (BRI), la Trans-Caspian International Transport Route (TITR), l’oleodotto Baku–Tbilisi–Ceyhan (BTC l’oleodotto dall’Azerbaigian alla Turchia attraverso la Georgia), il gasdotto Nabucco, il Transit Corridor from Europe to the Caucasus and Central Asia (TRACECA), il Trans-Anatolian Pipeline (TANAP) e altri progetti minori.

Il caspio al centro della lotta al controllo della regione

Nonostante una crescente cooperazione, la rivalità per il controllo della regione non è completamente scomparsa; anzi, la competizione tra interessi contrastanti dei diversi attori che si muovono nell’area continua ad essere un elemento centrale caratterizzante dello scenario caspico.

Si può dire che oggigiorno il Mar Caspio è diventato il centro del “nuovo gioco di potere” delle grandi potenze.

Le maggiori potenze internazionali e regionali – Stati Uniti, Russia, Iran, Cina, Unione Europea – e gli stessi paesi dell’Asia Centrale (come Turkmenistan, Kazakistan, Azerbaijan) sono ben consapevoli che il controllo delle dinamiche che caratterizzano l’area è alla base del più ampio governo e dominio del continente euroasiatico.

Lo stesso Mackinder, padre putativo di una nutrita schiera di studiosi e analisti e considerato il fondatore della geopolitica per come la conosciamo, considerava la regione del Caspio il cuore dell’Eurasia e, quest’ultima, la “Pivot Area” per il controllo del mondo.

La lotta per il controllo della regione ha visto, da una parte, Mosca attuare diverse politiche – soprattutto di natura militare – per monopolizzare il dominio dell’area mentre, dall’altra, gli stati del Caspio cercare di porre un argine a questa situazione tentando di ridurre la loro dipendenza strategica dalla Federazione Russa. Se alcuni stati come l’Azerbaijan – accettando anche partnership strategiche con l’Europa e Stati Uniti – sono riusciti a ritagliarsi una propria area d’influenza, altri, invece, come Kazakhistan e Turkmenistan sono ancora pienamente ascrivibili alla sfera di influenza russa.

Il Caspio non è una questione tutta limitata all’ambito regionale. Grazie alla sua posizione strategica e alle ricche risorse energetiche, la regione ha, infatti, attirato l’attenzione anche della lontana potenza statunitense. La presenza degli Stati Uniti nell’area risale ai movimentati anni susseguenti il collasso del blocco sovietico.

Oltre ad una volontà di rappresentarvi un fattore di stabilità politica, la presenza del petrolio nella regione e la forte dipendenza dal greggio importato è una delle ragioni dell’attenzione di Washington verso questo settore di planisfero. Muovendosi secondo uno schema noto e ripetuto, a seguito degli eventi dell’11 settembre e con il pretesto della “guerra al terrore”, Washington ha aumentato e prolungato la sua presenza militare in diversi paesi della regione, firmando patti militari con alcuni Stati per il dispiegamento delle sue truppe e la creazione di alcune basi militari.

La presenza statunitense nella regione, tradizionalmente sotto la sfera di influenza sovietica, non è mai stata del tutto accettata da Mosca, la quale, opponendosi alla sua presenza militare a lungo termine ha cercato in ogni modo di riprendere sotto la sua ala alcune delle ex repubbliche sovietiche.

La proposizione odierna della volontà di restaurazione dell’influenza sulla Comunità degli Stati Indipendenti (CSI) riprende uno dei pilastri, uno dei grandi concetti, alla base della teorizzazione della cosiddetta “dottrina Primakov“, dal nome dell’omonimo ex ministro degli esteri e Primo ministro russo, Yevgeny Primakov, il quale sostenendo la necessità di contrapporsi all’egemonia statunitense riteneva fosse necessario riprendere il controllo sul cosiddetto “Estero Vicino” e, contemporaneamente, promuovere un triangolo strategico con Cina ed India, in una coalizione che sarebbe stata definita da Samuel Huntington “antiegemonica”.

Attraverso questa strategia la Grande Madre Russa avrebbe così riacquistato il prestigio perduto e riconsolidato il suo passato imperiale.

Fino ad oggi, la superpotenza statunitense ha mantenuto una posizione preminente come attore extraregionale nella regione del Caspio, esercitando influenza e trasformando i nuovi paesi indipendenti in scenari di conflitto, dividendoli tra sostenitori e oppositori degli Stati Uniti, buoni e cattivi, come è uso fare dalle parti di Washington. Non sorprende, dunque, che molti di questi paesi, dove la presenza statunitense è significativa, abbiano sperimentato cambi di regime o eventi conosciuti come “rivoluzioni colorate”, come ad esempio la rivoluzione dei tulipani in Kirghizistan nel 2005, o la più recente rivoluzione in Uzbekistan nel 2022 – anche se quest’ultima non è stata esplicitamente definita come tale.

Queste rivoluzioni sono caratterizzate dalle critiche di interferenze esterne e manipolazioni geopolitiche da parte di attori internazionali, in particolare degli Stati Uniti. Non a caso, è consuetudine della politica estera americana esercitare il controllo politico su determinati paesi o promuovere cambi di regime, al fine di garantire un maggiore controllo sulle risorse energetiche presenti in tali regioni e sottrarle all’influenza della Russia.

La prospettiva di Washington nella regione, oltre controllo delle rotte energetiche e commerciali, mira a sottrarre alla Russia e all’Iran, suoi principali avversari, il dominio sulle esportazioni dei gasdotti energetici del Mar Caspio, cercando allo stesso tempo di collaborare con partner regionali come l’Azerbaigian e il Kazakistan per mantenere un equilibrio di potere e un certo grado di controllo geopolitico sulla regione.

Tuttavia, se da una parte la superpotenza egemonica stsatunitense si presenta come paladina dei valori liberal-democratici e dei diritti umani, dall’altra parte la sua vicinanza con l’Azerbaijan potrebbe apparire incorrente, dati i recenti attacchi diretti del governo di Baku contro il territorio armeno. Una problematica che si presenta anche ai partner europei, costretti ad un silenzio prudente al fine di evitare di essere tagliati fuori dalla fornitura azera di gas, strettamente necessaria alla luce della vulnerabilità energetica creata dall’interruzione di approvvigionamenti da parte di Mosca.

Oltre a Russia e Stati Uniti, emergono altri due attori di fondamentale importanza con interessi nell’area caspica: uno a livello regionale, la Repubblica Islamica dell’Iran, e uno a livello extraregionale, la Repubblica Popolare Cinese.

L’Iran occupa una posizione strategica che collega due importanti regioni del mondo, caratterizzate da abbondanti riserve energetiche: il Golfo Persico e il Caspio. Grazie alle sue infrastrutture energetiche sviluppate e alla vasta esperienza nel settore, il paese rappresenta una delle opzioni più convenienti per il trasferimento dell’energia verso i mercati globali. Di conseguenza, negli ultimi tempi, Teheran ha stabilito relazioni commerciali con i paesi della regione al fine di promuovere un’integrazione ottimale tra queste due zone. Per questo motivo, l’Iran considera la sicurezza della regione del Caspio come un punto fondamentale della sua politica estera. Qualsiasi crisi che si verifichi in quest’area avrebbe un impatto negativo sull’economia e la stabilità della potenza persiana.

La presenza cinese nella regione è, invece, dovuta alla necessità di diversificare le sue fonti energetiche e ridurre la sua dipendenza dalle importazioni che passano attraverso il Mare Cinese, una zona caratterizzata da una forte instabilità.

Più concretamente, Pechino sta sviluppando gran parte della sua Belt and Road Iniziative nell’area del Caspio investendo miliardi di dollari nello sviluppo di infrastrutture energetiche e di trasporto che collegano la Cina ai paesi dell’Asia Centrale. Tuttavia il preoccupante risentimento delle comunità locali per la crescente presenza cinese nella regione potrebbe rappresentare un ostacolo per Pechino e la sua politica di espansione ad Est.

Il ruolo emergente dei Nuovi Stati Indipendenti

La questione dello status legale del Mar Caspio ha per molto tempo rappresentato un ostacolo per i paesi circostanti.

Di fatto, prima dell’accordo del 2018, lo status legale del bacino non era mai stato definito, fatto che aveva portato con sé conseguenze non indifferenti in fatto di sovranità, controllo delle risorse e accesso alle rotte commerciali. L’accordo stabilito tra i cinque paesi che si affacciano sul Mar Caspio, garantisce oggi una condivisione equa delle risorse energetiche, la libertà di navigazione e impegna i paesi a tutelare l’ambiente marino.

L’importanza di tale accordo risiede principalmente nel contesto dell’aspirazione sempre più evidente dei Nuovi Stati Indipendenti ad assumere un ruolo attivo nella regione. Negli ultimi vent’anni, questi paesi hanno mostrato un crescente desiderio di autodeterminazione al di fuori dell’influenza sia della Russia che degli Stati Uniti, cercando di equilibrare la propria posizione tra le due potenze. Da un lato, alcuni di essi hanno mantenuto relazioni cordiali con Mosca, consentendo persino la presenza di basi militari russe sul loro territorio. D’altro canto, altri hanno accolto favorevolmente la presenza di Washington nella regione, sfruttandola per ottenere investimenti finanziari esteri e assistenza economica e tecnica al fine di promuovere lo sviluppo economico dei loro paesi in modo pragmatico.

In aggiunta, questi paesi stanno oggi puntando ad ottenere un nuovo status nel contesto internazionale nel tentativo di divenire uno snodo centrale e fondamentale per l’intero commercio globale. La costruzione dei nuovi corridoi economici e energetici consentirà loro di diventare il nuovo nucleo delle rotte commerciali mondiali, ridefinendo così il proprio ruolo nel sistema globale e riposizionandosi sullo scacchiere internazionale in maniera del tutto nuova, guadagnando, così, un’importanza strategica di portata mai sperimentata in passato.

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