SHANGHAI, SHENZHEN, GENOVA, TRIESTE. L’ITALIA E LA NUOVA VIA DELLA SETA MARITTIMA

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nuova via della seta

Probabilmente nella storia recente nessuna profezia geopolitica si è rivelata più erronea de la fine della storia prospettata da Fukuyama all’indomani della caduta dei sistemi socialisti dell’Europa orientalei. Quello che si profilava come il secolo americanoii si sta rivelando invece come il secolo multilaterale, se non addirittura il secolo cinese.iii Quello che è certo, è che l’accelerazione dei processi di globalizzazione economica presenta oggi aspetti meno scontati del previsto. In questo contesto, capire il progetto della Nuova Via della Seta significa capire in larga parte i nuovi equilibri geopolitici planetari e, per il nostro paese, sapere affrontare nuove questioni nonché scorgere nuove opportunità.

D’altra parte già nel 2006 Christopher Pehrson intuì il progetto della Nuova via della Seta definendolo come “strategia del filo di perle”; con questo concetto, l’alto ufficiale statunitense anticipava la strategia cinese di realizzare nei paesi esteri infrastrutture autonome in aree geostrategiche del pianeta, avvalendosi della compartecipazione di capitali o aziende cinesi secondo un rapporto di costi e benefici.iv Risulta infatti evidente che la Nuova Via della Seta rappresenta un ambizioso progetto economico, culturale e politico, una manovra strategica epocale che viene proposta per connettere i paesi coinvolti in modo da ampliare gli scambi commerciali e culturali tra i popoli. Questo perché, contrariamente al modello di globalizzazione predatoria proposto – anzi imposto – da parte statunitense e Occidentale, che ha ricalcato e ricalca ancora tutti i crismi dell’imperialismo novecentesco, le élite cinesi non sono orientate a logiche di puro profitto ma tendono principalmente ad assicurare l’ordine sociale, attraverso un pensiero che subordina l’istinto egoistico individualista a quello dell’interesse collettivo. E questa è stata l’impostazione che ha guidato finanche lo sviluppo delle multinazionali cinesi che, in gran parte di proprietà pubblica, hanno acquisito molti asset fondamentali dell’Occidente. Protagonisti di queste azioni sono, per esempio, la ChemChina gigante mondiale della chimica, o la Cosco Shipping Line, la più grande compagnia di navigazione del pianeta.

Ma cos’è esattamente la Belt and Road Initiative (Bri), il programma cinese di investimenti infrastrutturali che riuscirebbe ad oscurare il Piano Marshall, mettendo sul piatto mille miliardi di dollari, ovvero sette volte tanto quanto stanziato dagli americani alla fine della Seconda guerra mondiale? C’è subito da chiarire che non esiste una definizione ufficiale. La Bri è stata lanciata dal presidente cinese Xi Jinping nel 2013, ma molto spesso vengono fatti rientrare al suo interno progetti che sono partiti anche diversi anni prima. Basti ricordare che al settembre del 2018 erano stati finanziati 173 progetti nominalmente collegati alla Bri in 45 Paesi. Secondo i funzionari cinesi, la Nuova via della Seta dovrebbe reggersi su sei grandi corridoi internazionali. Il primo è quello con il Pakistan (la sigla ufficiale è Cpec), poi c’è quello che attraversa Bangladesh, India e Myanmar (Bcimec). Il terzo prevede la partecipazione di Iran, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turchia, Turkmenistan e Uzbekistan (Ccwaec). Il progetto che coinvolge Cambogia, Laos, Malesia, Thailandia, Myanmar e Vietnam è il Cicpec. Il quinto asse è con Russia e Mongolia (Cmrec), mentre la sesta colonna è quella che riguarda l’Europa (Nelb). Oltre a progetti per migliorare la viabilità (via mare e via terra) verrebbero finanziate anche le infrastrutture tecnologiche, per garantire più velocità alle comunicazioni. Il mese scorso, il nostro Governo ha aderito ufficialmente al progetto cinese, ed è stato il primo membro del G7 a schierarsi con Pechino. Xi Jinping in visita a Roma e il premier Giuseppe Conte hanno firmato un memorandum di intesa col Dragone, unendosi così al gruppo europeo formato da Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Grecia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Portogallo, Slovacchia e Slovenia. A questi tredici Paesi potrebbe presto aggiungersi il Lussemburgo, che come noi sta trattando con il governo cinese. Peraltro, nelle settimane successive anche Francia e Regno Unito hanno sottoscritto ulteriori accordi quadro con la Repubblica Popolare cinese, con finalità strettamente commerciali.

Cercheremo ora di concentrarci su un aspetto specifico, ovvero sulle direttrici marittime previste dal progetto Bri e sulle relative implicazioni e opportunità per l’Italia. Dal punto di vista strettamente commerciale, la parte marittima della Belt and Road Initiative è supportata e giustificata da analisi fornite da diversi studi che hanno previsto per il prossimo ventennio un forte incremento dei flussi commerciali e turistici via mare. Già nel 2013 la relazione commissionata direttamente dalla Commissione europea per la Mobilità e il Trasporto, lo Study on measures to enhange the efficiency and quality of port services in the EUv, prevedeva per l’Italia e Malta (dato aggregato) un forte incremento delle merci gestite dai porti. Si dovrebbe passare dai 483 milioni di tonnellate mobilitate nel 2010 ai 700 milioni di tonnellate nel 2030. Specularmente, anche lo studio dello Shanghai International Shipping Institute prevedeva che nel 2030 il traffico merci movimentato dai porti cinesi verso l’Europa raddoppierà, salendo a oltre 25 miliardi di tonnellate mentre il traffico dei container sarà pari a 505 milioni di teu, e saranno almeno 40 i milioni di teuvi che si muoveranno lungo la Via della Seta Marittima da e per l’Europa.vii

Il macro dato di previsione è notevole: a grandi linee si prevede che nel prossimo decennio la quantità di merce esportata via nave dalla Cina e di quella in uscita dall’Europa verso l’Asia è destinata a raddoppiare. E qui entrano in gioco i porti italiani, vero e ultimo punto di approdo delle merci cinesi prima di essere dislocate in tutta Europa. L’Autorità portuale di Genova e la China Communications Costruction company (CCCC) ad esempio hanno raggiunto un’intesa per costituire una nuova società in partnership con l’azienda cinese con l’obiettivo di portare avanti gli appalti relativi ad alcune grandi opere che dovrebbero essere realizzate al Porto di Genova, sfruttando la grande esperienza della CCCC nella predisposizione dei bandi di affidamento previsti dal programma del Commissario Bucci, tra cui lo spostamento della diga foranea e l’ampliamento di Fincantieri. Lo ha confermato nelle scorse settimane il presidente dell’Autorità di Sistema Portuale del Mar Ligure Occidentale Paolo Emilio Signorini, che è al lavoro per finalizzare il tutto proprio durante la firma dell’accordo bilaterale con la Cina sulla Bri che darà nuova linfa anche all’interscambio dei porti di Genova e Savona sui quali le movimentazioni cinesi pesano per il 30%.

A ulteriore conferma dell’avvicinamento in atto tra Italia e Cina interviene il caso di Ravenna: nella città romagnola è stato annunciato da diverso tempo ormai un piano di rilancio del porto con investimenti per 235 milioni di euro con l’obiettivo di incrementare del 30% il traffico delle merci. Qui i cinesi della China Merchants Industry Technology (Cmit) lo scorso giugno hanno aperto una sede con un centro di ingegneria navale. Cmit fa parte di China Merchant Group (Cmg), autentico colosso, controllato direttamente dallo Stato, che opera già in 53 porti in tutto il mondo. Il centro ravennate è stato aperto con l’obiettivo dichiarato di acquisire know-how nel campo dell’ingegneristica navale e si occupa principalmente di progettazione di piattaforme petrolifere e navi da crociera. A Trieste, invece, lo scorso 6 novembre è stata resa nota ufficialmente una trattativa per la cessione di quote di controllo della piattaforma logistica in cui si movimentano cargo e merci tra il gruppo Parisi e I.Co.P, che controllano la Docks San Servolo, società che gestisce la piattaforma, mentre il possibile acquirente interessato all’affare è la stessa Cmg. La piattaforma, il cui completamento è atteso a metà 2019, è stata realizzata per accogliere due navi portacontainer in contemporanea e verrà anch’essa collegata a uno scalo ferroviario.

Ma se da tempo si parla dell’Alto Adriatico e in particolare di Ravenna e Trieste come poli d’arrivo designati da un punto di vista marittimo della nuova Via della Seta, grazie al fatto che le merci provenienti dal Canale di Suez possono prendere la via del Brennero dirette verso il mercato dell’Europa Centrale, adesso spunta anche Palermo e in più in generale la Sicilia come possibile destinazione dei finanziamenti asiatici. A svelare la richiesta è stato il sottosegretario allo Sviluppo Economico Michele Geraci in un’intervista su La Stampa. Palermitano doc e un passato decennale in Cina, Geraci ha ricordato che il presidente Xi andrà a Palermo durante il soggiorno nel nostro paese: “Mi piacerebbe convincerlo che val la pena investire in Sicilia”, ha ammesso. “L’Italia potrà esportare i suoi prodotti, fare contratti e commesse con maggiore libertà. Una cooperazione più stretta con la Cina è un vantaggio per chi deve investire. L’Italia ha da recuperare posizioni rispetto ai concorrenti. Forse non è noto, ma l’Irlanda esporta in quel paese più generi alimentari dell’Italia. La Francia vende sette volte il vino italiano”.viii Ma non ci sono solo porti commerciali nel futuro dei rapporti bilaterali tra Italia e Cina. Un altro settore promettente è quello crocieristico con Costa Crociere che si è aperta al mercato asiatico con navi dedicate come la recente Costa Venezia e la partnership sottoscritta con CSSC che aiuterà a sviluppare il potenziale turistico in loco. D’altronde, come si è ricordato durante il convegno “The China-Italy business relationship – partnerships building the future”, organizzato recentemente da Fondazione Italia-Cina e Gruppo Costa Crociere, con PwC Italia, tra il 2000 e il 2017 la Cina ha investito in Italia 13,7 miliardi euro. Il nostro Paese si colloca al terzo posto in Europa per destinazione delle risorse cinesi, dopo Gran Bretagna e Germania, con oltre 600 aziende italiane a capitale cinese – principalmente nei settori chiave Made in Italy – che fatturano 18 miliardi euro e impiegano più di 30 mila persone. Mentre sono oltre duemila sono le aziende cinesi a capitale italiano per 160 mila dipendenti in Cina e giro d’affari di 25 miliardi di euro, secondo un rapporto della società di consulenza PwC. Con l’interscambio commerciale tra i due Paesi che ha superato i 50 miliardi di dollari annui e vanta un trend in netta crescita.

L’obiettivo di approdo, almeno nel progetto iniziale, era quello di fare il punto terminale dell’autostrada marittima Venezia, ma, considerando l’evolversi degli eventi, i porti coinvolti sembrano essere quelli dell’Alto Adriatico (Trieste) e probabilmente Genova. Ancora da verificare un potenziale coinvolgimento su larga scala per Gioia Tauro. Grandi navi cariche di contenitori, dalla Cina alle nostre coste che bagnano splendide città d’arte. Ciò dovrebbe maggiormente responsabilizzarci: siamo stati scelti, probabilmente anche per motivi storici, ma sicuramente per motivi strategici, come pedina importante di un ambizioso progetto globale. Per meglio comprendere la grandiosità del progetto cerchiamo di disegnare il lungo tragitto segnato dal protagonismo cinese. La via d’acqua (Maritime Silk Route/MSR) toccherà alcuni importanti porti della Cina (Quanzhou, Zhanjiang, Guangzhou, Beihai e Haikou). Dopo avere raccolto le merci da questi importanti scali prosegue la rotta attraverso lo Stretto di Malacca (punto strategico sotto l’influenza degli Stati Uniti), che solca l’Oceano Indiano. Costeggia il Corno d’Africa (Gibuti è già diventato uno scalo essenziale per cinesi)ix prima di entrare nel Mar Rosso (il Canale di Suez è stato recentemente ampliato). Dopo aver passato Port Said (in Egitto l’imboccatura a nord del Canale di Suez), come un ventaglio gli interessi cinesi coinvolgono l’intero Mediterraneo. La via acquea toccherà Atene (il porto del Pireo già cinese dal gennaio 2016 attraverso la società di stato Cosco) e come destinazione finale, sulla carta, è stata indicato il nuovo porto commerciale di Venezia, ma, come abbiamo già detto, molto più probabilmente interesserà alcuni porti dell’Alto Adriatico. L’avere investito enormi capitali pubblici a Gibuti (compreso l’edificazione della prima base militare extraterritoriale) significa controllare l’accesso a sud del Canale di Suez. E, a nord, avere siglato importanti accordi con l’Egitto su Port Said significa potere monitorare l’altro accesso del canale. Il Pireo è altrettanto strategico, anche perché sono state realizzate importanti infrastrutture portuali che permettono alle merci di essere smistate e quindi diventare intra europee. Le navi di grandi dimensioni che dalla Cina giungono ad Atene hanno ora la possibilità di distribuire il carico su altre imbarcazioni più piccole (trasbordi o transhipment) che possono raggiungere tutti quei porti che strutturalmente non possono accogliere le grandi portacontainer. Così facendo le agili navi trasportano merce che è stata movimentata all’interno di un Paese dell’Unione, il che può rientrare nell’accordo di Schengen: libera circolazione delle merci. Inoltre, Atene è strategica in quanto è il punto di arrivo e di partenza del braccio ferroviario (i cui lavori saranno in gran parte finanziati da società pubbliche cinesi) che collega la capitale della Grecia con i paesi dell’Europa centro orientale (anche se si sono riscontrate difficoltà burocratiche sollevate da Bruxelles). L’unica strozzatura della superstrada dei mari che collega la Cina con l’Europa è lo Stretto di Malacca, dove transita circa un terzo del commercio mondiale. Di tutto il lungo percorso lo Stretto di Malacca rimane sotto l’egemonia degli Stati Uniti: Singapore ha recentemente rinnovato (22 gennaio 2016) il quarto United States-Singapore Strategic Partnership Dialogue, evoluzione dello Strategic Framework Agreement/ SFA siglato nel 2005.

Come detto, la grande autostrada intercontinentale marittima non si concentra solo lungo la descritta direttrice Cina/Alto Adriatico, ma coinvolge alcuni porti che s’affacciano sul Mare Nostrum. Il rapporto annuale Italian Maritime Economy redatto dallo Studio e Ricerche per il Mezzogiorno – di cui esamineremo i dati in seguito – contiene alcune pagine riguardanti la Via della Seta Marittima. Lo studio offre alcune importanti riflessioni tra cui una che fa pensare come il futuro del Mare Nostrum sarà differente rispetto a quanto fino a ora immaginato: «col passare del tempo il Mediterraneo è passato da mare di transito per la navi cinesi, a vera e propria base logistica permanente». Di seguito, in ordine cronologico, gli acquisti che le società cinesi hanno effettuato all’interno del bacino del Mediterraneo, utile al fine di una comprensione complessiva della strategia geoeconomica attuata da Pechino:

  • Egitto, 2007. La Cosco Pacific acquista il 15% della SCCT-Suez Canal Container Terminal, capacità di movimentazione 1,7 milioni Teu/ anno.

  • Turchia, settembre 2015, le società cinesi China Cosco Holding e China Merchants Holding e CIC Capital Corporation, attraverso una joint venture acquistano partecipazioni nella Fina Liman Hizmetleri Lojistik e la Kumport Liman Hizmetlerive Logjistik. L’ investimento è finalizzato al controllo del container terminal Kumport Terminal nel porto di Ambarli. Il Kumport Terminal può movimentare 1,3 milioni di Teu/ anno.

  • Israele, maggio 2015, il porto di Haifa è stato dato in gestione alla Shanghai International Port Group che investirà circa 1 miliardo di dollari. A lavori terminati il porto potrà movimentare 1,8 milioni di Teu/anno.

  • Grecia, gennaio 2016 la Cosco, compagnia di navigazione di proprietà dello Stato cinese, ha acquistato il 67% del porto del Pireo.

  • Spagna, agosto 2016 la Cosco Shipping Ports ha presentato la richiesta di concessione del terzo terminal di Algericas.

  • Spagna, giugno 2017. La Cosco Shipping Holding ha acquistato il 51% della Noatum Port Holdings che controlla il più grande terminal container del porto di Valencia e l’unico dello scalo di Bilbao.

  • Algeria, gennaio 2016 la China Harbour Engineering Company e la China State Costruction Corporation hanno firmato accordo per il finanziamento e la costruzione del nuovo porto commerciale di El Hamadnia nella regione del Cherchell, gestito da Shanghai Port Group, costo 3,3 miliardi di dollari, 23 moli, movimentazione prevista 6,5 milioni Teu/anno.

  • Egitto, marzo 2017, la Cina diventa il più importante investitore della China-Egypt Suez Economic and Trade Cooperation Zone, realizzando un’ampia nuova zona commerciale e industriale.

Bisogna sottolineare come dei 10 terminal gestiti dalla Cosco Shipping (società interamente a partecipazione pubblica) fuori dalla Cina sette si trovano in Europa: Grecia, Piraeus Container Terminal, 2,4 milioni teu/anno; Egitto, Suez Canal Container Terminal, 1,7 milioni teu/anno; Turchia, Kumport Liman Hizmetieri, 646 mila teu/ anno; Belgio, Antwerp Gateway, 1,4 milioni teu/anno; Belgio, APM Terminals Zeebrugge, 225 mila teu/anno; Olanda, Busan Port Terminal, 2,3 milioni teu/anno; Italia, Savona/Vado Ligure, Reefef Terminal, ,21 mila teu/anno.

Al di là della tempesta di notizie giornalistiche più o meno strumentali che si sono lette negli ultimi mesi a proposito della Nuova Via della Seta per l’Italia, a parlare in modo abbastanza incontrovertibile sono i dati. Secondo quanto analizzato dall’ultimo rapporto annuale (2018)x della SRM (Italian Maritime Economy), i volumi degli scambi via mare sono aumentati del 2,6%, raggiungendo la quota di 10,3 miliardi di tonnellate, un tasso di crescita più elevato rispetto al +1,8% dell’anno precedente, ma ancora al di sotto della media del 3% registrata nelle precedenti quattro decadi. Le stime nel medio-lungo periodo prevedono un incremento medio annuo del 3,2% tra il 2017 e il 2022, che riguarderà tutti i segmenti del trasporto marittimo ma, in particolare, il traffico container e le rinfuse solide. In questo contesto le economie emergenti continuano a rappresentare la parte più significativa del trasporto marittimo, con una quota sul totale del 59% dell’export e il 64% dell’import; in particolare l’Asia rappresenta il 40% dell’export e il 61% dell’import. La flotta mondiale è aumentata del 3,1% raggiungendo quota 93 mila navi pari a 1,860 miliardi di tonnellate di stazza lorda, dove l’incidenza maggiore è delle dry bulk carrier, seguita dalle oil tanker; negli ultimi 5 anni, la crescita del traffico globale di container si è assestata intorno a tassi compresi tra l’1% e il 4% annuo. Il consuntivo 2017 ha fatto registrare un incremento pari a circa il 5% sull’anno precedente raggiungendo un volume complessivo di 147 milioni di TEU. Si noti bene che la mappatura delle rotte principali evidenzia la maggiore crescita dell’Europa-Asia, del 3,1%, seguita da quella transatlantica (+2,9%) e, infine, da quella transpacifica (+1,2%) che comunque resta la più trafficata con 26,1 milioni di TEU. Se a livello globale Suez registra crescite record, con il canale che ha chiuso il 2017 con 909 milioni di tonnellate transitate e 17.550 navi con un aumento del +11% sul 2016, è aumentato del 20% anche il traffico nella direzione Nord-Sud (che rappresenta il 52,6% del totale traffico merci del canale) mentre è praticamente stabile quello nella direzione opposta (+3%). Nella direzione Nord-Sud del Canale permane il Sud Est Asiatico la prima regione di destinazione delle merci in transito con il 27% del totale. Nella direzione opposta invece prevale l’area North, West Europe & UK con il 30% del totale. L’analisi per origine delle merci vede prevalere nella direzione Nord-Sud l’area North, West Europe & UK con il 21,6% del totale; nella direzione opposta prevale il Sud Est Asiatico con il 35,6% ed a seguire il Golfo con il 34,8%. Cresce di 6 volte il traffico container nel Mediterraneo negli ultimi 20 anni, ovvero è cresciuto del 500%; i primi 30 porti del Mediterraneo hanno raggiunto e superato di gran lunga la soglia dei 50 milioni di TEUs (53 in totale), nel 1995 erano 9 milioni. Nel Mediterraneo 19 porti hanno superato la soglia del milione di TEU. Cresce il ruolo degli scali del Sud Med e del Nord Med rispetto al Nord Europa nel mercato containerizzato: dal 2008 ad oggi il Nord Europa perde il 6% (quota di mercato attuale 40%) mentre il Med guadagna il 5% (quota di mercato attuale 41%). Secondo il Liner Shipping Connectivity Index dell’Unctad gli scali del Sud Mediterraneo (Nordafrica e Turchia) dal 2004 ad oggi hanno quasi notevolmente ridotto il gap competitivo con i porti del Nord Mediterraneo. L’indicatore riporta un divario che nel 2004 era appunto di 26 punti ed oggi solo di 6. Il gap si è ridotto di 20 punti anche nei confronti del Northern Range passando da 50 a 28 basis point. Nel traffico del Mediterraneo, interverrà in modo incisivo la Belt & Road Initiative con grandi investimenti nel Mediterraneo in porti e terminal; il programma di investimenti interessa tutto il Mediterraneo con ingenti investimenti nei porti, in particolare in terminal e infrastrutture intermodali. Anche la Spagna sarà interessata dopo Grecia, Turchia, Israele, Italia, Egitto, Belgio e Olanda. La Bri attiverà circa 1.400 miliardi di dollari di investimenti infrastrutturali per realizzare e rafforzare opere marittime, stradali, aeroportuali e ferroviarie. Sino ad ora sono stati censiti progetti pari a 41 mld di dollari di cui il 20% circa in porti. Come detto, vi saranno nuovi investimenti lungo la via della Seta. Secondo le previsioni gli investimenti consentiranno alla Cina di realizzare, al 2020, un export nei paesi interessati di circa 780 miliardi di dollari ed un import di 570. Gli investimenti della Cina in porti e terminal del Mediterraneo hanno toccato i 4 miliardi di euro; ancora investimenti nel 2017 tra cui Valencia; con questa operazione il dragone conquista un importante caposaldo nel Mediterraneo occidentale, dopo quello del Pireo nella parte orientale e del porto di Zeebrugge nel Nord Europa, particolarmente importante per gestire in autonomia i trasbordi di merce verso Regno Unito e Paesi scandinavi. In sostanza i porti italiani sono tornati a crescere e paiono positivi i primi effetti della recente riforma in materia laddove rinasce la consapevolezza di poter svolgere un ruolo di primo piano nel nuovo scenario geo-economico. Il traffico, in alcuni segmenti, segna risultati importanti. Nello Shortsea Shipping siamo sempre leader nel Mediterraneo. L’Italia ha in definitiva le potenzialità per proporsi come punto strategico di imbarco e sbarco e come hub logistico per le “Silk Ships” (navi che percorrono la Via della Seta). In Italia cresce la componente internazionale del nostro trasporto marittimo. Nel 2017 l’import-export via mare ha sorpassato i 240 miliardi, un aumento del 12,4% sull’anno precedente.; il 38% degli scambi commerciali italiani in valore avviene via mare. Questa percentuale sorpassa il 70% se consideriamo il dato in quantità. In questo quadro la Cina è uno dei nostri maggiori partner in termini di import-export marittimo; nel 2017abbiamo avuto un interscambio pari a quasi 30 miliardi di Euro. I porti italiani nel 2017 sorpassano il mezzo miliardo di tonnellate; importanti i risultati nel segmento RO-RO (traghetti) che segna 107 milioni e +8,5% sul 2016 si tratta di un vero e proprio record considerando l’ultimo decennio.

  1. Buona performance nelle rinfuse liquide, importante proxy della componente energetica dei porti, dove ci attestiamo su 188 milioni con una crescita del +3,3%. Stabili altri tipi di traffico; sui container ancora non riusciamo a dare la spinta decisiva al dato che ci vede “ancorati” ai 10 milioni di TEUs ormai da anni. Ma l’Italia sempre leader nello Short Sea Shipping nel Mediterraneo. L’Italia è il primo Paese nell’UE28 per trasporto di merci in Short Sea Shipping (trasporto a corto raggio) nel Mediterraneo, con 218 mln di tonnellate di merci trasportate (quota di mercato 36%).

  2. L’Italia, per la sua posizione geografica e per la sua dotazione logistica e portuale può rivestire un ruolo di primo piano nella Belt & Road Initiative. Numerosi scali italiani ospitano rotte interessate da Medio e Estremo Oriente. In particolare l’Italia vanta la presenza di 8 scali che accolgono le grandi alleanze navali strategiche per un totale di 29 servizi regolari; 6 di questi scali sono interessati dalla Ocean Alliance che vanta la presenza della Cosco (compagnia di Stato Cinese). E i naturali approdi nell’area mediterranea verso l’Europa continentale non potranno che essere, per loro storia, natura, conformazione e vocazione, Genova e Trieste.

Marco Costa

Marco Costa [Varazze (SV), 1979] è dottore in Filosofia presso l’Università degli Studi di Genova. È autore di Soviet e Sobornost. Correnti spirituali nella Russia sovietica e post-sovietica (Parma, 2011), Conducator. L’Edificazione del Socialismo in Romania (Parma, 2012), Una fortezza ideologica. Enver Hoxha e il Comunismo Albanese (Cavriago, 2013 – prima edizione), Etica, Religione e Origine del Socialismo (Cavriago, 2014), Il Tibet tra Passato e Futuro. Storia, Sviluppo e Potenzialità della Regione Autonoma Cinese (Cavriago, 2014). È coautore de La Grande Muraglia. Pensiero politico, territorio e strategia della Cina Popolare (Cavriago, 2012), La Via della Seta. Vecchie e Nuove Strategie Globali tra la Cina e il Bacino del Mediterraneo (Cavriago, 2014), Alla scoperta del Tibet (Cavriago, 2015) e  Lo Xizang (Tibet) e la nuova Via della Seta (Cavriago, 2016). Ha curato le introduzioni dei volumi Il Marxismo Vietnamita di Truong Chinh (Cavriago, 2014) e di La mia Russia. Ideologia Del Patriottismo Russo di Gennadij Zjuganov (Cavriago, 2015). Attualmente è redattore della rivista di affari globali Scenari Internazionali e responsabile area eurasiatica per il CeSE-M.

i F. Fukuyama, La fine della storia e l’ultimo uomo, Rizzoli, Milano, 1992.

ii G. Alvi, Il secolo americano, Adelphi, Milano, 1996.

iii F. Rampini, Il secolo cinese, Mondadori, Milano, 2005

iv C. Pehrson, String of Pearls: Meeting the Challenge of China’s Rising Power Across the Asian Littoral, Lulu.com, 2014

v https://ec.europa.eu/transport/sites/transport/files/modes/maritime/studies/doc/2013-07-ia-port-services.pdf

vi L’unità equivalente a venti piedi o TEU (acronimo di twenty-foot equivalent unit), è la misura standard di volume nel trasporto dei container ISO, e corrisponde a circa 40 metri cubi totali.

vii https://www.port.venice.it/files/press_release/2017/171215adspcspot2018-2020.pdf

viii https://www.lastampa.it/2019/03/07/economia/michele-geraci-la-cooperazione-con-la-cina-aiuter-le-nostre-esportazioni-CuznCKEuVHzzUjecGZaDJO/premium.html

ix Sulla collaborazione tra Cina e Gibuti si veda: https://www.analisidifesa.it/2018/01/limportanza-della-base-di-gibuti-per-la-cina/

x https://www.sr-m.it/presentato-il-quinto-rapporto-annuale-italian-maritime-economy/

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