Un muro all’altezza di Donald Trump

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Beneficio o deterioramento? Il 25 gennaio, Donald Trump ha approvato la progettazione di un muro al confine con il Messico per limitare l’immigrazione clandestina, spostando fondi già stanziati per il Dipartimento della Sicurezza Nazionale al fine di avviare subito la fase di pianificazione. Secondo Donald Trump gli Stati Uniti anticiperanno i fondi per la costruzione del muro, soldi che il Messico dovrà restituire in una forma non ancora precisata, nonostante questa affermazione sia stata negata dal Presidente messicano Enrique Peña Nieto. Secondo il neo presidente si tratta di un costo di otto miliardi di dollari, la società di consulenza Bernstein ha calcolato una cifra fra i quindici e i venticinque miliardi di dollari, mentre un’altra azienda ha stimato che un muro di cemento armato e acciaio avrebbe un costo di trentotto miliardi di dollari. Un muro ritenuto, dagli esperti, troppo costoso e dannoso per l’economia americana e forse strategicamente inutile. Inizialmente il nuovo leader USA aveva parlato di un autentico muro, ma successivamente aveva ammesso che in alcune parti si sarebbe trattato di una recinzione come già ne esistono sul confine fra Stati Uniti e Messico. Le idee del nuovo Presidente si sono dimostrate dubbiose anche sull’altezza del muro: all’inizio doveva esser alto quindici metri, poi ridotto tra i dieci e i dodici metri, e in seguito – dopo l’amara critica esposta da Vicente Fox, ex Presidente messicano – l’altezza è divenuta di sedici metri. Unico dato certo resta la lunghezza del muro: dato che il confine fra Stati Uniti e Messico è lungo circa 3100 chilometri, in alcuni punti esistono già strutture che fanno da barriera tra i due Stati, dovrebbe risultare di circa 1600 chilometri, ovvero poco più della metà della lunghezza del confine in quanto l’altra parte è già protetta da barriere naturali come montagne e corsi d’acqua. Un muro tecnicamente fattibile, nonostante i diversi dati sui quali verrà effettivamente costruito; esso rientra in una legge approvata dall’Amministrazione di George W. Bush nel 2006 e mai applicata, che prevede la costruzione di una “barriera fisica vera e propria” lungo il confine con il Messico. Alcuni esperti ritengono che la costruzione del muro tra i due Paesi non sia sufficiente a impedire ai cittadini stranieri di subentrare sul suolo americano: l’altezza della barriera non impedirà ai trafficanti di scavare dei tunnel sotterranei, tantomeno ostacolerà l’entrata dei immigranti clandestini negli Stati Uniti, i quali accederanno con un permesso di soggiorno che poi lasceranno scadere. Inoltre, secondo alcune statistiche, i benefici economici sarebbero inferiori ai costi di costruzione: annualmente i migranti pagano le tasse, acquistano beni e servizi, e aumentano la produttività specialmente nei settori agricoli.

 

Beneficio o deterioramento? Nel frattempo le proteste contro il decreto per l’immigrazione di Donald Trump davanti alla Casa Bianca e a New York continuano, ma il neo presidente non si lascia intimorire e continua ad affermare a gran voce che il suo scopo è quello di creare confini forti, che sospendere l’ingresso negli Stati Uniti per i cittadini di sette paesi musulmani (Iran, Iraq, Libia, Siria, Somalia, Sudan e Yemen) non è una vendetta verso questi territori, ma solo una questione di sicurezza nazionale e che verranno rilasciati nuovamente i visti dopo il rafforzamento dei controlli. Il provvedimento, infatti, proibisce per tre mesi l’ingresso negli Stati Uniti a tutte le persone provenienti da Stati definiti «inclini al terrorismo» (i possessori di green card sono esenti dal bando); al momento sono state fermate centonovanta persone dai funzionari della dogana, ai quali spetta l’obbligo di controllare in maniera approfondita tutti coloro che provengono da quei Paesi. Il governo iracheno, fortemente legato agli USA, ha affermato pubblicamente di comprendere in buona parte i motivi di sicurezza e i controlli rigidi effettuati da Donald Trump, mentre l’Iran, al contrario, ha espresso fortemente il suo dissenso e convocato l’ambasciatore svizzero a Teheran per rappresentare gli interessi americani nel Paese. Trump è stato accusato e criticato di non rispettare i valori d’accoglienza dell’America e di violare la Costituzione discriminando sulla base della religione e della nazionalità i soggetti in questione: secondo alcune fonti, tale provvedimento, non diminuirà o risolverà il problema della sicurezza USA perché per farlo bisognerebbe individuare le persone decise a colpire, invece di bandire interi Paesi; anzi, un simile provvedimento potrebbe contribuire ad aiutare la propaganda e il reclutamento di persone da parte dei terroristi, creando un clima di risentimento nei confronti degli Stati Uniti ed esponendoli a gravi rischi.

 

Un muro già esistente. La costruzione del muro allo scopo di creare una barriera di sicurezza costruita dagli Stati Uniti lungo la frontiera al confine tra USA e Messico, in realtà venne cominciata nel 1994 da Bill Clinton ed estesa nel 2006 con l’approvazione del Secure Fence Act, firmato da George W. Bush e votato da venticinque senatori democratici, tra cui Hillary Clinton e Barack Obama. Era stato proprio lui a predisporre il progetto che avrebbe dovuto mettere in sicurezza i tre stati americani che condividono i 3140 km di frontiera con il Messico: Gatekeeper in California, Hold-the-Line in Texas e Safeguard in Arizona. La costruzione di un muro a divisione di territori è un argomento fortemente dibattuto e coloro che ne sostengono l’uso giustificano tale misura con motivi eccezionali di sicurezza. Difatti, l’obiettivo principale è quello di impedire agli immigrati illegali, in particolare modo messicani e centroamericani, di oltrepassare il confine statunitense. In Messico il muro viene chiamato “il muro della vergogna” (da ”Schandmauer”, termine tedesco utilizzato anche al di fuori della Germania), una locuzione utilizzata per definire con occhio critico un’opera che ha suscitato risentimento ai popoli che ne hanno sofferto le conseguenze e alle circostanze che l’hanno portato all’edificazione.

Il deputato Duncan Hunter ha avanzato la proposta dell’allungamento della barriera, per un totale di 1123 km da San Diego, in California a Yuma, in Arizona; la proposta è stata revisionata diverse volte prima di essere approvata in via definitiva nel dicembre 2006 sotto il nome di “Secure Fence Act” (proposta di legge HR 6061) e firmata in seguito dal Presidente George W. Bush. Quest’opera di ampliamento è andata avanti per circa 4 anni – anche sotto la presidenza Obama – senza che nessuno si sia mai preoccupato di sollevare la questione del trattamento subito dai clandestini che tentavano invano di oltrepassare la frontiera per accedere negli Stati Uniti; ancora più gravi le conseguenze, migliaia di arresti e decine di morti l’anno. Esempio lampante di questa separazione, già esistente, è la città di Nogales, divisa tra la contea di Santa Cruz in Arizona e lo stato di Sonora in Messico, separata in due da una barriera alta quattro metri e culminata da filo spinato.

 

Dati sull’immigrazione irregolare. Negli Stati Uniti il fenomeno del flusso migratorio è rimasto consistente. Per quanto numerosi, gli immigrati irregolari sono diminuiti nel corso degli ultimi anni: nel 2007 erano 12,2 milioni, pari al 4% della popolazione complessiva; il calo è stato particolarmente significativo tra quelli di origine messicana, passati dai 6,4 milioni del 2009 ai 5,6 milioni del 2014. Una volta giunti negli USA, gli irregolari vanno alla ricerca di un luogo dove abitare (si conta che il 60% è sparso in soli sei Stati: California, Florida, Illinois, New York, New Jersey e Texas) e di un’opportunità lavorativa: secondo le statistiche aggiornate al 2012, gli stranieri irregolari erano circa 8,1 milioni e rappresentavano il 5,1% della forza lavoro complessiva. Secondo le stime del PEW Research, nel 2014 i messicani sprovvisti di permesso di soggiorno rappresentavano una percentuale molto elevata, 52% del flusso migratorio per un totale di 5,8 milioni di persone. Contemporaneamente si è assistito all’aumento del numero di clandestini provenienti da Asia, Centro America e Africa sub-sahariana: da 325.000 nel 2009 a 5,3 milioni. Si consideri che proprio in quell’anno gli immigrati erano circa 11,3 milioni (la metà dei quali messicani), vale a dire il 3,5% della popolazione totale e il 26% dei 43,6 milioni di stranieri che vivevano negli Stati Uniti. I Paesi maggiormente oberati da tale fenomeno sono stati la California (record in assoluto con 2,3 milioni di irregolari), il Texas (1,6 milioni), la Florida (850.000), New York e il New Jersey rispettivamente con 77.000 e 500.000 persone.

E ad oggi? Il fenomeno rimane di grande rilevanza.
“Abbracci, no muri”. Nella giornata del 29 gennaio, al confine tra Messico e Stati Uniti vicino alla città texana di El Paso, immigrati clandestini messicani hanno incontrato i propri parenti da cui vivono separati a causa della loro posizione sociale irregolare. L’iniziativa, chiamata “Abbracci, no muri”, è riuscita a far partecipare e a riunire trecentosettanta famiglie messicane che risiedono illegalmente in California, Texas, Colorado e Arizona. Tale raduno si è posto come obiettivo quello di inviare un messaggio di unione al neo presidente Donald Trump, data la sua approvazione al progetto dell’innalzamento di un muro tra USA e Messico.

La protesta contro il bando di Donald Trump. L’ordine esecutivo di Donald Trump sull’immigrazione sta continuando a suscitare proteste e polemiche, sia negli Stati Uniti che nel resto del mondo. Dopo le numerose critiche di Barack Obama e di tanti altri procuratori, per il presidente si è aperto un nuovo fronte interno che ha portato nella giornata del 30 gennaio al licenziamento del ministro della Giustizia reggente, Sally Yates, e del direttore dellʼUfficio Immigrazione e Dogane, con l’accusa di aver ordinato al Dipartimento di non difendere in tribunale il decreto sull’immigrazione del neo presidente; al suo posto, nominata ministro della Giustizia Dana Boente, procuratore del distretto orientale della Virginia, in carica fino a quando Jeff Sessions, nominato da Trump ministro della Giustizia, non sarà confermato dal Senato. Un sondaggio ha rivelato che il 52% della popolazione americana si definisce contraria al bando, così come l’ONU e l’Unione Europea; critiche negative anche da parte di Bob Ferguson, procuratore generale dello Stato di Washington, il quale ha annunciato la sua intenzione di lanciare un’azione legale contro l’attuale presidente degli Stati Uniti circa l’ordine esecutivo, definendolo “anti-americano e illegale”. Anche la Merkel ha affermato che tale bando contraddice il concetto fondamentale dell’aiuto internazionale ai profughi e della cooperazione internazionale, definendosi a sfavore; per non citare la petizione popolare lanciata in Gran Bretagna che in un giorno e mezzo ha raccolto quasi due milioni di firme con le quali si chiede di declassare il prossimo viaggio di Donald Trump da visita di Stato a semplice visita di un presidente straniero. Da non dimenticare, però, che nell’anno 2011, con Obama alla presidenza degli Stati Uniti, ci fu un simile provvedimento: furono banditi i visti per i rifugiati dall’Iraq per ben sei mesi, disposizione attuata non per discriminare, ma per assicurare e prevenire rischi sul territorio americano.

 

I divieti d’ingresso nella storia degli USA. Il bando sul divieto di subentrare in America per i cittadini di sette Stati musulmani conferito dal presidente Donald Trump, in realtà non è l’unico caso nella storia degli Stati Uniti. In molti, in realtà, sono stati oggetto di divieto d’ingresso nel suolo americano:
il primo caso risale al 1882, quando il presidente Chester A. Arthur firma il “Chinese Exclusion Act”, col quale vieta l’accesso per dieci anni in America ai cinesi perché accusati di occupare i posti di lavori a discapito degli americani. Successivamente tale provvedimento è stato esteso con l’aggiunta di nuovi requisiti onerosi dalla “Legge Geary” – la quale prende il nome dal deputato che l’ha proposta, Thomas J. Geary – promulgata dal Congresso il 5 maggio 1892 e abrogata definitivamente nel 1943: la legge stabiliva che tutti i residenti cinesi degli Stati Uniti dovevano portare appresso un permesso di soggiorno e che la mancata esecuzione veniva punita con l’espulsione o un anno di lavori forzati.

Theodore Roosvelt firma l’ “Anarchist Exclusion Act”, una legge sull’esclusione degli anarchici: questo bando ha portato il 14 settembre 1901 all’assassinio del presidente William McKinley da parte di un anarchico americano d’origine polacca.
Il presidente ebreo massone Franklin D. Roosvelt limita l’ingresso agli ebrei tedeschi: non un numero maggiore a 26.000 l’anno.

Nonostante il veto posto dal presidente Harry Truman, nel 1950 il senatore Pat McCarran crea una legge federale, la “McCarran Control Act”, la quale pone il divieto di ingresso ai comunisti e la deportazione di tutti gli immigrati ritenuti tali. E’ stato ritenuto incostituzionale dalla Corte Suprema solo nel 1993.
Jimmy Carter ha vietato l’ingresso ai cittadini iraniani in seguito alla crisi del 1979 a Teheran, quando l’ambasciata americana viene attaccata e cinquantadue americani vengono tenuti in ostaggio per quattrocentoquarantaquattro giorni.

Il presidente Ronald Reagan approva l’ “Helms Emendament” con il quale vieta l’accesso ai sieropositivi; l’abrogazione del bando avviene con la presidenza di Barack Obama nel 2009.

 

Curiosità. Michael Mueller, sindaco di Berlino, ha voluto inviare al nuovo presidente USA una breve frase colma di significato e di storia: “Non costruire quel muro”: Mueller, ha voluto sottolineare quanto la decisione di dividere in due parti la città di Berlino sia stata dal 1961 al 1989 solo sinonimo di isolamento e dolore per i suoi cittadini, un muro divenuto successivamente simbolo dell’oppressione della Guerra Fredda. Il sindaco non si capacita di come proprio gli americani possano accettare la costruzione di una barriera di cemento armato, dato che l’esperienza storica gli insegna e ricorda come, in gran parte, l’abbattimento del Muro di Berlino fosse una conseguenza della spinta propulsiva degli Stati Uniti.

Deborah Garofalo

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