Alexandra David Néel. Tra antico Tibet e nuova Cina.

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Risulta tanto doveroso quanto ovvio riservare almeno alcuni passaggi ad una figura che, negli studi sinologi e tibetologici in particolare, risulta essere una delle analiste, esploratrici e scrittrici più conosciute. Il nome di questa intellettuale viaggiatrice dall’aria misteriosa e dalla vita movimentata è Alexandra David-Néel, figlia di una famiglia benestante, ma contrastata, parigina. Discendente di Jacques-Louis David, pittore prediletto da Napoleone, Alexandra mostra i primi segni di un caratteristico anticonformismo sin dalla tenera età, interessandosi a problematiche sociali, femminismo e tematiche esistenziali. Il suo sguardo acuto e il carattere acceso, tormentato, sono ben noti a quanti la conoscono da tempo e a quanti la incontrano, anche per caso, durante la loro vita. Fin da piccola, Alexandra sembra essere alla ricerca di qualcosa, una verità, un’idea, un rifugio forse ai suoi stessi pensieri. Figlia di madre borghese, cattolica e rigidissima nell’educazione, con velleità e abitudini salottiere, e di un idealista repubblicano iscritto a una loggia massonica, Alexandra probabilmente subisce il conflitto tra due realtà profondamente diverse tra loro e vi cerca una mediazione. O semplicemente una prospettiva di vita diversa. Ben presto, grazie ai suoi viaggi e alle conoscenze frutto di incontri fortuiti (per esempio con la direttrice della “Società della Gnosi suprema”, Elizabeth Morgan e, poi, con Madame Blavatsky), la scrittrice-esploratrice entra quasi immediatamente nel circuito di esoteristi e occultisti dell’epoca. Nel 1892 si iscrive alla Società Teosofica, poi a quella Pitagorica, e inizia a studiare le discipline iniziatiche ed esoteriche che la portano lontano, col cuore e con la mente. Il passo per abbandonare la sua rassicurante vita in Europa e trasferirsi in Oriente – alle cui discipline ha iniziato a interessarsi già da diverso tempo – è breve e, così, Alexandra si trasferisce in India. Con sé porta il pesante bagaglio di conoscenze e studi sul Buddhismo, l’Induismo e le tradizioni misteriche d’Oriente. L’esperienza a contatto diretto col mondo orientale la folgora tanto intellettualmente quanto spiritualmente, la incanta e la segna profondamente nell’animo. È a malincuore, infatti, che si vede costretta a tornare in patria, a causa di problemi economici ingenti. Musicista e cantante talentuosa, però, non si perde d’animo e si dà alla carriera artistica che la conduce a Tunisi, dove diventa direttrice del teatro della città. Qui conosce il suo futuro marito, Philip Néel, che l’accompagna nella sua febbrile attività di scrittrice d’ispirazione femminista, articolista e saggista intenta a sviscerare le problematiche sociali del suo tempo. In queste inclinazioni Alexandra eredita le inconfondibili doti letterarie del padre che ella amava moltissimo, Louis-Pierre David: insegnante dagli alti ideali, che aveva partecipato alla rivoluzione del ’48 e, in seguito, aveva abbandonato la sua professione per dedicarsi a un giornalismo politico che gli fece conoscere Victor Hugo.

Purtroppo, col tempo, l’attività artistica che mal si adatta agli umori altalenanti, la vita matrimoniale che non colma i vuoti provocati dalla morte dell’amatissimo padre, la personalità eclettica e lo spirito vagabondo di Alexandra, la spingono verso una forma di depressione dalla quale riesce a venir fuori soltanto sognando l’Oriente. Insofferente verso la sua stessa vita, la donna decide così di partire, nel 1911, alla volta della Cina, del Giappone, dell’India e del Nepal, dopo aver avvertito il marito con una veloce lettera di commiato. Respirando aria di libertà, finalmente scevra dai vincoli che l’avevano trattenuta troppo a lungo lontana dalla sua patria spirituale, Alexandra David-Néel entra in un turbinio di eventi e vicissitudini che la portano continuamente sulla stessa strada: quella della conoscenza esoterica del sé. Numerose sono le persone più o meno illustri che, in questi anni, Alexandra incontra: dal XIII Dalai Lama in esilio allo yogi Aurobindo, all’eremita di Lachen, fino a colui che diventerà il suo figlio adottivo, Yongden. Nel frattempo, appoggiandosi alla Società Teosofica, studia incessantemente le arti e il sapere misterico d’Oriente, apprende la lingua sanscrita, approfondisce gli studi di filosofia che aveva intrapreso mentre si trovava a Tunisi. Alle sue spalle, da lontano, c’è suo marito che l’attende invano e la sostiene economicamente. Finalmente, nel 1924, riesce a entrare a Lhasa – città sacra d’Oriente – travestita da pellegrina. Nel 1925 Alexandra torna in Francia, ormai famosa e insignita d’onori dalla Légion d’honnoeur. Dopo qualche mese si separa consensualmente dal marito e pubblica i suoi libri più famosi: Nel paese dei briganti gentiluomini, Viaggio di una parigina a Lhasa, Mistici e maghi del Tibet. Si trasferisce così, assieme a Yongden, in una casa fattasi costruire appositamente a Digne, in Provenza.

Come una calamita, l’Oriente la richiama a sé e Alexandra cede alla seduzione d’Oriente tornando in Cina. Qui vi resta per lungo tempo, nonostante imperversi la guerra tra Cina e Giappone. In questi stessi anni apprende della morte del marito Philippe. Torna in patria nel 1947 e resta nella sua casa di Digne assieme a Yongden, che muore nel 1955 causandole un dolore profondissimo che la segnerà per sempre. Nonostante le bufere della sua vita, però, la donna dal temperamento forte e impavido resiste e va avanti, imperterrita, camminando sul sentiero che era lei destinato fin dalla nascita. Scrive, cerca, esplora, tramanda ai suoi seguaci gli insegnamenti di un sapere legato alla Tradizione, cercando una mediazione tra il pensiero d’Occidente e quello d’Oriente. Medita a lungo, nella sua dimora di Digne, non si arrende alla vecchiaia che avanza, e succhia linfa vitale dagli incontri e dai confronti che la vita le offre. Il richiamo d’Oriente riecheggia ancora, costantemente nella sua mente e, come una sinfonia costante, la ispira e la guida. Per questo, affatto stremata dagli acciacchi dell’età e dagli strazi del cuore, Alexandra comincia a organizzare il suo ritorno in Oriente, ma il destino le sorride beffardo e la strappa al suo sogno: nel 1969, a 101 anni, la scrittrice-esploratrice più nota del ‘900 si spegne lasciando un senso di vuoto e di sgomento tra quanti l’avevano conosciuta e amata. Tutto sembrerebbe finito, ma la morte mette le ali allo spirito di Alexandra e la riconduce sulle rive d’Oriente per l’ultima e definitiva volta: il corpo dell’esploratrice viene infatti cremato e le sue ceneri vengono donate per sempre al fiume Gange.

Ai fini del nostro lavoro, nella ampia bibliografia prodotta dalla David-Néel, è di particolare interesse il volume Antico Tibet, nuova Cina, pubblicato dall’autrice nel 1953, proprio a ridosso dei radicali sconvolgimenti politici che avvennero nella Cina, dopo la fondazione della Repubblica Popolare avvenuta nel 1949. Di questo testo fondamentale, vanno sottolineati almeno tre aspetti, del tutto allineati rispetto alle nostre tesi presentate più volte rispetto ai rapporti sino-tibetani. Anzitutto l’elemento della continuità storica dei rapporti tra Cina e Tibet, che affonda le proprie radici già dall’antichità: «Sarebbe inutile fare congetture su questo tema. Gettiamo semplicemente un colpo d’occhio sulla cartina geografica, consideriamo la posizione che il Tibet vi occupa ed esaminiamo le nuove frontiere disegnate dalla sua annessione alla Cina e, di conseguenza, i confini delle Repubbliche sovietiche con cui la Cina attualmente condivide l’ideologia. La vastità di questo territorio è di grande importanza, e non sono da meno i milioni di persone che lo abitano. Si presentano elementi tali da poter effettivamente pesare sul destino dell’Asia. .. forse su quello del mondo intero. Cerchiamo allora di delineare l’aspetto che ha l’attuale Tibet, il Tibet che è stato occupato dalla nuova Cina. Alcuni lo hanno descritto come se fosse un Paese sconvolto. Sia che si parli di invasione sia di aggressione cinese, entrambi i termini definiscono la situazione in modo non corretto. Cos’è accaduto in Tibet? Nulla che non sia già accaduto altre volte nel corso della sua storia, perciò non parleremo di occupazione del Tibet, perché la parola più giusta è rioccupazione. Nel corso dei secoli la storia del Tibet è stata strettamente legata a quella della Cina. Nel corso dei secoli Tibetani e Cinesi si sono affrontati sul campo di battaglia e sul terreno di una diplomazia rozza, ma non priva di astuzie, senza tuttavia riuscire mai a separarsi gli uni dagli altri. Le relazioni tra Tibetani e Cinesi risalgono a un’epoca anteriore al principio della nostra era. Le cronache cinesi ne fanno menzione a partire dal I sec. a.C. ma, sulla base di quanto ci è stato riferito, sappiamo che neppure quelli furono gli inizi. Questi rapporti sono stati, per lungo tempo, di natura violenta: si attaccavano, si massacravano, e le teste cadevano a migliaia. La frontiera sino-tibetana avanzava e indietreggiava seguendo le sorti delle incursioni, spesso respinte e continuamente rinnovate. Lo stesso è accaduto nei tempi moderni. Durante gli anni che ho trascorso in questo Paese, ho visitato Chamdo, Derge, Batang, Litang, le regioni lungo l’alto Mekong e ancora altri territori, via via occupati dai Cinesi e poi riconquistati dai Tibetani, o viceversa. I Tibetani – sembrano averlo completamente dimenticato – hanno avuto il loro momento di gloria militare tra il VII e l’VIII secolo. Nell’anno 763 le loro orde s’impadronirono di Chang’an (l’attuale Sian, capoluogo della provincia dello Shensi), allora capitale dell’Impero, nel cuore stesso della Cina. Intorno a quest’epoca i Tibetani si erano guadagnati la fama di grandi conquistatori, erano arrivati fino al Pamir e ai confini della Persia, avevano percorso tutta l’Asia centrale, si erano stabiliti ora in una regione ora nell’altra, per periodi più o meno lunghi di tempo. Poi giunse il declino. Le tribù tibetane si erano sparpagliate, la furia guerriera si era placata, senza tuttavia spegnersi completamente. Durante i secoli l’abbiamo vista ravvivarsi di fronte agli invasori mongoli o in occasione di lotte intestine, ma i Cinesi non sono mai scomparsi da questo panorama, sia che fossero in prima linea, sia sullo sfondo. Nel 1792 giunsero dal Nepal le truppe dei Gurka, che occuparono una larga parte del Tibet meridionale, compresa la città di Xigatze: i Cinesi vennero in aiuto ai Tibetani, e respinsero gli invasori. Fu imposto il pagamento di un tributo ai vinti, tributo che è stato pagato dal Nepal alla Cina fino alla caduta dell’Impero. Così era ripresa la collaborazione a intermittenza tra i due perpetui avversari. I legami di amicizia o di inimicizia che di volta in volta erano andati creandosi tra Tibetani e Cinesi divennero più stretti: la Cina si attribuì una sovranità non molto rigida, ma reale, sul governo di Lhasa. Un amban, un alto funzionario cinese, di solito appartenente alla famiglia imperiale, prese residenza a Lhasa, dove esercitava – almeno nominalmente -un controllo sulla politica del Tibet. Per ciò che concerne la Chiesa, il Dalai Lama, per poter accedere al soglio, doveva obbligatoriamente essere stato riconosciuto dal governo cinese. Il giorno della sua nomina faceva atto di sottomissione, prosternandosi davanti a un ritratto dell’Imperatore. Lo stesso valeva per il Panchen Lama, che risiedeva a Xigatze. Quanto ai tulku, membri dell’aristocrazia ecclesiastica lamaista, ve n’erano di due generi. Il diritto di potersi fregiare del titolo di tulku – che negli atti ufficiali, generalmente, ricorre nella forma mongola hutuktu – poteva essere riconosciuto a un Lama dal governo cinese. E questa era la posizione più prestigiosa. Gli altri, che non avevano ottenuto questo riconoscimento – ed erano la maggior parte -, occupavano un rango inferiore all’interno di questa nobiltà, e si dividevano a loro volta in più categorie: c’erano quelli che, a dispetto del riconoscimento non ottenuto da parte della Cina, l’avevano avuto dal Dalai Lama, e c’era qualcuno che doveva la propria investitura a Lama più o meno influenti. Secondo le informazioni che ho avuto, i nuovi dirigenti di Pechino pensano di mantenere questo riconoscimento ufficiale dei Lama-tulku, o perlomeno delle figure più importanti. Essi hanno già rispettato la tradizione, accordando la loro investitura al Dalai Lama e al Panchen Lama, un gesto, questo, di alta politica. Successivamente apparvero sulla scena tibetana la Russia e l’Inghilterra: la Russia in modo più morbido, l’Inghilterra, invece, con molta energia, ben decisa a sostituire la propria influenza a quella cinese. Ancora, dunque, battaglia: la spedizione britannica del 1904 forza la porta di Lhasa, la città proibita. I Cinesi non si mossero per ricacciare l’aggressore. Non è certo che avessero le forze per resistere, comunque non fecero alcun tentativo in questa direzione, tanto che gli sfortunati e sciocchi Tibetani, confidando negli amuleti che i Lama avevano distribuito loro, combatterono da soli con coraggio e si fecero massacrare dalle truppe britanniche».1

Nelle appendici dello stesso volume, la David-Néel affronta altri tre temi di pari importanza: la complessità dell’universo buddhista cinese, con le sue straordinarie suggestioni spirituali ma altrettanto foriero di divisioni settarie e scolastiche; il varo della nuova legge agraria cinese, assolutamente moderata rispetto a possibili sconvolgimenti repentini nella regione tibetana, ed infine il trattato firmato a Pechino il 23 maggio 1951, meglio conosciuto come Trattato dei 17 punti. Una lettura indispensabile quindi, per coloro che vogliono affacciarsi alle tematiche tibetologiche nella loro infinita complessità storico-religiosa.

MARCO COSTA

BIBLIOGRAFIA

  • Alexandra David-Néel, Mistici e maghi del Tibet, Casa editrice Astrolabio-Ubaldini, Roma, 1965.

  • Alexandra David-Néel, Le iniziazioni nel Buddhismo tibetano, Casa editrice Astrolabio-Ubaldini, Roma, 1982.

  • Alexandra David-Néel, Viaggio di una parigina a Lhasa, Voland, Roma, 1997.

  • Alexandra David-Néel, Nel paese dei briganti gentiluomini, Voland, Roma, 2000.

  • Alexandra David-Neel, Magia d’amore, magia nera, Venezia, 2006.

  • Alexandra David-Neel, Il potere del nulla, Voland, Roma 2009.

  • Alexandra David-Neel, La luce della conoscenza, ECIG, Genova, 1999.

  • Alexandra David-Néel, Antico Tibet, nuova Cina, Luni Editrice, Firenze-Milano, 2006,

1 Vedi Alexandra David-Néel, Antico Tibet, nuova Cina, Luni editrice, Firenze-Milano, 2006, pp. 8-14.

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