Nuova Via della Seta terrestre: tra Europa e Asia

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La Nuova Via della Seta e l’Europa

Mentre Stati Uniti ed Unione Europea vorrebbero varare un contestato “Accordo di Partnership sul Commercio e gli Investimenti” (TTIP), il grande progetto cinese della Nuova Via della Seta terrestre si consolida sempre di più.

Si tratta di una grandiosa iniziativa che intende connettere la Cina con l’Europa occidentale lungo una linea ferroviaria di 2.500 chilometri attraverso il Kazakhstan; collegando inoltre Cina, Europa, Turchia e Medio Oriente, essa creerà un corridoio economico che favorirà la stabilità e la sicurezza energetica, oltre a ridurre drasticamente il tempo di trasporto delle merci.

L’arrivo simbolico da Chongqing dei primi due vagoni ferroviari (accolti a sorpresa dallo stesso Presidente cinese Xi Jinping, in quei giorni in visita in Germania) nella città di Duisburg, situata nella zona siderurgica e commerciale della Ruhr tedesca, è stato nel marzo 2014 l’inizio di una nuova era; nella città cinese di partenza, infatti, si producono circa il 40% dei computer portatili di tutto il mondo.

Visto il successo nell’industrializzazione delle proprie regioni interne, la maggior disponibilità di merci e manufatti ha comportato per la Repubblica Popolare Cinese la necessità di rivalutare le vie terrestri rispetto a quelle marittime; queste ultime, infatti, per il trasporto dei prodotti in Europa, prevedevano il loro invio ai porti della costa e l’allungamento dei tempi di percorrenza.

Il collegamento marittimo con l’Europa, oltre ad essere più lungo, prevede anche il passaggio in aree di crisi come quelle degli stretti di Malacca e di Aden, dove è endemica la pirateria e dove gli Stati Uniti potrebbero più facilmente provocare crisi regionali per ostruirne il passaggio alle navi cinesi.

Dopo aver scelto e concordato con i Paesi della regione balcanica il luogo privilegiato per far entrare i propri prodotti in Europa, la dirigenza di Pechino ha comunque annunciato e iniziato ad implementare la Nuova Via della Seta terrestre; forte di uno stanziamento iniziale di 60 miliardi di dollari, questo progetto consentirà di creare un corridoio ferroviario e autostradale dalla Cina alla Germania e di ridurre i tempi di trasporto delle merci da 45 a 18 giorni.

Questa riduzione si tradurrà in un vantaggio competitivo enorme per il commercio internazionale e in particolare per i prodotti più deperibili a medio-alta densità di valore (es. materie prime, grano ecc.), per la componentistica (es. computer e stampanti) e per i ricambi delle automobili.

Al vertice tenutosi a Belgrado nel dicembre 2014, il Capo del Governo cinese Li Keqiang incontrò premier e ministri di ben 16 Stati dell’Europa centrale e orientale, ai quali vennero offerti ingenti investimenti diretti esteri nelle infrastrutture per una cifra che varia dai 10 ai 25 miliardi di dollari.

Sono la velocità e la concretezza cinesi a facilitare questi accordi: nel 2010 Pechino e Belgrado avevano deciso la costruzione di un nuovo ponte autostradale sul Danubio, lungo il Corridoio europeo n. 10 che collega idealmente Salisburgo a Salonicco, e alla fine del 2014 questa infrastruttura era già stata inaugurata.

Nella logica di cooperazione internazionale cinese, quella del win to win, il progetto del ponte è stato conveniente in termini di interessi e tempi di pagamento anche per la Serbia, che ora attende entro la fine del 2017 l’ultimazione della nuova ferrovia che collegherà Belgrado a Budapest.

Questa tratta fa parte di un disegno più ampio che dovrebbe collegare i porti del Pireo e di Salonicco con Budapest, aumentando notevolmente il volume di merci che potranno poi essere trasportate verso Est (Ucraina) e verso Nord (Polonia e Paesi Baltici).

Già da tre anni la linea ferroviaria che collega Chengdu (capoluogo del Sichuan) a Lodz attraverso Kazakhstan, Russia e Bielorussia permette di completare il viaggio in soli dodici giorni.

Lo stesso può dirsi per l’autostrada costruita dai cinesi, Bar-Boljane, che dovrebbe collegare il porto montenegrino con Belgrado.

Il Porto di Bar (Luka Bar) rappresenta un hub regionale per i trasporti via mare dall’Italia verso i Balcani occidentali e orientali ma i suoi collegamenti ferroviari e corridoi stradali, che allacciano il Montenegro al corridoio paneuropeo, necessitano di investimenti di ristrutturazione.

Grazie a tassi di interesse estremamente competitivi e ad un piano di rientro finanziario in vent’anni, Pechino ha ottenuto una concessione che consentirà un aumento notevole del traffico di merci sfuse e di container.

Nella vicina Macedonia, la Banca di Stato cinese sta potenziando e modernizzando il collegamento ferroviario tra le città macedoni di Veles e Skopje e preparandosi ad investire nella nuova autostrada che collegherà la ex Repubblica Jugoslava di Macedonia (Fyrom, secondo l’acronimo inglese, The Former Yugoslav Republic of Macedonia) e l’Albania.

Un nuovo treno dotato di tutti i comfort collega ora Veles con Skopje, con tempi di percorrenza che sono stati ridotti e che sono diventati di circa 50 minuti, con alcune fermate intermedie sul percorso.

Tra pochi mesi dovrebbero entrare in funzione nuovi treni anche tra Prilep e Bitola, grazie a investimenti – i primi dagli ultimi 30 anni – effettuati dai cinesi sull’infrastruttura ferroviaria, con ammodernamento dei binari, delle stazioni e dei convogli.

Nella ex Repubblica Yugoslava di Macedonia il Governo di Pechino e la Exim Bank of China sono impegnati a realizzare i progetti di autostrade tra Miladinovci-Stip e Kicevo-Ocrida (Ohrid), in collaborazione con imprese locali.

Vista la tassazione agevolata e le facilitazioni per gli investimenti, una società cinese si appresta ad avviare i lavori per la costruzione di un’autostrada che collegherà la Fyrom con l’Albania, contribuendo a vincere uno storico isolamento.

In Croazia, tuttavia, l’interesse di Pechino per il porto di Fiume sarebbe stato temporaneamente stoppato dalla diplomazia di Washington che conserva una forte influenza militare e geopolitica su quel Paese 1; i porti di Fiume e di Capodistria (in Slovenia) fanno parte del nuovo polo portuale che con Ravenna, Trieste e Venezia saranno il nuovo terminale europeo delle navi container cinesi provenienti da Suez.

Un problema analogo potrebbe verificarsi in Serbia, dove sono attivi i giovani specialisti di informatica di Canvas, legati ad Otpor e ai movimenti che hanno organizzato il tam tam mediatico delle “rivolte” libiche, egiziane e siriane.

Secondo la stampa di Belgrado l’organizzazione Canvas, che opera dall’Australia e stando alle rivelazioni di Edward Snowden sarebbe finanziata dai servizi segreti statunitensi, risulterebbe coinvolta anche nella “protesta degli ombrelli” di Hong Kong, circostanza che ha indispettito il Governo cinese.

Questo inconveniente non ha comunque incrinato lo storico rapporto di fiducia e collaborazione con Belgrado, stante anche la difesa assunta all’ONU della posizione serba sul Kosovo e Metohija da parte della diplomazia dell’ex Impero di Mezzo.

In Grecia la Cina è decisamente attiva da diversi anni, visto che dal 2009 la compagnia di armatori China Ocean Shippin Company (COSCO) ha preso in concessione (per 30 anni) due terminal su tre del porto di Pireo, raggiungendo risultati straordinari.

I due moli movimentano oltre 6.000 container al giorno (3 milioni nel solo 2014), il volume di traffico è triplicato e i tempi di spedizione delle merci si sono accorciati di una settimana, con un aumento dell’occupazione greca.

Rappresentando la Grecia il punto di partenza della Nuova Via della Seta, non solo la COSCO è l’unica candidata alla privatizzazione del porto del Pireo ma le società cinesi stanno ottenendo concessioni navali e aeroportuali anche ad Atene e a Creta.

In breve tempo giungerebbero nel Mediterraneo e a due passi dall’Italia molti più container, che i cinesi scaricherebbero in Grecia anziché nella più lontana Rotterdam, con un vantaggio per tutti in termini di tempi e di costi.

La Grecia è vicina a mercati emergenti come quelli della Turchia, dell’Europa orientale e dei Balcani e a quel punto l’Italia, in quanto Stato-ponte più in prossimità, dovrebbe essere pronta a ricevere quella valanga di container per poi farli transitare su rotaia, sulla dorsale adriatica o tirrenica, con destinazione centro Europa.

Venezia, peraltro, rappresenta il terminale occidentale della Nuova Via della Seta e, oltre a rimandare all’impresa storica di Marco Polo, è la città capofila di un ambizioso programma di rafforzamento delle attività portuali degli scali dell’Alto Adriatico, che mira ad assorbire una quota importante delle merci che i cinesi vogliono trasportare in Europa.

Un primo passo in questa direzione si è concretizzato con la firma del Memorandum of Understanding tra i porti di Venezia e Ningbo, uno dei principali scali cinesi e capolinea orientale della Via delle Seta; l’accordo prevede lo sviluppo congiunto dei porti, sia infrastrutturale sia operativo, anche attraverso l’assistenza reciproca all’impiego di innovazioni tecnologiche.

Alcuni quotidiani italiani avevano successivamente ipotizzato l’idea, elaborata dalla North Adriatic Port Association (Napa) e supportata sia dal Ministero delle Infrastrutture che da un fitto lavoro diplomatico, che prevede di realizzare un sistema portuale offshore/onshore costruendo innanzitutto una grande piattaforma plurimodale al largo del porto di Malamocco (Venezia).

La struttura sorgerebbe ad una distanza di 8 miglia dalla costa, dove i fondali hanno una profondità di almeno 20 metri per consentire l’attracco delle grandi navi da carico.

Sulla terraferma verrebbero invece realizzati 5 distinti terminal: tre in Italia (Marghera, Ravenna, e Trieste), uno in Slovenia (Capodistria) ed uno in Croazia, a Fiume.

Mettere in rete questi 5 porti, collegandoli con un sistema innovativo di navi a basso pescaggio, permetterebbe l’attracco in altura della grandi navi portacontainer cinesi, giganti da 400 metri di lunghezza e alcune centinaia di migliaia di tonnellate di stazza, inoltre consentirebbe di realizzare il collegamento più rapido in assoluto tra l’Estremo Oriente ed il cuore dell’Europa (Nord Italia, Austria, Germania, Bosnia, Croazia, Slovacchia, Ungheria, Repubblica Ceca) dove ancora oggi si concentra il più alto tasso di imprese manifatturiere europee.

La rotta Shanghai-Nord Adriatico è di circa 2000 miglia più breve della Shanghai-Amburgo (8630 miglia nautiche contro quasi 11 mila) e prevede circa 8 giorni di navigazione in meno, minori costi di trasporto delle merci e 135 kg di CO2 in meno per ogni container movimentato da Shanghai a Monaco di Baviera 2.

Stando a queste stime per realizzare il progetto della «Napa» servono 2,2 miliardi euro, una quota dei quali arriverebbe da fondi pubblici pari a 948 milioni (ma circa 350 milioni sono già stanziati) destinata alla realizzazione del terminal offshore ed alle opere civili di base nei porti.

Ci sarebbe anche una quota di fondi privati pari a 1,25 miliardi: metà destinati ad attrezzare i terminal e a finanziare i sistemi di collegamento off/onshore e metà impegnati nella realizzazione di un nuovo molo petrolifero offshore.

Il presidente del Porto di Venezia, Paolo Costa, che a dicembre 2015 si è recato in missione in Cina, avrebbe presentato il progetto italiano e suscitato molto interesse raccogliendo l’attenzione dei porti di Shanghai e di Nongbo, del Cccg Group (sesto gruppo di costruzioni al livello mondiale) e di una delle quattro banche più grandi del Paese, la Icbc China.

Tuttavia, pochi giorni dopo l’uscita degli articoli, un comunicato stampa dell’Autorità portuale di Trieste precisava che il progetto del terminal container “off shore” di Venezia è, al momento, “un progetto dell’Autorità Portuale di Venezia e non è mai stato condiviso in alcuna sede, nazionale o di associazione dei Porti del Nord Adriatico (NAPA)”.

Perciò non esisterebbe un’alleanza fra i maggiori cinque porti del Nord Adriatico per sostenere il progetto “off shore” quale punto terminale del Sud Europa della Nuova “Via della Seta” e per la movimentazione del traffico container con la Cina.

Allo stesso tempo, l’Autorità portuale di Trieste ribadiva nel suo comunicato come lo scalo giuliano prosegua con i propri programmi di sviluppo, inclusa la partnership con il Governo dell’Iran e la coltivazione di ulteriori collegamenti con il sistema logistico-portuale cinese.

Il 7 aprile 2016 il Cremlino comunicava che Russia, Iran e Azerbaigian stavano concordando l’avvio dei colloqui sulla realizzazione del Corridoio dei trasporti Nord-Sud, lungo le coste del Caspio occidentale.

Il nuovo corridoio collegherà alcune delle più grandi città del mondo come Mumbai, Mosca, Teheran, attraverso il porto sul Caspio di Bandar Anzali in Iran e da lì al porto di Astrakhan in Russia, alla foce del grande fiume Volga.

Il completamento del Corridoio dei trasporti Nord-Sud trasformerà in modo significativo lo spazio economico dell’Eurasia, perché fungerà da moderna via marittima e ferroviaria per trasportare merci tra India, Iran, Azerbaigian, Russia, Asia centrale e potenzialmente gli Stati europei.

Nel corso del 2016 India e Pakistan dovrebbero aderire formalmente all’Organizzazione per la Cooperazione di Shangai e si prevede che l’Iran, attualmente osservatore ufficiale nella SCO, offrirà la piena adesione entro la fine dell’anno, non essendo più gravato dall’ostacolo delle sanzioni economiche occidentali.

Il Presidente cinese Xi Jinping ha annunciato il sostegno alla piena adesione dell’Iran durante gli importanti colloqui tenutisi a Teheran nel gennaio 2016, dove le due nazioni decidevano la formale partecipazione iraniana al progetto “Una Cintura Una Via” e “Nuova Via della Seta”.

La Cintura economica della Via della Seta e il Tibet: il modello dell’Asia centrale

L’Asia centrale, che nella strategia geopolitica mackinderiana è considerata il fulcro dell’Eurasia, assume una notevole importanza nel sistema di sicurezza cinese a causa della sua vicinanza al turbolento Xinjiang.

Quest’ultima regione, dove una parte della minoranza uigura “opportunamente” sollecitata dai suoi rappresentanti a Washington nutre velleità secessioniste, si trova distante dalle rotte oceaniche e dalle vie commerciali tradizionali.

Per questa ragione la dirigenza di Pechino ha provveduto nel tempo a rendere sempre più conveniente investire ad Urumqi, puntando sull’apertura dei mercati limitrofi e sulla costruzione di una nuova rete infrastrutturale.

Grandi banche cinesi hanno perciò favorito l’insediamento di imprese attraverso l’offerta di prestiti a tasso agevolato, benefici economici ed agevolazioni fiscali ai Governi centroasiatici, mentre una percentuale del PIL di ogni provincia cinese è stato dirottato verso lo Xinjiang.

Ispirandosi alla visione geopolitica della dinastia Tang (618-907) e ai sei corridoi dell’antica Via della Seta, il Presidente Xi Jinping ha riconosciuto la centralità della propria regione del Tibet/Xizang, che è attraversata sia dai corridoi economici che legano la Cina attraverso il Myanmar e attraverso il Pakistan all’Oceano Indiano, sia ai corridoi economici che attraversano l’Asia centrale e collegano la Cina all’Iran, alla Turchia e al Medio Oriente.

Il principio cinese della non ingerenza negli affari interni di Paesi sovrani è molto apprezzato dalle dirigenze degli Stati di quell’area, preoccupati dai tentativi egemonici di Stati Uniti ed Unione Europea che utilizzano strumentalmente la politica dei “diritti umani” per condizionarli.

Il modello sperimentato in Asia centrale è stato quindi esteso al resto del mondo, con l’annuncio ad Astana di Xi Jinping dei progetti Via della Seta marittima del XXI secolo, Corridoio Bangladesh-Cina-Myanmar, Corridoio economico Cina-Pakistan e di altri giganti infrastrutturali (7 settembre 2013).

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L’insieme di queste iniziative economiche, culturali e commerciali che prende il nome di “Una Cintura e Una Via” (One Belt One Road), consentirà alla Repubblica Popolare Cinese di riprendersi il ruolo centrale che, ad eccezione dei secoli XIX e XX, ha sempre rivestito nella millenaria storia del commercio internazionale.

Oltre all’approccio bilaterale, Pechino ha creato e favorito una nuova rete di strumenti finanziari capaci di finanziarne l’ambizioso disegno geopolitico: la Banca Asiatica d’Investimento per le Infrastrutture, alla quale hanno aderito subito 57 Paesi e di cui la Cina detiene la percentuale di maggioranza (30,27%), con capitale iniziale di 100 miliardi di dollari; la Nuova Banca di Sviluppo dei Paesi BRICS, con capitale iniziale di 50 miliardi di dollari; il Fondo per la Via della Seta, del valore iniziale di 40 miliardi dollari, con un board of advisors che include esperti della Urumqi Central Bank.

Il Corridoio economico Cina-Pakistan (Cpec), oltre a collegare il porto pachistano di Gwadar e la città cinese di Kashgar, prevede la costruzione di una serie di opere che hanno come obiettivo l’aggiornamento e l’espansione delle infrastrutture che coinvolgeranno in particolare la rete stradale, ferroviaria e le linee degli oleodotti e dei gasdotti.

Il costo totale è di 46 miliardi di dollari, 11 dei quali frutto di un prestito dell’Exim Bank of China al Governo pakistano, altri 30 miliardi giungeranno da investitori cinesi privati e saranno impiegati nello sviluppo di centrali per la produzione di energia che dovrebbero entrare in funzione già a partire dal 2018 con una capacità di generazione di 10.400 MW.

Questo progetto – che si espande su tutto il territorio pachistano – è di grande interesse per la Cina, che lo ha persino incluso nel suo tredicesimo Piano di sviluppo quinquennale.

Il Cpec, secondo la Banca asiatica di sviluppo (Abd) è infatti “in grado di cambiare le regole del gioco e il peso degli attori economici in tutta la regione”.

Non solo: alcuni analisti vi leggono il tentativo di Pechino di estendere la propria influenza su un paese – il Pakistan – tradizionalmente molto legato agli Stati Uniti; esso può rappresentare un ottimo deterrente per la diffusione nella regione del terrorismo internazionale, i cui gruppi sono attivi nel Beluchistan – tra Afghanistan e Iran – e soprattutto nella regione cinese di Xinjiang, abitata dalla minoranza musulmana degli uiguri.

Ma dal punto di vista economico, per la Cina, il Cpec rappresenta un enorme vantaggio dato dal fatto che se prima l’80% del petrolio prodotto doveva coprire 16 chilometri di viaggio in nave per raggiungere gli Stati vicini – per una durata di tre mesi – ora grazie al raccordo tra Kashgar e il porto pachistano di Gwadar tale distanza si riduce a soli 5mila chilometri.

Il quotidiano pachistano “Dawm”, in un articolo ha evidenziato tempo fa che il Cpec ha fornito enorme impulso al settore delle costruzioni, verso cui sono arrivati investimenti consistenti rivolti alla produzione del cemento, dell’acciaio, di prodotti finiti per l’edilizia fino ai cavi elettrici.

La circostanza non è sfuggita al Ministro degli Esteri italiano, Paolo Gentiloni, che ha sottolineato come il Pakistan rappresenti una notevole opportunità per le imprese italiane: entro il 2019 vi è l’obiettivo soddisfare il bisogno di gas installando nuovi impianti, dopo i 4 miliardi di dollari spesi dal Governo di Islamabad per collegare le reti energetiche in tutto il Paese.

Una delle nazioni più deboli, povere ma cruciali dal punto di vista strategico è l’Afghanistan, un grande hub che connette Asia meridionale ed occidentale con quella centrale, da dove i gruppi terroristici possono poi espandersi.

L’Asia centrale e l’Afghanistan collegano l’Europa e l’Asia, ma vista l’eredità sovietica la maggior parte delle loro strade e infrastrutture conducono primariamente a Mosca.

Gli Stati Uniti, come espresso chiaramente nel loro documento strategico per l’Asia centrale svelato dal Segretario di Stato americano John Kerry nel 2015, vorrebbero continuare ad intromettersi pesantemente in questa area cruciale del Pianeta.

Visto il fallimento della NATO sul fronte della sicurezza e nella lotta al traffico di droga, Pechino intende però evitare che terroristi e gruppi separatisti dello Xinjang trovino terreno fertile nelle aree al confine tra Afghanistan e Pakistan; inoltre la Cina possiede fortissimi interessi economici nella zona, ben rappresentati dal progetto della miniera di rame di Aynak e dal giacimento petrolifero di Amu Darya.

Un collegamento ferroviario tra Afghanistan e Pakistan consentirà di esportarne il rame, mentre è stato firmato l’accordo preliminare sulla costruzione di una linea ferroviaria che colleghi la Cina all’Afghanistan e all’Iran attraverso il Kirghizistan e il Tagikistan.

Il Paese afghano possiede giacimenti non sfruttati di minerali per una valore di circa 1.000 miliardi di dollari e riserve di petrolio e gas pari a 220 miliardi di dollari che ovviamente fanno molta gola a Washington, dove esperti come Frederick Starr, Presidente del Central Asia-Caucasus Institute, avevano elaborato idee simili a quelle attuate concretamente dalla Repubblica Popolare Cinese.

Anche l’Unione Europea ha elaborato una sua strategia per l’Asia centrale, rivista e aggiornata nel giugno 2015 con uno stanziamento di fondi complessivo di 1.068 milioni di euro, vi ha nominato un nuovo Rappresentante speciale e ha rafforzato il suo accordo di partenariato e cooperazione con il Kazakhstan.

Finora la cooperazione e il coordinamento tra Bruxelles e Washington nell’area si sono rivelati scarsi, mentre la relazione della Commissione per gli Affari esteri della Commissione Europea del 2 dicembre 2015 ha definito l’iniziativa cinese One Belt One Road di “importanza geostrategica” e invitato a perseguirla a “livello multilaterale, in piena trasparenza e con la partecipazione di tutte le parti interessate”.

Il Governo di Kabul si è già detto favorevole al progetto “Una Cintura Una Via” e a fine 2016 l’utilizzo del porto iraniano di Chabahr consentirà all’Afghanistan di aumentare il volume del commercio con l’India passando da 600 milioni a 5 miliardi di dollari entro cinque anni 3.

E’ proprio la genialità geostrategica di Pechino a favorire il consenso attorno al suo disegno globale, perché inclusivo e ispirato alla logica del guadagno comune.

Grazie a questo porto, infatti, l’altro gigante asiatico e suo potenziale rivale, l’India, potrà avere accesso diretto all’Asia centrale, mentre la Banca di sviluppo asiatica e la Banca di sviluppo islamica contribuiranno al finanziamento della ferrovia tra Tagikistan, Turkmenistan e Afghanistan, alla quale seguirà un corridoio di trasporto e transito tra gli stessi Afghanistan e Turkmenistan con Azerbaigian e Georgia.

La Cintura Economica cinese potrà infatti facilmente coniugarsi con analoghi progetti infrastrutturali e commerciali quali l’Unione Economica Eurasiatica e la Cintura di sviluppo transeurasiatica – che hanno come perno la Russia –, con la “Via della prateria” proposta dalla Mongolia e la “Via luminosa” portata avanti dal Kazakhstan.

La mancanza di progressi nelle iniziative nordamericane annunciate nel 2011 da Hilary Clinton, ha ridato slancio alle proposte di Pechino che promette aiuti allo sviluppo afghano per 327 miliardi di dollari entro il 2017, sia per la nuova rete infrastrutturale che per quella degli impianti idrici ed energetici; oltre al sostegno nei settori agricolo e diplomatico, la Cina fornirà assistenza nell’addestramento di 3.000 professionisti afghani nella lotta al terrorismo e al contrasto del traffico di stupefacenti.

Il Kazakhstan a sua volta sta costruendo e potenziando tre grandi reti infrastrutturali: il porto di Khorgos, zona economica speciale che fungerà da hub logistico al confine con la Cina, un collegamento ferroviario di 2.500 chilometri che collegherà est ed ovest del Paese, l’ampliamento del porto di Aktau sul Mar Caspio.

Pechino si è impegnata ad investire 600 milioni di dollari nella compagnia ferroviaria nazionale kazaka, la Temir Zholy, al fine di aumentare la connettività e ridurre i tempi di viaggio verso l’Europa.

La Nuova Via della Seta può rivelarsi uno strumento indispensabile per promuovere il concetto di “competitività sostenibile”, emerso all’Astana Economic Forum 2012 quale strumento capace di generare valore sia per gli investitori che per la società kazaka nel suo complesso.

Nel 2015 gli investimenti della Repubblica Popolare Cinese verso i Paesi che attraversano la Via della seta terrestre sono aumentati di quasi il 20% rispetto al 2014 ed un incremento ancora più considerevole riguarda le nazioni che hanno aderito alla Banca Asiatica di finanziamento delle Infrastrutture.

Secondo le stime della Banca UBS, gli investimenti cinesi lungo il percorso della One Belt One Road raggiungeranno i 200 miliardi di dollari in tre anni e non riguarderanno solo i trasporti ma anche i settori energetico, finanziario, immobiliare e tecnologico.

L’Indonesia ha ad esempio firmato alla fine del 2015 un accordo del valore di 5,5 miliardi di dollari per la realizzazione della tratta ad alta velocità ferroviaria che collegherà Jakarta a Bandung, mentre Singapore e Laos risultano tra i maggiori beneficiari dei progetti esteri di Pechino.

Nello stesso periodo tra Cina e Nepal è stata sottoscritta un’intesa che prevede la formazione di un corridoio economico per i beni prodotti dal Dragone che devono giungere fino all’India, insieme alla costruzione di una linea ferroviaria che unisca i due Paesi.

Il Governo cinese vuole potenziare la tratta che unisce la sua provincia del Qinghai alla regione autonoma del Tibet, così da collegarle al Nepal e all’Asia meridionale; attualmente da Lhasa il treno arriva fino a Shigatse, a 253 chilometri dal confine nepalese, ma con l’assenso del Governo di Kathmandu nasceranno presto altre due linee: una fino a Rasuwagadhi e l’altra fino a Yadong sul confine indo-bhutanese.

Secondo il Ministro degli Esteri di Pechino, Wang Yi, dovrebbe far parte dell’accordo anche Nuova Delhi, realizzando un’intesa trilaterale di alto valore simbolico.

Note

1 cfr. Stefano Vernole, http://www.eurasia-rivista.org/lisis-in-bosnia-niente-di-nuovo/22143/, 13 marzo 2015.

2 cfr. Paolo Baroni, http://www.lastampa.it/2016/02/26/economia/la-nuova-via-della-seta-parte-dalladriatico-con-cinque-porti-MAE, 26 febbraio 2016.

3 cfr. Orizzonte Cina, Una cintura, una via: la connettività euroasiatica secondo Pechino, vol. 6, n. 4, luglio-agosto 2015.

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