L’Occidente vuole forse ingenuamente che la Bielorussia diventi più dipendente dalla Russia?

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Autore: Andrew Korybko
Traduzione: Marco Ghisetti

Articolo originale: https://oneworld.press/?module=articles&action=view&id=2062

La coordinata pressione ai danni della Bielorussia seguita all’incidente di Ryanar della scorsa settimana suggerisce che l’Occidente vuole contro-intuitivamente che il Paese dell’Europa orientale diventi ulteriormente dipendente dalla Russia nonostante un intero anno di paure nutrire proprio a riguardo di scenario, ma che in realtà potrebbe in questo preciso momento essere silenziosamente ricercato nella speranza che ciò possa provocare un altro giro di Rivoluzioni Colorate e disordini.

A prescindere della veridicità circa la narrazione dominante secondo cui la Bielorussia avrebbe finto l’allarme bomba di modo da arrestare un estremista che si trovava a bordo di un aereo che stava transitando sul proprio spazio aereo o se, invece, ciò sia un pretesto occidentale (e/o ucraino) atto a giustificare la prossima serie di aumento pianificato delle pressioni ai danni del Paese, non si può negare che i nemici stranieri del Presidente Lukashenko abbiano cercato di sfruttare fino all’ultima goccia lo scandalo. Dall’estromettere le compagnie aeree bielorusse dallo spazio aereo europeo all’imporre un nuovo giro di sanzioni mirate, il risultato finale sarà che la Bielorussia non potrà trovare il tanto necessario sollievo dalla crescente pressione se non abbracciando la Russia ancora più forte di prima. Era proprio questo lo scenario che l’Occidente temeva già da un anno, eppure sembra che quasi contro il proprio intuito ora vogliano che venga in essere proprio questa particolare eventualità, magari per provocare un altro giro di Rivoluzioni Colorate e di disordini.

Grazie alle forze di sicurezza bielorusse si era riuscito a ristabilire l’ordine nel Paese nonostante per diversi mesi l’esito della campagna di cambio regime sostenuta da forze straniere fosse rimasto incerto. La situazione è ora per la maggior parte sotto controllo, ma come ogni buon osservatore dovrebbe ormai sapere, ciò non significa di certo che tutto rimarrà così per sempre. Le Rivoluzioni Colorate non muoiono mai definitivamente, ma rimangono semplicemente dormienti fino a quando un’altra opportunità si presenta in via naturale o fabbricata. Ciò sembra proprio essere il caso della Bielorussia in questo momento, dove l’atteso rafforzamento delle relazioni del Paese con la Russia in risposta all’ultima campagna di pressione occidentale potrebbe essere sfruttato per giustificare un nuovo giro di disordini teleguidati da un sentimento nazionalista artificialmente esacerbato. Dopo tutto, l’anno scorso uno dei pretesti pubblici per lo scoppio delle violenze fu che la Bielorussia fosse presumibilmente a rischio di perdere la sua sovranità a favore della Russia.

Non è importante se lo scenario di effettiva “unificazione” tra i due Paesi fosse mai stato ritenuto seriamente possibile dagli osservatori stranieri (e che fosse sperato o temuto, a seconda della visione geopolitica dell’osservatore). Il fatto è che si è parlato per così tanto tempo di una bugia tanto da farla sembrare una realtà e fornire quindi la copertura per ciò che l’Occidente ha falsamente dipinto come “proteste a favore della democrazia/sovranità” scoppiate dopo le elezioni delle scorsa estate. Come ho avuto modo di scrivere a metà maggio, “Il nazionalismo negativo è un potente mezzo di mobilitazione politica in alcune parti d’Europa”, in particolare nell’Europa centrale e orientale (ECO). Il popolo bielorusso esiste realmente come nazione separata da lituani, polacchi, russi e ucraini, anche se ha moltissime somiglianze con tutti e tre. Ma anche tenendo conto di ciò, la perniciosa diffusione, promossa dall’estero, di questo sentimento si concentra esclusivamente sulle differenze che hanno con la Russia.

Lo scopo di tutto ciò è di sfruttare, come se fossero un’arma, ed approfondire le percezioni che le persone hanno del proprio più grande e probabilmente più simile vicino, di modo tale da indottrinare la prossima generazione a ritenere che la Russia sia un nemico perpetuo della loro nazione, esattamente nello stesso modo in cui a oggi molti ucraini hanno subito il lavaggio del cervello. Detto altrimenti, i numerosi anni di condizionamento che hanno preparato il terreno-sociopolitico all’ondata di terrorismo urbano di Euro-Maidan nel 2014 erano stati compressi in un solo anno di guerra ibrida da parte dell’Occidente nella regione dell’Europa orientale. A differenza di quanto strumentalmente sostiene la narrativa di guerra d’informazione, la Russia non è un egemone che vuole sottomettere ogni nazione del proprio vicinato e del Vicino Oriente, ma è uno Stato-civiltà cosmopolita il cui modello storico di sviluppo è più simile a quello di alcuni Paesi asiatici che non ai modelli occidentali, che sono relativamente più omogenei.

Ogni settimana il Centro Studi Eurasia e Mediterraneo propone la traduzione di un articolo dell’analista geopolitico Andrew Korybko

Inoltre, la Russia fa propria anche la visione a favore della sovranità nazionale che negli ultimi anni si è diffusa in molte zone dell’Asia e che si differenza di quella globalista neo-liberale e anti-sovranista che ha ormai preso il controllo di praticamente tutte le nazioni occidentali. Per quanto ovviamente il modello perfetto non esista, dato che ogni modello può sempre essere migliorato in un modo o nell’altro, il modello della Russia è indiscutibilmente il migliore per il suo popolo, come dimostra l’impressionate storia dei due decenni del Presidente Putin. Naturalmente spetta al popolo bielorusso decidere se sia il modello russo o quello occidentale ad essere migliore per il suo Paese, ma le elezioni dell’anno scorso hanno mostrato che il popolo bielorusso ha sostenuto il Presidente Lukashenko, il quale oggi prevede di avvicinarsi alla Russia nonostante alcune sue scandalose scappatelle verso l’Occidente nel periodo antecedente al voto. Da allora, però, egli ha interrotto la propria politica di bilanciamento tra Occidente e Russia a causa del suo evidente fallimento in seguito al fatto che i suoi nuovi amici occidentali lanciarono immediatamente una Rivoluzione Colorata tentando così di rovesciarlo.

Realisticamente parlando, per via dei suoi limiti geostrategici, per mantenere la sua sudata sovranità la Bielorussia non ha altra scelta se vuole far fronte a delle così gravi minacce provenienti dall’Occidente. Detto questo, è comprensibile che ci possano essere alcuni membri moderati dell’opposizione nel Paese che si sentono a disagio in seguito a questa svolta rivoluzionaria, sia ciò dovuto a motivi nazionalistici, legati alla sovranità nazionale o altro. Ma la violenza antistatale, ovviamente, non è mai la risposta giusta e può anzi ammontare a tradimento qualora si agisca su ordine di potenze straniere, come nel caso di Protasevich (l’estremista arrestato dopo l’incidente di Ryanair). Tuttavia, c’è ancora presumibilmente una parte dei membri dell’opposizione che potrebbe avere “buone intenzioni”, ma che è teleguidata dall’Occidente al fine di diventare il suoi per diventare i suoi utile idiota. Queste le persone sono quelle che in futuro potrebbero formare il nucleo di un altro giro di Rivoluzioni Colorate qualora la Bielorussia si avvicini ulteriormente alla Russia.

Chi osserva questi eventi dovrebbe fare un passo indietro e capire quanto sia stata controproducente la politica dell’Occidente. Se l’Occidente non fosse diventato avido nei propri obiettivi, avrebbe potuto aspettare pazientemente che l’allora irresponsabile atto di bilanciamento bielorusso tra Russia e Occidente provocasse in modo naturale un’ondata di sfiducia tra Minsk e Mosca – come era d’altronde la tendenza degli ultimi sei mesi che hanno preceduto le proteste dell’anno scorso. Lukashenko stava causando notevoli danni alle relazioni bilaterali tra il suo Paese e la Russia nell’aspettativa di ricevere prima o poi migliori accordi economici dall’Occidente, in particolare grazie all’“Iniziativa Tre Mari” guidata dalla Polonia e dal suo essere centrale nel progetto “Triangolo di Lublino”. Tutto ciò che l’Occidente doveva fare era di sedersi e aspettare che il tempo facesse il suo corso, ma qualcheduno si è fatto prendere la mano ed ha lanciato una operazione di Rivoluzione Colorata contro Lukashenko in seguito alle elezioni, pensando erroneamente di poter avere successo.

La valutazione si è però rivelata completamente errata, rivoltandosi contro il mandante nel momento in cui la Bielorussia è sopravvissuta al tentativo di cambio di regime e si è avvicinata alla Russia a dispetto delle paure sue e anche di Luckashenko – per lo meno per come le aveva espresse poco prima delle elezioni. Invece che interrompere il tentativo di Rivoluzione Colorata e cercare di riparare il danno inflitto alla politica di equilibrio bielorussa (che già dall’inizio non era tanto equilibrata, come detto, ma era più simile ad una retorica atta a mascherare il suo graduate avvicinamento all’Occidente), hanno insistito trasformando così il loro peggiore incubo in un fatto compiuto. Laddove taluni potrebbero etichettare tale operazione come uno dei tanti errori geostrategici dell’Occidente, è comunque possibile che esso sia invece dovuto alla consapevole decisione di “abbracciare il peggior scenario possibile” (cioè causare un deciso avvicinamento russo-bielorusso) di modo da avere una seconda possibilità per sfruttare il “nazionalismo negativo” e tentare di causare nuovamente una Rivoluzione Colorata in Bielorussia.

È possibile tracciare alcuni vaghi paralleli tra il presente scenario e l’intervento militare dell’Unione Sovietica in Afghanistan nel dicembre del 1979, avvenuto circa sei mesi dopo che la CIA aveva armato le forze antigovernative nel tentativo di provocare quella che l’Occidente descrisse come una “invasione” (nonostante essa fosse stata richiesta ufficialmente dal legittimo governo internazionalmente riconosciuto). Magari l’Occidente vuole ora che la Bielorussia si avvicini il più possibile alla Russia per farla diventare un peso legato al collo di Mosca, oltre che una serie sfida alla sicurezza qualora i militanti antigovernativi sostenuti dall’estero inizino ad intraprendere una pre-pianificata “campagna di liberazione nazionale”. Naturalmente, le cose potrebbero non arrivare a ciò, ma vale la pena chiedersi quale asso l’Occidente possa avere in serbo nella propria manica, poiché è difficile credere che non si renda conto che le sue politiche stanno effettivamente spingendo la Bielorussia ad avvicinarsi alla Russia, e proprio nel modo in cui da un anno si temeva potesse avvenire.

L’eventualità in cui le relazioni russo-bielorusse diventino più intime non sarebbe necessariamente un evento disastroso, dipende tutto dai vari dettagli. Una fusione tra i due Paesi dell’Unione non sembra per ora essere sul tavolo: solo una più stretta cooperazione onnicomprensiva sembra essere discussa, soprattutto in campo economico e di sicurezza. Anche se il ruolo della Russia in Bielorussia è molto grande ed importante, sarebbe impreciso descriverlo, come fanno taluni, come sproporzionato, dato che è impossibile che tra due Paesi con tali differenze di peso siano davvero paritetiche. Tuttavia, ciò non significa che la Russia si stia approfittando della Bielorussia, ma solo che la Bielorussia ha maggiormente bisogno della Russia che non il contrario – soprattutto in questo frangente storico. Relazioni russo-bielorusse più strette potrebbero essere utili a stabilizzare la situazione socio-economica bielorussa in seguito all’ultima campagna di pressione lanciata dall’Occidente, e quindi eventualmente a contrastare un secondo giro di violenze antigovernative teleguidate dal “nazionalismo negativo”. In ogni caso, la situazione merita un attento esame, poiché le dinamiche strategiche sembrano entrare in un territorio inesplorato rispetto all’anno scorso.

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