L’importanza dei legami economici tra Repubblica Popolare Cinese e Taiwan

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di Stefano Vernole

Premessa

Nel 1949 il Kuomintang, guidato dallo sconfitto Chang Khai-shek, evacuò le proprie forze dalla Cina continentale e le trasferì sull’isola di Taiwan (Taipei), dove impose la legge marziale (rimasta in vigore fino al 1991) per reprimere la rivolta comunista. Il Presidente USA Dwight Eisenhower firmò nel 1954 un patto di mutua difesa che incluse Taiwan nell’area dell’ombrello nucleare statunitense, trasformando l’Isola in un enorme base militare nordamericana.

Alcuni reparti del Kuomintang vennero invece dislocati in quell’angolo della Birmania (oggi Myanmar) al confine con Cina, Laos e Thailandia che costituisce il triangolo d’oro, l’area dove si trovano le più vaste piantagioni di oppio al mondo. Gli uomini di Chang Kai-shek assunsero il controllo delle piantagioni di oppio e quindi del relativo traffico di eroina, trovando il mercato statunitense pronto ad assorbirla1. Dopo la diplomazia kissingeriana del ping pong (1972) e l’incontro tra Nixon e Mao, l’1 gennaio 1979 il Governo USA stabilì formalmente relazioni diplomatiche con Pechino e annullò unilateralmente il patto di difesa reciproca con Taiwan. Tuttavia, statunitensi e giapponesi hanno mantenuto un centro di comando operazionale congiunto nella base USA di Yokota, propedeutico a gestire le questioni militari riguardanti la penisola di Taiwan e la penisola coreana. Il frutto più importante del reciproco riconoscimento tra Washington e Pechino fu l’ammissione della Repubblica Popolare Cinese nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite con potere di veto, seggio che fino a quel momento era stato occupato proprio da Taiwan.

Nel frattempo, più di un milione di cittadini taiwanesi ha iniziato a lavorare nella Cina continentale, dove hanno trasferito la maggior parte delle loro imprese e svolgono un ruolo fondamentale nell’evoluzione dell’industria elettronica mondiale.

La collocazione geopolitica di Taiwan (e dello stretto di Malacca nelle acque territoriali malesi) conserva un’importanza vitale in relazione alle vie essenziali del traffico marittimo, attraverso cui vengono trasportati greggio e altre materie prima verso la Repubblica Popolare Cinese: in caso di conflitto, per gli USA diverrebbe essenziale tagliare o rallentare le forniture di petrolio a Pechino (la Cina ha risposto con la Collana di Perle, una serie di avamposti marittimi in cui le navi cinesi possono attraccare senza rischiare di essere strangolate da un embargo statunitense). Taiwan possiede inoltre una collocazione geografica strategica globale sulla rotta commerciale marittima che collega l’Asia orientale al Sud-est asiatico e al Canale di Suez.

L’amputazione di Taiwan rappresenta per la Cina una “ferita aperta” e la sua riunificazione alla madrepatria segnerebbe la conclusione definitiva della guerra civile sfociata nella nascita della Repubblica Popolare Cinese.

Le relazioni economiche tra Cina e Taiwan, uno strumento di unificazione

Il volume del commercio attraverso lo Stretto di Taiwan era di soli 46 milioni di dollari nel 1978 ma è salito progressivamente fino a 328,34 miliardi di dollari nel 2021, con un aumento di oltre 7.000 volte. La terraferma è stata il più grande mercato di esportazione di Taiwan negli ultimi 21 anni, generando un enorme surplus annuale per l’isola, mentre la Cina continentale è la più grande destinazione per i suoi investimenti esterni2.

Alla fine del 2021, le imprese di Taiwan avevano investito in quasi 124.000 progetti sulla terraferma, per un valore totale di 71,34 miliardi di dollari.

Nel 1987 erano state effettuate meno di 50.000 visite tra le due parti; alla fine del 2019, questo numero era salito a circa 9 milioni. Negli ultimi tre anni, contrassegnati dalle limitazioni dovute al COVID-19, la comunicazione online è diventata la principale forma di interazione interpersonale attraverso lo Stretto e il numero di persone che vi partecipano sta raggiungendo nuovi massimi.

Le statistiche del Fondo Monetario Internazionale mostrano che nel 1980 il PIL della Repubblica Popolare Cinese era di circa 303 miliardi di dollari, poco più di 7 volte di quello di Taiwan, che era di circa 42,3 miliardi di dollari; nel 2021, il PIL della terraferma era di circa 17,46 trilioni di dollari, più di 22 volte quello di Taiwan, che era di circa 790 miliardi di dollari.

Lo sviluppo e il progresso della Cina, in particolare il costante aumento del suo potere economico, della sua forza tecnologica e delle sue capacità di difesa nazionale, rappresentano quindi un freno efficace contro le attività separatiste e l’interferenza delle forze esterne. I successi economici forniscono ampio spazio e grandi opportunità per gli scambi e la cooperazione attraverso lo Stretto. Man mano che sempre più connazionali di Taiwan, in particolare giovani, proseguono gli studi, avviano attività commerciali, cercano lavoro o vanno a vivere sulla terraferma, gli scambi, l’interazione e l’integrazione tra le due parti si intensificano in tutti i settori; i legami economici e i legami personali tra le persone di entrambe le sponde si approfondiscono e le rispettive identità culturali e nazionali comuni si rafforzano, portando le relazioni reciproche verso la riunificazione.

Nel 2021, il commercio tra la Cina continentale e Taiwan ha raggiunto 2,12 trilioni di RMB (312,4 miliardi di dollari USA), di cui 506,3 miliardi di RMB (74,6 miliardi di dollari USA) erano esportazioni e 1,6 trilioni di RMB (235,8 miliardi di dollari USA) erano importazioni. Oltre la metà delle esportazioni erano prodotti meccanici ed elettronici e solo una piccola parte erano prodotti agricoli e alimentari.

La terraferma è il più grande mercato di esportazione di Taiwan, rappresentando il 42% delle esportazioni nel 20213.

La questione dei semiconduttori

Il piano “Made in China 2025”, formulato nel 2015, mirava a produrre in patria il 40% dei semiconduttori usati dal Paese entro il 2020 e il 70% entro il 2025. Ora questi obiettivi di autosufficienza sono stati ulteriormente alzati: il quinto plenum del diciannovesimo Comitato centrale – il principale organismo decisionale del Paese, che ha approvato le linee del piano quinquennale 2021-2026 e gli obiettivi strategici nazionali per il 2035 – ha decretato che “l’autonomia scientifica e tecnologica è il pilastro della strategia di sviluppo cinese”.

Ma affinché la strategia cinese di “sviluppo guidato dall’innovazione” possa avere successo, recuperare terreno nel campo dei semiconduttori è essenziale.

Quella dei semiconduttori è un’industria chiave che merita particolare attenzione da parte dei governi impegnati nella competizione tecnologica, perché è il motore della rivoluzione attualmente in corso nel campo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT). I semiconduttori sono centrali in tutti i settori industriali dove la Cina punta a diventare un leader globale, da quello militare all’economia digitale legata al 5G: intelligenza artificiale, cloud computing e Internet delle Cose. Se il Paese resterà vulnerabile ai controlli sul trasferimento di tecnologia straniera verso la sua industria dei semiconduttori, vedrà allontanarsi gli obiettivi enunciati da Xi Jinping al XIX Congresso nazionale del Partito comunista cinese (PCC) del 2017 e ribaditi al XX Congresso: rendere entro il 2050 la Cina una potenza globale, tecnologicamente innovativa e con un esercito di prim’ordine4.

La RPC è di gran lunga il più importante partner commerciale di Taiwan, con una quota di oltre il 26% del commercio totale. Al secondo posto ci sono gli Stati Uniti con il 13%, seguiti da Giappone (11%), Unione Europea e Hong Kong (entrambi all’8%). Bisogna perciò sottolineare che la prosperità economica di Taiwan dipende dal resto del mondo. Che si tratti dell’importazione di materie prime per lo più carenti a livello locale, del turismo o della sua dipendenza dall’esportazione di circuiti elettronici e semiconduttori, l’isola ha bisogno di una robusta economia globale e di meccanismi commerciali funzionanti.

Taiwan dispone anche di due porti tra i più grandi del mondo, Kao-hsiung e Taipei; gli operatori taiwanesi di navi, in particolare Evergreen, Yang Ming Marine e Wan Hai, controllano oltre il 10% della capacità globale di container5.

Taiwan rappresenta soprattutto il 70% della fornitura mondiale di microchip, cioè una parte importante della catena di produzione di beni come smartphone, computer e automobili e si trova vicino alle rotte marittime del Pacifico che convogliano trilioni di dollari di scambi commerciali in entrata e in uscita dall’Asia orientale. Gli assicuratori hanno recentemente dichiarato di essere riluttanti a vendere assicurazioni che coprano l’eventualità di perdite derivanti da un conflitto legato a Taiwan finché le tensioni non si saranno calmate. Le tariffe a breve termine per l’invio di merci sulle rotte marittime tra Taiwan e la Cina continentale sono aumentate dell’11% all’inizio di agosto 2022 rispetto al precedente mese di luglio.

Secondo un rapporto del 2021 del Boston Consulting Group e della Semiconductor Industry Association, un’interruzione di un anno della catena di fornitura di chip di Taiwan potrebbe costare alle aziende elettroniche mondiali circa 490 miliardi di dollari di perdite. Stando a quanto sostiene questo studio, se la produzione di chip taiwanesi dovesse subire un’interruzione permanente, ci vorrebbero almeno tre anni e 350 miliardi di dollari per costruire capacità produttive altrove in grado di compensarle6.

L’industria cinese dei circuiti integrati è forte e in rapida crescita, trainata dal primato nazionale nella fabbricazione di prodotti elettronici, dall’enorme mercato interno e dal costante sostegno statale, ma resta indietro ai leader mondiali del settore in alcuni segmenti della filiera produttiva. Inoltre, solo il 15,7% dei semiconduttori utilizzati in Cina nel 2019 era stato prodotto all’interno del Paese, ciò significa che il mercato più grande al mondo dei semiconduttori e dei circuiti integrati dipende dai fornitori stranieri non solo per i processori finiti e per altri circuiti, ma anche per forniture e software essenziali in ogni fase della filiera, dalla progettazione alla produzione, fino all’imballaggio.

L’interdipendenza è stata a lungo vantaggiosa per la Cina, alimentando la rapida crescita della sua industria microelettronica. Huawei, attraverso la sua sussidiaria HiSilicon, ha potuto progettare e realizzare circuiti per smartphone di ultima generazione e impianti 5G in virtù del libero accesso alla filiera di approvvigionamento globale. In pochi anni Huawei è divenuta un gigante mondiale, fornitore di servizi di qualità a tre miliardi di individui in 170 Paesi, guadagnandosi una solida reputazione. La società ha firmato ovunque accordi di verifica, rispettando le norme locali e sottomettendosi ad ogni genere di test, senza che sia mai emersa alcuna minaccia alla sicurezza dei Paesi acquirenti. L’azienda ha finanziato un centro di sicurezza nel Regno Unito, accettando controlli e verifiche che nessun’altra impresa al mondo, tantomeno statunitense, ha accettato di fare7.

Durante l’Amministrazione Trump, gli Stati Uniti hanno identificato nei semiconduttori una grande vulnerabilità della Cina e ne hanno sfruttato la dipendenza dalla tecnologia straniera. In particolare, hanno limitato il loro export di microelettronica a fini militari, prendendo di mira i destinatari della stessa. Negli ultimi anni l’industria dei semiconduttori è divenuta così uno dei principali terreni di scontro tra USA e Cina. Le restrizioni alle esportazioni statunitensi, inizialmente concentrate su Huawei e sui suoi più stretti affiliati, si sono gradualmente allargate ad altri fruitori cinesi della microelettronica d’importazione, compresa la stessa industria dei semiconduttori.

Joe Biden ha proseguito nel solco tracciato dal suo predecessore, ribadendo e inasprendo ulteriormente l’approccio restrittivo. Il presidente USA ha proposto “Chip 4”, un’alleanza con Taiwan, Giappone e Corea del Sud per coprire (e garantire) l’intera catena di approvvigionamento dei semiconduttori. Un’alleanza contro Pechino che ha già suscitato il timore delle aziende coreane di perdere l’enorme mercato della Repubblica Popolare; vista la minaccia cinese di limitare a quel punto l’esportazione di terre rare, questo progetto di Biden stenta a decollare.

Dopo la lista diramata il 23 agosto 2022, il successivo 7 ottobre l’Ufficio per l’industria e la sicurezza (BIS) degli Stati Uniti ha annunciato a stretto giro l’inserimento di altre 31 entità cinesi nella lista delle aziende “non verificate”, oltre a nuove restrizioni sull’export di tecnologia avanzata verso la Cina. Nello specifico il ban interessa i chip informatici di fascia alta, la tecnologia necessaria a sviluppare e mantenere supercomputer e i macchinari utilizzati per la fabbricazione di semiconduttori avanzati con potenziali applicazioni militari e di controllo sociale. Coinvolti non sono solo i prodotti Made in Usa, ma anche la componentistica fabbricata in altre parti del mondo se nel processo produttivo sono impiegati macchinari statunitensi. La conseguenza è che l’onda d’urto rischia di abbattersi anche sui produttori asiatici, fortemente dipendenti dai processori nordamericani8.

La contromossa cinese rispetto alle restrizioni statunitensi

La compagnia cinese Oppo ha combattuto la carenza globale di semiconduttori e i tentativi statunitensi di ostacolare gli approvvigionamenti alla Repubblica Popolare stringendo un accordo con la Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (TSMC). La produttrice di smartphone con sede a Dongguan svilupperà una propria linea di chip per fabbricare in casa ed evitare così le conseguenze del deficit mondiale in un settore sempre più cruciale. Lo farà grazie alle tecnologie del gigante taiwanese TSMC, che dovrebbe condividere il processo produttivo a tre nanometri, un’operazione che consentirebbe anche un abbattimento dei costi del 50% coi microprocessori di nuova generazione da installare nei cellulari in uscita tra 2023 e 20249.

Gli Stati Uniti stanno invece cercando con sempre maggiore insistenza di tagliare fuori la Cina dalle catene di approvvigionamento del settore. Pechino, dal canto suo, nell’ultimo piano quinquennale ha stanziato 1,4 trilioni di yuan sulle industrie strategiche, con oltre 90 nuovi stabilimenti pianificati – o già entrati in funzione – chiamati a fabbricare e assemblare semiconduttori.

Da tempo gli USA tentano di tagliare il cordone tecnologico che unisce Taipei e Pechino, ma reciderlo non è semplice, per diversi motivi. Il primo è commerciale: ancora nel 2020 l’economia cinese contava il 17% per le esportazioni TSMC. E dopo il ban trumpiano, un altro competitore dell’isola, MediaTek, ha preso il posto del gigante di Hsinchu, conquistando una posizione dominante nella catena di fornitura dei marchi cinesi di smartphone, con il 54,1% delle spedizioni. Il secondo motivo è strategico: in assenza di scambi politici ufficiali tra i due Paesi dello Stretto, l’industria dei semiconduttori è una risorsa cruciale a disposizione di Taiwan nei confronti della Repubblica Popolare. Sembra che TSMC possa mettere a disposizione di Oppo – che insieme a Xiaomi è in grande ascesa dopo i problemi di Huawei, seguiti al ban USA del 2019 con perdite fino a 40 miliardi di dollari – una tecnologia in grado di far costruire microprocessori a tre nanometri. E quindi più avanzati rispetto a quelli a cinque nanometri che verranno sviluppati nello stabilimento in funzione dal 2024 in Arizona. TSMC intanto resiste alle richieste di Washington di trasmettere informazioni sensibili su clienti e progetti, anche se a causa delle insistenze di Biden lo scorso aprile aveva deciso di interrompere le spedizioni alla Tianjin Phytium Information Technology, impegnata nello sviluppo dei supercomputer.

Rafforzare la connessione tra Cina e Taiwan: la Repubblica Popolare non può essere isolata

Una maggiore connessione tra la terraferma e l’isola rappresenta indubbiamente uno degli obiettivi della dirigenza di Pechino per la riunificazione pacifica.

Il progetto del tunnel sottomarino sarebbe una nuova incredibile infrastruttura che – se realizzata – (entro il 2030, dicono a Pechino) stabilirà parecchi record. Con i suoi 135 km sarà il tunnel ferroviario sottomarino più lungo del Mondo e al suo interno i treni navetta potranno sfrecciare sotto lo Stretto di Taiwan ad una velocità massima di ben 250 km/h. Partendo da Pingtan, una zona pilota di libero scambio istituita da Pechino nella provincia del Fujian nel 2013 per incrementare il commercio con Taiwan, il tunnel si immergerebbe sotto la superficie del mare per quasi 200 metri, tagliando complessi strati di roccia, tra cui granito estremamente duro, schivando almeno due grandi faglie sismiche e tornando in superficie a Hsinchu, una città costiera vicino a Taiwan. Inoltre, il tunnel stradale Pingtan-Fuqing sarebbe un vettore prima della costruzione del tunnel ferroviario da Pingtan a Taiwan10.

Come anticipato nel precedente paragrafo, ciò che preoccupa la Cina è il suo ritardo sui semiconduttori, indispensabili per assicurare il primato tecnologico alla telefonia del futuro e alle sue delicate applicazioni, dall’informazione, all’archivio dati e allo spionaggio. Visti gli ostacoli frapposti dagli USA (che riguardano un bando sia da Taiwan che dall’Unione Europea), la Repubblica Popolare Cinese deve puntare all’autosufficienza.

Huawei ha aumentato la sua produzione di chip a Shangai ma non riesce a coprire che il 15% del suo fabbisogno. Perciò negli ultimi anni più di 3.000 tra ingegneri e massimi esperti della TMSC di Taiwan, pagati anche il triplo, si sono trasferiti nel continente per accelerare i processi di produzione nelle fonderie cinesi e costruirne di nuove. L’uso crescente dell’intelligenza artificiale, dove la Cina possiede già punti di forza di livello mondiale, nella produzione di chip e l’esperienza accumulata potrebbe anche ridurre il costo delle alternative, rendendo le misure di controllo delle esportazioni meno efficaci nel tempo11.

Le soluzioni tecnologiche stanno già colmando il divario tra le attuali capacità della Cina e il vantaggio del settore. Queste includono un imballaggio intelligente e il massimo utilizzo della litografia a immersione DUV ArF. Il produttore di chip cinese SMIC, che ha recentemente scioccato gli Stati Uniti annunciando di aver prodotto chip a 7 nm nonostante gli sia stato negato l’accesso alle apparecchiature EUV, è ora riferito che sta avanzando a 5 nm più avanzati. SMIC ha anche avviato la costruzione di una nuova fabbrica da 300 mm. L’associazione di settore SEMI elenca circa 80 aziende cinesi coinvolte nella ricerca e nella produzione di apparecchiature per semiconduttori e si può presumere che tutte ricevano sostegno governativo.

Seguendo le orme del Giappone, ma spinta dal timore di un’escalation delle sanzioni, la Cina ora punta a sviluppare una catena di fornitura di semiconduttori completa e autonoma. Secondo IC Insights, la Cina ha consumato semiconduttori per un valore di 186,5 miliardi di dollari nel 2021, rappresentando il 36,5% del mercato mondiale. Solo il 17% della domanda cinese di semiconduttori è stata soddisfatta dalla produzione in Cina e solo il 7% da società cinesi. Queste cifre mostrano l’opportunità di mercato per le società cinesi di progettazione di semiconduttori, produzione e attrezzature per la produzione e il corrispondente costo/opportunità per le società straniere ostacolate dalle restrizioni all’esportazione del Governo statunitense. La sola sostituzione delle importazioni può dare alle aziende cinesi significative economie di scala12.

Le sanzioni economiche come alternativa ad un conflitto?

Come tutte le grandi potenze (anche se il potenziale bellico cinese non è ancora chiaro, trattandosi di una nazione che non combatte in un vero e proprio conflitto in campo aperto almeno dal 1962), anche l’opzione militare per la riunificazione con Taiwan non viene esclusa dalla dirigenza di Pechino, per la quale comunque la questione dovrebbe essere risolta pacificamente.

Le più recenti simulazioni militari statunitensi, al contrario, prevedono una vittoria USA e taiwanese ma con un pesante tributo di vittime.

Gli analisti, al riguardo, si dividono tra coloro i quali ritengono la soluzione militare quasi impossibile o comunque assolutamente controproducente per la Cina stessa – almeno per alcuni anni – e quanti invece la ritengono possibile13.

Invece di lanciare una campagna militare su Taiwan, la Cina continentale cercherebbe prima di forzarne la capitolazione usando strategie economiche. Pechini esercita già una notevole influenza commerciale su Taiwan e potrebbe facilmente ricorrere a sanzioni o destabilizzare il mercato. La comunità internazionale e Taiwan non hanno la capacità di difendersi da tali azioni. Il desiderio di sfruttare il boom economico cinese e creare miglioramenti simili a Taiwan ha trasformato le relazioni commerciali tra le due parti in una sorta di “interdipendenza asimmetrica”, il che significa che Taiwan dipende economicamente dalla Cina continentale più di quanto la Cina continentale dipenda da Taiwan.

Le esportazioni verso la Cina rappresentano un decimo del prodotto nazionale lordo di Taiwan e i flussi di IDE verso la Cina rappresentano più della metà di tutti gli IDE di Taiwan. Centinaia di migliaia di uomini d’affari taiwanesi lavorano anche sulla terraferma e viaggiano continuamente da una sponda all’altra. Non solo il numero di persone che lavorano in Cina è alto, ma anche i settori a cui appartengono gli imprenditori sono strategicamente importanti. Molti dei lavoratori cinesi provengono dal redditizio settore della tecnologia dell’informazione di Taiwan, poiché molte di queste società hanno dislocato stabilimenti nella Cina continentale e mantengono i loro uffici principali sull’isola. Queste società sono sia economicamente solide che politicamente influenti e, in quanto tali, molti taiwanesi hanno sollevato preoccupazioni sulla loro posizione nella Repubblica Popolare. Indipendentemente dall’ubicazione di queste strutture, la realtà è che senza il coinvolgimento della Cina continentale nel commercio di Taiwan, l’economia generale dell’isola ne risentirebbe gravemente.

La Repubblica Popolare Cinese può facilmente esercitare pressioni economiche contro Taiwan sanzionando esportazioni e importazioni. Le sanzioni offrono un modo a basso costo e a basso rischio per segnalare il malcontento, aumentare i costi per Taiwan quando ignora le richieste diplomatiche della Cina continentale e sarebbe difficile risponderle con una rappresaglia. Le sanzioni possono anche creare un grado significativo di danno economico, alimentando disordini politici e probabilmente catalizzando un cambiamento nel governo di Taipei. Taiwan soffrirebbe economicamente se la Cina continentale decidesse di fermare le importazioni14.

In diverse occasioni, Pechino ha usato il suo potere finanziario per causare forti ribassi nei mercati azionari e obbligazionari di Taiwan e talvolta ha preso di mira settori o comparti specifici che considera pericolosi per i suoi interessi nazionali. Poiché Taiwan continua a globalizzare la sua economia, l’apertura dei suoi mercati ai capitali esteri significherà maggiori afflussi di capitali cinesi e, di conseguenza, una maggiore influenza cinese sull’economia di Taiwan. Ciò ha portato a una maggiore capacità della Cina di sopprimere potenzialmente il mercato taiwanese e di erodere la fiducia degli investitori, ponendo una minaccia significativa alla stabilità dell’isola. Mentre Taiwan potrebbe attingere alle sue riserve per far fronte agli effetti di sanzioni a breve e medio termine, non potrebbe sopravvivere se la Cina continentale continuasse uno sforzo prolungato per minare la fiducia degli investitori internazionali nell’economia taiwanese15.

Esistono poi altri metodi di destabilizzazione economica, come le ritorsioni agli uomini d’affari taiwanesi quando viaggiano attraverso lo stretto. La Cina continentale potrebbe anche congelare o sequestrare le attività di società e investitori taiwanesi sulla terraferma nel tentativo di fare pressione su tali individui affinché richiedano un cambiamento politico a Taiwan. Pechino potrebbe anche interrompere alcuni aspetti dell’infrastruttura economica di Taiwan, inclusi i suoi sistemi informatici, piattaforme di comunicazione e trasporti attraverso la guerra cibernetica. La Cina continentale potrebbe infine impiegare mezzi diplomatici, sostenendo l’esclusione di Taiwan dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, dalle conferenze delle Nazioni Unite e dall’Interpol. La Cina continentale corteggia infatti i Paesi che continuano a riconoscere Taiwan, offrendo aiuti finanziari per indurli a porre fine alle loro relazioni diplomatiche.

La strategia di Taiwan per migliorare la propria competitività nazionale consiste in gran parte in investimenti nel settore industriale, in cui ha concordato una “cooperazione industriale congiunta” con la Cina continentale. Pertanto, nonostante i suoi sforzi e desideri di prendere le distanze, Taiwan attualmente deve mantenere strette relazioni economiche con la Cina continentale per migliorare la sua situazione16.

L’integrazione economica tra l’isola e la terraferma rappresenta l’opzione migliore per entrambi

L’azione militare contro Taiwan destabilizzerebbe senza dubbio l’ordine internazionale. Sebbene altri Paesi la considerino spesso una forza dirompente, in larga misura la Cina continentale ha rispettato le regole, le leggi e le norme internazionali. Pechino ha aumentato i suoi finanziamenti alle Nazioni Unite e contribuisce regolarmente alle operazioni di mantenimento della pace. Avendo spinto per le riforme in tali organizzazioni, la Cina aderisce in gran parte alle strutture del Fondo monetario internazionale, dell’Organizzazione mondiale del commercio e del Gruppo dei BRICS. Intraprendere un’azione militare contro Taiwan sarebbe politicamente impopolare e metterebbe a repentaglio la posizione della Cina continentale in tutte quelle istituzioni.

I massimi dirigenti cinesi hanno anche dichiarato apertamente la loro preferenza per un ordine mondiale stabile. In un discorso del 2015 all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, Xi ha osservato che “non possiamo realizzare il sogno cinese senza un ambiente internazionale pacifico, un ordine internazionale stabile e la comprensione, il sostegno e l’aiuto del resto del mondo”. Inoltre, Xi ha dichiarato al 19° Congresso del Partito, tenutosi nel 2017 a Pechino, che la Cina “continuerà i suoi sforzi per salvaguardare la pace mondiale, contribuire allo sviluppo globale e sostenere l’ordine internazionale”. Questi due discorsi sottolineano il desiderio della Cina di mantenere la stabilità e contrastare le dichiarazioni bellicose di USA e Taipei in merito all’intervento militare.

Sebbene Taiwan sia “l’obiettivo finale” della Cina continentale, quest’ultima deve mantenere la sua posizione internazionale responsabile. Nel Libro bianco sulla difesa cinese del 2013, Xi ha certamente osservato che è necessario “salvaguardare stabilità e diritti”. Con questa osservazione è stata la prima volta che i diritti e gli interessi del Paese hanno ricevuto lo stesso livello di priorità della tradizionale direttiva per il mantenimento della stabilità17. Tuttavia, questa nuova enfasi pone semplicemente le questioni su un piano di parità, indicando che il Paese può tollerare maggiori rischi nel perseguire quelli che afferma essere i suoi diritti. Il primato dato alla salvaguardia della stabilità – interna ed internazionale – rafforza l’argomento secondo cui i leader cinesi non andranno avanti sulla questione di Taiwan se si tratta di sfidare l’ordine globale di cui la Cina continentale ha bisogno per sostenere la sua crescita economica. Pertanto, per quanto importante possa essere Taiwan per la Cina continentale, Pechino in definitiva favorisce un ordine internazionale stabile rispetto all’azione militare.

La visita della Pelosi e la reazione della Cina. Il Libro bianco sulla riunificazione con Taiwan

Un primo esempio di quanto potrebbe succedere nel caso le forze secessioniste e le potenze straniere decidano di mettere in pericolo la stabilità regionale, è stato lo svolgimento di esercitazioni militari a fuoco vivo non appena Nancy Pelosi ha lasciato Taiwan, esercitazioni in cui l’isola è rimasta chiusa per quasi due settimane e che hanno scatenato allarmi in tutto l’Occidente (rimasto silente durante la provocazione degli USA ma pronto a condannare questa dimostrazione di forza).

La Cina ha chiarito che può chiudere l’accesso all’isola quando e come vuole, arrivando anche al limite delle 12 miglia nautiche che sono internazionalmente indicate come acque territoriali. L’indicazione più chiara che la Cina abbia mai dato di poter iniziare lo sbarco quando vuole, a cui si aggiunge che per la prima volta ha lanciato missili che hanno sorvolato l’isola. Tuttavia, questo è solo un altro avvertimento, il più forte mai proferito dalla Cina, per dimostrare che il messaggio è serio.

Inoltre, Pechino ha “congelato” la creazione di una fabbrica negli Stati Uniti che avrebbe creato 10.000 posti di lavoro e ha vietato il commercio totale di vari prodotti dal continente all’isola, tra cui la sabbia naturale, essenziale per la produzione del cemento e vetro. Ciò non riguarda solo l’edilizia, ma anche la produzione di semiconduttori elettronici (chip), di cui Taiwan è un gigante internazionale. Il Presidente di TMSC, Mark Liu, ha recentemente ammesso che se scoppiasse una guerra le sue fabbriche non potrebbero essere operative perché dipendono da una connessione in tempo reale con le economie e le forniture europee e statunitensi.

Le perdite per l’isola sono già state calcolate tra il 50% e il 100% delle sue esportazioni in vari prodotti, e cercare nuovi mercati non è facile, perché l’economia di Taiwan si basa esclusivamente sul commercio estero. Secondo i dati di Taiwan, il 64% delle aziende dell’isola è stata interessata da questa misura che le impedisce vendere i propri prodotti sulla terraferma. A ciò si aggiunge qualcosa di altrettanto rilevante, o ancora più incisivo: è iniziata la fuga delle compagnie statunitensi dall’isola. Almeno 7 delle principali società statunitensi per livello di vendite, secondo l’indice Fortune 500, “stanno iniziando a lavorare per spostare persone, infrastrutture e beni fuori dall’isola perché non vogliono che accada quello che è appena successo in Russia, dove hanno perso miliardi di dollari in beni, sia finanziari che tangibili, quindi stanno cercando di disperdere persone e beni in altri Paesi”18.

Per ora la Cina ha posto fine alle manovre, annunciando che le ripeterà quando e dove vorrà e facendo capire che continua a sostenere il principio “un Paese, due sistemi” ma senza chiudere la porta all’opzione militare, tuttavia solo in casi estremi e solo se gli Usa continuano ad aizzare la tensione. È un avvertimento diretto, perché per la prima volta i missili sono caduti in una porzione di mare del Giappone (ZEE). Somiglia alla “linea rossa” che la Russia aveva dato agli USA e alla NATO prima di intervenire militarmente in Ucraina.

L’Ufficio per gli affari di Taiwan e l’Ufficio per le informazioni, entrambi sotto il Consiglio di Stato cinese, hanno pubblicato congiuntamente un Libro Bianco intitolato “La questione di Taiwan e la riunificazione della Cina nella nuova era”, in cui ribadiscono le affermazioni di Pechino sull’isola e denunciano gli sforzi indipendentisti. Il documento, presentato in cinque sezioni, è stato pubblicato per ribadire il fatto che Taiwan fa parte della Cina continentale, per dimostrare la determinazione del Partito Comunista Cinese e del popolo cinese nella riunificazione nazionale e per sottolineare la posizione e le politiche di Pechino oggi. Inoltre, esso sottolinea l’aumento delle comunicazioni attraverso lo stretto e le possibilità di crescita congiunte.

Il testo è significativo in quanto ribadisce il suo appello per la riunificazione con Taiwan secondo il modello “un Paese, due sistemi”. Allo stesso tempo, Pechino promette di creare enormi opportunità per lo sviluppo sociale ed economico dell’isola: “porterà benefici tangibili al popolo taiwanese”. Il documento afferma che, dopo la riunificazione, il resto delle nazioni potrebbe continuare a sviluppare relazioni economiche e culturali con Taiwan. Questi Paesi potrebbero stabilire consolati o altre istituzioni ufficiali e semi ufficiali sull’isola, mentre le organizzazioni internazionali potrebbero istituire un ufficio, il tutto con l’approvazione del Governo centrale di Pechino. “Dopo la riunificazione, i sistemi e i meccanismi di cooperazione economica attraverso lo Stretto saranno ulteriormente migliorati”, osserva il Libro Bianco. “Sostenuta dal vasto mercato continentale, l’economia di Taiwan godrà di prospettive più ampie, sarà più competitiva, svilupperà catene industriali e di approvvigionamento più stabili e fluide e mostrerà una maggiore vitalità nella crescita guidata dall’innovazione”, aggiunge19.

I rapporti dell’ASEAN con Taiwan

Se consideriamo la portata dello stesso mercato macro-regionale, l’ASEAN ha ribadito il suo sostegno alla politica per una sola Cina, riconoscendo Taiwan come parte inalienabile del territorio cinese. L’impegno ASEAN-Taiwan è unico in quanto entrambe le parti non hanno relazioni diplomatiche formali. Taiwan ha un ufficio di rappresentanza a Singapore, un ufficio economico e commerciale in Indonesia e sei uffici economici e culturali in Brunei Darussalam, Malesia, Myanmar, Filippine e Vietnam. Tutti i paesi dell’ASEAN, ad eccezione della Cambogia e del Laos, sono rappresentati da uffici di rappresentanza simili a Taipei.

Nonostante la mancanza di rapporti diplomatici ufficiali, le relazioni economiche bilaterali sono progredite a causa di interessi convergenti: Taiwan ha urgente bisogno di ridurre la sua dipendenza economica dalla Cina continentale e diversificare il suo portafoglio commerciale e di investimento. Nel frattempo, l’ASEAN si considera un blocco di commercio e investimento inclusivo e aperto nell’Indo-Pacifico e vorrebbe essere più proattivo nel plasmare l’architettura commerciale regionale.

Il commercio tra l’ASEAN e Taiwan è cresciuto notevolmente, soprattutto dopo la New Southbound Policy (NSP) del presidente Tsai Ing-wen. Taiwan ha dirottato con successo quasi il 10% dei suoi fondi di investimento dalla Cina all’ASEAN dopo che la politica è entrata in vigore nel 2016. Nel 2019, il 47% degli investimenti e della produzione totali all’estero di Taiwan è andato all’ASEAN. Di questi, Vietnam, Malesia, Filippine e Indonesia hanno attirato il 40% degli investimenti totali di Taiwan nell’ASEAN. Questo slancio economico potrebbe essere mantenuto nonostante le pressioni della Cina continentale sugli Stati membri dell’ASEAN affinché non riconoscano Taiwan come Stato sovrano? Ci sono almeno due possibili scenari da esplorare.

In primo luogo, l’ASEAN e Taiwan hanno il potenziale per approfondire le loro relazioni commerciali. Entrambi sono fulcri critici nel commercio e negli investimenti globali. L’enorme potenziale di crescita dell’ASEAN offre opportunità di investimento per partner internazionali, mentre membri come Indonesia, Malesia e Vietnam sono fornitori vitali di materie prime metalliche. L’approfondimento delle relazioni commerciali probabilmente rafforzerà il vantaggio competitivo dell’ASEAN e di Taiwan negli anni a venire.

In secondo luogo, l’ASEAN e Taiwan potrebbero esplorare l’opportunità della diplomazia o della cooperazione da città a città in assenza di partenariati formali da Stato a Stato.

Ad esempio, l’ASEAN e le città taiwanesi potrebbero esplorare la cooperazione pragmatica come lo scambio di competenze, il trasferimento di conoscenze e la collaborazione nella ricerca. Un ottimo esempio è il programma globale di gemellaggio che consente alle città di unire le proprie risorse per procurarsi e gestire infrastrutture digitali, riducendo così i costi. Per le città che si stanno adattando alla quarta rivoluzione industriale, dove le infrastrutture locali stanno diventando sempre più digitalizzate e connesse oltre i confini nazionali, una solida cooperazione tecnica per una causa specifica può raccogliere vantaggi economici e di altro tipo. Un precedente esemplare è un nuovo accordo per stabilire il corridoio verde e digitale più lungo del mondo per il trasporto marittimo a basse e zero emissioni di carbonio tra Singapore e Rotterdam20.

Le città taiwanesi hanno ottenuto buoni risultati in varie classifiche internazionali e sarebbero partner validi. Taipei si è classificata quarta nello Smart City Index 2021 pubblicato dallo Swiss Institute of Management Development ed è stata classificata come la decima città più vivibile nel 2022 dalla rivista di lifestyle “Monocle”, a dimostrazione della sua eccellente capacità tecnologica, alta qualità della vita e leadership di sostenibilità. L’esclusione di Taiwan dal quadro delle Nazioni Unite ostacola spesso la sua partecipazione a forum cittadini globali sostenuti dalle Nazioni Unite come il Programma delle Nazioni Unite per gli insediamenti umani (UN-Habitat) e il Dipartimento degli affari economici e sociali delle Nazioni Unite (UNDESA). L’ASEAN può sfruttare questa opportunità per fornire una piattaforma alle città taiwanesi e dell’ASEAN per esplorare una cooperazione significativa. In tal modo, l’ASEAN mostrerà il suo impegno per l’apertura e l’inclusione, pur rispettando il suo impegno per la politica One China.

Nonostante dispongano di uno spazio diplomatico limitato in cui manovrare, l’ASEAN e Taiwan possono continuare a trovare modi per aumentare la connettività per un reciproco vantaggio a partire dal RCEP. Il 1 gennaio 2022 ha segnato infatti l’entrata in vigore del Regional Comprehensive Economic Parntership (RCEP), un patto economico commerciale tra i 10 Paesi membri dell’ASEAN, oltre a Cina, Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda. L’accordo, che si pone l’obiettivo di superare le barriere commerciali tra i Paesi aderenti, si presenta come blocco di libero scambio più grande al mondo. Il patto crea un’aerea di cooperazione economica che comprende circa 2,2 miliardi di persone che producono il 30% del Pil e il 27,4% del commercio globali. I termini dell’accordo prevedono una riduzione tra l’85% e il 90% delle tariffe al commercio interno e l’armonizzazione delle regole di origine. Pur non essendone membro, un rafforzamento dei legami tra Taiwan e le nazioni aderenti al RCEP potrebbe contribuire ad allentare la pressione nordamericana sull’isola nella regione dell’Indo-Pacifico.

NOTE AL TESTO

1 Stefano Vernole, Trump e la Cina, “Eurasia” rivista di studi geopolitici, 1/2017.

2 Riccardo Monaco, Rapporto sull’economia di Taiwan, “Corriere della Sera”, 2022.

3 Arendse Huld, Practical Issues in Handling China-Taiwan Trade and Supply Chains, “China Briefing”, 22 agosto 2022.

4 Stefano Vernole, Il 14° Piano quinquennale cinese: obiettivi e finalità, www.cese-m.eu, 5 giugno 2022.

5 Statista Research Department, Container throughput volume in Taiwan 2020, by port, 8 marzo 2022.

6 Taiwan, in caso di guerra tempesta sull’economia globale tra chip e inflazione, “Affari Italiani”, 16 agosto 2022.

7 “Gli Stati Uniti (e i loro vassalli, n.d.r.) ricorrono alla nozione di sicurezza nazionale quando devono destrutturare, più o meno legalmente, i concorrenti stranieri in settori cruciali dell’economia”. Cit. Alberto Bradanini, “Cina. L’irresistibile ascesa”, Teti, Roma, 2022, p. 199.

8 BUREAU OF INDUSTRY AND SECURITY U.S. Department of Commerce, COMMERCE ADDS SEVEN CHINESE ENTITIES TO ENTITY LIST FOR SUPPORTING CHINA’S MILITARY MODERNIZATION EFFORTS, bis.doc.gov., 23 agosto 2022. Cfr, Gibson Dunn, United States Creates New Export Controls on China for Semi-Conductor Manufacturing Technology, Advanced Semiconductors, and Supercomputers in New Phase of Strategic Tech Competition, 13 ottobre 2022.

9 Sara Teruzzi, Shortage globale di microchip: ecco la risposta cinese all’embargo USA, ilbollettino.eu, 26 gennaio 2022.

10 China finalises design of 135km Taiwan rail tunnel, “Global Construction Review”, 6 agosto 2018.

11 Adriano Madaro, Capire la Cina, Giunti, Firenze, 2021.

12 ÁLVARO SÁNCHEZ – INMA BONET BAILÉN, La tensión en Taiwán amenaza la cadena global de suministros, “El Pais”, Madrid, 6 agosto 2022.

13 Si vedano sull’argomento i vari numeri della rivista di studi geopolitici “Eurasia” usciti nel 2022.

14 Andrés Herrera-Feligreras, China, Taiwán, Estados Unidos: el arte o la guerra, “El Mundo”, 12 agosto 2022.

15 Bethany G. Russell, Guerra económica. La alternativa de China a la reunificación militar de Taiwán, “Military Review”, aprile-giugno 2021.

16 Mario Hernandez, Taiwán nuevo escenario de guerra?, rebelion.org, 25 agosto 2022.

17 Repubblica Popolare Cinese – Ufficio per gli Affari di Taiwan del Consiglio di Stato e Ufficio Informazioni del Consiglio di Stato, Libro Bianco. La questione di Taiwan e la riunificazione della Cina nella nuova era, www.cese-m.eu, 12 agosto 2022.

18 Cfr. tra gli altri Marco Lupis, Fuga da Taiwan. Le aziende occidentali pronte a lasciare l’isola in caso di guerra, “Huffington Post”, 9 agosto 2022.

19 Repubblica Popolare Cinese – Ufficio per gli Affari di Taiwan del Consiglio di Stato, LIBRO BIANCO. La questione di Taiwan e la riunificazione della Cina nella Nuova Era, www.cese-m.eu, 12 agosto 2022.

20 Melinda Martinus, ASEAN and Taiwan: Cooperation Opportunities amid Diplomatic Constraints, “Fulcrum”, 7 settembre 2022.

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