Dispaccio Geopolitico #6 – 17.04.2024 | Un bilancio della guerra in Ucraina

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di Matteo Marchioni

Il 24 febbraio 2022, le truppe russe hanno varcato il confine ucraino in più punti, affiancando l’offensiva terrestre con bombardamenti di artiglieria e di aviazione su importanti centri urbani ucraini, tra cui la stessa capitale, Kiev. L’operazione militare, giustificata da Mosca con la necessità di proteggere i propri cittadini – quelli delle repubbliche separatiste di Donetsk e Luhansk – nonché la popolazione russofona del Donbass, ha fatto irruzione nel continente europeo con proporzioni drammatiche. Qual è ad oggi il bilancio politico e militare del conflitto? E come sta procedendo la campagna militare del Cremlino?

Benché la guerra fosse ampiamente evitabile, a nulla sono serviti gli incontri ad alto livello tra i leader occidentali e russi per giungere ad un compromesso sulla situazione ucraina. Infatti, nei primi giorni di gennaio del 2022, si susseguirono vari appuntamenti: dai vertici USA-Russia a Ginevra fino al summit del Consiglio NATO-Russia (12 gennaio), volto ad esplorare una soluzione diplomatica alla crisi in corso, passando poi per l’incontro dell’OSCE di Vienna. In particolare, la riunione del Consiglio permanente dell’OSCE, il cui rapporto finale avrebbe dovuto fungere da base per ravvivare il dialogo sulla sicurezza comune europea, si concluse con un nulla di fatto. Non fece differenza neppure la riunione tra il segretario di Stato, Blinken, e il ministro degli Esteri, Lavrov, a Ginevra (21 gennaio). In quell’occasione, nessuna delle parti trovò di convenire con l’altra sulla questione ucraina: Blinken ribadì la volontà di giungere ad una de-escalation, ma affermò anche la decisione americana di rispondere severamente ad un’eventuale aggressione russa; Lavrov, invece, sottolineò la necessità del rispetto del principio dell’indivisibilità della sicurezza tra NATO e Russia, in quanto caposaldo dell’attività dell’OSCE e comprendente il diritto di ciascuno Stato di scegliere o cambiare i propri accordi di sicurezza nel corso del tempo, sulla base dell’evoluzione delle circostanze. Appena un mese dopo (18 febbraio), la Conferenza sulla sicurezza di Monaco, senza la partecipazione ufficiale russa, culminò con l’adozione di una linea condivisa di duro confronto rispetto a Mosca, registrando passivamente i rischi connessi all’esasperazione della crisi ucraina ma senza fare concreti passi avanti.

Il 21 febbraio, il Presidente russo, Vladimir Putin, rivolgendosi alla nazione, accusò Kiev di essere al soldo di potenze straniere e firmò un decreto per il riconoscimento formale delle due Repubbliche Popolari di Donetsk e Luhansk. Solo tre giorni più tardi, la Russia diede il via alla propria campagna militare, penetrando rapidamente nel territorio ucraino dagli Oblast’ di Kiev e di Kharkiv, saturando le grandi città con colpi di artiglieria e tentando di infiltrare la capitale con paracadutisti e sabotatori delle forze speciali. Si entrava nella prima fase della cosiddetta “operazione militare speciale”, la quale si chiuse ai primi di aprile con un fiasco delle forze armate russe, costrette a ritirarsi rocambolescamente da Kiev e a lasciare sul campo uomini e mezzi. Probabilmente, i vertici russi avevano provato ad indurre il governo di Zelensky alla capitolazione con una prova di forza o a gettare le basi per un “cambio di regime” interno, come confermato anche da alcune indiscrezioni inglesi del gennaio 2022. Al di là delle speculazioni, certamente Mosca ebbe enormi difficoltà in quella che forse doveva essere un’operazione militare rapida e concepita per neutralizzare l’Ucraina in poco tempo. I fallimenti iniziali dell’esercito russo sono imputabili anche al fondamentale supporto di intelligence e raccolta dei dati prestato dalla NATO agli apparati ucraini, i quali erano ben informati sulla posizione delle truppe russe al confine e sulla direzione dei loro attacchi.

Il 2022 e i primi mesi del 2023 proseguirono con una logorante guerra di posizionamento lungo la linea del fronte, dopo che l’Ucraina fu in grado di riconquistare una rilevante porzione del territorio precedentemente occupato dai russi, tra il settembre e l’ottobre del 2022. In questo quadro, rivestì un ruolo centrale per Kiev il costante supporto materiale e finanziario occidentale, che consentì la riconquista di Lyman. Dal canto loro, i russi fecero sempre maggiore affidamento sulle capacità di combattimento della PMC Wagner in teatri caldi, come Bakhmut. Ebbene, da operazione militare con obiettivi limitati e più tattici che strategici si passò presto ad una vera e propria guerra convenzionale, caratterizzata dalle trincee, dai fossati, dall’utilizzo di carri armati e mezzi corazzati quale fattore determinante, ma anche arricchita dei più moderni dispositivi della guerra elettronica, dei droni oltre che del crescente impiego dei lanci missilistici di precisione. Divenne, quindi, chiaro che la guerra sarebbe presto divenuta totale e in un certo senso mondiale – considerando il termine in un’accezione da contestualizzare nell’attuale periodo storico: vale a dire che essa interessi non tanto gli eserciti di tutti i Paesi sul campo, ma piuttosto che implichi il coinvolgimento delle economie dei Paesi dei due “blocchi” per la sua continuazione. Questo è vero non solo per quanto riguarda le ripercussioni delle sanzioni occidentali sui prezzi di vari prodotti e sulla loro importazione, oltre che per quanto concerne l’effetto domino causato dalla guerra economica contro la Russia su alcune parti delle catene globali del valore (GVC) – si pensi al prezzo del carburante o a quello dei fertilizzanti – ma anche per quanto attiene ai materiali necessari all’industria militare dei due belligeranti. Tali conseguenze sulle GVC si sono palesate soprattutto in quei Paesi più dipendenti dalle importazioni di prodotti ucraini e russi, come gli Stati africani ma anche gli Stati Uniti: la guerra ha limitato le importazioni americane di platino, titanio e nickel dalla Russia; si tratta di prodotti indispensabili per la creazione di batterie e manufatti industriali. Tornando al conflitto, il 2023 ha registrato per i primi 6 mesi una guerra largamente di trincea: alle incursioni di fanteria e mezzi tra i due schieramenti si è semplicemente aggiunto l’uso di strumenti più sofisticati. In ogni caso, ciò non ha alterato la natura prettamente convenzionale della guerra. In giugno, l’Ucraina, forte del decisivo sostegno dell’Occidente, ha lanciato una violenta controffensiva – gli obiettivi principali erano la penetrazione nel corridoio che connette la Crimea al resto dei territori occupati da Mosca, nonché la riconquista del Donbass – che comunque non ha raggiunto gli scopi prefissati e ha esasperato la capacità di combattimento di Kiev con ingenti perdite materiali ed umane.

Ad oggi, però, la situazione si è modificata in favore della Russia, per una serie di ragioni. Innanzitutto, l’Ucraina si trova ai ferri corti per carenza di soldati e munizioni: Mosca sta continuando a colpire senza sosta le postazioni dei combattenti ucraini, i cui tenaci tentativi di difesa o di circoscritti contrattacchi non fanno altro che acuire le perdite umane. Ciò non significa che l’esercito russo non abbia subito pesanti perdite: secondo stime delle forze armate ucraine, la Russia avrebbe perso oltre 200,000 uomini dall’inizio del conflitto (trattandosi di cifre riguardanti una guerra in corso, peraltro fornite da una delle due parti in lotta e non da terzi si raccomanda il lettore di prendere i numeri con beneficio di inventario). Ciononostante, Mosca può avvalersi oggi di risorse maggiori e di un apparato industriale in grado di rifornire costantemente il fronte di armi e munizioni. Nello specifico, se nel 2022 era la Russia ad essere a corto di munizioni, ora è Kiev ad accusarne la mancanza. Al contrario, Mosca ha fatto affidamento per il 2023 sulle consegne di armi provenienti da Iran e Nord Corea – nell’ottobre 2023, Pyongyang avrebbe spedito più di 1000 container in Russia. Questo ha consentito all’esercito russo di tamponare l’emorragia di equipaggiamenti militari, causata dal bisogno di contenere la controffensiva ucraina nel 2023. Inoltre, il Cremlino ha recentemente ricalibrato i propri piani di spesa nel settore della difesa, destinati a rimanere elevati anche per i prossimi anni: è segno che la Russia abbia ormai fatto pace con l’idea che la guerra potrebbe durare ancora a lungo. Nonostante le sanzioni occidentali, il complesso militare russo ha fatto progressi nell’ultimo periodo e sta ultimando la consegna di migliaia di nuovi carri armati, missili, droni e UAV, al fine di preparare il terreno per quella che (forse) sarà una nuova spinta offensiva in estate, approfittando della stanchezza dell’esercito ucraino e delle incertezze attorno ai nuovi piani di sostegno bellico occidentale a Kiev. Va precisato come i russi stiano già portando a termine con successo manovre offensive in Donbass, riuscendo ad occupare villaggi, snodi stradali e posizioni tattiche contro l’Ucraina, che è costretta a ritirarsi di settimana in settimana. Ad esempio, a fine marzo l’esercito russo ha espugnato Novomikhailovka, continua ad avanzare nel paese di Semyonovka e si trova ora alle porte di Chasov Yar, la quale è attualmente assediata sia da Bohdanivka, a Nord, che da Ivanivske, più a Sud.

Per finire, si deve menzionare anche l’ingresso in scena di nuove armi, che stanno notevolmente rivoluzionando la dottrina militare russa e che hanno permesso di integrare le tattiche al fronte. Ci si riferisce al crescente impiego dei droni importati dall’Iran e ora prodotti autonomamente in Russia, “Geran”, dei droni kamikaze ZALA-Lancet, dal raggio d’azione aumentato, nonché dei più sperimentali droni terrestri lanciagranate. Inoltre, si registrano avanzamenti anche per i sistemi d’arma più convenzionali: si pensi all’aggiornamento del carro armato T-90M, pensato per essere più resistente ai colpi anticarro nemici e per difendersi dalle sortite dei droni. Persino il complesso sistema di difesa antiaerea è stato approfondito. In vista del probabile invio di caccia F-16 all’Ucraina, la Russia ha provveduto ad integrare il sistema missilistico S-400 con il velivolo di allarme e controllo aereo (AWACS) Beriev A-50, offrendo così una copertura maggiore contro i caccia nemici anche ad altitudini più basse.

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