Nel Paese degli ultimi Alani

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di Antonio Ratti

Gli odierni Osseti, che vivono a cavallo del Caucaso maggiore, sono i discenti degli Alani, guerrieri di origine indo-iranica che nel V invasero l’Impero Romano spingendosi fino in Spagna e Nord Africa. Un popolo sorprendente le cui tradizioni e il folclore hanno affascinato, e affascinano, per la loro originalità.

I versanti settentrionali dell’imponente catena montuosa del Caucaso, le fertili pianure che la circondano verso le steppe dell’Eurasia, gli esigui ma lussureggianti tratti costieri che si estendono verso il Mar Nero e le anguste valli che ne drenano le acque verso il Terek, il Kuban e altri fiumi minori, custodiscono uno dei più complessi e affascianti mosaici di popoli. Il grande storico delle religioni, Georges Dumézil, ha scritto: «Alcuni erano già sul posto all’epoca delle prime testimonianze greco-latine, altri furono cacciati dal Nord, sospinti dalle innumerevoli invasioni che l’Asia ha lanciato verso l’Atlantico; altri ancora sono la punta ardita di questa o quella invasione, tagliata fuori dalla massa, ancorata alla propria conquista e naturalizzata caucasica, in poche generazioni, per la virtù straordinaria del paesaggio, del clima, degli uomini… Nonostante le loro origini così diverse, le rivalità e le guerre di confine che tanto hanno giovato alla conquista russa… in quei luoghi si è costituito un tipo di civiltà materiale e morale non certo uniforme – perché le varietà sono numerose – ma molto caratteristica».

L’unicità caucasica

Le montagne del Caucaso preservano uno scrigno di diversità linguistica e culturale che non ha confronti in nessun’altra parte del pianeta. Nominare tutte le genti che le abitano è un’impresa. Per tale ragione, basti ricordare che, al fianco di popoli di origine europea (Russi in primis, ma anche Tedeschi e Greci), coesistono genti di lingua iranica (Persiani, Talisci, Siro-caldei) e turco-tatara (Turchi, Turkmeni, Nogai, Calmucchi, Caraciai). Senza dimenticare le popolazioni originarie che gli specialisti suddividono in tre sottogruppi: Caucasici sud-occidentali (Georgiani e gruppi affini), Caucasici nord-occidentali (Abcazi, Circassi e Cabardini) e Caucasici nordorientali (Ceceni, Daghestani o Lesghi). Una suddivisione schematica e riduttiva perché in certe aree vivono ancora sparute tribù con proprie caratteristiche. Ad esempio, nella valle del Samur in Daghestan sono stanziati Curini, Rutuli e Tsachur, mentre attorno al monte Šag-Dag hanno sede piccole tribù, quali Chinalugh, Džek e Buduch. E l’elenco può essere ancora molto lungo. Ogni valle, grande o piccola che sia, è un microcosmo che si differenzia da quelle vicine per cultura materiale, religione e tradizioni. Fino agli inizi del Ventesimo secolo la maggior parte di queste genti ha mantenuto strutture sociali che possiamo definire “feudali”. La loro bellicosità, impregnata di valori di coraggio e sprezzo della morte, li ha resi celebri. Indomiti guerrieri che si sono opposti alla penetrazione dell’Impero russo, riuscendo a più riprese a metterlo in difficoltà. Da questo deriva il fascino che questa terra ha esercitato su generazioni di illustri scrittori, esploratori, antropologi, archeologi ed etnografi. Come se questo universo non fosse già abbastanza complesso e variegato, al centro della catena del Caucaso vive ancora oggi un piccolo popolo davvero unico nel suo genere. Diverso dai vicini (Georgiani, Circassi, e Ceceni), gli Osseti sono una popolazione indoeuropea. Si tratta infatti dei resti di quel vasto gruppo di genti che Erodoto identificava con gli Sciti e i Sarmati e, che più tardi, sulla scia delle devastanti invasioni che hanno ridisegnato l’Europa, sono conosciuti come Alani e Rossolani. Abili e indomiti guerrieri, hanno solcato le immensità delle steppe, contribuendo al collasso dell’Impero Romano, prima di scomparire sommersi dalle successive migrazioni slave, magiare e turche. O almeno così si pensava, finché storici e linguisti sono stati in grado di appurare che gli odierni Osseti sono loro imparentati. Come ha sottolineato Dumézil: «Solo i discendenti degli Alani sussistono, con grande vitalità, conservando un parlare che ben si spiega, infatti, partendo da quanto si intravede della lingua degli Sciti, sorella settentrionale, e presto separata, delle lingue classiche dell’Iran. Si capiscono così i segni di crescente attenzione che hanno dedicato agli Osseti, dalla fine del XIX secolo, linguisti, storici, sociologi, folkloristi, e tutti coloro che, da qualsiasi punto di vista, studiano le cose indoeuropee». Ma cosa sappiamo davvero di questo popolo?

Destini diversi

Le prime menzioni di nomi che gli storici collegano agli Alani appaiono su fonti latine e vicino-orientali. In base alle più recenti ricostruzioni, questo popolo, originario dell’Asia Centrale e formatosi dalla fusione dei Massageti (popolo indoiranico) con tribù locali, nel II secolo a.C. migrò verso occidente, insediandosi nella regione tra il Don e il Mar Caspio. Qui divenne la popolazione dominante, contribuendo a rendere forte la confederazione dei Sarmati. Gli Alani sono citati in un’iscrizione del 62 d.C. in cui veniamo a conoscenza che il sovrano partico Vologase I combatté contro un loro esercito guidato dal re Kuluk. E, a quanto pare, ne uscì sconfitto. Lo conferma una testimonianza dello storico ebreo Giuseppe Flavio: «Ora, c’era una nazione di Alani… che vivevano nei dintorni di Tanais e del lago Maeotis [Mar d’Azov]. Questa nazione, in quel periodo, aveva in animo di attaccare la Media e le parti al di là di essa, per saccheggiarle; con questa intenzione trattò con il re di Ircania… Il re diede loro il permesso di attraversarle; così arrivarono in gran numero, piombarono sui Medi [ovvero i Parti] all’improvviso e saccheggiarono il loro paese, che trovarono pieno di gente e rifornito di bestiame in abbondanza, mentre nessuno osava opporre resistenza». Che gli Alani fossero una compagine molto temibile lo si capisce anche dalle fonti latine: nel 135 d.C. un loro esercitò attaccò l’Asia Minore mettendola a ferro e fuoco, finché non fu fermato dal governatore romano, Arriano. Nel III secolo d.C. gli Alani, sotto la spinta dei bellicosi Goti, furono costretti a migrare verso occidente, nella regione a sud del Don, venendo a contatto con gli Unni, da cui furono sottomessi. Lo storico romano del IV secolo, Ammiano Marcellino, scrive che gli Alani sono «un po’ come gli Unni, ma nel loro modo di vivere e nelle loro abitudini sono meno selvaggi». Una parte di loro li seguì nelle loro incursioni, altri rimasero in loco, altri ancora si spostarono verso l’Europa centrale (Pannonia). Questi ultimi, agli inizi del V secolo si coalizzarono con i Vandali partecipando all’invasione della Penisola iberica. Ma le loro razzie non si esaurirono. Nel 429 Alani e Vandali invasero anche il Nord Africa romano, mettendolo a ferro e fuoco.

Il Regno di Alania

Se le tracce delle tribù alane che avevano deciso di migrare all’interno dei confini dell’Impero Romano finiscono col perdersi (molti di loro finirono con l’essere assimilati), meglio documentato è il destino di chi rimase stanziato nei territori originari. Nel corso dei secoli VI-VIII sappiamo dell’esistenza di tribù alane stanziate a nord del Caucaso fino al fiume Don che, a partire dal IX secolo, riuscirono a fondare un potentato comprendente gli odierni territori di Circassia, Cecenia, Inguscezia e Ossezia settentrionale. Nelle fonti del tempo viene chiamato Regno di Alania. Pare che la capitale fosse Maghas, anche se la sua ubicazione è tutt’oggi sconosciuta. Il Regno di Alania fu cristianizzato da un missionario bizantino all’inizio del X secolo e raggiunse il suo massimo splendore nell’XI secolo, durante il regno di un sovrano chiamato Durgulel, grazie al controllo del ramo caucasico della via della seta. L’Alania mantenne strette relazioni con l’Impero bizantino e il Regno di Georgia, fornendo loro mercenari. Il regno incominciò a decadere a partire dal XII secolo per poi soccombere di fronte alle invasioni mongole (pare che la capitale sia stata messa a ferro e fuoco nel 1239). Nonostante la sproporzione delle forze in campo, gli Alani si difesero con i denti confermando la loro fama di ottimi combattenti. Il missionario Pian de Carpine narra dell’assedio di una fortezza ubicata su una montagna durato bel dodici anni: «Noi crediamo che l’abbiano assediata per dodici anni e che loro (gli Alani) abbiano opposto una coraggiosa resistenza e ucciso molti Tatari, compresi molti nobili». Sebbene nessuna altra fonte parli di questo avvenimento, lo storico russo Ivan Krasnov ha ricollegato questa presunta battaglia a due racconti folcloristici documentati nel Caucaso ceceno che parlano di un vecchio cacciatore di nome Idig che, insieme a uno sparuto gruppo di commilitoni, difese il monte Dakuoh (Cecenia) per dodici anni dall’attacco dei Mongoli. Inoltre, lo studioso riferì di aver trovato un certo numero punte di freccia e di lancia del XIII secolo sulla montagna dove si sarebbe svolta la battaglia. Nonostante la strenua resistenza, la popolazione alana scelse di sottomettersi all’invasore e alcuni di loro si unirono agli eserciti invasori che attaccarono l’Europa. La dominazione mongola fu una parentesi dolorosa. Gran parte della popolazione, che abitava le terre a sud del Don, fu costretta a ritirarsi verso il Caucaso centrale, nelle valli a nord e a sud della catena montuosa dove è rimasta fino ai nostri giorni. Gli storici distinguono tre entità territoriali: la regione occidentale di Digor confinante con la terra abitata da Cabardini; Iron che è diventata l’odierna Ossezia del nord (oggi fa parte della Federazione russa); e Tuallag che è la moderna Ossezia del sud in territorio georgiano. A partire dal XV secolo queste genti orgogliose dovettero difendere con i denti la loro terra dalle continue invasioni dell’Impero ottomano e dei Mongoli del Khanato di Crimea. Ecco perché nel XVIII, con l’arrivo delle avanguardie russe nella regione, decisero di stringere alleanza con loro. Non stupisce che il primo avamposto russo a nord del Caucaso sia stato stabilito a Vladikavkaz, centro principale dell’odierna Ossezia del Nord, nel 1774. Nel 1806 l’intera regione era sotto controllo moscovita. L’Ossezia del sud fu invece annessa alla Russia qualche tempo dopo, a seguito della Prima guerra russo-persiana (1804-1813). Da allora, e fino ai nostri giorni, il destino degli Osseti è stato profondamente influenzato dalla politica del “Cremlino”.

Il ciclo dei Narti

L’arrivo dei Russi in Ossezia non ebbe solo risvolti politico-militari. Sul piano culturale l’incontro tra queste due mondi così diversi si è rivelato fecondo, in special modo sul piano culturale. Linguisti e storici son stati rapiti dalla complessità dei racconti e del folclore osseto. Le leggende di questi antichi guerrieri, che erano state tramandate oralmente per secoli e saranno pubblicate in Russia sotto forma di un corpus (oggi conosciuto come Il libro degli Eroi), costituiscono un ricchissimo epos fantastico che ha per centro i “Narti”, eroi mitici, figure primordiali che dedicano la loro vita a feste grandiose, surreali e feroci, muoiono e rinascono con estrema facilità e manipolando le più elementari leggi della natura. Secondo Dumézil, uno dei massimi esperti dell’argomento: «Gli Osseti si rappresentano quegli eroi dei tempi antichi come esseri soprannaturali – uno è nato dalla pietra, un altro ha un corpo d’acciaio e si ritira in cielo dopo un’impresa e l’altra – e nello stesso tempo come dei montanari che avrebbero conservato certi tratti… che i loro discendenti hanno perduto». Tra le cose sopravvissute vale la pena ricordare che il villaggio in cui i Narti vivevano è situato su una collina e si divide in tre quartieri, collocati su tre livelli, occupati ognuno da tre famiglie: in alto vivono gli Æhsærtæggatæ, in basso i Boratæ, nel mezzo gli Alægatæ. I membri di ogni famiglia hanno caratteri tipici: i primi si distinguono per capacità militari ed eroismo, i secondi sono proprietari di mandrie e gli ultimi sono contraddistinti da una grande sapienza. Come ha ribadito Dumézil, si tratta a tutti gli effetti di una tipica struttura del mondo indoiranico, secondo cui ogni società ben costituita deve essere costituita da tre gruppi umani che assicurino, rispettivamente: forza fisica (guerrieri), prosperità economica e sapere magico-religioso. Nel complesso però, come testimoniato dalla grande quantità di racconti cui sono protagonisti, gli Osseti avevano una predilezione per gli Æhsærtæggatæ che in un passo vengono descritti come «una grande e forte famiglia… Non hanno paura di niente e la passione del combattimento li brucia con la sua fiamma azzurra». A riprova di come queste genti, discendenti di impavidi guerrieri, ora costretti dal fluire della storia a trasformarsi in uomini delle montagne, avessero ancora un ricordo del loro illustre passato. D’altronde, il fantastico villaggio dei Narti non è poi così diverso da un villaggio osseto degli inizi del XX secolo. Vi si trovano nobili, il volgo e gli schiavi. I rapporti tra giovani e anziani sono gli stessi, così come le dimore con recinti al cui interno ci sono casa e stalla. E, soprattutto, la torre che nelle montagne del Caucaso, dalla Svanezia al Khevsureti, dal Dahestan alla Cecenia, è un elemento imprescindibile del paesaggio. Il cosiddetto “Cliclo dei Narti”, così chiamato dagli specialisti che hanno raccolto queste leggende, è nato originariamente in Ossezia, ma ben presto si è diffuso presso le popolazioni vicine. Curiosamente, però, in certi casi è stato riadattato alle caratteristiche delle società e delle culture che l’hanno recepito. Ecco perché i racconti in altre regioni del Caucaso presentano singolari variazioni o rivisitazioni. D’altronde, non tutti avevano un passato come quello degli Alani.

Un presente travagliato

Oggi, gli Osseti vivono nella Severnaja Osetija-Alanija (Ossezia del Nord), Repubblica autonoma della Federazione Russa con capitale Vladikavkaz, e la Južnaja Osetija (Ossezia del Sud), regione autonoma della Georgia con capitale Chinvali. La storia recente di queste due entità territoriali è piuttosto travagliata. L’Ossezia del Nord, dopo il collasso dell’Unione Sovietica nel 1991, per via della comunità russa in loco e la presenza di un forte contingente militare, impegnato nel conflitto ceceno guerra in Cecenia, ha risentito meno degli sconvolgimenti verificatisi nella regione caucasica. Allo stesso tempo, però, ha subito gravi attacchi terroristici. Tra questi è impossibile dimenticare l’eccidio di Beslan (2004), quando un commando ceceno ha sequestrato una scuola con oltre un migliaio tra bambini, genitori e insegnanti, provocando la morte di 394 persone. L’Ossezia del Sud, oblast autonomo della Repubblica sovietica di Georgia dal 1922, con la dissoluzione dell’URSS ha avanzato richieste separatiste, chiedendo il ricongiungimento con l’Ossezia del Nord. Nel 1992 la popolazione ha votato per l’indipendenza, decisione che ha dato il via a scontri con l’esercito georgiano. Scontri che sono riaccesi nel 2004. Un nuovo referendum nel 2006 ha chiesto il riconoscimento internazionale dell’indipendenza. A complicare ulteriormente le cose, nell’estate del 2008 i georgiani hanno cercato di ristabilire il controllo sulla regione, provocando l’intervento diretto di Mosca. Il breve conflitto che ne è seguito ha visto l’affermazione dei Russi, che hanno scelto di riconoscere formalmente l’indipendenza del Paese. Decisione che non è stata riconosciuta all’estero.

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