La posizione di Pechino nella questione Israelo-Palestinese: una neutralità a tendenza palestinese

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di Tommaso Brambilla

Sebbene le relazioni diplomatiche tra la Repubblica Popolare Cinese e Israele siano state ufficializzate solo nel gennaio 1992, i legami con la Palestina risalgono al 1965, anno in cui l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina ha aperto un ufficio di rappresentanza in Cina. A partire dal 1978, l’impegno cinese nel Medio Oriente è stato prevalentemente volto a massimizzare i benefici economici nazionali.

Con l’avvento dell’era di Deng Xiaoping nel 1978, la Cina ha orientato la sua politica estera in linea con le necessità interne di sviluppo economico e crescita. Un aspetto chiave di questa strategia è stato garantire fonti affidabili di importazioni energetiche per sostenere il processo di sviluppo economico del Paese. In questo contesto, il Medio Oriente, riconosciuto come un fornitore primario di petrolio e gas, ha assunto un ruolo di rilevanza strategica per la Cina. Dopo il 1992, con la conclusione della Guerra Fredda, la Cina ha intensificato gli sforzi per consolidare legami economici più profondi nella regione, al fine di facilitare l’accelerazione della sua espansione economica e aumentare la sua influenza per competere con le due superpotenze esistenti.

Recentemente, tuttavia, Pechino ha manifestato un crescente interesse nel consolidare e ampliare la propria influenza in Medio Oriente attraverso strategie di soft power, che includono la diplomazia culturale, la cooperazione economica (considerando che la Cina ottiene quasi il 60% del suo petrolio dall’estero, di cui oltre il 40% proveniente dal Medio Oriente) e la partecipazione a organizzazioni internazionali.

Un esempio tangibile è l’utilizzo della crisi israelo-palestinese come trampolino per promuovere la propria agenda politica e per contrastare l’influenza degli Stati Uniti nella regione. Tuttavia, per mantenere un equilibrio delicato e non alienare i partner commerciali, la Cina ha adottato un approccio di neutralità pubblica, sostenendo gli sforzi per ridurre la tensione e ripristinare la pace, pur mantenendo una posizione sfumata.

La Cina, sostenitrice della soluzione a due Stati per la crisi israelo-palestinese, ha anche cercato di mediarne la risoluzione in vari modi. Dopo lo scoppio della guerra tra Israele e il movimento islamista palestinese Hamas il 7 ottobre 2023, il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha chiesto un immediato cessate il fuoco. Inoltre, Wang Yi ha tenuto colloqui con i ministri degli Esteri di diversi Paesi arabi e a maggioranza musulmana, tra cui l’Autorità Palestinese, l’Indonesia, l’Egitto, l’Arabia Saudita e la Giordania. Durante tali incontri, ha esortato la comunità internazionale ad agire con urgenza per arginare il “disastro umanitario” a Gaza. Infine, la Cina si è impegnata a fornire sostegno umanitario al popolo palestinese, trasferendo, tra le altre cose, 1 milione di dollari statunitensi alla Palestina come aiuto umanitario di emergenza.

Nonostante queste azioni, al fine di ottenere vantaggi geostrategici, come anticipato, Pechino mantiene una posizione ambivalente, influenzata da interessi commerciali ed economici nella regione. Inizio modulo

La linea cinese di neutralità a tendenza palestinese                                                                         

Il conflitto israelo-palestinese rappresenta un intricato groviglio di tensioni storiche, politiche e religiose. Una delle questioni centrali è la disputa su Gerusalemme, città sacra per ebrei, cristiani e musulmani, ma proclamata da Israele come sua capitale senza ottenere riconoscimento internazionale. Questa situazione ha generato controversie e dispute alimentando le tensioni nella regione. Un altro elemento cruciale è la presenza di estesi insediamenti ebraici in Cisgiordania, vista da molti come ostacolo alla pace e alla creazione di uno Stato palestinese indipendente. L’esistenza e l’espansione continua di questi insediamenti hanno sollevato preoccupazioni a livello internazionale contribuendo ad acuire le tensioni.

In questo contesto complesso, la posizione di Pechino è plasmata da considerazioni geopolitiche globali. La Cina, ambiziosa nel suo ruolo di guida dei Paesi in via di sviluppo e in contrapposizione agli Stati Uniti, tiene conto della reazione dei Paesi islamici, solidali con la causa palestinese. Questa strategia riflette l’obiettivo cinese di bilanciare i propri interessi globali con le relazioni regionali. Pur dichiarandosi pubblicamente imparziale, la Cina, dietro le quinte, si schiera maggiormente a favore della causa palestinese. Questa posizione può complicare il delicato equilibrio di potere nella regione rispetto a Israele. Tuttavia, la Cina è consapevole dell’importanza strategica di mantenere buone relazioni con Israele nel contesto mediorientale. Sebbene abbia mantenuto a lungo rapporti amichevoli con la Palestina, sostenendo la causa palestinese nei forum internazionali e promuovendo una soluzione pacifica basata sulla coesistenza dei due Stati, la Cina ha stabilito relazioni diplomatiche ufficiali con Israele nel 1992, separando le questioni politiche dall’attività economica nel Paese. Questo approccio consente a Pechino di intraprendere azioni politiche contro Israele, concentrandosi al contempo sull’ottimizzazione delle opportunità economiche.

L’importanza di attori terzi per gli obiettivi di Pechino                                                                         

I legami economici e commerciali della Cina nella zona rivestono un peso notevole. Negli ultimi dieci anni, i rapporti economici tra Cina e Israele sono cresciuti significativamente, quasi raddoppiando da 9,8 miliardi di dollari nel 2011 a 18,2 miliardi di dollari nel 2021. Questi interessi economici influenzano la posizione cinese nel conflitto israelo-palestinese, generando una certa ambivalenza e una neutralità pubblica che genera dubbi.

Se, da una parte, la Cina ha de facto adottato una posizione di neutralità pubblica nel conflitto israelo-palestinese, sostenendo la soluzione dei due Stati, dall’altra, tale neutralità è stata oggetto di controversie secondo alcuni osservatori. In primo luogo, la Cina ha manifestato un supporto più marcato alla causa palestinese attraverso dichiarazioni pubbliche e incontri diplomatici di rilievo. Ad esempio, il Ministro degli esteri cinese, Wang Yi, ha intrattenuto conversazioni telefoniche con i suoi omologhi sauditi e iraniani per discutere della situazione nel conflitto. Durante tali colloqui, Wang ha esortato Israele a “ascoltare le richieste della comunità internazionale e del Segretario Generale dell’ONU, cessando la punizione collettiva dei civili di Gaza”.

Inoltre, la Cina ha cercato di proiettare un’immagine di potenza neutrale ospitando sia il leader dell’Autorità Nazionale Palestinese, Abu Mazen, a Pechino, sia, poco dopo, il Primo Ministro israeliano, Benjamin Netanyahu. Infine, l’inviato speciale del governo cinese per il Medio Oriente ha visitato Paesi chiave come l’Egitto e il Qatar, partecipando al Vertice di pace del Cairo sulla questione palestinese.

Nonostante queste iniziative, sembra che la Cina sia maggiormente interessata a interagire con Paesi terzi che giocano un ruolo significativo nel contesto del conflitto. Questa dinamica può essere interpretata come parte di una strategia più ampia di Pechino volta a espandere la sua influenza sia a livello geopolitico che geoeconomico. Infatti, queste interazioni con Paesi terzi non solo rafforzano la posizione cinese nel contesto del conflitto israelo-palestinese, ma contribuiscono anche a consolidare la sua influenza complessiva nella regione.

Attraverso tali iniziative, la Cina è in grado di promuovere in modo efficace i suoi interessi economici e strategici, compresi quelli legati al commercio, all’energia e alla sicurezza. La partecipazione attiva della Cina a colloqui e vertici sulla pace dimostra la sua crescente importanza come attore globale nell’arena geopolitica del Medio Oriente.

Neutralità pro-Palestina e neutralità Pro-Russia                                                                                    

La Cina sembra dunque sfruttare il caos prolungato nella regione a vantaggio dei suoi interessi strategici, parallelamente a come utilizza il conflitto Russia-Ucraina per destabilizzare le nazioni occidentali e influenzare le risorse del mondo democratico. La linea di Pechino ricorda quella assunta nel contesto della guerra scoppiata il 24 febbraio 2022 con l’invasione delle truppe russe nel territorio ucraino. In entrambi i casi, la linea cinese viene criticata per ambiguità e dubbia imparzialità. Nel contesto ucraino, si potrebbe parlare di una neutralità tendente al supporto di Mosca, simile alla neutralità a tendenza palestinese in Medio Oriente.

In aggiunta a ciò, è interessante sottolineare che, così come nel contesto del conflitto Russia-Ucraina la Cina ha evitato di condannare l’invasione russa, mantenendo un atteggiamento ambiguo, anche in Medio Oriente, pur esprimendo preoccupazione per la situazione, non ha condannato esplicitamente gli atti di Hamas. La portavoce del Ministero degli Esteri cinese, Mao Ning, ha dichiarato lo scorso 9 ottobre che la Cina è “profondamente addolorata per le vittime civili causate dal conflitto tra Palestina e Israele” e che “la Cina si oppone e condanna gli atti che danneggiano i civili”, senza però specificare quali fossero questi “atti”, né tantomeno nominare Hamas.

In entrambe le situazioni, la posizione di Pechino è stata accusata di dubbia neutralità. La Cina controbatte sostenendo che la sua politica riflette il suo pensiero coerente di mantenere l’equilibrio e non andare agli estremi. Come detto in precedenza, la Cina ha espresso la volontà di agire come mediatore nei conflitti. Tuttavia, questa posizione è stata vista come un tentativo di sfruttare il caos prolungato nella regione a vantaggio dei suoi interessi strategici.

La posizione della Cina nel conflitto israelo-palestinese: una possibile previsione

Come già ampiamente evidenziato, la linea cinese nel conflitto israelo-palestinese è stata storicamente caratterizzata da un atteggiamento di neutralità e conciliazione. La Cina, sotto l’egida di Xi Jinping, ha cercato di mantenere una posizione imparziale nel conflitto, agendo come conciliatore tra le varie parti interessate. Questo approccio è in linea con la politica estera cinese, incentrata sulla non interferenza negli affari interni di altri Paesi e sul rispetto della sovranità nazionale. Il governo della RPC ha sottolineato l’importanza della soluzione dei due Stati e della formazione di uno Stato palestinese indipendente, ribadita nelle dichiarazioni del Ministro degli Affari Esteri, che ha evidenziato il ruolo che la Cina può svolgere nel supportare la comunità internazionale per una pace duratura.

La posizione di Pechino nel conflitto israelo-palestinese non può però essere separata dal suo ruolo più ampio nel Medio Oriente. La Cina ha stretto legami economici con vari Paesi della regione, tra cui l’Arabia Saudita e l’Iran e queste relazioni influenzano inevitabilmente la sua posizione nel conflitto.

Data l’attuale posizione della Cina e i suoi interessi strategici nel Medio Oriente, è dunque probabile che continuerà a sostenere una soluzione pacifica e negoziata al conflitto israelo-palestinese. Pechino potrebbe anche cercare di aumentare la sua influenza nella regione attraverso la mediazione e la diplomazia. In conclusione, la posizione del “dragone” nel conflitto israelo-palestinese è probabilmente destinata a rimanere equilibrata, con un impegno per la pace e la soluzione dei due Stati. Ciononostante, l’evoluzione di questa posizione dipenderà da una serie di fattori, tra cui le dinamiche regionali nel Medio Oriente e le relazioni della Cina con altri attori chiave nella regione.

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