Sondaggio: la maggior parte degli americani sarebbe favorevole alla guerra con la Cina

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di Daniel Laryson

Ma le notizie non sono tutte negative. La stragrande maggioranza vuole colloqui sul nucleare con l’Iran e una fine negoziata della guerra in Ucraina.

FONTE ARTICOLO: https://responsiblestatecraft.org/american-public-opinion-on-ukraine/

L’ultimo sondaggio della Fondazione Eurasia Group, intitolato “Order and Disorder: U.S. Foreign Policy in a Fragmented World“, ha affrontato una serie di questioni che vanno dalle sanzioni alla vendita di armi, dagli attacchi con i droni alla guerra in Ucraina, e contiene diversi risultati degni di nota su come gli americani percepiscono i diversi aspetti dell’impegno globale del loro Paese.

Secondo il rapporto, gli americani sono molto aperti alla diplomazia con le potenze ostili, ma, in misura preoccupante, sono anche favorevoli a entrare in guerra con la Cina.

Uno dei risultati principali è che gli americani sono ampiamente favorevoli all’impegno diplomatico diretto con gli avversari e sono ancora più favorevoli ai negoziati con l’Iran sulla questione nucleare. Secondo il sondaggio, due terzi degli americani sono favorevoli ai negoziati con gli avversari anche se questi sono responsabili di violazioni dei diritti umani, sono governi autoritari oppure sono sedi di organizzazioni terroristiche; il 77% è favorevole a proseguire i colloqui sul nucleare con l’Iran e il 58% degli americani vuole anche che gli Stati Uniti spingano per una soluzione negoziata per porre fine alla guerra in Ucraina.

Il sostegno alle soluzioni diplomatiche ottiene la maggioranza degli americani lungo tutto lo spettro politico, per cui, alla luce di ciò, è rimarchevole notare quanto scarso sia il sostegno a tali soluzioni da parte dei nostri rappresentanti eletti e dei responsabili politici a Washington.

Alcuni dei risultati del rapporto non sorprendono.

Esiste una divisione partitica sulla politica riguardante l’Ucraina con i Democratici che tendono ad essere molto più favorevoli all’approccio dell’amministrazione rispetto ai Repubblicani, mentre i Repubblicani sono i più accaniti quando si tratta della Cina.

Ma forse uno dei risultati più sorprendenti e significativi è la misura in cui gli americani di tutti gli schieramenti politici si dicono ora favorevoli a un intervento diretto in una guerra per Taiwan.

Altri sondaggi condotti negli ultimi anni hanno rilevato che circa il 40% degli americani è favorevole a un intervento diretto degli Stati Uniti in caso di attacco cinese, ma il sondaggio dell’EGF ha rilevato che il sostegno complessivo all’intervento è del 60%. Questo potrebbe essere il risultato delle crescenti tensioni tra Cina e Taiwan e del continuo deterioramento delle relazioni tra Stati Uniti e Cina registrate nell’ultimo anno, dopo la visita sconsiderata dell’ex presidente della Camera Pelosi a Taipei la scorsa estate. Potrebbe anche essere causato dal costante ritmo della retorica anti-cinese da parte di membri di entrambi i partiti. Potrebbe anche essere una combinazione di tutte e tre le cose.

In ogni caso, si tratta di un aumento significativo del sostegno pubblico all’entrata in guerra per Taiwan, che suggerisce come l’opinione pubblica non si renda pienamente conto di quanto sarebbe costosa e pericolosa una guerra di questo tipo. Il sostegno all’intervento è relativamente debole, con la maggior parte dei sostenitori che si dichiarano solo “un po'” favorevoli all’invio di forze statunitensi per aiutare a difendere Taiwan, ma non si può negare che si tratti di un cambiamento importante nell’opinione pubblica statunitense negli ultimi dieci anni; se la maggioranza dell’opinione pubblica ora dice di essere favorevole a scatenare una guerra importante con un avversario dotato di armi nucleari, allora non si può non considerare una misura di quanto sia diventato dominante il pensiero del gruppo dei falchi sulla politica nei confronti della Cina

L’opinione pubblica è divisa quasi esattamente a metà sul fatto che gli Stati Uniti debbano vendere armi ad altri Paesi. Il 53% ritiene che gli Stati Uniti dovrebbero smettere di vendere armi. Il risultato delle risposte relative alla domanda sulla vendita di armi è sorprendente perché la domanda si riferisce solo alla “vendita di armi a livello globale” senza dire nulla sui governi che le acquistano. La maggior parte degli intervistati democratici e indipendenti afferma che gli Stati Uniti non dovrebbero continuare a vendere armi, e anche il 48% dei repubblicani dice lo stesso.

Sebbene questa opposizione alla vendita di armi sia probabilmente influenzata dai dibattiti sull’armamento dell’Arabia Saudita e di altri governi autoritari abusivi, è importante notare che gli intervistati rifiutano tutte le vendite di armi, indipendentemente dalla loro destinazione.

Mentre gli americani sono divisi sull’opportunità di continuare con la vendita di armi, la maggior parte di essi è generalmente d’accordo con le sanzioni statunitensi e per qualche motivo le ritiene uno strumento politico efficace. Poco più del 60% degli americani ha dichiarato che le sanzioni sono “sempre” – o “spesso” – uno strumento efficace e solo il 39% ha affermato che sono “raramente” o “mai” efficaci. Questo dato è alquanto sorprendente se si considerano i ripetuti fallimenti delle sanzioni – soprattutto di quelle più ampie – nel raggiungere gli obiettivi politici dichiarati e l’ampio danno umanitario che, piuttosto, esse causano alle popolazioni che ne sono il bersaglio.

Come mai così tanti americani hanno l’impressione che le sanzioni siano uno strumento efficace quando chiaramente non lo sono?

È difficile dirlo, ma forse una ragione di questa opinione è l’uso costante delle sanzioni come risposta predefinita del governo in così tanti luoghi diversi. Può darsi che l’opinione pubblica dia per scontato che le sanzioni siano efficaci, altrimenti non verrebbero imposte così frequentemente. Quando sono stati interpellati sulle diverse ragioni che spingono il governo a imporre sanzioni, forse gli intervistati hanno concluso che lo strumento deve essere utile se viene utilizzato per affrontare così tanti problemi.

Le risposte alla domanda sulle sanzioni sono state tra le più scoraggianti dell’intero sondaggio, perché sono così avulse dalla realtà e non mostrano alcuna consapevolezza dei terribili precedenti creati dalle sanzioni economiche. Gli intervistati indipendenti sono stati i meno propensi ad affermare che le sanzioni sono uno strumento politico efficace, ma anche in questo caso la visione favorevole alle sanzioni ha prevalso di poco. L’infondata fiducia dell’opinione pubblica nell’efficacia delle sanzioni non è una novità, ma rappresenta un ulteriore ostacolo agli sforzi per limitare e possibilmente porre fine all’uso della guerra economica.

Uno dei risultati più incoraggianti è stato il sostegno a stretta maggioranza per l’abrogazione dell’Autorizzazione all’uso della forza militare (AUMF) del 2001. Il 54% si dichiara favorevole all’abrogazione dell’autorizzazione, con un sostegno maggiore tra i democratici (56%) e gli indipendenti (62%). Due repubblicani su cinque sono d’accordo con l’abrogazione dell’autorizzazione. È significativo che non abbiano menzionato l’approvazione di una nuova autorizzazione per sostituire quella vecchia. La maggior parte degli americani sembra aver chiuso con la “guerra al terrorismo” e vuole sbarazzarsi dell’autorizzazione che è stata usata per combatterla.

A due anni dal ritiro degli Stati Uniti dall’Afghanistan, l’opinione pubblica ha ancora una valutazione generalmente negativa della guerra.

La maggior parte degli americani conclude comprensibilmente che la guerra è stata un fallimento, e il 30% ritiene che la guerra abbia fallito la sua missione fin dall’inizio. Un altro 32% sostiene che la guerra sarebbe dovuta finire dopo la morte di Osama bin Laden. Solo il 13% ritiene che il ritiro abbia danneggiato la credibilità degli Stati Uniti, il che dimostra che pochissime persone nel Paese credono al falso argomento della credibilità che i falchi hanno venduto per tutti questi anni.

I risultati del sondaggio dell’EGF indicano alcune aree promettenti per la riforma delle politiche. Sembra esserci terreno fertile per l’abrogazione dell’AUMF e per un’importante revisione della vendita di armi statunitensi. Purtroppo, ci sono altre politiche, tra cui quelle concernenti le sanzioni, che richiederanno molto più lavoro in termini di educazione dell’opinione pubblica e di cambiamento del modo in cui gli americani comprendono questi temi.

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