Il golpe in Niger assesta un altro colpo al dominio neocoloniale dell’Africa

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di Giulio Chinappi

La rimozione del presidente Mohamed Bazoum, in seguito ad un golpe militare guidato dal generale Omar Tchiani, ha privato gli Stati Uniti e l’Unione Europea del loro principale interlocutore nella regione del Sahel

FONTE ARTICOLO

Lo scorso 26 giugno, un gruppo di militari ha annunciato di aver destituito il presidente del NigerMohamed Bazoum (in foto). In una dichiarazione trasmessa dalla televisione nazionale, il colonnello-maggiore Amadou Abdramane ha affermato che “le forze di difesa e di sicurezza […] hanno deciso di porre fine al regime che conoscete”. “Ciò fa seguito il continuo deterioramento della situazione della sicurezza, la cattiva gestione sociale ed economica”, ha aggiunto il portavoce dei militari golpisti. Il soldato ha aggiunto che i confini del Paese sono stati chiusi ed è in vigore un coprifuoco a livello nazionale.

Mohamed Bazoum aveva preso le redini della presidenza del Niger nell’aprile del 2021, dopo aver ricoperto diversi incarichi ministeriali negli anni precedenti. Salito al potere come erede del suo predecessore Mahamadou Issoufou, Bazoum aveva proseguito sulla linea della stretta collaborazione con l’occidente, per mezzo soprattutto della presenza militare dell’ex potenza coloniale, la Francia, e degli Stati Uniti, ma anche dell’Italia. Dopo i colpi di Stato che hanno portato a cambi di governo in Mali e in Burkina Faso, il governo di Niamey era diventato il principale punto di riferimento dell’Occidente nella regione del Sahel, anche per mezzo della stipulazione di accordi sul controllo dei flussi migratori e sull’assistenza militare per la lotta al terrorismo.

Non è dunque un caso che gli Stati Uniti si siano affrettati a manifestare le proprie preoccupazioni per la situazione in Niger, chiedendo l’immediato rilascio di Bazoum. Solo nello scorso mese di marzo, il segretario di Stato Antony Blinken aveva visitato il Paese africano, diventando il primo capo della diplomazia statunitense a visitare il Niger, con l’obiettivo dichiarato di “porre un argine alla crescente influenza russa nella regione del Sahel” e in tutto il continente africano. “Stamattina ho parlato con il presidente Bazoum e ho chiarito che gli Stati Uniti lo sostengono risolutamente come presidente democraticamente eletto del Niger“, ha affermato Blinken poche ore dopo il golpe, dal suo viaggio in Nuova Zelanda.

Gli analisti hanno fatto notare come il golpe in Niger sia il settimo episodio di questo tipo verificatosi nell’Africa occidentale e centrale dal 2020, dimostrando da un lato come la regione stia vivendo una fase di grande instabilità, e dall’altro come il dominio neocoloniale occidentale e il servilismo dei governi africani nei confronti di Washington e Parigi abbiano sempre meno sostenitori. “Il Niger, ex colonia francese senza sbocco sul mare, è un alleato fondamentale per le potenze occidentali che cercano di aiutare a combattere i gruppi armati ed è anche un partner chiave dell’Unione Europea nella lotta contro la migrazione irregolare dall’Africa sub-sahariana”, si legge sul portale di Al Jazeera.

Le preoccupazioni degli occidentali per il Niger non sono certo dovute a questioni di principio sulla sedicente democrazia che promuovono nel mondo, ma piuttosto ai propri interessi strategici diretti. “Gli Stati Uniti hanno due basi di droni in Niger. Hanno anche circa 800 soldati, alcuni dei quali sono ritenuti forze speciali che hanno addestrato l’esercito nigeriano“, ha ricordato Mike Hanna, giornalista di Al Jazeera. “In sostanza, il Niger è l’ultimo alleato degli Stati Uniti rimasto in piedi in quella particolare regione del mondo. I governi dei vicini Mali e Burkina Faso sono stati rovesciati da colpi di stato militari, ed entrambi questi paesi hanno espulso i soldati francesi che erano lì e si sono rivolti alle forze sostenute dalla Russia per ottenere protezione. Quindi questo è qualcosa che gli Stati Uniti sanno e stanno osservando con grande preoccupazione, e questo potrebbe essere il prossimo passo in ciò che sta accadendo in Niger“.

Piaccia o meno, il presidente Mohamed Bazoum non detiene più le redini del governo di Niamey, ed ora gli occidentali dovranno trattare con il generale Omar Tchiani, comandante delle guardie presidenziali del Niger, autonominatosi capo del nuovo governo militare del Paese. Nominato alla guida delle guardie presidenziali dall’ex presidente Mahamadou Issoufou a partire dal 2011, Tchiani ha guidato l’unità che ha bloccato un tentativo di colpo di stato nel Paese nel marzo 2021, quando alcuni militari avevano cercato di impadronirsi del palazzo presidenziale giorni prima che Bazoum, appena eletto, prestasse giuramento. Ora Tchiani si trova a guidare il Paese, e non sappiamo ancora se seguirà la strada dei vicini Mali e Burkina Faso, o se invece rinnoverà la collaborazione con le potenze occidentali, ma di certo la sua mossa non gli ha fatto guadagnare punti agli occhi di Washington e Parigi.

Quello che è sicuro è che negli ultimi anni si stanno moltiplicando le fasi di instabilità governativa nei Paesi africani, con episodi che stanno riportando la storia del continente a quanto succedeva nel corso del ‘900, nei primi decenni dopo le indipendenze. Anche Paesi storicamente stabili come il Senegal stanno vivendo momenti difficili, come dimostra il recente arresto del leader dell’opposizione Ousmane Sonko, accusato di orchestrare un’insurrezione contro il governo del presidente Macky Sall, mentre, in Africa orientale, il Kenya è reduce da settimane di proteste dopo che il governo ha proposto l’aumento delle tasse. La situazione a Nairobi sembra essere rientrata solo dopo che il presidente William Ruto ha accettato di intrattenere dei colloqui con il leader dell’opposizione Raila Odingada lui sconfitto alle elezioni dello scorso anno, nei prossimi giorni.

Le leadership corrotte e asservite ai dettami delle ex potenze coloniali e della potenza imperialista statunitense rappresentano un grave problema del continente africano. Certamente illegali secondo l’ordine costituzionale, i colpi di Stato sembrano essere tuttavia l’unico strumento che questi Paesi hanno per sottrarsi al dominio neocoloniale e cercare di risolvere i propri problemi autonomamente, una questione che è stata sollevata anche al recente vertice Russia-Africa di San Pietroburgo, dove la maggioranza dei leader africani ha dimostrato di considerare Mosca come un interlocutore affidabile e non spinto da logiche egemoniche come quelle occidentali.

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