LA TURCHIA DI FRONTE AL TERREMOTO: UN AGGIORNAMENTO

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di Aldo Braccio

Fronteggiare l’imprevedibile. Pianificare e organizzare il prevedibile. Come ogni Paese soggetto a gravi rischi di eventi sismici la Turchia deve rispondere a questi due imperativi vitali dopo il disastroso terremoto del febbraio 2023 (anno del centenario della fondazione della Repubblica, iniziato così tragicamente).

Una nuova fortissima (magnitudo 6,4) scossa registrata ad Antakya (Antiochia) il 20 febbraio ha purtroppo ricordato che lo sciame sismico è virulento e destinato a protrarsi, anche se sperabilmente in misura decrescente. Il terremoto del 6 febbraio si è manifestato in due diverse faglie, rendendo la situazione ancora più tragica e imprevista: la prima faglia orientata da nordest a sudovest, per effetto della spinta da sud della placca arabica, che ha determinato uno spostamento di oltre tre metri del blocco anatolico; la seconda orientata da est a ovest, con angolo acuto rispetto alla prima.

La discussione si è comprensibilmente accesa su quanto poteva essere e non è stato fatto per scongiurare o almeno mitigare una tragedia di queste proporzioni (ricordiamo: circa 40.000 vittime solo in Turchia a fine febbraio, senza cioè tenere il conto della gravissima situazione siriana, con le sue migliaia di vittime).

Le autorità turche, e anche il mondo scientifico turco e quello internazionale, pongono l’accento sull’assoluta eccezionalità degli eventi, sottolineando che a poche ore di distanza fra l’una e l’altra si sono verificate due scosse di immane potenza sulle due diverse linee di faglia: una cosa mai vista prima. Il professore di geofisica ed esperto di terremoti riconosciuto internazionalmente Övgün Ahmet Ercan afferma che “non c’è mai stato al mondo un terremoto di questo tipo”. Il professore Edwin Nissen, dell’Università di Victoria, in Canada, sostiene che si sia trattato di uno “tra i cinque più grandi terremoti mai verificatasi”.

Sembra pertanto giusto riconoscere l’eccezionalità dell’evento di fronte alla quale probabilmente qualsiasi intervento umano sarebbe risultato inadeguato. Tuttavia resta da chiedersi se in Turchia opportune ed efficaci misure di prevenzione del rischio fossero state prese: parliamo qui di Turchia e non di Siria, in cui la situazione tragica determinata da anni di aggressione internazionale e di sanzioni contro quella martoriata nazione ha di fatto impedita ogni misura di protezione del territorio. Dopo il tragico terremoto del 1999 – quasi 20.000 in quell’occasione furono le vittime – in Turchia fu introdotta una normativa antisismica che è stata concretamente attuata solo in parte. L’arresto di diverse decine di costruttori edili subito dopo il terremoto del 6 febbraio lascia presagire la realtà di edificazioni costruite senza rispetto degli standard antisismici e senza efficaci controlli da parte degli enti pubblici preposti; al 25 febbraio risultano oltre 600 le persone indagate, di cui quasi 200 già in carcere. Molte case e palazzi edificati senza strutture portanti in cemento armato, cattiva qualità del calcestruzzo, tondini di acciaio troppo sottili, risparmio sui costi, queste le denunce provenienti da più parti che si sommano a quelle provenienti dall’Unione delle camere degli ingegneri e degli architetti turchi (Türk Mühendis ve Mimar Odaları Birliği) in merito alla costruzione dell’aeroporto di Hatay proprio sulla faglia sismica, una decisione giudicata irresponsabile. L’uso e l’abuso del condono edilizio non ha fatto altro che peggiorare gravemente il quadro complessivo.

Certo non è andata sempre così: si cita spesso il caso di Erzin, cittadina di circa 30.000 abitanti ubicata nella vasta area colpita dal sisma del 6 febbraio che non ha avuto neppure una vittima. Il sindaco ha sottolineato che “non abbiamo, come municipalità, permesso appalti o costruzioni non a norma”. Certamente il caso di Erzin non dimostra che se nel resto dell’area terremotata il comportamento fosse stato analogo non vi sarebbero state vittime, ma che gli effetti sarebbero stati parzialmente mitigati probabilmente sì.

Fra gli aspetti positivi dell’iniziativa pubblica in campo antisismico va invece segnalato il piano avanzato e coraggioso per isolare in tutto il territorio nazionale le strutture ospedaliere: i dati e gli esiti pervenuti sono infatti confortanti – gli ospedali sono rimasti in piedi e sono operativi, a partire da quello presente nel distretto di Elbistan, nella provincia di Kahramanmaraş, la più colpita in assoluto dal sisma. Ovviamente la situazione apocalittica ha fatto sì che il sistema ospedaliero fosse comunque in una condizione difficilissima e al limite del collasso, con la necessità di mobilitare gli ospedali sparsi in tutto il Paese e altre strutture da campo allestite in tutta fretta.

L’Autorità per la gestione dei disastri e delle emergenze (AFAD), istituita nel 2007, coordina le istituzioni pubbliche e private che fronteggiano eventi disastrosi come i terremoti. In questi giorni ha comunicato che sono 32.000 le persone impegnate nei soccorsi, cui si aggiungono oltre 8.000 soccorritori internazionali. C’è anche da rilevare la grande mobilitazione delle piccole imprese e dei produttori locali nei confronti dei sinistrati, che dimostra la compattezza e la solidarietà generosa della società turca, specie quella rurale. Come aiutare – anche dall’Italia, con un atto anche piccolo di solidarietà – le popolazioni così duramente colpite dalla catastrofe ? Contatti attendibili suggeriscono di previlegiare le organizzazioni pubbliche (AFAD, Kızılay, Diyanet Vakfı), per esempio attraverso il conto iban predisposto dall’ambasciata turca in Italia (IT87N0200805001000106665316 – causale donazione per il terremoto), in quanto tali organizzazioni hanno maggiormente il polso della situazione e la capacità di muoversi là dove maggiore è l’emergenza. Aggiungiamo soltanto che le accuse di qualche media occidentale sulle presunte discriminazioni che subirebbero – nella tempistica dei soccorsi – alcune zone in quanto abitate da curdi sono talmente vergognose e in malafede che non meritano risposta. Appartengono alla bassa propaganda politicante, che non si ferma neppure di fronte alla tragedia.

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