Kazakhstan: protesta del petrolio, rivoluzione colorata o qualcos’altro?

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di Andrew Korybko
Traduzione per il CeSEM di Stefano Vernole

È importante che gli osservatori riconoscano che il Kazakhstan, come la maggior parte dei Paesi, ha problemi socio-economici e politici preesistenti da cui le forze interne tentano organicamente di trarre vantaggio di volta in volta con o senza collegamenti o incoraggiamenti stranieri.

La nazione dell’Asia centrale del Kazakhstan è stata scossa da proteste sempre più violente dall’inizio dell’anno per il raddoppio dei prezzi del gas di petrolio liquido (GPL), che è stato promulgato come parte delle sue riforme del settore energetico nel 2019, al fine di impedire a questo ambito di continuare ad operare in perdita durante la produzione del prodotto. I prezzi sono raddoppiati nell’arco di un giorno o due, il che è servito come pretesto per manifestazioni non autorizzate su larga scala nella sua ex capitale Alma Ata e nel centro energetico di Zhanaozen, quest’ultimo già teatro di disordini nel 2011.

I servizi di sicurezza sembrano aver contenuto con successo i tumulti dopo che il Governo ha imposto uno stato di emergenza di due settimane e il relativo coprifuoco in quelle due aree. Da allora, oltre 200 persone sono state detenute, quasi 100 agenti di polizia feriti e diverse dozzine di veicoli di servizio sono stati danneggiati (alla data del 5 gennaio). La componente politica della strategia di riduzione dell’escalation dello Stato includeva le dimissioni del Governo, il presidente Tokayev lo ha incolpato, insieme alle principali compagnie energetiche del suo Paese, per l’attuazione sciatta delle riforme e gli ha ordinato la regolamentazione di sei mesi dei prezzi dell’energia.

Il presidente Tokayev ha anche invitato i suoi cittadini a mostrare prudenza e ad astenersi da attività illegali come atti di vandalismo e attacchi contro membri dei servizi di sicurezza. Inoltre, ha promesso che il Paese non crollerà e ha affermato che il suo sistema politico rimarrà invariato. Attraverso la sua leadership proattiva e pragmatica, il peggio di questa crisi apparentemente inaspettata sembra essere già passato. I servizi di sicurezza meritano anche un elogio per non aver risposto in modo sproporzionato alla violenza che avrebbe potuto essere manipolata da forze ostili in patria e all’estero per aumentare ulteriormente le tensioni.

Il Centro Studi Eurasia e Mediterraneo propone la traduzione di alcuni degli articoli proposti dall’analista geopolitico Andrew Korybko

La domanda nella mente di molti osservatori è se i recenti eventi siano indicativi di una protesta indigena contro l’aumento del prezzo del petrolio o se potrebbero essere scoperte tracce di una Rivoluzione Colorata. Ciò che è realmente accaduto sembra essere stato un misto di opposizione e forze criminali che hanno sfruttato opportunisticamente un cosiddetto “evento scatenante” che si combinava con la speculazione dei media stranieri per sollevare domande sulla stabilità precedentemente lodata del Kazakistan nella sua regione stereotipicamente instabile.

In altre parole, le proteste autentiche (ma tuttavia non autorizzate e quindi illegali) sono state dirottate da forze interne guidate da secondi fini le cui azioni sono state a loro volta sfruttate da forze esterne per manipolare le percezioni globali su questo paese geostrategicamente posizionato e che si trova proprio al centro del partenariato strategico russo-cinese. L’opposizione nelle ex Repubbliche sovietiche collabora abitualmente con elementi criminali e fa affidamento sul supporto indiretto dei media occidentali per legittimare i propri atti di violenza superficialmente politici volti a spingerli al potere.

Avendo spiegato tutto questo, è improbabile che l’Occidente guidato dagli Stati Uniti sia seriamente intenzionato a portare avanti un cambio di regime in Kazakhstan. Piuttosto, sono già attive vaste reti di influenza all’interno di questo Paese e di molti altri, che hanno lo scopo di rispondere organicamente a “eventi scatenanti” come aumenti di prezzo prestabiliti (o più precisamente, la rimozione pianificata di alcuni sussidi come parte delle riforme settoriali dello Stato in questo caso) o elezioni. Il più delle volte, la risposta politica dello Stato preso di mira e quella simmetrica dei suoi servizi di sicurezza determinano se la situazione peggiorerà o meno.

Oggettivamente parlando, gli Stati Uniti non hanno alcun interesse genuino a catalizzare un caos incontrollabile in Kazakhstan. Quel Paese collabora già da vicino con gli USA ed è membro della cosiddetta Partnership for Peace della NATO. Inoltre, ospita anche alcuni laboratori biologici statunitensi. Inoltre, negli ultimi anni gli USA hanno cercato di espandere i propri legami economici con il Kazakhstan in conformità con la loro “Strategia per l’Asia centrale 2019-2025”, che si concentra principalmente sulla cosiddetta “diplomazia economica” anziché sul divide et impera, geopolitica da cui erano state precedentemente definite le politiche regionali di Washington.

I cinici potrebbero ipotizzare, e certamente non senza precedenti come è stato appena accennato nella frase precedente, che gli Stati Uniti potrebbero cercare di destabilizzare attivamente il Kazakhstan nella speranza che l’instabilità guidata dal terrorismo si riversi sui confini russi e cinesi. Sebbene ciò sia sempre possibile, uno scenario del genere sembra improbabile, soprattutto perché l’alleato russo nella difesa reciproca della CSTO del Kazakhstan lo assisterebbe con tutti i mezzi possibili per evitare che ciò accada. La prova dell’ingerenza americana metterebbe immediatamente fine agli sforzi di sensibilizzazione regionale guidati dalla “diplomazia economica” di quel Paese.

Detto questo, è effettivamente possibile che alcuni dei gruppi di opposizione e criminali responsabili dei recenti disordini abbiano dei legami con strutture americane o occidentali, comprese le ONG, nonché con quelle che potrebbero anche essere organizzate/appoggiate dal governo (“GONGOs”). Anche se così fosse, tuttavia, dimostrerebbe semplicemente che vaste reti di influenza sono già state profondamente radicate all’interno di quel Paese, ma non sarebbe di per sé una prova che ogni singola azione di coloro che vi sono associati sia stata orchestrata dai loro partner stranieri.

È importante che gli osservatori riconoscano che il Kazakhstan, come la maggior parte dei Paesi, ha problemi socio-economici e politici preesistenti da cui le forze interne tentano organicamente di trarre vantaggio di volta in volta con o senza collegamenti o incoraggiamenti stranieri. Sebbene quel Paese sia tra le più grandi storie di successo dalla Vecchia Guerra Fredda, esistono ancora le divisioni di reddito e c’è un certo segmento della popolazione che si sente escluso dalla crescita astronomica del Kazakkstan negli ultimi tre decenni. Sono quelli più direttamente colpiti dall’impennata del prezzo del carburante e che potrebbero essere influenzati da altri.

Il presidente Tokayev lo comprende perfettamente, motivo per cui ha giustamente accusato il suo Governo e le compagnie energetiche di aver attuato in modo approssimativo le riforme settoriali previste dal 2019. Avrebbero potuto fare un lavoro decisamente migliore preparando la popolazione a questo aumento dei prezzi, che avrebbe dovuto essere fatto gradualmente e non attraverso un raddoppio quasi istantaneo del prezzo. Non ne avrebbe parlato se non fosse vero, motivo per cui gli osservatori non dovrebbero speculare selvaggiamente sul fatto che tutto fa parte di una trama della rivoluzione colorata americana. Se lo fosse stato, il presidente Tokayev lo avrebbe denunciato invece di incolpare il suo Governo.

Come per ogni sviluppo che attira l’attenzione internazionale, ci sono diverse lezioni da trarre da ciò che è appena accaduto in Kazakhstan. In primo luogo, le riforme del settore energetico devono essere attuate in modo graduale e responsabile per evitare di fungere inavvertitamente da “evento scatenante” da sfruttare per le forze politiche e criminali interessate. In secondo luogo, quegli individui ben intenzionati che sono stati indotti in errore a partecipare a manifestazioni non autorizzate (illegali), dovrebbero almeno comportarsi in modo responsabile astenendosi da qualsiasi altra attività illecita come atti di vandalismo e attacchi agli agenti di polizia.

In terzo luogo, gli stati di emergenza e il coprifuoco sono mezzi efficaci per contenere i disordini improvvisi. In quarto luogo, le politiche di sicurezza devono essere accompagnate da quelle sociali e da quelle che tentano di riprendere il controllo della narrativa nazionale per risolvere con successo la situazione, esattamente come ha fatto il presidente Tokayev. E quinto, non tutti gli scoppi di disordini apparentemente inaspettati sono una trama della Rivoluzione colorata americana, quindi gli osservatori farebbero bene a valutare in modo più obiettivo le situazioni in rapido svolgimento prima di saltare alle conclusioni come alcuni nella comunità di Alt-Media hanno già fatto negli ultimi giorni.

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