La promessa cinese di appoggiare pienamente la Siria potrebbe essere un punto di svolta geopolitico

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Autore: Andrew Korybko
Traduttore: Marco Ghisetti

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La promessa del Presidente Xi di appoggiare pienamente la Siria in seguito alle sue ultime elezioni potrebbe essere un punto di svolta geopolitico se la retorica del messaggio presagisce una nuova realtà in cui la Repubblica Popolare assiste la sua controparte araba nell’aiutarla nel difficile tentativo di giostrarsi tra le varie pressioni straniere.

L’azione di equilibrio siriana

La Siria è impantanata in un dilemma geopolitico da un po’ di anni, anni nei quali è stata messa sotto pressione da potenze sia amiche che ostili per farle attuare delle riforme politiche con l’obiettivo di procedere difficoltosamente con il processo di pace. Ciò ha preso la forma sia della “bozza di costituzione” scritta dalla Russia nel 2017, che era un tipo di pressione molto velato e volto a trovare compromessi reciproci tra tutte le legittime parti conflittuali, sia la forma dei più aggressivi tentativi degli Stati Uniti volti ad obbligare Damasco a fare concessioni politiche unilaterali. Schiacciata tra queste due parti rivali che stanno essenzialmente promuovendo risultati strutturali molto simili, la Siria ha abilmente rafforzato le sue relazioni con l’Iran di modo da migliorare la sua posizione strategica e quindi guadagnare tempo in attesa di raggiungere un eventuale punto di svolta.

I rischi iraniani

Lo strumento iraniano della grande strategia siriana non è esente da difficoltà, poiché sia la Russia che gli Stati Uniti preferirebbero che le forze militari della Repubblica Islamica abbandonassero la Repubblica Araba – seppur per motivi diversi – nonostante le forze iraniane siano stati legalmente invitate ad operare a Damasco. La Russia auspica un ritiro iraniano dignitoso e graduale che possa portare ad una serie di accordi diplomatici volti a garantire una lunga pace nell’Asia occidentale, mentre invece gli Stati Uniti sono sempre stati semplicemente contrari all’espansione regionale dell’influenza iraniana per principio. Inoltre, tutti e due sono alleati di “Israele”, seppure in maniera diversa, il quale considera la presenza militare iraniana nella vicina Siria una seria minaccia alla propria sicurezza nazionale. Tuttavia, la Siria è rimasta fedele all’Iran e si è rifiutata di chiedere il ritiro delle truppe iraniane nonostante le centinaia di bombardamenti “israeliani”.

Letture di contesto

Il quadro generale è naturalmente molto più complesso di quanto riassunto sopra, ma i lettori intrepidi possono rileggere le analisi precedenti dell’autore di queste complicate dinamiche se sono interessati a conoscere più approfonditamente i dettagli e le varie dinamiche:

* 3 febbraio 2017: “Siria: analizzando I dettagli della bozza di costituzione siriana scritta dalla Russia”

* 22 agosto 2018: “Teoria del caos, guerra ibrida e futuro della Siria”

* 3 febbraio 2021: “Intervista di Korybko al giornale iraniano Farhikhtegan”

* 7 febbraio 2021: “La Siria dovrebbe parlare con gli Stati Uniti dato che i suoi alleati iraniani e russi lo stanno già facendo”.

* 8 febbraio 2021: “Bilanciare gli interessi regionali in Siria è l’unico modo per raggiungere una soluzione di compromesso”.

* 26 febbraio 2021: “Perché l’Alt-Media non chiede degli S-300 dopo l’ultimo colpo di Biden in Siria?

* 17 marzo 2021: “L’Iran dovrebbe preoccuparsi del coordinamento della Russia con ‘Israele’ e gli Stati Uniti in Siria?

* 25 maggio 2021: “Il significato strategico delle elezioni siriane”.

Riassumendo, praticamente la Siria sembrava destinata a concedere varie concessioni politiche volte a decentralizzare lo Stato e a richiedere un ritiro dignitoso e graduale dell’Iran, se voleva avere una qualche realistica possibilità per rimuovere le sanzioni unilaterali degli Stati Uniti e, quindi, poter finalmente ricostruire il proprio Paese.

Il punto di svolta cinese

Tutte le osservazioni che sono state riportate nei precedenti paragrafi sono state vere per anni, ma potrebbero diventare presto obsolete qualora la recente retorica cinese presagisca una nuova realtà. Il Presidente Xi ha promesso nel telegramma che ha inviato alla sua controparte siriana dopo le ultime elezioni della Repubblica Araba che la Repubblica Popolare, oltre a promettere aiuti per il Covid-19 e il rafforzamento delle relazioni bilaterali, “fornirà tutta l’assistenza possibile […] per rivitalizzare l’economia del Paese e migliorare la vita della popolazione”. Praticamente ciò era una eventualità la cui venuta in essere si stava mano a mano avvicinando, come ho scritto nelle seguenti analisi:

* 13 novembre 2020: “La Nuova Via della Seta cinese può aiutare la Siria a ricostruirsi dopo la guerra”.

* 15 dicembre 2020: “Korybko: Il ruolo complementare di Iran, Cina, Russia nella ricostruzione della Siria”

* 4 aprile 2021: “Korybko: l’accordo di 25 anni è un messaggio per gli Stati Uniti: Iran e Cina non saranno ‘contenuti'”.

Detto in breve, il recente accordo strategico sino-iraniano della durata di 25 anni permette alla Repubblica Popolare di collegarsi con la Repubblica Araba per il tramite del Pakistan, espandendo il proprio progetto della Via della Seta verso occidente tramite il W-CPEC+: questo nascente corridoio può in un secondo momento espandersi ulteriormente verso ovest fino alla Siria. Inoltre, la profondamente radicata influenza dell’Iran e l’indiscutibile fiducia che i suoi rappresentanti godono colle controparti siriane possono aprire molte porte alla Cina. Il risultato finale è che Damasco potrebbe non esser obbligata a concedere alcun compromesso se l’assistenza della Via della Seta di Pechino l’aiuta a ricostruire il proprio Paese.

Le conseguenze strategiche

Fino ad ora, la Russia sembrava dare per scontato che la Cina non avrebbe mai seriamente investito in Siria nel prossimo futuro per via della irrisolta situazione politico-militare che potrebbe mettere in pericolo i progetti della Via della Seta. Tuttavia, sembra che la Repubblica Popolare ha interpretato la positiva conclusione delle ultime elezioni siriane come un forte messaggio al mondo, che mostra che ormai tutto sta tornando alla normalità nella Repubblica Araba, tanto da permettere alla Cina di investirci cospicuamente. Se ciò dovesse avvenire, allora la leva strategica della Russia in Siria diminuirebbe, poiché Damasco non avrebbe più nessun incentivo per procedere con i progetti che Mosca la ha gentilmente incoraggiata a completare – compreso quello relativo alla richiesta di un ritiro dignitoso ma graduale dell’Iran dal Paese.

I calcoli russi

L’azione bilanciatrice della Russia nella regione potrebbe diventare quindi relativamente meno equilibrata qualora Mosca non fosse più in grado di procedere con i grandi accordi diplomatici che ha progettato con i suoi nuovi partner, tra cui vi è “Israele” e la Turchia. Inoltre, la posizione economica dominante della Russia potrebbe presto venir sfidata dalla “concorrenza amichevole” della Cina. La Siria, naturalmente, trarrà beneficio dal mettere queste due grandi potenze l’una contro l’altra nel tentativo di strappare migliori accordi economici, ma la Russia potrebbe non prendere bene la prospettiva di perdere parte della sua leva strategica nel Paese. La Russia può sempre facilitare indirettamente le campagna di bombardamento di “Israele” contro l’Iran per ridurre l’influenza di quest’ultimo, ma non potrà fare nulla per contrastare quella cinese. Per questa ragione, la politica siriana del Cremlino potrebbe presto cambiare.

Dalla “monopolizzazione” all’“accomodamento”

La “cultura strategica” della Russia ha una tradizione secolare di spingere gli uomini politici a “monopolizzare” le regioni straniere in cui operano di modo da far diventare Mosca la potenza indiscutibilmente dominante in quei luoghi. Ciò è cominciato a cambiare con la fine della Vecchia Guerra Fredda, in particolar modo nelle aree in cui la Russia godeva di maggior influenza. La marcia verso est dell’Alleanza Atlantica è stata “accomodata” con riluttanza dalla Russia e la stessa cosa è stata fatta con la Via della Seta cinese in Asia. L’effetto della guerra del Karabakh dell’anno scorso è stato di spingere la Russia ad “accomodare” pragmaticamente la Turchia nel Caucaso meridionale, proprio come sembra stia per fare ora con la Cina in Siria, cioè nel più prezioso gioiello della strategia meridionale di Mosca, in seguito al telegramma del Presidente Xi.

La nuova realtà

Come tendenza generale la Russia si sta adattando in modo flessibile all’emergente ordine mondiale multipolare, anche nel contesto in cui l’evoluzione della guerra mondiale del Covid, la quale la ha spinta a modificare il suo schema di “monopolizzazione” in favore di uno di “accomodazione”. Nel caso siriano, la cosa risulterà probabilmente nella Russia che si vede diminuire alcune delle “pressioni amichevoli” che aveva messo sulle spalle di Damasco al fine di farle approvare dei compromessi voluti da Mosca, tra cui la richiesta di ritiro graduale anche se dignitoso dell’Iran. La grande potenza eurasiatica potrebbe presto rendersi conto che la Siria potrebbe semplicemente trovare nella Cina il nuovo partner principale, lasciando che la Russia mantenga le sue forze militari nel territorio siriano come precedentemente accordato ma senza i lucrosi contratti di ricostruzione qualora non “accomodasse” pienamente gli interessi di Damasco.

Pensieri conclusivi

A condizione che la Cina mantenga la promessa del Presidente Xi e che l’Iran non abbia già concluso un accordo segreto con gli Stati Uniti di ritiro graduale dalla Siria nell’ottica di un compromesso circa il suo programma nucleare (cosa che sembra poco probabile e diventerà impossibile nel caso in cui i conservatori vincano le elezioni di fine mese), allora con buona probabilità la situazione geopolitica della Siria sta velocemente cambiando. Le relazioni russo-siriane rimarranno eccellenti, ma la loro esatta natura potrebbe in qualche modo cambiare se Damasco gioca con astuzia la carta cinese per proteggere i propri interessi politici e militari circa il rifiuto di implementare i vari pressanti compromessi e di richiedere il ritiro dell’Iran. Sicuramente gli Stati Uniti non saranno felici di questo sviluppo, ma c’è poco che possono realisticamente fare per invertire la tendenza.

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