Hong Kong dal dopoguerra al XXI secolo

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di Marco Costa

Gli anni ’50 per la città di Hong Kong furono abbastanza tumultuosi: appena alcuni anni dopo la fine dell’occupazione giapponese ed il ripristino della sovranità britannica, nel 1949 anche nella città-Stato riecheggiarono gli epocali sconvolgimenti a cui era in preda la grande Cina, all’apice della guerra tra la fazione nazionalista di Chiang Kai-shek e quella comunista di Mao Zedong. Alla luce della guerra civile e della conseguente rivoluzione capeggiata vittoriosamente da Mao, che avrebbe posto fine ai decenni di interferenze straniere sulla Cina continentale nonché promosso la riunificazione di fatto della nazione sotto la bandiera di un nuovo modello socialista, Hong Kong divenne meta di afflusso di rifugiati dalla terraferma, provocando un enorme aumento della popolazione: dal 1945 al 1951, la popolazione crebbe infatti da 600.000 a 2,1 milioni. Inoltre, a seguito della fondazione della Repubblica Popolare Cinese e alla successiva chiusura dei confini tra la Cina e Hong Kong, il fenomeno dell’immigrazione andò accentuandosi fino a diventare ingestibile in diverse occasioni. Non fu solo la popolazione più povera ad essere colpita dalla migrazione, ma ne furono protagonisti anche i ceti più abbienti, desiderosi di preservare i loro patrimoni trasferendoli frettolosamente ed impunemente verso l’Isola. Infatti, mentre i comunisti si avvicinavano alla vittoria all’inizio del 1949, si temeva che Hong Kong sarebbe stata invasa dalle truppe maoiste. Il governo britannico rimase determinato a mantenere Hong Kong come avamposto capitalista all’interno di una sfera di influenza comunista, sebbene i ricordi del blocco di Berlino e l’antagonismo ideologico verso i governi socialisti rimanessero un caposaldo della loro politica estera. La guarnigione britannica fu rinforzata e vennero addirittura ipotizzati piani di evacuazione di emergenza verso l’Australia.

Tuttavia, l’Esercito popolare di liberazione ricevette l’ordine di interrompere l’avanzata al confine tra il fiume Sham Chun e Hong Kong, sicchè l’Isola e i suoi territori collegati rimasero una colonia britannica. Peraltro – inutile nasconderlo – da entrambe le parti lo status coloniale dell’Isola avrebbe procurato benefici più o meno diretti dal punto di vista commerciale e diplomatico. Hong Kong era un prezioso centro commerciale alla foce della Cina e i britannici confidavano sul fatto che mantenendo questo legame sarebbe stato più agevole intessere affari con il nuovo Governo di Pechino. Inoltre, consegnare Hong Kong alla Cina continentale senza combattere sarebbe stato interpretato come una debolezza nazionale di fronte alla crescente minaccia comunista in Europa e in Asia, in particolare alla luce della contemporanea guerra di liberazione nazionale che si stava svolgendo in Malesia.1

Ciò che fa immediatamente riflettere, è l’analisi dei dati demografici e dei flussi migratori di quel decennio.

Va preliminarmente chiarito il fatto che nel 1950 il governo coloniale adottò unilateralmente un sistema di quote di ingresso denominato Quota System per limitare l’afflusso incontrollato di migranti; tale misura prevedeva che ogni giorno il numero ammesso di persone entranti a Hong Kong dovesse essere pari al numero degli uscenti. Qualche anno dopo, nel 1956, il governo coloniale inglese ritirò tale sistema compensativo delle quote per un periodo di prova di sette mesi, a partire dal mese di febbraio, per facilitare le visite in concomitanza della festività del Capodanno cinese. Solamente in questa occasione arrivarono 56.000 nuovi immigrati cinesi che si stabilirono a Hong Kong e di conseguenza il Governatore si apprestò a ristabilire il precedente sistema delle quote. Inoltre, anche la Cina continentale allentò i controlli sul confine a causa delle pressioni interne. Va infatti ricordato che la prima decade della Repubblica Popolare Cinese fu un periodo ricco di cambiamenti epocali per l’economia: nel 1949 si attuò su scala nazionale la riforma agraria e nel 1953 venne lanciato il primo Piano quinquennale. Nel 1956 in seguito alla campagna dei Cento fiori fu indetto il cosiddetto Movimento contro la destra, dove molti funzionari ritenuti d’ideologia borghese e di “destra” furono radiati dal Partito. Inoltre, l’anno successivo fu dato il via alla collettivizzazione e nel 1958 venne introdotta la politica del Grande balzo in avanti.

Fu proprio in questo frangente – nel 1957 – che il governo locale della regione del Guangdong sperimentò la politica di apertura del confine, con la motivazione ufficiale di alleviare le pressioni interne; nei fatti, tale provvedimento si tradusse nella libertà di accesso al territorio inglese.

Le stime del periodo ci indicano che in tre mesi entrarono a Hong Kong circa 130.000 persone. Peraltro tali imponenti flussi non furono determinati solo dalla situazione politica interna cinese; va infatti ricordato che nei primi mesi del 1957 la zona settentrionale della regione del Guangdong fu colpita da una drammatica alluvione. La maggior parte della popolazione aveva perso le proprie abitazioni e tutto il raccolto, essendo così costretta a spostarsi verso le zone a sud che non erano state colpite dalla calamità. Data la situazione, molti alluvionati raggiunsero il confine richiedendo la possibilità di trasferirsi a Hong Kong, colpiti dalla fame, ed in pochi giorni una folla sempre più consistente si accalcò sul confine con regolari permessi di uscita. Tale flusso, in larga parte incontrollato, comportò il ripristino del sistema delle quote, con una nuova chiusura del confine.

Il Governo coloniale era consapevole che gli immigrati rappresentavano una risorsa fondamentale per l’economia dell’Isola, ma allo stesso tempo l’accesso in massa di altre persone aggravava maggiormente la situazione di sovrappopolamento, mettendo ulteriormente sotto pressione la fornitura di servizi ai cittadini che di per sé era già precaria. L’imposizione di queste restrizioni effettuate dai due governi sulle migrazioni rese molto più difficile raggiungere Hong Kong, poiché la popolazione intenzionata a lasciare la Cina era di gran lunga superiore a quella in entrata, di conseguenza cominciarono gli episodi d’immigrazione clandestina verso l’Isola. In questo flusso massiccio, certamente la popolazione povera rurale costituiva l’elemento numericamente più ampio, affiancata da coloro che tuttavia emigravano dalla Cina per motivazioni economiche o politiche, molti dei quali erano ricchi agricoltori e capitalisti che portavano con sé tanto i loro patrimoni quanto la loro esperienza di gestione; tuttavia, tra questi, molti erano criminali impauriti dal nuovo ordine cinese e stabilirono proprio ad Hong Kong la celeberrima Triade criminale.2 Ciò determinò che verso la metà degli anni ‘50, Hong Kong aveva incrementato la sua popolazione fino a raggiungere l’incredibile cifra di 2,2 milioni, con una delle densità abitative più alte del mondo.

Conseguentemente a questa imponente impennata demografica, dalla fine degli anni ’50 anche l’urbanistica cittadina venne riplasmata.

Va inoltre ricordato che nel 1953 un devastante incendio ricordato come Shek Kip Mei Fire lasciò 53.000 persone senzatetto; questa calamità distrusse tutte le baraccopoli di immigrati cinesi, causando un vero e proprio disastro sociale e abitativo. Dopo tale catastrofico incendio, il governatore coloniale Alexander Grantham lanciò un programma di edilizia popolare per introdurre l’idea di “edificio a più piani” per la popolazione immigrata. Le nuove strutture standardizzate offrivano costruzioni resistenti al fuoco e alle inondazioni agli abitanti delle capanne precedentemente vulnerabili. Il programma prevedeva la demolizione del resto delle case di fortuna lasciate intatte dall’incendio e la costruzione di complessi residenziali popolari a basso costo. Tali unità abitative erano in grado di ospitare 2.500 persone in una struttura a prova delle calamità naturali. L’idea fondante di tale rivoluzione urbanistica era quella di ospitare il maggior numero e il più velocemente possibile di senzatetto per affrontare la crisi abitativa. In media, ad ogni persona erano concessi 24 metri quadrati di spazio; da allora, i grattacieli divennero la norma architettonica per l’Isola di Hong Kong.

In quel decennio, il Porto Profumato visse anche gli albori di una rivoluzione nel mondo della mobilità urbana; il servizio taxi di Hong Kong venne fondato nel 1947 con appena 329 auto. Entro la fine del decennio, si era espanso a 851 auto. Da lì a pochi anni, tale mezzo di trasporto divenne ancora più popolare.

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Per quanto concerne lo sviluppo industriale, nel 1953 due progetti di bonifica del terreno raggiunsero 3 milioni di metri quadrati, tra i quali vide anche compimento il progetto dell’aeroporto di Kai Tak, così come i primi poli industriali di Kwun Tong e di Tsuen Wan, prevalentemente destinati alla produzione manifatturiera di beni quali bottoni, fiori artificiali, ombrelli, tessuti, smalti, calzature e oggetti in plastica.

Gli anni ‘60 a Hong Kong proseguirono sulla scia dello sviluppo e dell’espansione della produzione industriale iniziata nel decennio precedente; progressi economici compiuti in questo decennio classificarono Hong Kong come una delle quattro tigri asiatiche insieme a Singapore, Corea del Sud e Taiwan. Da un punto di vista macroeconomico, il Pil pro capite rimaneva ancora relativamente basso, equiparabile a quello del Perù, Sud Africa e Grecia nello stesso decennio. Tuttavia, il tenore di vita stava aumentando costantemente, nonostante i salari bassi fossero la regola per le classi lavoratrici. Il numero di fabbriche aumentò da 3.000 negli anni ‘50 a 10.000 negli anni ’60, mentre le imprese straniere registrate passarono da 300 a 500. Dato importante: questa crescita economica garantiva un tasso di disoccupazione del tutto insignificante. La popolazione residente arrivò ad attestarsi sui tre milioni, e l’analfabetismo di generazione in generazione continuava a diminuire, sebbene le scuole primarie non fossero gratuite.

Da segnalare che questa crescita economica complessiva avrebbe portato alla diffusione di eventi culturali di massa come alla creazione del primo Festival di Hong Kong del 1967, nonché all’affermazione delle prime emittenti televisive grazie alla stazione Tvb, fondata nel 1967 con la prima trasmissione in chiaro. Tuttavia, va ricordato che l’isola non fu del tutto avulsa dalle vicissitudini che riguardavano la Cina continentale; le rivolte di Hong Kong del 1967 iniziarono quando il conflitto all’interno del Partito Comunista Cinese scaturì nella Rivoluzione culturale. La popolazione di Hong Kong sfidò il Governo coloniale britannico con grandi dimostrazioni, e nuclei di guardie rosse si organizzarono autonomamente anche nell’Isola; si sparse la voce secondo la quale la Repubblica Popolare Cinese si stesse preparando a riconquistare la colonia. La tensione politica aumentò vertiginosamente. Le rivolte terminarono solo nel dicembre 1967 quando il premier cinese Zhou Enlai ordinò di fermare i gruppi di “sinistra” di Hong Kong. Dopo la rivolta, il governo coloniale si adoperò duramente nel cercare di inibire tutte le reti comuniste e patriottiche esistenti.

Sotto il profilo industriale, molte aziende stavano iniziando a diversificare i prodotti manifatturieri, soprattutto per quanto riguarda il settore dell’industria tessile. Si stima che 625.000 residenti vennero direttamente o indirettamente impiegati da questo settore, ed il marchio Made in Hong Kong sarebbe diventato da allora un biglietto da visita commerciale nei cinque continenti, anche se allora il primo mercato di esportazione rimaneva il Regno Unito, a cui era destinato il 42% delle esportazioni dell’Isola.

Gli anni ‘70 videro l’estensione dell’istruzione pubblica da sei a nove anni e la creazione del sistema dei parchi nazionali di Hong Kong. L’apertura del mercato cinese continentale e l’aumento dei salari spinsero molti investimenti a nord. Hong Kong nel frattempo consolidò la sua posizione di centro commerciale e turistico di tutta l’Asia meridionale. L’elevata aspettativa di vita, la discreta alfabetizzazione, il reddito pro capite e altre misure socioeconomiche continuarono ad incentivare il progresso dii Hong Kong negli ultimi quattro decenni del XX secolo. Il reddito più elevato portò anche all’introduzione dei primi complessi residenziali privati a molti piani come quello celebre di Taikoo Shing, che da allora sarebbero diventati parte dello skyline del paesaggio dell’Isola.

Nel 1982, il Primo Ministro britannico, Margaret Thatcher, sperava che la crescente apertura del Governo della RPC e la riforma economica nel continente avrebbero garantito il mantenimento del dominio britannico sulla città-Stato. Ma come ben sappiamo, sarebbero stati proprio quegli anni a portare alla firma della Dichiarazione congiunta sino-britannica e alla proposta del concetto di un Paese, due sistemi coniato da Deng Xiaoping.

Prima di soffermarci sulla svolta politica e istituzionale del 1997 – anno di riunificazione con la RPC – va analizzato brevemente lo sviluppo economico dell’isola a cavallo degli anni ’80 e ’90.

La politica di apertura adottata dalla RPC di Deng Xiaoping alla fine del 1978 ha segnato una nuova era anche per l’economia di Hong Kong. Con il nuovo e vigoroso impegno della Cina nel commercio e negli investimenti internazionali, l’integrazione di Hong Kong con la terraferma ha registrato una netta accelerazione, riconquistando il suo ruolo tradizionale di principale fornitore di servizi commerciali e finanziari del paese. Dal 1978 al 1997, il commercio ufficiale tra Hong Kong e la RPC è cresciuto a un tasso medio del 28% annuo. Allo stesso tempo, le aziende di Hong Kong hanno iniziato a spostare le loro attività ad alta intensità di manodopera sulla terraferma per trarre vantaggio dalla manodopera a basso costo. L’integrazione di Hong Kong con il delta del Fiume delle Perle nel Guangdong è l’aspetto più sorprendente di questi collegamenti commerciali e di investimento. Alla fine del 1997, il valore cumulativo degli investimenti diretti di Hong Kong nel Guangdong era stimato a 48 miliardi di dollari, rappresentando quasi l’80% del totale degli investimenti esteri diretti nel paese. Le società di Hong Kong e le joint ventures nella provincia del Guangdong impiegavano circa cinque milioni di persone; la maggior parte di queste imprese erano ad alta intensità di manodopera e destinate all’esportazione, ma dal 1997 in poi sono stati aumentati gli investimenti nei servizi finanziari, nel turismo e nel commercio al dettaglio. Mentre la produzione è stata gradualmente spostata fuori dalla colonia durante gli anni ‘80 e ‘90, va registrata un’impennata nel settore dei servizi. Questa trasformazione della struttura dell’economia di Hong Kong dalla produzione ai servizi è stata peraltro abbastanza turbolenta. Tuttavia il risultato più sorprendente è stato quello del raggiungimento di tassi di crescita complessivi abbinati ad un tasso di disoccupazione medio di solo il 2,5% dal 1982 al 1997. Se il valore della produzione ha raggiunto il picco nel 1992 prima di iniziare un declino assoluto, specularmente il valore dei servizi commerciali e finanziari è aumentato vertiginosamente; l’occupazione nel settore dei servizi è aumentata dal 52% all’80% della forza lavoro dal 1981 al 2000, mentre l’occupazione manifatturiera è scesa dal 39% al 10% nello stesso periodo.3

Il 4 aprile 1990, la Legge fondamentale di Hong Kong è stata ufficialmente accettata come costituzione della R.a.s. di Hong Kong dopo la riconsegna alla Cina. Nel luglio 1992, Chris Patten venne nominato quale ultimo governatore britannico di Hong Kong; Patten era stato presidente del Partito conservatore nel Regno Unito fino a quando non perse il suo seggio parlamentare nelle elezioni generali all’inizio di quell’anno. Le relazioni con il governo della RPC a Pechino divennero sempre più tese, poiché Patten introdusse riforme sfavorevoli ai gruppi patriottici all’interno del Consiglio legislativo dell’isola; tuttavia il 1° luglio 1997 Hong Kong si ricongiunse alla madrepatria e il vecchio Consiglio legislativo, eletto in base alle riforme di Chris Patten, venne sostituito dal Consiglio legislativo provvisorio eletto da un comitato di selezione i cui membri erano nominati dal governo della RPC; Tung Chee Hwa assunse l’incarico di Primo governatore delegato di Hong Kong, eletto a dicembre da un comitato di selezione con membri nominati dal governo della RPC. Il 1997 per il territorio di Hong Kong segna una data epocale, ovvero quella del tanto agognato ricongiungimento con la madrepatria cinese dopo oltre un secolo di dominio coloniale britannico. Tuttavia, per l’Isola rimasero invariate alcune clausole del vecchio ordinamento, mentre altre vennero modificate; i punti che rimasero costituzionalmente immutati nel ’97 furono i seguenti:

  1. La pratica di lunga data britannica di non elezioni generali da parte dei cittadini di Hong Kong rimane invariata.
  2. L’inglese è ancora insegnato in tutte le scuole. Tuttavia, molte scuole insegnano sia in cantonese che in inglese.
  3. Il confine con la terraferma continua ad essere pattugliato come prima.
  4. Hong Kong rimane un membro individuale di varie organizzazioni internazionali, come il CIO, l’APEC e l’OMC.
  5. Hong Kong continua a negoziare e mantenere i propri trattati bilaterali sull’aviazione con Paesi e territori stranieri. I voli tra Hong Kong e la Cina continentale sono trattati come voli internazionali (sebbene comunemente noti come voli interterritoriali nella Repubblica Popolare Cinese).
  6. I titolari di passaporto della Regione amministrativa speciale di Hong Kong hanno un accesso facilitato ai Paesi in Europa e Nord America, mentre i cittadini della terraferma no. I cittadini della Cina continentale possono richiedere un visto per Hong Kong solo al governo della RPC. Molti ex cittadini coloniali possono ancora utilizzare i passaporti di cittadini britannici (d’oltremare) secondo la legge sulla nazionalità britannica e di Hong Kong.
  7. Sono mantenute maggiori libertà politiche della Cina continentale, compresa la libertà di stampa.
  8. I veicoli a motore a Hong Kong, a differenza di quelli nella Cina continentale, continuano a guidare a sinistra
  9. Le prese elettriche (BS 1363), le trasmissioni TV (PAL-I) e molti altri tecnici del Regno Unito sono ancora utilizzati a Hong Kong. Tuttavia, le compagnie telefoniche hanno smesso di installare prese telefoniche British Standard BS 6312 a Hong Kong. 
  10. Hong Kong mantiene un prefisso internazionale (+852) e un piano di numerazione telefonica separati da quelli della terraferma; le chiamate tra Hong Kong e la terraferma richiedono ancora la composizione internazionale.
  11. Hong Kong utilizza ancora il formato della data britannico.
  12. Tutte le statue dei monarchi britannici come la regina Vittoria e il re Giorgio rimangono.
  13. I nomi delle strade che riflettono i 156 anni di controllo del territorio della Gran Bretagna rimangono.

I punti costituzionali che cambiarono significativamente lo status dell’isola, invece, furono i seguenti:

  1. Il Governatore di Hong Kong è ora scelto da un comitato elettorale di 1200 membri (inizialmente erano 400, poi 800), eletti principalmente dai vari partiti, dai settori professionali e dai gruppi imprenditoriali presenti a Hong Kong.
  2. Tutti gli uffici pubblici ora sventolano le insegne della Ras di Hong Kong. La bandiera del Regno Unito ora è esposta solo al di fuori del Consolato generale britannico e di altri locali britannici.
  3. Il ritratto di Elisabetta II è scomparso dalle banconote, dai francobolli e dagli uffici pubblici.
  4. Il titolo Royal è stato ritirato da quasi tutte le organizzazioni a cui era stato concesso, ad eccezione del Royal Hong Kong Yacht Club.
  5. I riferimenti legali alla Corona furono sostituiti da riferimenti allo Stato e gli avvocati che erano stati nominati Queen’s Counsel dovevano ora essere conosciuti come Senior Counsel.
  6. Fu introdotto un sistema di onorificenze locali per sostituire il sistema di onorificenze britannico, con la Medaglia Grand Bauhinia che sostituì l’Ordine dell’Impero britannico .
  7. I giorni festivi sono cambiati, con il compleanno ufficiale della regina e altre occasioni legate al Regno Unito che sono state sostituite dalla festa nazionale della RPC e dalla festa dell’istituzione della Ras di Hong Kong.
  8. Molte delle cassette postali rosse in stile britannico sono state rimosse dalle strade di Hong Kong e sostituite da cassette postali verdi in stile Singapore. Ne rimangono alcuni esempi ma sono stati ridipinti.
  9. I cittadini britannici (senza diritto di soggiorno) non possono più lavorare a Hong Kong per oltre un anno senza visto.
  10. L’inno regionale di Hong Kong è stato cambiato da God Save the Queen (inno nazionale del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord) a March of the Volunteers, inno nazionale di tutta la Repubblica Popolare Cinese.
  11. Le scuole secondarie devono insegnare in cantonese a meno che non siano approvate dall’Ufficio per l’istruzione. Tali istituti sono scuole internazionali, che insegnano in inglese. L’istruzione secondaria passerà dal modello inglese di cinque anni di scuola secondaria più due anni di immatricolazione, al modello cinese che prevede tre anni di scuola secondaria inferiore più altri tre anni di scuola secondaria superiore. L’istruzione universitaria passa da tre a quattro anni.

È interessante ricordare quello che è giuridicamente e costituzionalmente oggi lo status di Hong Kong all’interno della Repubblica Popolare Cinese. Abbiamo infatti visto che La Legge fondamentale è stata redatta sulla base della Dichiarazione congiunta sino-britannica firmata tra i Governi cinese e britannico il 19 dicembre 1984, rappresentati rispettivamente dal Primo Ministro Zhao Ziyang e dal Primo Ministro Margaret Thatcher. La Legge fondamentale stabilisce le politiche di base della Cina in relazione alla Regione amministrativa speciale di Hong Kong. Come stipulato nella Dichiarazione congiunta e seguendo il principio di “un Paese, due sistemi”, il socialismo praticato nella Cina continentale non si sarebbe applicato immediatamente a Hong Kong. Così, Hong Kong avrebbe parzialmente continuato il suo sistema capitalistico e il suo stile di vita per ancora mezzo secolo dopo il 1997. La Legge fondamentale di Hong Kong stabilisce le fonti del diritto, il rapporto tra la Ras di Hong Kong e il Governo centrale, i diritti e le libertà fondamentali dei residenti di Hong Kong e la struttura e le funzioni dei poteri del governo locale e prevede la modifica e l’interpretazione della Legge fondamentale. I tribunali di Hong Kong hanno il potere di rivedere gli atti del potere esecutivo o legislativo e di dichiararli nulli se non sono coerenti con la Legge fondamentale. Quello che è certo è che la Legge fondamentale è una legislazione puramente nazionale che deriva la sua autorità dalla Costituzione della Repubblica Popolare Cinese. Proprio rispetto alla questione dello status attuale di Hong Kong all’interno della RPC, vale la pena spendere alcune parole al fine di inquadrare più dettagliatamente la questione e fugare alcuni dubbi o faziose interpretazioni che anche recentemente sono state presentate dalla stampa occidentale. Oggi le regioni autonome cinesi sono cinque: Guangxi, Mongolia interna, Tibet, Xinjiang, Ningxia. Ma le disposizioni in materia di autonomia, secondo quanto recita l’articolo 4 della Costituzione del 1982, quinto periodo, si applicano anche «nelle aree in cui una popolazione di minoranza nazionale vive in comunità rilevanti». Il risultato è che i principi dell’autonomia regionale sono riconosciuti, oltre che nelle 5 aree sopra indicate, in 30 prefetture autonome, 117 contee autonome, 3 “bandiere” autonome mongole. Le regole dell’autogoverno regionale, oltre che nella legge sull’autonomia etnica regionale prima ricordata, sono in primo luogo contemplate negli articoli 112 e seguenti della vigente Costituzione. Va comunque ricordato che, nella concreta attuazione delle norme in materia di autonomie regionali all’interno della RPC, la chiave di lettura è sempre quella del mantenimento dell’unità nazionale di fronte a potenziali spinte separatiste. Gli organi dell’autogoverno delle aree autonome nazionali sono le assemblee, i governi, le prefetture e le contee autonome. L’articolo 113, in caso coesistano in una certa area nazionalità ulteriori rispetto a quella dominante, riconosce a queste ultime il diritto ad una propria rappresentanza. Oltre ai poteri riservati agli organi decentrati che abbiamo precedentemente descritto, le regioni autonome possono adottare norme particolari «alla luce delle caratteristiche politiche, economiche e culturali della nazionalità o delle nazionalità presenti». Tali norme, tuttavia, «prima della loro entrata in vigore saranno sottoposte all’approvazione del Comitato permanente dell’Assemblea nazionale» (art. 116). L’articolo successivo riconosce a queste aree un potere di gestione autonoma delle proprie risorse fiscali, mentre l’articolo 4 attribuisce a «tutte le nazionalità la libertà di usare e sviluppare la propria lingua scritta e orale, e di conservare o adeguare propri usi e costumi».4

Nel Partito le questioni relative alle minoranze sono di competenza del Dipartimento lavoro del Fronte unito, costituito all’interno del Comitato centrale, che stabilisce le linee politiche generali in materia; le sezioni del dipartimento sono istituite localmente. Per quanto riguarda il Governo, va ricordata la Commissione per le questioni delle nazionalità istituita presso il Consiglio di Stato, che agisce attraverso proprie strutture provinciali, di prefettura e di contea. Siamo di fronte a un sistema parallelo di indirizzo e controllo esercitato dal Partito e dagli organismi rappresentativi e di Governo. Tuttavia, è peculiare la situazione delle due Regioni amministrative speciali (R.A.S.) di Hong Kong e Macao, il cui status si rifà al già citato motto di Deng Xiaoping «un Paese, due sistemi».5 Entrambe sono rette da una legge fondamentale detta Basic Law adottata dall’Assemblea nazionale cinese nell’aprile del 1990 per Hong Kong e nel marzo del 1993 per Macao, ed entrate rispettivamente in vigore nel 1997 e nel 1999. Il fondamento di questa disciplina si evince dall’articolo 31 della Costituzione, ove si prevede che «lo Stato può istituire ove necessarie regioni amministrative speciali. Le caratteristiche del funzionamento di tali regioni saranno definite con legge adottata dall’Assemblea nazionale alla luce delle specifiche condizioni». Le due leggi fondamentali partono da tre presupposti: i territori di Hong Kong e Macao sono fin dall’antichità parte integrante del territorio della Cina e non rivestono in alcun modo carattere statuale o federale; sono parte inalienabile del territorio della Repubblica Popolare Cinese; godono di un ampio grado di autonomia, ma restano sotto il controllo del Governo centrale. Per la durata di 50 anni potranno mantenere una forma di Stato capitalista e non socialista, godendo di propri poteri di governo, di rappresentanza politica, di ordinamento giudiziario, con una propria moneta e una propria autonomia fiscale. Potranno partecipare a iniziative internazionali sotto il nome di Hong Kong-Cina, o di Macao-Cina. Resta però ben chiaro che l’autonomia è concessa dall’Assemblea nazionale del popolo cinese in attuazione del ricordato principio: un Paese, due sistemi. La legislazione previgente nelle due regioni viene mantenuta ove non in contrasto con la Legge fondamentale; le leggi adottate debbono essere trasmesse al Comitato permanente dell’Assemblea nazionale, sia pure per fini solo conoscitivi; la legislazione nazionale cinese non si applica alle Ras se non in alcuni limitati casi previsti nella legge fondamentale, come ad esempio nel campo della disciplina dell’autonomia regionale delle nazionalità. Rimane tuttavia esclusa la competenza delle Ras nelle questioni di difesa, unità, sicurezza nazionale e di politica internazionale. Sono riconosciuti ai cittadini ampi diritti di libertà politica e personale. Il sistema, come si comprende, è abbastanza complesso da un punto di vista strettamente amministrativo. In primo luogo, il Capo dell’esecutivo delle Ras è formalmente nominato dal Consiglio di Stato cinese, a conclusione di un procedimento in cui riveste un ruolo fondamentale un Comitato elettorale di 800 membri la cui composizione è comprensibilmente condizionata dalla madrepatria. Ancora, i componenti dei due Consigli legislativi sono eletti in base alla Legge fondamentale che, come prima ricordato, è approvata dall’Assemblea nazionale. Eventuali modifiche alla legge fondamentale in campo elettorale sono possibili, anche se il processo di revisione è tuttavia estremamente complicato, visto che le modifiche debbono avere l’assenso del Capo dell’esecutivo, di due terzi dei rappresentanti della Ras all’Assemblea nazionale, e di due terzi dei membri del Consiglio legislativo. Come si può intuire, questo sistema mantiene ancora un retaggio delle contrattazioni sino-britanniche che portarono alla riunificazione; tuttavia è un equilibrio giuridico e amministrativo transitorio in vista di una completa reintegrazione anche politica tra l’Isola e la Madrepatria cinese.

NOTE AL TESTO

1 Le vicende del movimento di liberazione nazionale malese sono tanto interessanti quanto sconosciute. Nel caso della Malesia, questa venne occupata nel 1941 dai giapponesi, che scesero dalla Thailandia a Nord e dal Sabah a Est (dove tra l’altro le forze navali inglesi conobbero una disfatta paragonabile a quella di Pearl Harbor per gli statunitensi). Ispirati dall’azione del Partito comunista cinese e dall’Armata rossa cinese in funzione anti-nipponica, prese vita una “Armata Popolare Malese Anti-Giapponese” (Malayan People Anti-Japanese Army o MPAJA), capeggiata da Chin Peng. Galvanizzati da ciò che accadeva in Cina e alimentati da sentimenti anti-colonialisti, i guerriglieri guidati da Chin Peng ripresero ben presto le proprie attività prendendo di mira i coloni inglesi, giustiziando alcuni proprietari terrieri, saccheggiando o danneggiando piantagioni, miniere e coltivazioni. Il movimento divenne conosciuto come Esercito di Liberazione Nazionale Malese (Malayan National Liberation Army o MNLA) e le azioni contro gli inglesi culminarono con l’assassinio di Sir Henry Gurney, l’Alto Commissario Britannico in Malesia nel 1951.

2 Quando il Partito Comunista Cinese prese il potere nel 1949, le Triadi si trasferirono ad Hong Kong, Taiwan, Macao e Bangkok, dove abbondavano le comunità d’immigrazione cinesi. Il gruppo dominante tra gli immigrati cinesi era quello di etnia teochew (originario della provincia di Chaozhou, nel Guangdong orientale), conosciuto ad Hong Kong come “fratellanza Chiu-Chao”, che si riunì soprattutto nella Triade Sun Yee On, fondata da un maggiore del Koumintang di nome Heung Chin. Si stima che negli anni ’50 circa 300.000 membri delle Triadi vivessero ad Hong Kong, dove si ingrandirono e si confusero con la struttura statale di quel luogo, mentre a Taiwan la Triade Bamboo Union divenne il braccio armato del Koumintang. Entro il 1951, il territorio di Hong Kong era già stato diviso in nove distretti controllati da nove diverse “famiglie”: Wo Hop To, Wo Shing Wo, Rung, Tung, Chuen, Shing, Sun Yee On, 14K e Lüen. Solo a seguito delle rivolte del 1956 il governo britannico introdusse alcune misure di controllo, iniziando ad arginare seppur blandamente l’influenza dei cartelli criminali. Fenomeno che nella Repubblica Popolare Cinese era ormai completamente debellato.

3 Per una storia generale di Hong Kong dal diciannovesimo secolo, vedere S. Tsang, A Modern History of Hong Kong, London: IB Tauris, 2004. Per i resoconti della storia economica di Hong Kong vedere, DR Meyer, Hong Kong as a Global Metropolis, Cambridge: Cambridge University Press, 2000; CR Schenk, Hong Kong as an International Financial Centre: Emergence and Development, 1945-65, Londra: Routledge, 2001; e YP Ho, Trade, Industrial Restructuring and Development in Hong Kong, Londra: Macmillan, 1992. Statistiche utili e sintesi dei recenti sviluppi sono disponibili sul sito web dell’Autorità monetaria di Hong Kong www.info.gov.hk/hkma.

4 Vedi http://english.www.gov.cn/archive/laws_regulations/2014/08/23/content_281474982987458.htm

5 Sulla figura di Deng Xiaoping, è importante consultare almeno due testi disponibili anche in lingua italiana: M. Dassù, T. Saich (a cura di), La Cina di Deng Xiaoping. Il decennio delle riforme, Edizioni Associate, 1991 e Deng Xiaoping, Socialismo alla cinese. Scritti e interventi 1977-1984, Editori Riuniti, Roma 1985.

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