L’importanza geopolitica della Transnistria: tra Europa e Russia

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di Stefano Vernole *

Il contesto storico-geografico

Nel lessico della lingua rumena il toponimo “Transnistria”, che letteralmente significa “oltre il fiume Nistro”, riacquista a partire dagli anni Novanta un largo utilizzo (e viene perlopiù usato in Occidente) per indicare il territorio tra il corso inferiore del fiume Nistro e il Bug meridionale che abbraccia due regioni storiche, l’estremo Ovest della Novorussia e l’estremo Sud della Podolia.

L’odierna Transnistria occupa una fascia di terra lunga approssimativamente 200 km. e larga 12-15 km., la sua area è di 4160 km quadrati e si trova esattamente in mezzo alle odierne Ucraina e Moldova.

Le sue principali tappe storiche possono così essere riassunte:

600 a.c. Primo insediamento sul fiume Nistro, dove viene fondata una colonia greca “Tyras”, dalla quale l’odierna capitale (Tiraspol) trae il suo nome.

100 a.c. La Transnistria fa parte formalmente della Sarmazia, confederata con la Scizia, mentre il fiume Nistro forma il confine della Sarmazia e quello della Dacia (le attuali Moldova e Romania).

850. All’inizio del Medioevo la Transnistria è popolata da tribù slave e da gruppi di nomadi turchi, mentre il fiume Nistro marchia una netta distinzione dal territorio occidentale.

1450. La Transnistria diventa formalmente parte del Grande Ducato di Lituania, mentre il Principato di Moldova è indipendente; il confine è marcato dal fiume Nistro.

1792. Dopo la Pace di Iasi dell’anno precedente, l’area viene incorporata all’interno dell’Impero Russo (i suoi abitanti la ribattezzano Novaia Rossia-Nuova Russia), mentre la Moldova rimane parte dell’Impero Ottomano, così il fiume Nistro va a fissare il confine sud-occidentale tra le due potenze imperiali.

1807-1808. Con i trattati di Tilsit ed Erfurt, lo zar Alessandro I ottiene da Napoleone la promessa di potersi estendere sopra i principati rumeni di Moldova e Tara Romanesca, ma deve accontentarsi della Bessarabia tra il Nistro e il Prut.

1856. La Guerra di Crimea costringe la Russia a restituire ai principati romeni il Sud della Bessarabia (Bugeaco).

1917. Lo smembramento dell’Impero zarista provoca la riunificazione della Bessarabia alla Romania, decisione mai accettata dall’Unione Sovietica.

1924. Sotto l’Unione Sovietica, la Transnistria diviene la Repubblica Autonoma Sovietica Socialista Moldava, che comprende parte dell’Ucraina ma non dell’odierna Moldova (che viene inglobata nella Romania). Il fiume Nistro continua così ad essere il confine naturale tra le due aree. Il 4 febbraio del medesimo anno, un documento segreto del Partito Comunista Sovietico analizza la posizione strategica della Transnistria nei Balcani e ne espone la sua importanza per la geopolitica dell’URSS (“Memoria riguardante la necessità della creazione della Repubblica Sovietica Socialista Moldava”) (1).

1940. In seguito al Patto Ribbentrop-Molotov, Stalin ottiene la Moldova romena (Bessarabia) e la unisce alla Transnistria, formando la Repubblica Sovietica Socialista Moldava (RSSM).

1989. A Chisinau, il Parlamento Moldavo annulla il Patto Ribbentrop-Molotov, decisione che secondo l’opinione pubblica di Tiraspol inficia anche l’unione tra la Transnistria e la Moldavia. In particolare l’art. 7 della Costituzione moldava abolisce il russo come lingua ufficiale, provocando un forte risentimento in Transnistria dove non tutti conoscono il romeno (mentre praticamente tutti i romeni conoscono il russo) (2). A complicare la situazione, un movimento all’interno del Fronte Popolare di Bucarest incoraggia l’idea della riunificazione della Bessarabia con la Romania, negando l’esistenza di un’identità nazionale “moldava”. A Tiraspol viene formata l’ “Organizzazione dei distaccamenti lavorativo-contadini d’autodifesa” (OSTK), di orientamento cristiano ortodosso-socialista, che agisce di concerto con l’associazione nazionale russa Edinstvo, sull’esempio di quanto avviene nei Paesi baltici.

1990. Il 5 giugno a Chisinau viene adottato un nuovo nome per la Repubblica: il termine “Moldova” sostituisce, da quel momento e in ogni contesto, quello di “Moldavia”. Questo cambiamento, apparentemente insignificante, rivela il desiderio di sottolineare la continuità e l’unità dell’odierna Repubblica di Moldova con la regione romena che porta lo stesso nome e al tempo stesso di avere un nome diverso da quello russo.

1990-1991. Il 2 settembre, il “Congresso dei deputati di tutti i livelli” proclama la Repubblica Moldava Sovietica Socialista Transnistriana, che mantiene la stella rossa a cinque punte, la falce e il martello, la bandiera rossa del partito e le effigie di Lenin. Il 17 marzo 1991, dopo che il Parlamento di Chisinau ha ratificato la sovranità della Repubblica Moldova, il Parlamento di Tiraspol organizza un referendum che sancisce “la permanenza della Transnistria nell’URSS”. Nonostante Mikhail Gorbaciov firmi un decreto per annullare questa decisione, le autorità di Tiraspol mantengono il controllo della situazione e il 28 agosto 1991 proclamano la propria indipendenza dalla Repubblica Moldova, mutando il nome in Repubblica Moldava del Trans-Dniester. In dicembre, Igor Smirnov (già Presidente del Soviet Supremo) viene eletto Presidente della Transnistria.

1992. Tra il 1 aprile e il 22 luglio si combatte un sanguinoso conflitto (circa 1500 morti), che sancisce l’indipendenza de facto della Transnistria dalla Moldova. Il 9 settembre dello stesso anno il Soviet Supremo dell’autoproclamata Repubblica Moldava di Transnistria abolisce la legge sulla lingua del 1989 e ristabilisce l’uso dell’alfabeto cirillico per il romeno (3).

Le operazioni belliche confermano lo scontro geopolitico Est-Ovest

Gli eventi descritti nel paragrafo precedente rappresentano il frutto di scelte ben precise.

Dopo la caduta di Ceausescu, in Romania e in Moldavia le forze nazionaliste assumono un peso rilevante e teorizzano l’espulsione-deportazione della popolazione russofona e slavofona.

A Chisinau, bandiera ed inno romeni divengono quelli ufficiali e sono propagandati ogni giorno dalla radio nazionale, mentre l’alfabeto latino sostituisce quello cirillico; Dimitry Matyushin, un cittadino ucciso nella capitale moldava solo perché parla russo, rappresenta la prima vittima di questo clima esasperato.

Quando in agosto scoppia il putsch dei “conservatori” del PCUS contro Gorbaciov dalla Transnistria partono telegrammi e delegazioni di appoggio ai “golpisti”, in virtù degli stretti rapporti che Smirnov stringe con quella fazione.

I deputati transnistriani del Concilio Supremo della Moldavia vengono allora ostracizzati sia moralmente che fisicamente; Smirnov rimane imprigionato mentre si trova in territorio ucraino e le proteste contro il suo arresto sfociano nell’occupazione delle ferrovie ad opera di alcuni manifestanti, che bloccano il transito dei treni tra Chisinau e Odessa.

Preoccupato dalla sconfitta dei putschisti di Mosca, il Parlamento di Tiraspol decide di creare un’armata nazionale, grazie ai rifornimenti in uomini ed armi provenienti dalla 14° Armata dell’esercito russo.

Il 13 dicembre 1991 scoppiano i primi scontri armati tra le forze di polizia moldave e le milizie transnistriane, con un bilancio di oltre dieci morti e numerosi feriti solo nella città di Dubossary.

Le scaramucce armate continuano per alcuni mesi, finché il 2 marzo, dopo l’ammissione della Moldova alle Nazioni Unite, il suo Presidente Mircea Snegur autorizza l’azione militare concertata contro le forze ribelli della Transnistria e della Gagauzia (4).

Sono gli Stati Uniti a favorire il blitz diplomatico che consente alla Moldova, ma non alla Transnistria, l’ingresso nell’ONU, ed è americano il piano di guerra che dovrebbe permettere a Chisinau di riannettere la regione ribelle.

Dopo la visita nella capitale moldava del proprio Segretario di Stato, James Baker, Washington assume il comando delle operazioni tramite il suo ambasciatore a Bucarest, John R. Davis e il capo postazione della CIA, Harold James Nicholson.

Contemporaneamente a Chisinau viene aperta una rappresentanza diplomatica nella quale opera il colonnello Howard Steers, agente nordamericano, il cui ruolo si rivela decisivo nei preparativi per la costituzione di una forza militare moldava (5).

Washington convince la Romania a prestare dei blindati in vista delle operazioni belliche e ottiene da Bucarest l’amnistia di numerosi detenuti comuni per rafforzare i ranghi moldavi; agli ex detenuti vengono promesse, come bottino di guerra, le abitazioni dei cittadini transnistriani che riusciranno ad uccidere.

A Tiraspol questa minaccia viene immediatamente percepita e Smirnov organizza un presidio di difesa popolare, rifornendosi di armi tramite i depositi della 14° Armata russa.

Tuttavia lo Stato Maggiore di Mosca, che in quel momento si trova impegnato in altri conflitti all’interno dello spazio ex-sovietico, si dichiara neutrale e Boris Eltsin rifiuta di inviare osservatori della CSI per far rispettare il cessate il fuoco.

Ma un’unità della 14° Armata di stanza a Bendery, comandata dal colonnello Alexander Rutskoy, annuncia che in caso di attacco moldavo il suo contingente non rimarrà a guardare e si propone quale mediatore tra le parti; i Moldavi, su consiglio statunitense, rifiutano però di ricevere Rutskoy.

A questo punto il colonnello russo pronuncia un infiammato discorso a favore della Transnistria e ritorna momentaneamente a Mosca per mobilitare la Duma.

La mossa di Rutskoy intimorisce effettivamente la Moldova, che accetta il dispiegamento di osservatori militari della CSI in cambio della smobilitazione dei volontari cosacchi.

Quando Eltsin ordina il ritiro totale della 14° Armata, il Presidente moldavo Snegur e i suoi consiglieri statunitensi ritengono sia giunto il momento di agire; i dirigenti di Chisinau prendono così il comando diretto di tutte le forze disponibili, richiedono al Parlamento l’approvazione per “schiacciare i separatisti” e contemporaneamente si appellano alle Nazioni Unite, rivendicando la propria sovranità sull’intera regione.

Dopo l’ultimatum del 28 marzo e diverse scaramucce, il 28 giugno 1992 la Moldova lancia un attacco furioso per riprendersi la Transnistria, ingaggiando violenti combattimenti soprattutto nella città di frontiera di Bendery.

Bucarest (con diversi combattenti volontari e una dozzina di aerei) e Washington appoggiano l’azione di Chisinau ma Tiraspol può contare sul sostegno volontario (in quanto non gode del consenso del presidente Boris Eltsin) della 14° Armata russa, che ottiene una vittoria clamorosa.

Nonostante i combattimenti durino circa tre settimane, la guerra termina in poco tempo, a causa della veemente resistenza popolare transnistriana.

Il 29 giugno, peraltro, l’incaricato d’affari statunitense, colonnello Howard Steers, presente a Bendery per coordinare le operazioni militari, sfugge di poco al tiro dei cecchini.

Boris Eltsin cerca di riprendere la situazione in mano e di attribuirsi i meriti della vittoria, nominando il 30 giugno il generale Alexander Lebed a capo della 14° Armata e ordinandogli di disimpegnare la Russia dal conflitto.

Per compensare questo ritiro, i gruppi patriottici russi inviano nuovamente i cosacchi a Tiraspol; Washington, invece, concede alla Moldova la “clausola della nazione più favorita”, quasi una sorta di risarcimento per lo scacco militare subito.

Il 3 luglio, a Mosca, Eltsin e Snegur siglano il cessate il fuoco; il 4 luglio la Moldova è costretta ad accettare una forza d’interposizione russa al confine, mentre il suo Ministro degli Esteri, Nicolae Iu, dichiara che si va verso il riconoscimento dell’autodeterminazione della Transnistria, ribattezzata ora Pridnestrovie, per sottolineare come i confini della nuova nazione non si limitino alla riva orientale del Dniestr ma includano anche la città di Bendery (6).

La stampa moldava porta alla luce l‘azione di sabotaggio condotta dal proprio Ministero di Stato della Sicurezza nazionale allo scopo di far scoppiare il conflitto, una manovra nella quale si era distinto il deputato ultra-nazionalista Ilascu (arrestato e poi liberato nel 2001, verrà successivamente eletto senatore in Romania).

Nel 1993 la Moldova aderisce alla Comunità degli Stati Indipendenti (CEI) frustrando le aspirazioni romene, al punto che si forma un movimento favorevole alla distinzione tra moldavi e romeni (dal punto di vista linguistico i moldavi ritengono di parlare un dialetto romeno che risente fortemente delle influenze slave).

La questione identitaria dura per diversi anni, dividendosi in 3 correnti principali: 1) alcuni sostengono che i moldavi siano romeni, costretti a non dichiararsi tali dalle politiche sovietiche di falsificazione etnica; 2) altri sostengono che la Moldavia costituisca una nazione storicamente indipendente, caratterizzata da legami etnici e culturali forti con la Romania; 3) altri ancora, pur collocando il popolo moldavo all’interno dello spazio culturale romeno, lo considerano sovrano, con tradizioni e aspirazioni proprie.

La divisione è consumata ma la Comunità Internazionale non la riconosce

Pur avendo rinunciato alla sua riunificazione con la Romania, la Moldova è costretta ad accettare dalla situazione determinatasi sul terreno l’indipendenza della Transnistria, che possiede ora una propria costituzione, una propria bandiera, un proprio inno nazionale, un proprio presidente, un proprio parlamento, un proprio governo, un proprio esercito, una propria moneta e un proprio alfabeto.

Nonostante questi requisiti nessun paese, ad eccezione della Russia, ne riconosce la sovranità.

Igor Smirnov esclude ogni idea di autonomia, accettando eventualmente l’ipotesi di una confederazione e dopo numerosi anni di status quo, nel maggio 1997, Chisinau e Tiraspol segnano un memorandum (patrocinato da Russia, Ucraina e OCSE, come mediatori e garanti) destinato a normalizzare le loro relazioni.

Questo accordo, denominato anche “Piano Primakov”, prevede la cooperazione tra le due parti e la possibilità per la Transnistria di partecipare alle decisioni in materia di politica estera stabilendo i propri rapporti internazionali; il suo contenuto, però, si rivela subito troppo vago e provvisorio, in quanto rimanda la decisione sullo status definitivo della regione indipendentista.

Il Ministro degli Esteri della Pridnestrovie, Valeri Litskay, ne interpreta il contenuto come il riconoscimento di un’ indipendenza de facto nel quadro della medesima area geografica, mentre i dirigenti moldavi vengono accusati di aver svenduto la propria storica posizione di sovranità.

Parallelamente a questi negoziati ormai sterili, il ritorno al potere dei comunisti a Chisinau, sulla base di un programma opportunisticamente pro-russo e presto abbandonato, contribuisce ad allargare il divario tra Moldova e Transnistria.

Nel 2001, comunque, Voronin ratifica il trattato bilaterale moldavo-russo, attraverso il quale Mosca diviene partner strategico e garante della stabilità della Repubblica Moldova.

Nel 2002 un’iniziativa di pace dell’OSCE, tenutasi a Kiev, rilancia il negoziato con una proposta volta a trasformare la Moldova in una Federazione composta di due parti: Transnistria e Moldova stessa, con un solo Presidente, un governo e un corpo legislativo formato da due Camere, le cui leggi devono vigere sull’intero territorio.

Questo progetto si scontra con la sua mancata accettazione da parte delle autorità moldave, perché Voronin vi oppone la Costituzione del Paese, che all’art. 1 comma 1, proclama la Moldova uno “Stato sovrano e indipendente, unitario e indivisibile”.

In ogni caso, tra il 2002 e il 2003 l’Unione Europea dimostra un atteggiamento più attivo rispetto al passato e pubblica una serie di documenti sulla questione della Transnistria (4 dicembre 2002, 29 gennaio 2003, 18 e 27 febbraio 2003), sostenendo in pratica la posizione giuridica della Moldova, che vuole implementare dei controlli moldavo-ucraini per ottenere maggiore sicurezza ai propri confini esterni (incontro di Bruxelles dell’ 11 marzo 2003).

Un altro tentativo di risolvere il contenzioso si registra nel novembre 2003 con il Memorandum Kozak, preceduto da mesi di contatti segreti tra Russia, Moldova e Transnistria.

Proprio quando Voronin si appresta a siglare un accordo altamente favorevole alla causa transnistriana, sono ancora una volta le pressioni europee-statunitensi (in particolare quelle dell’Alto rappresentante dell’Unione Europea, Javier Solana, ex Segretario generale della NATO) a bloccarne la firma.

Questo Memorandum, ispirato dalla diplomazia di Mosca, prevede la creazione di una Federazione di tipo asimmetrico, in cui la Moldova, la Transnistria e la Gagauzia si associano, conservando ciascuna il proprio apparato statale e la propria legislazione, insieme ad un bilancio e ad un patrimonio distinti.

Per assicurare la realizzazione del piano le truppe di Mosca dovrebbero rimanere per altri 20 anni, poi il territorio dell’intera Federazione moldava verrebbe demilitarizzato (e quindi rimarrebbe neutrale anche rispetto all’Alleanza Atlantica), mentre i soggetti federati godrebbero del diritto di secessione nel caso la Federazione decidesse di unirsi a qualche altro Stato (Romania) o perdesse interamente la propria autonomia.

La decisione di secedere sarebbe presa attraverso un referendum tra la popolazione del soggetto federale, ma proprio su questo punto nasce il disaccordo tra Chisinau e Tiraspol, in quanto la prima ritiene che ad un’eventuale consultazione referendaria dovrebbe partecipare tutta la popolazione della Repubblica di Moldova e non solo quella della Transnistria.

Voronin, sottoposto alle pressioni occidentali (che si concretizzano in un aiuto economico statunitense di 47 milioni di dollari) e preoccupato per le manifestazioni di piazza contrarie al Memorandum Kozak, rifiuta di firmarlo, segnando una svolta fortemente negativa nei suoi rapporti con la Russia.

Ufficialmente il motivo del diniego riguarda lo stazionamento di truppe straniere sul proprio territorio, che sarebbe in contraddizione con il principio di neutralità incluso nella Costituzione della Repubblica di Moldova.

L’anno successivo le autorità moldave presentano il Piano definito delle “3 D”: “Democratizzazione, Decriminalizzazione e Demilitarizzazione”; elaborato da alcuni analisti di Chisinau, esso propone una Moldova unitaria e una Transnistria demilitarizzata che non può separarsi dalla Moldova.

In realtà il governo moldavo vuole basare le sue negoziazioni sulla firma di una Costituzione che non preveda il diritto all’autodeterminazione per i soggetti federati, dato che analoga rivendicazione potrebbe essere avanzata anche da altri gruppi etnici, come gli zingari della collina di Soroca, gli ucraini della regione settentrionale della Moldova, i bulgari di Taraclia e i russi concentrati nelle grandi città e nei centri industriali.

Il 22 aprile 2005 è il Presidente ucraino, Viktor Yushenko, a rilanciare la trattativa diplomatica, illustrando il piano denominato: “Verso una risoluzione attraverso la democratizzazione”.

La proposta di Kiev delinea una Moldova quale Stato indivisibile con i confini amministrativi creati prima del settembre 1990, l’allargamento dei negoziati a Unione Europea e Stati Uniti, a fianco di Russia, Ucraina e OCSE, la democratizzazione della Transnistria, attraverso l’elezione dell’organo legislativo regionale controllata da osservatori internazionali.

I 17 punti chiave del “Piano Yushennko” prefigurano il riconoscimento dell’enclave transnistriana sotto forma di Repubblica e con una propria legge elettorale; per essa è prevista la possibilità di secessione, inoltre le truppe russe possono rimanere quali garanti dell’accordo.

Questa proposta viene accolta positivamente da Mosca e dall’OSCE ma rifiutata dalla Moldova, con le medesime motivazioni già adottate in passato.

Anche Tiraspol rimane dubbiosa, in quanto il “Piano Yushenko” vuole risolvere il conflitto attraverso la creazione di una federazione nell’ambito dello Stato moldavo, mentre i dirigenti transnistriani esigono una struttura confederativa.

Alla fine del 2005 l’Unione Europea interviene direttamente nella questione, mandando degli osservatori internazionali sulla frontiera comune tra Moldova e Ucraina, nel segmento della Transnistria.

L’impatto dell’iniziativa di Bruxelles supera decisamente la portata del conflitto tra Chisinau e Tiraspol, andando ad incidere direttamente e negativamente nei rapporti tra Russia ed Unione Europea in tutto lo spazio ex sovietico.

Gli sviluppi politici della Transnistria

Il 17 settembre 2006 ha luogo in Pridnestrovie un referendum sull’indipendenza del proprio territorio, la sua adesione alla Federazione Russa o il suo mantenimento nel seno della Repubblica di Moldova (7).

Proprio negli stessi giorni, l’Alleanza Atlantica organizza delle manovre militari a ridosso della Transnistria, in territorio moldavo, nonostante le veementi proteste delle forze anti-NATO di Chisinau, che reclamano la violazione della neutralità sancita dalla costituzione moldava.

Diverse settimane dopo lo svolgimento della consultazione popolare il Consiglio d’Europa decide di dichiarare il referendum non legale, nonostante un tasso di partecipazione del 78,6% (310.000 persone) e una percentuale schiacciante di votanti a favore dell’indipendenza e dell’entrata nella Federazione Russa (97,1%).

Il Ministro degli Esteri di Mosca, Serghei Lavrov, replica così a Moldavia, Ucraina, Unione Europea e OSCE che si rifiutano di riconoscerne il risultato: “Centinaia di osservatori della Comunità degli Stati Indipendenti e dell’Europa hanno potuto vedere con i propri occhi il popolo della Transnistria esprimere la sua volontà”.

Il rappresentante russo presso l’OSCE, Alerei Borodavkine, spiega come: “Questo referendum non significa il ritiro della Transnistria dal processo di negoziazioni e la decisione delle autorità di Tiraspol va spiegata nel contesto della pressione esercitata sul paese, in particolare a partire dal novembre 2003 …”.

Il 21 settembre 2006 tocca al Presidente Igor Smirnov commentare il risultato elettorale: “Il referendum che si è tenuto domenica scorsa ha costituito la fine logica delle prove tragiche e dei blocchi di ogni genere, economico e informativo, così come delle altre sfide e minacce che noi abbiamo subito in questi ultimi anni. Il popolo della Transnistria si è autodeterminato e vede il suo avvenire in un’alleanza con la Russia.”

Il Presidente del Parlamento locale, Yevgeni Shevchuk, conferma comunque che i negoziati con Voronin non vanno interrotti, pur nell’ambito della politica estera della Transnistria, che rigetta l’eventualità di uno Stato comune con la Moldova.

Il 5 luglio 2007, tuttavia, il Ministro degli Esteri transnistriano, Valeri Litskai, precisa che la Repubblica autoproclamata non ha bisogno di nulla dalla Moldova, in quanto Chisinau continua a proporre “un miserabile statuto d’autonomia, senza alcuna evoluzione. In 17 anni noi abbiamo creato tutto il necessario per assicurare il nostro sviluppo in maniera indipendente ed efficace”.

All’inizio del 2008 la situazione non mostra segni di miglioramento, anche per l’effetto domino che l’indipendenza del Kosovo dalla Serbia (proclamata dal Governo di Pristina il 17 febbraio di quell’anno) rischia di mettere in moto.

E’ lo stesso Shevchuk ad avvertire, il 31 gennaio 2008, come: “L’auto-proclamazione d’indipendenza del Kosovo potrebbe aprire la strada all’autodeterminazione della Transnistria. Se la Comunità Internazionale riconosce quel territorio e dichiara che sta nel diritto del popolo albanese auto-determinarsi, allora perché non i cittadini della Transnistria, che vivono in Europa e che hanno approvato un referendum sull’indipendenza? In base al memorandum del 1997 – relativo alla normalizzazione dei rapporti tra Tiraspol e Chisinau – la Transnistria si è obbligata a prendere in considerazione la possibilità di uno Stato comune con la Moldova. Il documento non indica se si tratterà di una federazione, una confederazione o un’unione. Non abbiamo mai sconfessato quel documento. Se si svilupperà un trend positivo, la tensione calerà e potremo discutere dei nostri passi futuri”.

Questo spiraglio viene confermato durante il primo incontro tenutosi in sette anni tra Smirnov e Voronin, nell’aprile 2008, quando i due leader si dichiarano pronti a risolvere le divergenze entro la fine dell’anno.

L’effetto domino kosovaro si riflette effettivamente nella guerra russo-georgiana dell’estate 2008, che comporta la definitiva indipendenza di Abkhazia e Ossezia del Sud e al termine della quale il Presidente russo Dmitri Medvedev, evidentemente intenzionato a ricucire i difficili rapporti con un’Europa sciaguratamente schierata con Tiblisi, annuncia: “E’ ragionevole discutere il problema della Transnistria adesso e penso che esistano buone chance di risolvere la questione. Gli ultimi eventi nella Repubblica separatista georgiana dell’Ossezia meridionale hanno dimostrato quanto i cosiddetti conflitti congelati possano essere pericolosi quando i dirigenti georgiani hanno, come da loro dichiarato, perso la testa. Il problema si è aggravato ed è sfociato in un conflitto militare. E’ un serio avvertimento per tutti noi e in questo contesto dobbiamo considerare la questione della Transnistria allo stesso modo”.

A tale scopo il 25 agosto 2008, la portavoce del Cremino, Natalia Timakhova, dichiara che Mosca è pronta a “fare ogni sforzo per la soluzione definitiva del conflitto congelato della Transnistria” e annuncia “una serie di incontri e negoziati con la partecipazione di tutte le parti interessate, compresi i dirigenti di Tiraspol”.

Ma è proprio l’apertura del vaso di pandora, provocata dalla secessione kosovara e dal sostegno che solo le nazioni occidentali le hanno tributato, ad influire negativamente sulle possibilità di rimettersi a tavolino.

Il 2 settembre 2008, il Governo di Chisinau si pronuncia contro il riconoscimento internazionale di Abkhazia ed Ossezia del Sud, scatenando l’immediata replica di Igor Smirnov, che ribadisce come l’ufficializzazione giuridica dell’indipendenza transnistriana sia il solo modo di uscire dalla crisi con la Moldova.

Quando il capo del Governo di Mosca, Vladimir Putin, raccomanda alla Duma di non procedere al riconoscimento della Transnistria, dopo che Mosca ha già riconosciuto le due Repubbliche caucasiche staccatesi dalla Georgia, la Moldova, in cambio, si impegna a non procedere nel suo avvicinamento alla NATO (8).

Ma ancora volta è Vladimir Voronin a rimangiarsi la parola, infittendo i rapporti con l’Alleanza Atlantica; il doppio gioco moldavo si può spiegare col fatto che, mentre da una parte i dirigenti comunisti di Chisinau tentano di stabilire stretti rapporti con Washington e Bruxelles, dall’altra comprendono di essere incapaci a vincere le elezioni senza l’appoggio di Mosca.

Grazie alla capacità d’influenza russa, Medvedev continua a tessere la sua rete diplomatica promuovendo un nuovo incontro tra Smirnov e Voronin alla fine del mese di settembre 2008 (poi rinviato a data da destinarsi), con l’obiettivo di siglare una dichiarazione congiunta a favore della sovranità e dell’integrità territoriale moldava ma, allo stesso tempo, per definire uno statuto giuridico ben preciso volto a salvaguardare la peculiarità transnistriana.

A corredo di questo accordo, la Russia si prefigge l’obiettivo di impegnare la Moldova ad uno status di neutralità militare e politica e la Transnistria a non reclamare più l’indipendenza; per il Cremlino è importante giungere ad un risultato positivo entro la fine del 2008, così da compensare gli scossoni geopolitici causati dalla guerra contro la Georgia.

L’intenzione di Medvedev è quella di provare all’Occidente che la Russia è capace di regolare i problemi territoriali all’interno dello spazio post-sovietico non soltanto attraverso il ricorso alla forza ma anche grazie all’ausilio dei mezzi diplomatici.

Voronin conferma il 13 ottobre l’apertura di una trattativa e si dichiara disposto a concedere alla Transnistria lo statuto di Repubblica in seno alla Moldova, così come un proprio esercito, un bilancio autonomo e il diritto d’ iniziativa legislativa in seno al Parlamento.

Nel caso lo Stato moldavo dovesse cambiare il proprio status d’indipendenza e neutralità militare, la Transnistria avrebbe la possibilità di effettuare la secessione.

Come spiegato da Voronin: “Nella nostra società una maggioranza di cittadini si pronuncia contro l’adesione alla NATO. Ma qualcuno potrebbe un giorno organizzare un referendum per risolvere questa questione. Noi siamo una repubblica parlamentare e le forze di opposizione, presenti in parlamento, sono favorevoli all’adesione alla NATO. La partecipazione a questo eventuale referendum degli elettori della Transnistria impedirebbe di rendere maggioritari i “sì” all’adesione all’Alleanza Atlantica. D’altronde, da quando esiste, il GUUAM non ha realizzato un solo progetto”.

Nonostante queste rassicurazioni, il Presidente moldavo incontra il 30 ottobre il Segretario Generale della NATO, Jaap de Hoop Scheffer e si dichiara pronto a siglare un nuovo Piano d’Azione di Partenariato Individuale (IPAP 2), pur confermando che il principio della neutralità è sancito dalla propria costituzione e non può essere messo in discussione.

Per l’analista Alexander Rahr, direttore del Consiglio tedesco delle relazioni estere: “Washington mostra in un certo modo a Mosca di non apprezzare i suoi piani di regolazione dei conflitti regionali nello spazio post-sovietico … I dirigenti americani non sopportano che la Russia, a differenza degli anni ’90, intervenga oggi in qualità di attore politico indipendente”.

La pressione atlantista viene rafforzata il 25 novembre, quando gli Stati Uniti intervengono nella regione sollecitando la ripresa delle trattative diplomatiche ed esigendo il ritiro delle forze russe dispiegate in Transnistria, così come il rispetto dell’integrità territoriale moldava.

Dopo questa richiesta, l’ambasciatore nordamericano in Moldova, Asif Chaudry, viene ricevuto a Tiraspol sia da Smirnov che da Shevchuk e Iastrebtchak.

Il 24 dicembre, finalmente, Smirnov e Voronin s’incontrano a Tiraspol, allo scopo di rilanciare i negoziati sullo status della Transnistria sulla base della formula 5+2 e per programmare un successivo incontro, previsto nel marzo 2009, sotto l’egida della Russia.

Contemporaneamente continuano le manovre di “disturbo” occidentali, al punto che il 19 febbraio 2009 Smirnov rifiuta l’ingresso in Transnistria dei funzionari europei e statunitensi, come ritorsione per la mancata concessione dei visti che Mosca e Bruxelles hanno decretato per 19 alti dirigenti dell’Amministrazione presidenziale di Tiraspol.

Stando all’Unione Europea, queste personalità (tra le quali lo stesso Smirnov e i suoi due figli) sono direttamente responsabili dell’assenza di progressi nel regolare il conflitto con la Moldova e vengono accusati di aver fatto chiudere alcune scuole moldave in Transnistria.

L’assedio occidentale nei confronti della Transnistria e l’influenza russa

Esaurite momentaneamente le opzioni militari, la comunità atlantista ha diretto i suoi sforzi volti a criminalizzare la Transnistria in ambito economico e mediatico, specie a partire dal 2001, quando il blocco economico ha coinvolto la stessa Moldova.

Il 7 febbraio 1996, comunque, Smirnov e Snegur siglano la Decisione protocollare sulla soluzione dei problemi relativi al funzionamento dei servizi doganali, in base alla quale il governo di Tiraspol ottiene da parte della Repubblica di Moldova il diritto di utilizzare il proprio stampo doganale: “Repubblica Moldova. Dogana Tiraspol”.

La firma di tale documento legalizza l’immenso flusso di contrabbando che passa attraverso la Transnistria e permette al piccolo Stato di sopravvivere economicamente nonostante l’ostilità occidentale.

Per diversi anni la situazione è condivisa dal governo di Chisinau, che ne approfitta per importare energia a basso costo dalla stazione termo-elettrica di Cuciurgan, la principale della zona e che si trova in territorio transnistriano.

Oltre al timbro doganale, la Moldova assicura agli agenti economici di Tiraspol certificati di forma “A”, necessari per l’esportazione di prodotti tessili nei paesi dell’Unione Europea, così come certificati di conformità e lettere di garanzia verso le banche di nazioni straniere, affinché le autorità transnistriane ottengano i crediti necessari.

L’Amministrazione presidenziale di Tiraspol e, in particolare, la famiglia Smirnov, vengono per anni accusati di organizzare vari traffici illeciti, dal contrabbando di alcool a quello di armi.

Queste accuse dimenticano alcuni fattori ineludibili, innanzitutto la posizione geografica: se la Transnistria si trova tra l’Ucraina e la Moldova, come possono uscire le armi dal paese, se non attraverso la complicità delle dirigenze filo-occidentali di Kiev e di Chisinau?

In ogni caso, diverse testimonianze permettono di ridimensionare fortemente il problema.

Stando al periodico francese L’Express, in Transnistria esisterebbero 4 fabbriche di armamenti (che producono mortai, fucili mitragliatori, pistole …), ereditate dall’epoca sovietica, per un totale di 42.000 tonnellate di armi.

Nel 1999, effettivamente, la Russia annuncia la dismissione o l’evacuazione di questo arsenale, ma nel 2002 decide di sospenderne il ritiro, in quanto i paesi della NATO violano gli impegni da loro sottoscritti nel summit di Istanbul (tenutosi nel 1999), mentre la dirigenza di Tiraspol dichiara di non avere alcuna intenzione di produrre nuove armi.

Lo stesso Ambasciatore americano William Hill (capo della Missione OCSE a Chisinau) deplora talune esagerazioni: “I militari russi ci hanno mostrato dei documenti che provano come tutte le armi non convenzionali, chimiche o nucleari, siano state ritirate dopo la caduta dell’URSS. Non rimangono che combinazioni anti-nucleari, ma si tratta di rivestimenti, non di armi. Vi sono molte esagerazioni nel dossier delle armi, cosa molto spiacevole perché vi sono dei veri problemi e dei veri pericoli in questa situazione di conflitto congelato” (9).

Nel 2004 la pressione euro-americana fa sentire i suoi effetti e s’instaura una vera e propria guerra commerciale tra Transnistria e Moldova: il 2 agosto di quell’anno, la Camera di Commercio e Industria moldava cessa l’emissione di certificati sull’origine dei prodotti per le imprese transnistriane e provoca come ritorsione il blocco delle connessioni telefoniche, la fermata illegale dei treni a Tighina (impedendo la circolazione ferroviaria tra Chisinau e il sud della Moldova), la sconnessione dell’energia elettrica e la mancata fornitura del gas naturale.

L’Ucraina, invece, appoggia momentaneamente la Transnistria, permettendole l’importazione di beni senza i necessari atti di export vistati da Chisinau e, in virtù di questo provvedimento, Tiraspol consente il ripristino della circolazione ferroviaria.

La Russia stessa interviene nella guerra commerciale, mettendo al bando l’importazione di vino dalla Moldova (il mercato russo assorbe l’85% della produzione vinicola di Chisinau, che costituisce il 30% dell’intero export moldavo) e aumentandole il prezzo della fornitura di gas naturale.

A partire dal 1 luglio 2007, però, l’Unione Europea rafforza il suo blocco economico in collaborazione di Ucraina e Moldova, stabilendo sanzioni che, stando alle stime dei dirigenti di Tiraspol, provocano per il bilancio transnistriano una perdita netta di 260 milioni di dollari.

Problemi economici sorgono nella stessa Moldova, che dipende dalla Transnistria per l’87% del suo consumo di elettricità, e, addirittura, in campo sportivo, in quanto gli incontri internazionali di calcio di un certo livello devono essere disputati nello stadio di Tiraspol, molto più attrezzato e moderno di quello di Chisinau (al punto da essere decorato dell’ordine del Merito durante il centenario della FIFA).

Anche se vuole controllare le frontiere della Transnistria, l’Unione Europea si guarda però bene dall’inviare osservatori internazionali ai referendum tenutisi nel Paese.

La decisione europea va spiegata con la strategia anti-russa perseguita dai burocrati di Bruxelles, in collaborazione con la NATO, il cui allargamento ad oriente corrisponde alla necessità di ostacolare la commercializzazione del petrolio e del gas naturale di Mosca.

La Transnistria ha un’importanza strategica, in quanto il suo territorio costituisce la via attraverso il quale dovrebbe passare il gas naturale di tutto il sud-est dell’Europa.

Dopo la querelle Mosca-Kiev, conseguenza della “rivoluzione arancione” ucraina, Gazprom accresce la sua rete di gasdotti attraverso la Transnistria, prolungando il gasdotto che va da Burgas (Bulgaria) a Alexandroupolis (Grecia); il 21 giugno 2007, poi, il gigante energetico russo

conclude un accordo con Mol (Compagnia nazionale ungherese), grazie al quale il gasdotto South Stream viene prolungato in Ungheria, per rifornire con il gas siberiano la zona meridionale dell’Unione Europea.

Situato tra i Balcani e le pianure continentali, non lontano dal Danubio, da Odessa, dai Carpazi e dal Mar Nero, il territorio transnistriano costituisce storicamente l’avamposto russo per il controllo del fiume Danubio e dei suoi affluenti.

La Duma raccomanda periodicamente alla propria Amministrazione presidenziale di agire per l’ufficializzazione dei rapporti interstatali con la Transnistria, dichiarata “zona d’interesse strategico per Mosca e Moldova”, suggerendo la dislocazione permanente di un contingente di truppe russe.

Pur avendo ridotto il proprio schieramento militare di pace da 2.400 a 1.500 e poi a soli 400 uomini, la Russia mantiene tuttavia vicino alla frontiera con la Moldova due squadriglie di elicotteri che permetterebbero di reagire rapidamente ad ogni provocazione straniera, proveniente in particolare dalle truppe della NATO che stazionano a circa 12 km. dai confini transnistriani.

La Comunità Internazionale ha ripetutamente chiesto alla Russia il ritiro incondizionato di quanto resta della propria Armata, attraverso le decisioni dei summit OSCE di Budapest (1994), Lisbona (1996), Istanbul (1999) e Porto (2002) e attraverso la Risoluzione Speciale dell’Assemblea Generale dell’ONU del 2000.

Ovviamente la Russia si guarda bene dal ritirare definitivamente il proprio contingente, pur estremamente ridotto, in quanto mantenere la propria influenza in Transnistria le consente di trattare da una posizione di forza con l’Unione Europea sulle altre questioni contese, come ad esempio quella dell’enclave di Kaliningrad.

Non a caso, in risposta alla decisione romena di dispiegare sul proprio territorio i missili intercettori statunitensi (progetto scuso spaziale USA), Igor Smirnov ha proposto che la Transnistria ospiti i missili tattici “Iskander” russi.

Così, anche in campo politico, Tiraspol e Mosca siglano, da anni, accordi di cooperazione in numerosi domini che vanno dalla difesa all’educazione, dalla cultura alla scienza, fino allo sport (protocollo Joukov-Smirnov).

Un ulteriore progetto di legge dovrebbe presto armonizzare ulteriormente la legislazione tra i due Paesi, così da avere delle consultazioni permanenti tra il Gabinetto di sicurezza presidenziale della Transnistria e il Consiglio di Sicurezza della Federazione Russa sulle questioni politiche e strategiche.

Nel giugno 2006, inoltre, viene creata la “Comunità per la democrazia e i diritti dei popoli”, in seguito denominata “CEI-2”, che si basa su un trattato di amicizia e di assistenza comune politica, economica e militare tra i governi di Transnistria, Abkhazia e Ossezia del Sud.

Dal punto di vista interno, i dirigenti di Tiraspol comprendono perfettamente la necessità di “istruire” la propria gioventù circa i tentativi statunitensi di egemonizzare l’eventuale malcontento popolare e far scoppiare così altre “rivoluzioni di velluto”, sul modello di quanto già accaduto in Serbia, Georgia, Ucraina, Tagikistan, Kirghizistan …

La difesa dei propri valori nazionali e culturali dalle ingerenze occidentali viene perciò affidata al movimento giovanile Proryv, generato all’inizio del 2005 su impulso del Ministero della Sicurezza di Stato della Transnistria e posto sotto la supervisione di Stanislav Belkovski, direttore dell’Istituto nazionale di strategia politica di Mosca, sensibile all’approccio geopolitico neo-eurasiatista.

Questo gruppo, più che interessarsi alla situazione locale, tende a denunciare il tentativo di introdurre dall’esterno cambiamenti all’interno del Paese, svelando i tentativi d’intromissione in Transnistria di Stati Uniti e OSCE; esso fornisce, al contrario, il suo sostegno alla minoranza rutena della Transcarpazia, per indebolire il nazionalismo filo-occidentale dell’Ucraina e si unisce alla minoranza russa stanziata in Crimea, durante le affollate manifestazioni anti-NATO (10).

Transnistria: un esperimento di democrazia diretta

Grigore Maracoutsa, di origine moldava, è di fatto l’architetto dell’ordinamento politico transnistriano, consolidatosi nel corso dei numerosi referendum popolari tenutisi nei primi anni Novanta e nella seconda metà del 2000.

La Repubblica di Transnistria è uno Stato multilinguistico (russo, ucraino e moldavo in caratteri cirillici) e in base all’art. 26 della “Legge sulle lingue” riconosce ai suoi cittadini la libertà di scegliere in quale lingua debbano essere impartiti gli insegnamenti scolastici (circa 11.000 giovani, su una popolazione scolastica di 79.000 ragazzi, sono ammessi nelle scuole moldave del Paese).

La tradizione cirillica della scrittura moldava è legata alla religione cristiano-ortodossa e alle scritture di libri religiosi in lingua slava; a differenza della Chiesa Ortodossa romena, quella moldava è fedele al vecchio calendario e riconosce la supremazia del Patriarcato di Mosca.

Alla base del sistema politico transnistriano stanno concetti quali l’indipendenza e la fierezza del proprio popolo, così come i principi delle tre “A”: “Auto-organizzazione, Autonomia e Autarchia”.

Oltre ad un Presidente eletto direttamente dal popolo, con funzione di nominare e dirigere il governo da lui presieduto, la Transnistria possiede il Consiglio Supremo che è il principale organo legislativo della Repubblica.

Dopo le due Costituzioni, adottate la prima nel 1991 e la seconda nel 1995 ((tramite referendum), nel 2002 è creata la Corte Costituzionale come organismo di controllo; nel 2007 questa sigla un accordo di cooperazione con le Corti costituzionali delle altre Repubbliche russofone della CSI, per scambio di informazioni, documenti e referenze scientifico-giuridiche.

L’art. 17 della Costituzione del 1995 proclama per ogni cittadino l’eguaglianza dei diritti davanti alla legge, senza alcuna distinzione di sesso, razza, religione, lingua, origine sociale, opinione e statuto personale (i Moldavi sono raggruppati nell’ ”Unione dei Moldavi di Pridnestrovie”, mentre costituiscono una fazione minoritaria importante i Gagauzi, 3,5% della popolazione) 11).

La Costituzione riconosce e protegge anche i diversi tipi di proprietà economica: quella statale, quella privata, quella sociale (il territorio transnistriano è la parte più industrializzata della Moldova).

Geograficamente la Transnistria forma, ad Est della Moldova, un piccolo territorio di 4.163 km quadrati, composto di 6 distretti: Tiraspol, Dubossary, Rybnitsa, Grigoriopol, Kamenka e Slobodzeya, con una popolazione totale di oltre 555.000 abitanti.

Stando al censimento del 2004, 177.000 abitanti sono di origine moldava (32% circa dell’intera popolazione), più di 168.000 sono di origine russa (30,4%) e più di 160.000 di origine ucraina (28,8%); dal punto di vista dell’insediamento demografico, bisogna rilevare come il nord sia prevalentemente ucrainofono e moldavofono, mentre il sud sia maggiormente russofono.

In genere Russi e Ucraini preferiscono abitare le città piuttosto che le campagne, a fronte di un rapporto tra popolazione urbana/popolazione rurale che è rispettivamente del 68% e del 32% (più di 160.000 persone abitano nella capitale, Tiraspol).

La moneta ufficiale è il rublo transnistriano ma dal 2006 sono in corso preparativi per l’adozione del rublo russo.

Il protocollo siglato nel maggio 2006 tra il vice Primo Ministro russo, Alexander Joukov e il Presidente della Transnistria, Igor Smirnov, oltre a confermare giuridicamente gli obblighi di protezione della Russia sulla Pridnestrovie, consente a tutti gli abitanti della Repubblica transnistriana con cittadinanza russa di godere delle pensioni russe.

Dal punto di vista culturale, le idee storiche di Lenin sono state accolte con grande entusiasmo nel Paese, in quanto servono ad abbattere le barriere etniche; quella transnistriana è la concezione di uno Stato multietnico con valori universali, nel quale i gruppi etnici dominanti dovrebbero subordinare i propri interessi nazionali a quelli dello Stato nel suo complesso.

Per questo motivo gli ideali sovietici di una fratellanza internazionale, in cui la solidarietà e gli obiettivi comuni superano i confini nazionali, hanno preso facilmente piede.

Il fatto che alcune riviste e trasmissioni radio-televisive locali in lingua moldava siano soppresse, va giustificato perciò da un punto di vista politico (la perniciosità del nazionalismo tribale) e non etnico.

L’episodio critico di maggior rilievo si verifica dopo la mancata firma da parte di Voronin del Memorandum Kozak.

In Transnistria vi erano 7 scuole di lingua romena, aperte durante il periodo sovietico e subordinate al governo centrale di Chisinau, con 5.000 iscritti che studiavano il programma scolastico moldavo.

La decisione di chiuderle, presa dalle autorità transnistriane in un momento di forte conflittualità con i vicini, viene giustificata ufficialmente col fatto che le scuole non rispettano il processo di registrazione ma va spiegata, in realtà, con il fatto che la lingua romena rischia di creare un’identità artificiale moldava (moldavo scritto in latino).

La giornata dell’Indipendenza della Transnistria, svoltasi il 2 settembre 2008, registra la partecipazione di diverse delegazioni ufficiali; oltre a quelli della Russia, sono presenti rappresentanti di Ucraina, Bielorussia, Bulgaria, Irlanda, Abkhazia e Ossezia del Sud.

Lo sviluppo di movimenti politici affini ai Nashi russi e al “Fronte della Gioventù di Bielorussia”, il già citato Proryv e la “Gioventù Smirnoviana”, che apportano, ad esempio, il loro sostegno al Forum Sociale Mondiale svoltosi in Venezuela, hanno provocato recentemente il contrattacco mediatico delle forze di pressione atlantiste e suscitato, per reazione, una ripresa delle manifestazioni antiamericane.

Il Movimento giovanile Breaktrough, che supporta in maniera critica Smirnov, ha aperto a Tiraspol la Che Guevara High School, nella quale i giovani apprendono i valori patriottici e si preparano a fronteggiare un’eventuale “rivoluzione colorata”.

La Fondazione Soros e molte ONG eterodirette dall’Occidente, infatti, riprendono nel 2009 una virulenta campagna di diffamazione contro la Transnistria, attraverso convegni e attacchi internettari, che l’accusano di violazione dei diritti umani, della mancanza di democrazia, di traffici illeciti, di violazione delle regole della comunità internazionale …

Naturalmente il caso della secessione del Kosovo dalla Serbia ha spaccato gli schieramenti internazionali, coinvolgendo attivamente i dirigenti di Tiraspol, che definiscono il piano Athisaari “non accettabile”; ma, contrariamente a quanto i dirigenti statunitensi ritenevano, il GUAM, l’alleanza pro-NATO tra Georgia, Ucraina, Azerbaijan e Moldova, si pronuncia fermamente contro l’indipendenza unilaterale da Belgrado proclamata il 17 febbraio 2008 dal governo albanese di Pristina.

In ogni caso, uno dei maggiori specialisti dei “conflitti congelati”, Florent Parmentier, definisce ormai la Transnistria uno “Stato di fatto, nonostante l’assenza di riconoscimento internazionale, le minacce costanti …”, giudizio condiviso anche dall’analista statunitense Dov Lynch, secondo il quale ormai la Pridnestrovie “possiede tutti gli attributi della sovranità” (12).

La questione moldava versus lo status per la Transnistria

I numerosi sforzi intrapresi dall’Amministrazione presidenziale russa nel 2008 e all’inizio del 2009 per risolvere la questione transnistriana, si sono frantumati dopo la “rivoluzione colorata” che ha scosso la Moldova nella primavera 2009.

Sono certo evidenti le responsabilità del Presidente Voronin, che dopo aver accettato la piattaforma diplomatica proposta da Dimitri Medvedev e basata sulla formula 2+1 (Mosca mediatrice tra Chisinau e Tiraspol) ha per l’ennesima volta scompaginato le carte, cedendo alle pressioni occidentali per una ripresa del negoziato fondata sulla formula 5+2 (con l’inclusione, quindi, di UE, OSCE, NATO e Stati Uniti).

Una mossa che ha fortemente irritato il Cremlino, al punto dal far dichiarare all’attuale premier russo, Vladimir Putin, che “quanti più saranno i partecipanti al tavolo dei negoziati, tanto più tempo ci vorrà e si rischia che tutto diventi una farsa”.

Nel luglio 2009, la ripetizione delle elezioni moldave voluta dalle organizzazioni occidentali come l’USAID (controllata dalla CIA statunitense) e dalle ONG coadiuvate dalla giornalista anti-Putin, Natalia Morar, ha estromesso dalla guida del governo l’ex comunista Vladimir Voronin (13).

Se lo stesso Vladimir Putin si è affrettato a rassicurare Igor Smirnov sul sostegno russo alla Transnistria, è certo che nel 2010 le pressioni atlantiste continueranno più veementi che mai.

Il nuovo Presidente moldavo, Mihai Ghimpu, incontrando il 18 dicembre 2009 uno dei responsabili del Segretariato statunitense alla Difesa per le questioni eurasiatiche, Celeste Wallander, ha annunciato di aver concluso un accordo con la missione diplomatica statunitense per la stipula di una partnership strategica con Washington.

Il progetto discusso con i diplomatici statunitensi a Chisinau prevede l’intensificazione degli accordi economici e commerciali tra i 2 paesi e, soprattutto, lo sviluppo di solidi legami sul piano militare e della sicurezza.

Mosca, che attraverso gli ingenti prestiti concessi da Pechino alla Moldova tenta di condizionare l’esito di questo processo, è ora avvisata (14), ma la carta transnistriana rimane in piedi più che mai, al punto da essere definita da alcuni analisti l’unica zona rimasta di frozen conflict (15).

La Guerra in Ucraina riaccende la battaglia per Pridnestrovie

Il costante e sotterraneo sostegno di Mosca ai separatisti del Donbass ha profondamente irritato non solo le cancellerie europee ma soprattutto l’Alleanza Atlantica di stanza Bruxelles che, per bocca del comandante supremo della NATO, generale Philip Breedlove, il 2 aprile 2014 ha messo in guardia la Russia contro ogni tentativo di “annettersi” la Transnistria.

Subito dopo il referendum di autodeterminazione della Crimea, infatti, il Presidente del Parlamento di Tiraspol, Mikhail Burla, aveva scritto al suo omologo a Mosca chiedendogli di approvare una legge sull’adesione della Transnistria alla Federazione Russa (come sancito dal Referendum del 2006); contemporaneamente il Presidente della Moldavia, Nicolae Timofti, sollecitava l’Unione Europea ad accelerare la firma dell’accordo di associazione e a bloccare qualsiasi tentativo indipendentista della Repubblica situata sulla parte orientale del fiume Nistro.

A complicare la situazione dell’area vi era il referendum della Gagauzia, che gode dello statuto di zona autonoma speciale all’interno della Moldavia, dove oltre 100.000 abitanti cristiani ortodossi di etnia turca avevano votato per l’adesione all’Unione Doganale Eurasiatica, ricevendo il plauso del Ministro degli Esteri di Tiraspol.

Avendo la Russia riconosciuto la consultazione referendaria gagauza, il comitato esecutivo di Comrat annunciava la decisione di istituire stazioni di polizia indipendenti nella stessa capitale e nelle città di Briceni e Cahul.

Pur senza mai sbilanciarsi ufficialmente, Mosca ha segretamente negoziato con Bruxelles riguardo allo status di Pridnestrovie, facendo chiaramente intendere che, se messa alle strette, sarebbe stata disposta ad intraprendere un conflitto per salvaguardarne l’autonomia.

La stessa Repubblica Popolare di Donetsk, facente parte della Federazione di Novorossia, aveva prontamente solidarizzato con i “fratelli” di Tiraspol minacciati dall’Occidente, dichiarando per bocca del Ministro degli Esteri A. Kofman che “in caso di aggravamento della crisi” non sarebbe rimasta a guardare.

Ucraina e Moldavia, d’altronde, hanno fatto tutto il possibile per innalzare la tensione fino al punto di non ritorno.

Inizialmente il Governo di Chisinau ha impedito importazione ed esportazione di merci e prodotti transnistriani, rifiutando ad esempio il rilascio di certificati fitosanitari e licenze di produzione, provocando danni complessivi intorno a 1 miliardo di rubli, mentre le solite ong occidentali scaldavano i motori in vista di una nuova “rivoluzione arancione” nel Paese.

Va ricordato come grazie ai contributi che giungono dalla Federazione Russa, o direttamente tramite il pagamento di stipendi pubblici e pensioni o indirettamente grazie alle rimesse degli emigrati, la Transnistria riceva un contributo annuale di 850 milioni di dollari che corrisponde al 93% del proprio PIL.

Il Presidente della Transnistria, Evgenj Shevchuk, si è così recato in missione diplomatica prima presso il quintetto dei 5 + 2 (i cinque Paesi incaricati di risolvere la controversia sullo status internazionale di Pridnestrovie più i due Paesi osservatori), poi direttamente a Mosca.

L’esecutivo di Tiraspol ha elaborato in questa circostanza un documento in cui elenca le misure di protezione e di reazione oggettive che è stato costretto ad adottare a causa delle misure economiche unilaterali assunte dai suoi vicini, richiamandosi giuridicamente al “Mosca Memorandum” del 1997 (firmato da Russia, Ucraina e OSCE) che garantisce la libertà commerciale della Transnistria.

Il Governo di Kiev ha fortemente contribuito ad inasprire gli animi dopo l’adozione di una legge (21 maggio 2015) che abolisce gli accordi di transito in Ucraina dei circa 1500 soldati russi che periodicamente si danno il cambio come forza di interposizione in Transnistria, dove sorvegliano anche gli ex depositi di armi sovietiche lì rimasti.

Sono 402 i peacekeepers russi al confine per il mantenimento della pace, altri 1000 soldati circa garantiscono la sicurezza in particolare della riserva di Kolbasna (a soli 2 km. dal confine ucraino), dove vengono custodite circa 20.000 tonnellate di munizioni ed equipaggiamenti.

La loro turnazione avveniva ogni 6 mesi attraverso il territorio ucraino o moldavo, ora non più; per costringere Mosca a desistere, Chisinau ha preteso una notifica preventiva dei movimenti del contingente militare russo con almeno un mese di anticipo e l’indicazione di dati sensibili che il Cremlino non può ovviamente rivelare.

L’Ucraina ha imposto forti restrizioni sull’ingresso nel Paese di uomini tra i 16 e i 65 anni, danneggiando l’economia legata al transito dei beni e dei lavoratori ma ha consentito a propri gruppi di attivisti di posizionare blocchi stradali per bloccare le merci provenienti da Tiraspol.

Secondo alcune fonti è nella regione di Odessa che si stava preparando una grande provocazione che avrebbe dovuto servire da pretesto per l’invasione ucraina della Transnistria.

I servizi di sicurezza di Kiev (SBU) avevano reclutato giovani emarginati, spacciati per nazionalisti transnistriani e contrari alla nomina di governatore della regione di Mikhail Saakashvili, l’ex presidente georgiano rifugiatisi negli Stati Uniti e dotato di cittadinanza ucraina per sfuggire alle accuse di malversazione e abuso di cui è accusato in patria.

La finta rivolta popolare, inscenata da questi provocatori sulle barricate di Kotovsk (città ucraina sulle coste del Mar Nero), sarebbe dovuta servire quale scusante per attaccare Pridnestrovie e coinvolgere la Russia in un conflitto militare.

Un drone spia veniva anche abbattuto mentre compiva riprese video e foto all’interno della Transnistria.

Contemporaneamente, il 4 giugno 2015 il Parlamento ucraino approvava una legge per ammettere truppe straniere nel Paese (ad eccezione di quelle russe evidentemente) mentre il cacciatorpediniere statunitense USS Ross lasciava il porto di Costanza (in Romania) e si avvicinava alle coste della Crimea, venendo però immediatamente messo sotto sorveglianza dagli aerei russi Su.24 (16).

La novità legislativa consentiva al Governo di Kiev di giustificare anche la partecipazione delle proprie forze armate alle esercitazioni della NATO “Rapid Trident”, “Sea Breeze”, “Bright Avalanche”, “Carpazi” e “South 2014”.

Dopo aver festeggiato il 2 settembre 2015 il venticinquesimo anniversario della sua indipendenza ed essere convolato a nozze con il proprio Ministro degli Esteri, l’affascinante Nina Shtansky, il Presidente transnistriano Shevchuk decideva di richiamare tutti i riservisti in età adulta nel timore di un possibile conflitto.

Le elezioni legislative tenutesi in Pridnestrovie nel novembre 2015 hanno tuttavia sancito la spaccatura politica esistente tra i candidati vicini allo stesso Shevchuk e quelli appoggiati dall’ex Presidente Igor Smirnov, divisi sulle responsabilità della crisi economica che attanaglia la regione separatista.

La nuova tattica di Mosca e Tiraspol per sfuggire all’accerchiamento atlantista

La pur precaria tenuta degli Accordi Minsk per la stabilizzazione della situazione ucraina ha comunque finora evitato l’irreversibilità della crisi transnistriana, che rischia comunque di degenerare in qualsiasi momento viste le ripetute provocazioni della NATO nell’area.

Oltre al tentativo di sobillare i giovani scontenti per mezzo delle solite ONG sorosiane che operano indisturbate nell’ex Europa orientale, le recenti manovre militari degli Stati Uniti in Moldavia hanno provocato la decisa reazione dell’opposizione socialista all’attuale Governo di Chisinau.

Dai due nuovi centri di comando della NATO istituiti in Romania, nei primi giorni di maggio 2016 sono infatti entrati a Sculeni, in territorio moldavo, più di cento veicoli blindati a stelle e strisce, violando la neutralità militare sancita dalla Costituzione della Moldavia e fornendo nuovi argomenti al dibattito geopolitico in vista delle elezioni presidenziali in programma per l’ottobre 2016.

A maggior ragione se il contingente di blindati statunitensi verrà impiegato nell’esercitazione militare “Dragon Pioneer 2016”, in programma in Moldavia contemporaneamente alla parata della Vittoria che si tiene ogni anno a Mosca il 9 maggio: lo stesso giorno la NATO prevede di esibire i propri carri armati proprio a Chisinau.

Il Ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, aveva da poco richiamato gli accordi stabiliti dal Gruppo 5+2 (che vede Russia, Moldavia, Transnistria, Ucraina ed OSCE come mediatori e Unione Europea e Stati Uniti quali Paesi osservatori) per sancire la preservazione della Transnistria “quale parte dell’unificata, indivisibile e neutrale Moldavia”.

Limanske, a soli 3 km. dal confine con la Transnistria, è attualmente utilizzata come base di manovra dalla 299.ma Brigata aerea ucraina di stanza a Nikolaev (70 km. ad est di Odessa); a Balta, che dista 20 km. dal confine con Pridnestrovie e funge da collegamento tra Kiev, Odessa e Chisinau, sono dispiegati diversi battaglioni della Guardia nazionale i cui blindati potrebbero raggiungere in meno di due ore la regione separatista.

Se perciò un attacco alla Transnistria proveniente dalla Moldavia (debole militarmente) appare poco probabile, fungendo inoltre il fiume Nistro da barriera naturale, maggiori sono le possibilità di un’offensiva che parta dall’Ucraina.

I piani militari per una simile aggressione erano già stati formulati nell’autunno-inverno 2014 ma furono rimandati a causa delle pesanti sconfitte subite dall’esercito ucraino nel Donbass.

Una prima fase di attacco, lungo il tracciato che parte da Balta, prevede l’occupazione non solo dell’armeria di Kobasna ma dell’intero distretto industriale di Ribnitsa, dove la città di Dubasari collega strategicamente i distretti a nord con la capitale Tiraspol a sud ed ospita un’importante centrale elettrica.

Per venire in soccorso dei “fratelli” transnistriani, le forze russe dovrebbero attraversare la parte occidentale dell’Ucraina oppure organizzare un costoso ponte aereo (magari dalla Crimea); la situazione è ulteriormente complicata dal fatto che, per raggiungere la Crimea dal Donbass, bisogna attraversare città portuali sul Mare di Azov come Mariupol e Berdyansk, che non sono attualmente controllate dai separatisti filorussi.

Per cui, come primo obiettivo, le truppe di Mosca dovrebbero conquistare la città di Odessa, sul Mar Nero, per stabilire un corridoio aeroterrestre che le consenta di collegare direttamente la Russia con il Donbass e la Transnistria.

Il Vicepresidente della Duma Serghei Jelezneac ha recentemente dichiarato che se il contingente militare di peacekeeping russo venisse attaccato, analogamente a quanto già accaduto in Ossezia del Sud nel 2008, il Cremlino entrerebbe in guerra e lo stesso accadrebbe se un aereo russo venisse abbattuto dai missili S300 ucraini dispiegati nell’oblast di Odessa.

Tiraspol sarebbe inoltre in grado di mobilitare nel giro di due settimane circa 50.000 soldati riservisti, cioè 5 divisioni motorizzate.

Se forse a Washington le conseguenze dell’innalzamento della tensione costituiscono un incentivo a proseguire le provocazioni militari, di tutt’altro parere sembrano essere Bruxelles e Berlino, apparse seriamente preoccupate dalla possibile reazione russa.

La Transnistria, che rappresenta da anni un’interessante piattaforma di produzione manifatturiera a costi competitivi, è entrata perciò a sorpresa, all’inizio del 2016, a far parte della “Deep and Comprehensive Free Trade Area” con l’Unione Europea, per lo scambio di una quota di beni senza dazi.

Una scelta che contraddice parzialmente l’annuncio di voler entrare a far parte dell’Unione Doganale Eurasiatica ma che appare pienamente in linea con l’obiettivo di Mosca di separare le responsabilità europee da quelle statunitensi.

Essendo da tempo già entrata la Moldavia nella medesima area economica, Tiraspol e Bruxelles si trovavano di fronte ad una scelta: o fronteggiarsi reciprocamente in una lotta muro contro muro (che inevitabilmente avrebbe costretto anche la Russia a schierarsi contro la UE) oppure cercare un accomodamento favorevole per entrambe.

La Transnistria potrà così continuare ad esportare la maggior parte delle proprie merci in Europa e probabilmente a comporre il dissidio interno tra le due fazioni rivali di Shevchuk e Smirnoff (che è proprietario della Sheriff ltd., unica società autorizzata al commercio con l’estero); allo stesso tempo essa dovrà rimuovere i dazi sui prodotti europei, adeguarsi alle regole dell’Organizzazione Mondiale del Commercio ed introdurre l’iva sulle merci.

Le stime previste in base all’accordo prevedono un incremento del PIL transnistriano del 3-4% annuo e un aumento degli investimenti intorno al 5% (17).

La Russia mantiene comunque una Repubblica amica che dialoga (ma non si integra) con la UE a minor costo e, in caso di emergenza, potrà sempre rinforzarvi il proprio scudo antiaereo (composto attualmente di 46 installazioni militari) come risposta allo scudo antimissile statunitense.

L’Unione Europea scongiura temporaneamente il rischio di una guerra che avrebbe gravemente isolato suoi membri come Ucraina e Moldavia (e forse anche la Romania); il compromesso le consente inoltre di allentare la “politica delle sanzioni” ed evitarne le conseguenti perdite economiche.

*Vicedirettore di “Eurasia” e resp. Relazioni esterne del CESEM, è stato osservatore internazionale per l’ONG russa Cis-Emo, in occasione del referendum per l’indipendenza della Transnistria nel settembre 2006 e durante le elezioni presidenziali transnistriane nel dicembre 2006.

Note

  1. La “Memoria riguardante la necessità della creazione della Repubblica Sovietica Socialista Moldava” è firmata da Grigore Kotovski, Pavel Tkacenko, Solomon Tinkelman e da alcuni comunisti romeni rifugiatisi nell’URSS. Il documento, datato a Mosca il 4 febbraio 1924 e conservato nell’archivio segreto del Partito Comunista Sovietico, è illuminante sugli obiettivi geopolitici sovietici nell’area: “La Repubblica Moldava potrebbe giocare lo stesso ruolo politico-propagandistico che gioca la Repubblica Bielorussa rispetto alla Polonia e la Carelia rispetto alla Finlandia … L’unione dei territori di entrambi i lati del Nistro servirebbe quale breccia strategica dell’URSS verso i Balcani (attraverso la Dobrugia) e verso l’Europa centrale (attraverso Bucovina e Galizia). Una testa di ponte che l’URSS potrebbe utilizzare per scopi militari e politici”, cfr. Diana Cuculescu, Transnistria-Moldova: un conflitto difficilmente componibile, Università degli Studi di Modena, 2006, p. 30.

  2. Ibidem, p. 52.

  3. Ibidem, p. 57.

  4. I Gagauzi, concentrati nel sud del Paese ed eredi dei Turchi cristiani della Dobrugia colonizzata dai Russi nel XIX secolo, combattono nel 1992 una guerra d’indipendenza contro la Moldova, della quale contestano le aspirazioni all’unione con la Romania. Questo conflitto, che termina ufficialmente con le elezioni dell’Assemblea nazionale del 1995, sancisce l’autonomia della Gagauzia all’interno della Repubblica di Moldova, cfr. E.O.D.E., Rapport sur la Transdniestrie, Bruxelles, 2007, p. 79.

  5. Thierry Meyssan, En 1992, les Etats-Unis tentèrent d’écraser militairement la Transnistrie, Reseau Voltaire, 2007.

  6. “Nel settembre 1993, quando il Presidente Boris Eltsin appoggiato da Washington tenta di estendere i suoi poteri con la forza e scioglie illegalmente la Duma, i deputati russi insorgono, lo destituiscono e lo rimpiazzano con il vice-presidente Alexander Rutskoy. I parlamentari si trincerano nel loro emiciclo insieme al generale Albert Makashov, mentre dei volontari transnistriani vengono ad assicurare la loro difesa”, Meyssan, ibidem.

  7. E.O.D.E., op. cit., p. 30.

  8. Ria Novosti, 02/09/2008.

  9. Eurafrique Magazine, Bruxelles, 4° trimestre 2007, p. 8.

  10. Florent Parmentier, Transnistria: il caso Proryv in prospettiva, www.ripensaremarx.it

  11. E.O.D.E., op. cit., p. 18.

  12. Ibidem, p. 48. “Perfino S. Kaufman, sostenitore del carattere puramente etnico del conflitto, ammette che i russofoni transnistriani non sono un gruppo etnico, bensì rappresentano una coalizione di interessi etnici”, cfr. Cuculescu, op. cit., p. 56.

  13. José Miguel Alonso Trabanco, Who is behind Moldova’s Twitter Revolution?, “Global Research”, 11 aprile 2009.

  14. Mauro Gemma, La Moldavia entrerà nella NATO?, dicembre 2009, www.lernesto.it cfr. anche Maurizio Blondet, E Pechino si compra la Moldavia, settembre 2009, www.effedieffe.com.

  15. Vladimir Socor, “Eurasia Foundation”, 26 gennaio 2010.

  16. Valentin Vasilescu, Saakashvili, Transnistria e la Terza Guerra Mondiale, “Reseau International”, 5 giugno 2015.

  17. Kamil Calus, The DCFTA in Transnistria: Who gains?, www.neweasterneurope.eu, 15 gennaio 2016.

Bibliografia essenziale

Dniester State Corporative T.G. Shevchenko University, Atlas of Dniester Moldavian Republic, Tiraspol, 1997.

Pridnestrovian Scientific Centre of the Russian Academy of Natural Sciences, State Sovereignty of the Pridnestrovian Moldavian Republic, Tiraspol, 2006.

Centre of social and political research “Perspectiva” of Shevchenko Pridnestrovian State University, The Pridnestrovian Moldavian Republic as a full-fledged State, Tiraspol, 2006.

Costituzione della Respublica Moldavskaia Pridnestrovskaia, Tiraspol 2006 (in 4 lingue: russo, inglese, tedesco e francese).

Sito governativo della Transnistria: http://pridnestrovie.net/

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