Presentazione del saggio “Le Rivolte Gattopardiane – Analisi e prospettive del bacino del Mediterraneo”

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Presentazione del saggio “Le Rivolte Gattopardiane – Analisi e prospettive del bacino del Mediterraneo” (Supersano – LE – il 04/01/2013).

Luogo simbolo della cultura e della civiltà salentina “Le Stanzie” ha rappresentato nel passato un punto di riferimento per la sosta dei viaggiatori e dei pellegrini che nel corso dei lunghi e faticosi viaggi hanno pregustato un piatto caldo e un meritato riposo prima di riprendere il cammino. Un’antica statio romana situata al centro di un crocevia importante che congiunge l’Adriatico e lo Ionio (i porti di Otranto e di Gallipoli) “l’antica via dell’olio” e Santa Maria di Leuca, con la Terra Santa. “La via dei pellegrini”, il tragitto utilizzato da ogni cristiano che si recava in pellegrinaggio da San Michele sul Gargano a Santa Maria di Leuca. Questo luogo oggi accoglie i monumenti tipici dell’architettura contadina del Salento e la coltura predominante dell’ulivo spiega la presenza dei frantoi ipogei attrezzati per la lavorazione delle olive, il più antico dei quali è da ricondurre al periodo di insediamento dei monaci italo-greci (IX-XII sec. D.C.).

 

Da sinistra: Dott.ssa Pacella, Dott.ssa Varrazza, Dott. Bavone, Avv. Giuseppe Stefanelli. Nell’immagine

 

 

 

il Dott. Bavone

In questa cornice altamente evocativa si è tenuta, lo scorso 4 gennaio, la conferenza “Analisi e prospettive del bacino del Mediterrano” nel corso della quale è avvenuta la presentazione del saggio “Le Rivolte Gattopardiane – Analisi e prospettive del bacino del Mediterraneo” (Anteo Edizioni, 2012) di William Bavone. Tale evento ha rappresentato un’ottima occasione per approfondire quello che, con ogni probabilità, è il tema rispetto al quale è stata orchestrata la più vasta campagna di disinformazione degli ultimi anni. Bavone esordisce nel suo intervento presentando la struttura della sua opera, divisa in tre parti principali di cui la prima si occupa di analizzare gli aspetti demografici, religiosi e, più in generale, culturali che caratterizzano il vasto e variegato mondo arabo. Nella seconda parte, Bavone offre una disamina dei fondamentali aspetti economici che variano da paese a paese. Nella terza ed ultima parte, la più “soggettiva”, l’autore parte dai presupposti enucleati nei due capitoli precedenti per trarre un bilancio degli eventi che hanno scosso il mondo arabo. Bavone sottolinea, in primo luogo, l’estrema distanza dalla realtà che contraddistingue larghissima parte dei resoconti offerti dai mass-media, i quali hanno gettato in un unico calderone equiparante tutte le rivolte che hanno investito il mondo arabo. Bavone ritiene infatti che quella che i grandi organi di informazione hanno ribattezzato “primavera araba” sia in realtà il risultato di grandi contraddizioni di fondo che toccano gli aspetti demografico, religioso, economico, strategico e geopolitico. L’autore ritiene che le uniche sommosse caratterizzate da una certa aura di spontaneità siano quella tunisina e quella egiziana. In Egitto, tuttavia, sulla sollevazione iniziale messa in atto dagli strati più giovani e alfabetizzati avrebbe ben presto “messo il cappello” la Fratellanza Musulmana, che ha cavalcato il malcontento popolare nei confronti di Hosni Mubarak per imporsi come l’unica forza in grado di guidare il paese. La Libia non dovrebbe invece essere inserita affatto nel novero delle rivolte, innanzi tutto per una mera quanto doverosa precisazione terminologica: l’autore definisce infatti gli eventi libici non come rivolta bensì come guerra civile che affonda le radici in vecchi dissidi di natura tribale tra le regioni della Tripolitania e della Cirenaica, sorrette da strutture economiche, politiche e sociali profondamente diverse tra loro. In Siria, invece, sarebbe in atto un conflitto incitato da forze esterne che hanno come obiettivo principale la destabilizzazione dell’Iran, potente baluardo persiano e sciita circondato da paesi arabi e sunniti. L’analisi delle dinamiche che hanno connotato le varie rivolte, estremamente eterogenee tra loro, portano tuttavia l’autore ad intravedere un filo rosso che, mutatis mutandis, le accomunerebbe alle varie fasi attraverso cui è avvenuta l’unificazione italiana. Tanto le rivolte arabe quanto il dirompente cambiamento geopolitico rappresentato dall’unità d’Italia non avrebbero, di fatto, prodotto alcuna effettiva variazione di rilievo. Da qui il riferimento al “Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa e alla celebre frase di Tancredi al Principe di Salina – «Se vogliamo che tutto rimanga come è, occorre che tutto cambi» – che secondo Bavone accomunerebbe il destino italiano e quello dei paesi arabi, sconvolti da rivoluzioni appoggiate dall’esterno e volte a mantenere l’intero bacino del Mediterraneo sotto l’influenza occidentale. La cortina fumogena di “umanitarismo” attraverso cui Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna e i loro alleati cercano di legittimare le proprie imprese non riesce tuttavia ad occultare i reali obiettivi strategici di fondo, come il rovesciamento di Muhammar Gheddafi. La caduta di Bashar al-Assad in Siria comporterebbe l’esplosione del vicino Libano, sintesi micropolitica di tutte le contraddizioni e tensioni che investono il Medio Oriente, e il conseguente isolamento dell’Iran, che rappresenta uno dei maggiori fornitori di energia alla Cina, che dal 2010 è divenuta la seconda economia mondiale e si sta apprestando ad insidiare il primato statunitense. Il controllo delle fonti energetiche, gran parte delle quali risiede in Medio Oriente, consentirebbe agli Stati Uniti e ai loro subordinati di salvaguardare l’attuale assetto geopolitico mondiale imperniato su Washington. L’autore giudica molto negativamente questa illegittima pretesa delle potenze occidentali che, attraverso la globalizzazione, mirano ad omologare il pianeta ad un unico paradigma di valori e parametri. La stessa Europa, secondo Bavone, sta avvicinandosi alla catastrofe proprio a causa dell’accondiscendenza con cui le varie dirigenze politiche stanno trasferendo le sovranità nazionali alle tecnocrazie che dirigono l’Unione Europea, che impone a sua volta un’unica politica a tutti i paesi membri, ignorando le loro specificità e caratteristiche peculiari. Il dissesto indotto da questa tendenza è testimoniato dalla disoccupazione e dell’arretramento generale di tutte le conquiste sociali degli anni ’60 e ’70. Per dimostrare che è possibile operare un drastico cambio di rotta, Bavone cita l’esempio dell’America Latina, e più specificamente dei progressi capitalizzati da Venezuela e Argentina, paesi guardati con malcelato e malriposto senso di superiorità da Europa e Stati Uniti. Per questa ragione l’Europa dovrebbe, secondo Bavone, scendere dal piedistallo in cui si è arroccata e intessere rapporti paritari con i paesi situati lungo la sponda Sud del Mediterraneo, che dispongono di risorse di cui il Vecchio Continente ha estremo bisogno. Con questa esortazione, Bavone esprime la propria predilezione per un assetto multipolare del mondo, che ponga un freno alla globalizzazione neoliberale

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e tuteli le singole particolarità locali, consentendo a ciascun paese di ritagliarsi autonomamente il proprio “posto al sole”.

La conferenza è arricchita dagli interventi degli altri relatori. Maria Cristina Pacella offre un ampio resoconto della sua esperienza di vita maturata durante il suo lungo soggiorno in Siria, a Damasco.

 

Il consigliere comunale Antonietta Bondanese, ricollegandosi alla relazione di William Bavone, pronuncia un breve discorso focalizzato sul Mediterraneo, sottolineando la necessità di farlo ritornare il “mare nostrum”. Il Funzionario della provincia di Lecce Giovanni Giangreco esprime un caldo apprezzamento per l’evento, evidenziando come la trattazione di eventi simili favorisca l’apertura mentale.

Gianluigi Lazzari, studioso di lettere e filosofia, traccia un parallelo tra il romanzo “Il gattopardo” di Tomasi di Lampedusa e “I viceré” di Federico De Roberto, rivolgendo un invito agli italiani a riscoprire di le proprie origini pan-mediterranee, cosa che favorirebbe il superamento dallo sterile provincialismo che impedisce qualsiasi analisi critica rispetto alla realtà politica e culturale di questo paese.

Il docente di discipline agrarie presso l’istituto superiore “La Noce” di Maglie, prof. Andrani Antonio, agronomo laureato presso l’ Università degli studi di Bologna, interviene caldeggiando la necessità di riappropriarsi della scoperta del mediterraneo , come grande agorà e crocevia per il confronto e il dialogo e ponendo un interrogativo di profonda attualità: l’incidenza delle rivolte risorgimentali nella storia recente dell’Italia e il dilagante prevalere del qualunquismo dell’opinione pubblica rispetto ai gravi fatti internazionali. Conclude l’intervento ribadendo la necessità anche per l’Italia di riacquisire un ruolo di primaria importanza nella promozione del dialogo e dello sviluppo dei paesi del bacino del mediterraneo.

Vincenzo Fersino, Principal Administrator presso l’International Centre for Advanced Mediterranean Agronomic Studies (CIHEAM – Parigi) dopo aver espresso tutto il suo apprezzamento per l’opera prima di Bavone e augurato una carriera copiosa di pubblicazioni, riprende i temi salienti precedentemente dibattuti per ribadire la situazione di attuale regresso nella quale versano le popolazioni dei paesi coinvolti dalle rivolte arabe,situazione sapientemente filtrata dai media internazionali e nazionali e rispetto alla quale la testimonianza della dottoressa Pacella induce ad una doverosa riflessione e presa di coscienza.

 

L’avvocato P.Giuseppe Stefanelli conclude la serie di interventi riassumendo i punti chiave del saggio

e precisando l’originalità del lavoro di Bavone nell’individuazione di interi territori dell’area mediterranea come potenziali scenari per un radicale rinnovo della politica di sviluppo e di unificazione in prospettiva euro-asiatica. Ben oltre l’analisi Bavone intercetta le possibili soluzioni alle dinamiche fautrici dei conflitti e prospetta una buona dose di interventi con ricadute positive tanto sul piano sincronico della prossimità territoriale quanto su quello diacronico della costruzione di un Mediterraneo come soggetto culturalmente e politicamente unitario.

 

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