Il confronto Cina-Stati Uniti. Perché la questione di Taiwan è la più sensibile?

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di Stefano Vernole

Premessa

Lo scorso 28 marzo, il Vicesegretario alla Difesa degli Stati Uniti, Kathleen Hicks, ha dichiarato alla stampa: “Anche se ci confrontiamo con le malvagie azioni della Russia, la strategia di difesa illustra la prossima linea di azione del Dipartimento, tesa a mantenere e anzi a potenziare la deterrenza nei confronti della Repubblica Popolare Cinese, nostro principale concorrente strategico e sfidante”1.

L’aggressività di Washington nei confronti di Pechino è stata poco dopo confermata dal Segretario di Stato Antony Blinken, che ha definito quello russo-ucraino un “conflitto locale, limitato e provvisorio”, mentre gli Stati Uniti continueranno a concentrarsi “sulla sfida più gande lanciata a lungo termine all’ordine internazionale, e rappresentata dalla Repubblica Popolare”.

Tutto ciò non può passare inosservato dalla parte cinese che osserva con preoccupazione come, in virtù della guerra in Ucraina, la NATO intenda ampliare il proprio raggio di azione e di influenza anche oltre lo spazio transatlantico, fino a costituire una minaccia alla sua sovranità nella regione dell’Indo-Pacifico.

Se finora sulla crisi ucraina Pechino ha mantenuto una posizione di difficile equilibrio geopolitico tra Mosca e Washington, nonché la strada di una mediazione pacifica, nel caso gli Stati Uniti e i loro alleati dovessero sostenere con le armi un’eventuale dichiarazione d’indipendenza giuridica di Taiwan, la Cina non potrebbe sottrarsi al confronto.

Una NATO asiatica per circondare e soffocare la Cina

Coerentemente con i suoi colleghi, anche il segretario alla Difesa USA, Lloyd Austin, ha dichiarato che la guerra in Ucraina non riduce certo l’importanza della sfida cinese sempre incalzante2. Non a caso, Washington ha costretto nei mesi scorsi gli Stati affacciati sul Mar Cinese Meridionale a partecipare ad esercitazioni belliche multilaterali in funzione anti-Pechino, quando la maggior parte degli attori dell’area vorrebbe solo stabilizzarsi sullo sviluppo economico interno a cui la Cina contribuisce in buona misura grazie ai legami intrecciati nell’ASEAN e attraverso il RCEP.

Il passaggio decisivo che si è registrato tra le ultime due amministrazioni a stelle e strisce riguarda la natura del tentativo egemonico globale portato avanti dagli Stati Uniti.

L’Amministrazione Trump era stata incaricata di bloccare la pacifica ascesa cinese attraverso tre mosse essenzialmente: il nazionalismo economico (dazi e protezionismo), i divieti di poter lavorare nei Paesi occidentali alle aziende cinesi accusate di spionaggio o comunque di collaborazionismo con il Governo di Pechino (il caso più clamoroso riguarda la figlia del fondatore di Huawei, Meng Wanzhou, arrestata in Canada su ordine di Washington) e il tentativo di separare geopoliticamente la Russia dalla Cina (dopo le sanzioni euro-statunitensi contro la Russia nel 2014, l’avvicinamento tra Mosca e Pechino ha registrato passi da gigante, compresa una stretta interconnessione tra le due Forze Armate, al punto che il Presidente Xi Jinping l’ha definita una “amicizia senza limiti”).

Avendo Donald Trump fallito almeno due obiettivi su tre – la “guerra dei dazi” ha comportato ripercussioni più negative per i consumatori e produttori statunitensi che per quelli cinesi, mentre la Russia non è cascata nel tranello statunitense e ha mantenuto fede ai suoi accordi con la Repubblica Popolare – dall’esplosione della pandemia in avanti quello che è stato definito da alcuni il Deep State e che l’ex Presidente USA Dwight Eisenhower chiamava il “complesso militare-industriale” (oggi decisamente più finanziario) ha deciso di sostituire il magnate nordamericano alla Casa Bianca con Joe Biden3.

Non bisognerebbe stupirsi se l’origine del Covid-19 derivasse da una guerra batteriologica condotta dagli Stati Uniti, essendo l’ultima opzione disponibile per frenare la pacifica ascesa cinese alla luce del fallimento della strategia Trump nel contenimento commerciale-geopolitico della RPC.

Ricordiamoci del documento dei servizi segreti USA del 2004 – Global Trends Mapping the Global Future 2020: “La globalizzazione sarà guidata da potenze come India e soprattutto Cina contro gli interessi degli Stati Uniti … Il processo di globalizzazione, per quanto potente, potrebbe essere sostanzialmente rallentato o addirittura bloccato. In assenza di un grande conflitto globale, che riteniamo improbabile, un altro sviluppo su larga scala, che crediamo possa fermare la globalizzazione, sarebbe una pandemia […] è solo questione di tempo prima che appaia una nuova pandemia, come il virus dell’influenza del 1918-1919. […] Una simile pandemia in Cina, India, Bangladesh o Pakistan […] sarebbe devastante e potrebbe diffondersi rapidamente in tutto il mondo”4.

In questo modo gli Stati Uniti avrebbero sia fermato il processo di globalizzazione multipolare guidato dalla Cina con la Belt and Road Initiative sia ricompattato l’Alleanza Atlantica e l’Unione Europea sotto la guida di Washington, avviando una nuova “guerra fredda” contro Mosca e Pechino.

Provvedimenti come il green pass e il ricatto vaccinale (ovviamente ammessi solo vaccini USA …) non avrebbero fatto altro che irregimentare la popolazione europea e militarizzare la società occidentale in vista di un conflitto mondiale che presto potrebbe diventare “caldo”, oggi in Ucraina e domani a Taiwan.

Se l’unica eredità dell’Amministrazione Trump raccolta da Joe Biden riguarda il bando delle società tecnologiche e finanziarie cinesi – la Federal Communications Commission, l’agenzia federale americana che regola le comunicazioni, ha vietato la vendita e l’importazione di strumenti e apparecchi elettronici prodotti da società cinesi per “preoccupazioni inerenti la sicurezza interna”; il provvedimento coinvolge colossi come Huawei e Zte, e riguarda anche altre compagnie che si occupano di videosorveglianza e trasmissioni radio, incluse Hytera Communications, Hagzhou Hikvision Digital Technology e Dahua Technology, ma in futuro potrebbe toccare ad altre società, visto che l’Autorità sta valutando di riesaminare le autorizzazioni già concesse – la sfida è divenuta ora molto più ideologica5.

Alla fine di ottobre di quest’anno, l’Amministrazione Biden ha pubblicato la National Security Strategy definitiva che descrive la postura di Washington per fronteggiare le sfide prossime e future, integrando l’Interim National Security Strategic Guidance di un anno e mezzo fa6.

La National Security Strategy 2022 illustra gli interessi nazionali degli Stati Uniti nel prossimo decennio e ne analizza il posizionamento geopolitico nei confronti dei competitori, quelle che Washington definisce “le potenze revisioniste”. A riguardo, per gli Stati Uniti sarà cruciale affrontare le sfide condivise con gli alleati (il “miliardo d’oro” evocato dal Segretario generale della NATO Jens Stoltenberg) e porre l’Occidente in una direzione che faccia sperare in un domani più luminoso, migliore. Secondo quanto riportato nel documento, è definitivamente tornato il leitmotiv degli alleati e del valore aggiunto che lo sforzo condiviso porta, a riprova di una certa distanza dall’Amministrazione Trump che aveva allontanato USA e UE. Non è un caso che una sezione del documento sia dedicata al mantenimento e al rafforzamento della collaborazione con i Paesi alleati e partner, nel perseguimento di un multilateralismo pregno di interessi nazionali statunitensi al fine di creare la narrativa del “mondo libero, aperto, prospero e sicuro”7.

Gli Stati Uniti “cammineranno di pari passo con gli alleati per non rendere il futuro vulnerabile a coloro che non condividono la stessa visione di mondo”. L’Amministrazione democratica continua a incoraggiare gli alleati ad assumersi maggiori responsabilità in termini di spese, contribuzioni e capacità tramite non solo la NATO ma anche la difesa europea, definita complementare rispetto all’Alleanza Atlantica.

La visione del mondo occidentale, chiaramente non condivisibile dai concorrenti strategici, è peraltro fortemente basata sull’idea di democrazia liberale. Sebbene lo sviluppo di questa non sia stato lineare o uniforme, è convinzione di Biden che la democrazia sappia correggere limpidamente la propria direzione verso il raggiungimento del progresso e della resilienza. L’autocrazia è debole, non la democrazia, perciò quest’ultima deve essere esportata con la scusa della difesa dei “diritti umani”.

Le aree di maggiore interesse rimangono l’Europa e l’Indo-Pacifico, dove alleati e amici dovranno rafforzare i legami in materia di tecnologia, commercio e sicurezza con gli Stati Uniti in quanto, in un mondo sempre più interconnesso dove i confini acquisiscono una connotazione che va oltre la loro fisicità, il futuro delle due regioni non può che essere intrecciato.

Il documento sulla sicurezza nazionale sposta dunque l’attenzione agli Stati da cui originano alcune delle principali sfide per Washington. La stabilità e la prosperità mondiale sono in particolare minacciate dal revisionismo della politica estera di alcuni Paesi. A tale revisionismo si oppongono anche Stati non propriamente democratici, ma vi sono due potenze che non si oppongono, anzi ne sono il motore. In primis, l’attenzione è rivolta alla Cina che intende e nel tempo acquisirà le capacità per dare nuova forma al sistema internazionale. Di fronte a ciò, gli Stati Uniti perseguono il loro proposito di competere responsabilmente con la Cina. La guerra definita “brutale e non provocata della Russia contro l’Ucraina” ha infranto la pace europea e provocato instabilità dappertutto.

Nonostante la Russia sia una minaccia attuale mentre la Cina venga definita “una minaccia prossima”, è quest’ultima ad essere menzionata per prima, in quanto acquisirà le capacità economiche, diplomatiche, militari e tecnologiche future per riorganizzare il sistema internazionale.

Come gli USA intendano realizzare il loro programma è spiegato alla fine del rapporto: “Solo delle forze di sicurezza forti ed efficaci possono garantire l’avanzata e la salvaguardia degli interessi vitali statunitensi sostenendo la diplomazia, affrontando le aggressioni, aumentando il costo dei conflitti, dando prova di forza e difendendo il popolo americano nonché i suoi interessi economici”8.

La saldatura tra il mondo a guida statunitense e i suoi alleati – che nella maggior parte dei casi sarebbe più corretto definire “vassalli” – avviene proprio grazie alla NATO, di cui Washington sta prospettando una versione asiatica per realizzare i suoi disegni nell’Indo-Pacifico. Dopo aver tentato con il QUAD (Quadrilateral Security Dialogue) – un’alleanza strategica informale tra Australia, Giappone, India e Stati Uniti allo scopo di contenere la Cina nella regione, fondamentalmente fallita a causa della posizione di non-allineamento di Nuova Delhi sulla questione ucraina e non solo – Washington ci sta riprovando con l’AUKUS (acronimo inglese delle tre nazioni firmatarie), un patto di sicurezza trilaterale tra Stati Uniti, Regno e Australia che prevede una stretta collaborazione in settori come la cybersicurezza, l’intelligenza artificiale e la condivisione di tecnologie di difesa navali: la novità più importante riguarda il fatto che Stati Uniti e Regno Unito forniranno all’Australia la tecnologia necessaria per costruire sottomarini a propulsione nucleare.

Grazie ai sottomarini nucleari, infatti, la marina australiana sarebbe in grado di operare nel Mar Cinese Meridionale, al centro di numerose dispute territoriali tra Pechino e Paesi vicini, tra cui Giappone e Taiwan, entrambi partner americani: “Si tratta di collegare gli alleati e i partner dell’America in modi nuovi”, ha detto Biden riferendosi a questa nuova alleanza. In sinergia con i Five Eyes, per gli Stati Uniti l’obiettivo appare quello di contenere l’avanzata cinese evitando un ulteriore dispiegamento di forze navali, già ampiamente presenti tra Giappone e Corea del Sud. Washington sta cercando di sganciare gradualmente gli alleati ASEAN e regionali dai rapporti stretti con la Cina, ma cerca anche di rafforzare questi partner in una logica quasi “federativa”.

AUKUS serve così non solo a imbrigliare Pechino, ma anche a far sì che gli alleati locali siano rafforzati al punto da poter competere, in sinergia con gli USA, a questo contenimento9.

In effetti, il testo non classificato del Rapporto annuale del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti sulla Cina del 2021 al Congresso afferma che: “La strategia della RPC mira a raggiungere ‘il grande ringiovanimento della nazione cinese’ entro il 2049 per eguagliare o superare l’influenza e il potere globali degli Stati Uniti, rimpiazzare le alleanze e i partenariati di sicurezza degli Stati Uniti nella regione indo-pacifica e rivedere l’ordine internazionale perché sia più vantaggioso per il sistema autoritario di Pechino e i suoi interessi nazionali. Ciò costringe Pechino ad avere un ruolo più proattivo nella promozione della propria agenda strategica. La modernizzazione militare è sostenuta da maggiori budget e iniziative per la difesa come Made in China 2025, China Standards 2035 e la strategia di sviluppo Military-Civil Fusion”. Il rapporto degli Stati Uniti sottolinea che l’Esercito popolare di liberazione sta rapidamente migliorando le sue capacità di “combattere e vincere guerre” contro un “nemico forte”, costringere Taiwan e i pretendenti rivali nelle controversie territoriali, contrastare un intervento di una terza parte in un conflitto lungo la periferia della Cina e proiettare il proprio potere a livello globale”10.

In linea con queste valutazioni, AUKUS è l’inizio di una nuova fase nel cambiamento di posizione degli Stati Uniti nella regione. La nuova strategia per l’Indo-Pacifico degli USA pubblicata nel febbraio 2022 rileva la sfida crescente della Cina e sottolinea il suo obiettivo di “costruire un equilibrio di influenza” nella regione dell’Indo-Pacifico. Sottolinea il ruolo di “alleanze e partenariati” e cerca di modernizzarli e adattarli. Con gli Stati Uniti e l’Australia membri di entrambi i raggruppamenti e con l’aspettativa di una maggiore coesione tra i membri del QUAD, l’evoluzione di AUKUS cercherà anche di rafforzare le complementarità tra di loro. Questi possono assumere la forma della cooperazione nella condivisione dell’intelligence, partenariati in tecnologie con rilevanza militare, riorientamento delle catene del valore delle basi industriali della difesa, collaborazione nei domini spaziali e informatici e collaborazione su tecnologie emergenti con applicazioni militari. Ci sarà una maggiore enfasi sull’importanza di entrambi i gruppi per affrontare le preoccupazioni relative al ruolo del QUAD a causa della cooperazione di difesa di livello superiore tra i membri dell’AUKUS.

La strategia militare di Washington per l’Indo-Pacifico si dipana così su diversi livelli, ma con un unico filo conduttore: la posizione centrale degli Stati Uniti come forza dominante e trainante all’interno di ogni organizzazione anti-cinese sviluppata nell’area.

Questa è la ragione per cui al vertice dello scorso giugno a Madrid, nel suo Nuovo concetto strategico 2030, la NATO ha menzionato per la prima volta la Repubblica Popolare Cinese come “sfida sistemica”11.

Un recente articolo del “Financial Times” intitolato Washington intensifica la pressione sugli alleati europei per rafforzare la posizione della Cina descrive ulteriormente questo programma: gli Stati Uniti stanno spingendo gli alleati europei ad assumere una posizione più dura nei confronti di Pechino, mentre cercano di sfruttare la loro leadership sull’Ucraina per ottenere maggiore sostegno dalle nazioni della NATO nei suoi sforzi per contrastare la Cina nell’Indo-Pacifico.

Secondo persone ben informate sulle conversazioni tra gli Stati Uniti e i suoi alleati della NATO, Washington nelle ultime settimane ha fatto pressioni sui membri dell’alleanza transatlantica affinché diventassero duri con la Cina e iniziassero a lavorare su azioni concrete per contenere Pechino.

Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha identificato la lotta contro la Cina come il suo principale obiettivo di politica estera all’inizio del suo mandato, ma i suoi sforzi sono stati complicati dall’attenzione sull’attacco russo in Ucraina a febbraio.

Mentre l’operazione militare speciale di Vladimir Putin entra nel suo decimo mese, Washington sta compiendo uno sforzo concertato per riportare la Cina nell’agenda della NATO, hanno detto queste persone12.

L’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico ha aggiunto la Cina alle sue preoccupazioni per la sicurezza per la prima volta lo scorso giugno, e da allora c’è stata una folle spinta da parte di Washington per intensificare l’aggressione contro Pechino.

Un altro articolo del “Financial Times” intitolato La NATO tiene i primi colloqui dedicati alla minaccia cinese a Taiwan descrive in dettaglio un incontro tra i membri dell’alleanza lo scorso settembre: “Hanno anche discusso di come la NATO dovrebbe informare Pechino delle potenziali conseguenze di qualsiasi azione militare – un dibattito che è salito alla ribalta dopo che la Russia ha invaso l’Ucraina, ponendo la questione se l’Occidente fosse abbastanza duro nei suoi avvertimenti a Mosca”13.

Gli Stati Uniti hanno esortato gli alleati, in particolare in Europa, a concentrarsi maggiormente sulla minaccia a Taiwan, viste le crescenti preoccupazioni che il presidente cinese Xi Jinping possa ordinare l’uso della forza contro l’isola. Alti ufficiali e funzionari militari statunitensi hanno sollevato diverse possibili tempistiche per l’azione militare, con alcuni desiderosi di aumentare il senso di urgenza per garantire che Washington e i suoi alleati siano pronti. “È notevole e significativo che, per la prima volta, l’Alleanza stia conducendo discussioni sullo status di Taiwan, il suo governo democratico e il suo ruolo fondamentale nella produzione di microchip a livello globale”, ha affermato James Stavridis, ammiraglio statunitense in pensione ed ex comandante supremo della NATO.

Una delle persone a conoscenza del dibattito di settembre ha affermato che gli ambasciatori NATO hanno discusso delle ultime informazioni sulla minaccia a Taiwan e sull’impatto che qualsiasi conflitto avrebbe sui suoi membri. “Non abbiamo parlato di quale sarebbe stato il ruolo della NATO in caso di azione militare, ma abbiamo discusso della varietà di impatti che potrebbe avere sulla sicurezza euro-atlantica e di più ampie implicazioni per l’alleanza”, ha aggiunto.

Nell’ambito degli sforzi degli Stati Uniti, il Dipartimento di Stato ha recentemente condiviso un’analisi economica con gli alleati secondo cui un blocco cinese di Taiwan costerebbe all’economia globale 2,5 trilioni di dollari all’anno.

“Se c’è un problema di cui stiamo discutendo al rovescio e sottosopra, è Taiwan e i possibili scenari e essenzialmente un senso di ciò che accadrebbe”, ha affermato un alto funzionario dell’UE.

Alcuni notano che l’ansia di Washington di “aumentare il senso di urgenza” su questo fronte può facilmente finire per avere un effetto provocatorio che funge da profezia che si autoavvera. Bonnie Glaser, direttrice del programma Asia presso il German Marshall Fund degli Stati Uniti, ha dichiarato un mese fa a “Bloomberg” che la fretta di Washington di preparare tutti a un altro grande conflitto potrebbe “finire per provocare la guerra che cerchiamo di scongiurare”.

“La NATO dovrebbe essere ribattezzata APAR: Alleanza per le profezie che si autoavverano”, ha twittato il commentatore Arnaud Bertrand sui colloqui dell’Alleanza Atlantica su Taiwan.

“Un’alleanza difensiva non cerca di combattere con un Paese in un altro continente”, ha twittato Branko Marcetic (di “Jacobin”). “È una specie di classico slittamento della NATO – o, più precisamente, di Washington”14.

I ministri degli Esteri della Nato hanno detto di discutere della “sfida” della Cina nell’ambito degli incontri a Bucarest, in Romania. Sebbene il documento strategico della NATO pubblicato a giugno menzionasse la Cina ma non facesse riferimento a Taiwan.

“Le persone si stanno muovendo a ritmi diversi su questo, inevitabilmente in un’alleanza di 30”, ha detto un funzionario occidentale. “[Ma] abbiamo fatto molti progressi con la Cina. Stiamo passando dalla valutazione dei problemi alla loro risoluzione”. In un’intervista telefonica da Bucarest, dove stava partecipando alle riunioni della NATO, il Ministro degli Esteri canadese Mélanie Joly ha affermato che ci sono state ulteriori discussioni su Taiwan tra i membri del G7, sebbene la Cina stia osservando da vicino come la NATO abbia risposto alla crisi in Ucraina: “Penso che l’unità dell’Alleanza sia la nostra forza e dobbiamo assicurarci di rafforzarla”, ha detto Joly.

La scorsa settimana il Canada ha svelato la sua strategia per l’Indo-Pacifico, che ha descritto la Cina come “una potenza globale sempre più dirompente” e la Casa Bianca ha evitato di commentare.

In definitiva, “Washington individua sempre un modo per portare avanti il contenimento anti-cinese. Quando avrà paralizzato la Russia, potrà concentrare tutta la propria potenza sulla Repubblica Popolare. Pechino a quel punto troverà sempre più difficile gestire il proprio contesto strategico. Se questa è davvero la logica che sottenderà agli eventi nell’Indo-Pacifico, il mondo realizzerà presto che la guerra in Ucraina non è stata un evento irripetibile”15.

La risposta della Cina all’accerchiamento geopolitico statunitense: Taiwan è il nodo principale

Se la pressione militare è quella ritenuta dagli Stati Uniti più efficace, come dimostrano le numerose esercitazioni belliche con prove antisommergibile, anfibie, cibernetiche ma anche di blocco marittimo, ricognizione e monitoraggio ravvicinato (“Affronteremo la Cina da una posizione di forza”, secondo Antony Blinken nel suo discorso di apertura al dialogo sino-statunitense tenutosi ad Anchorage nel marzo 2021), la postura economico-diplomatica rimane però importante. L’unico modo di formare uno schieramento globale contro la Cina consiste nel promuovere la narrativa dell’Indo-Pacifico “libero e aperto”, una visione che permette di attrarre nell’orbita di Washington sia alcuni Paesi asiatici che europei.

Con l’inasprirsi delle tensioni si vuole allontanare Pechino dal segmento determinante della catena del valore globale che comprende i semiconduttori e l’intelligenza artificiale. A questo scopo, gli Stati Uniti hanno dato vita nel 2022 all’IPEF (Indo-Pacific Economic Framework for Prosperity), un ambizioso piano d’investimenti e rafforzamento dei rapporti commerciali che punta ad aumentare la loro presenza nell’area e contrastare l’influenza cinese, al quale hanno inizialmente aderito 13 Paesi.

Esaminando il contenuto dell’accordo, però, è difficile che Washington riesca a conseguire i suoi obiettivi. Anzitutto perché non risponde alle esigenze di gran parte dei suoi partecipanti, che vedono nell’iniziativa un mezzo per aumentare gli scambi con le economie avanzate. L’IPEF è infatti priva di disposizioni in materia di investimenti, specialmente in relazione alla costruzione di infrastrutture, un comparto in cui la Cina invece è all’avanguardia.

Se confrontato con il RCEP (Regional Economic Comprensive Partnership di cui abbiamo parlato nei precedenti articoli) e il CPTPP (Comprehensive and Progressive Agreement for Trans-Pacific Partnership), le controindicazioni potrebbero essere parecchie, a partire dalla ristrutturazione delle catene del valore statunitensi. Un disaccoppiamento totale dall’economia cinese non converrebbe né a Taiwan né alla stessa Unione Europea16.

Il Presidente Xi Jinping ha tenuto nei giorni scorsi un colloquio con il presidente del Consiglio europeo Charles Michel, una visita a Pechino a nome degli Stati membri della UE, che rappresenta la volontà di Bruxelles di promuovere le relazioni con la Cina. La Cina e l’UE sono due grandi forze che sostengono la pace mondiale, due grandi mercati che promuovono uno sviluppo condiviso e due grandi civiltà che promuovono il progresso umano. Mantenere uno slancio in avanti e verso l’alto nelle relazioni Cina-UE e mantenerle reciprocamente vantaggiose serve gli interessi di entrambe le parti e quelli della Comunità Internazionale.

Xi ha nell’occasione formulato alcune osservazioni sullo sviluppo delle relazioni Cina-UE.

Innanzitutto, è importante mantenere la giusta percezione;

“non ci sono differenze strategiche o conflitti di importanza fondamentale tra Cina e UE. La Cina non cerca il dominio o l’egemonia cercando di esportare il suo sistema ma sostiene l’autonomia strategica dell’UE e sostiene un’Europa unita e prospera; si auspica che le istituzioni e gli Stati membri dell’UE acquisiscano una percezione obiettiva e corretta della Cina, perseguano fermamente la coesistenza pacifica e il vantaggio reciproco nelle loro politiche cinesi, superino la mentalità della guerra fredda e l’antagonismo ideologico, trascendano il confronto tra sistemi e respingano un nuova Guerra Fredda di qualsiasi forma”.

In secondo luogo, sostiene Xi, è importante gestire correttamente le differenze:

“la Cina e l’Europa differiscono per storia, cultura, livello di sviluppo e ideologia, nonostante ciò dovrebbero mantenere la comunicazione e il coordinamento in modo costruttivo. È essenziale rispettare i reciproci interessi fondamentali, in particolare la sovranità, l’indipendenza e l’integrità territoriale, e astenersi dall’interferire negli affari interni reciproci, al fine di preservare congiuntamente il fondamento politico delle relazioni Cina-UE. La Cina è pronta per il dialogo Cina-UE sui diritti umani condotto sulla base dell’uguaglianza e del rispetto reciproco”.

In terzo luogo, è importante portare avanti la cooperazione a un livello superiore:

“la Cina continuerà a perseguire un’apertura di alto livello e si muoverà più rapidamente nella promozione di un nuovo paradigma di sviluppo. Le due parti devono rafforzare il coordinamento delle politiche macroeconomiche, cercare una maggiore complementarità nel mercato, nel capitale e nella tecnologia e lavorare insieme per alimentare nuovi motori di crescita nell’economia digitale, nello sviluppo verde e nella protezione dell’ambiente, nelle nuove energie e nell’intelligenza artificiale, opporsi al decoupling e al protezionismo”.

In quarto luogo, è importante rafforzare il coordinamento e la cooperazione negli affari internazionali:

“la Cina e l’UE, entrambe sostenitrici della difesa del sistema internazionale con al centro le Nazioni Unite, possono lavorare insieme per seguire un multilateralismo autentico, affrontare le sfide e salvaguardare la pace e lo sviluppo globali. Le due parti devono guidare la risposta globale ai cambiamenti climatici e gli sforzi per la protezione della biodiversità, la sicurezza energetica e alimentare e la salute pubblica, tra gli altri, e rafforzare la sinergia e il coordinamento dei rispettivi beni pubblici di qualità e piattaforme di cooperazione. La Cina accoglie con favore la partecipazione dell’UE alla cooperazione Belt and Road e all’Iniziativa di sviluppo globale per una maggiore sinergia con la strategia Global Gateway dell’UE”17.

Si tratta di un serio tentativo della dirigenza di Pechino per bloccare la strategia degli Stati Uniti di ricreare un nuovo bipolarismo Occidente-Oriente e per salvaguardare i benefici reciproci derivanti da una globalizzazione di tipo multipolare a guida cinese.

A questo riguardo non bisogna dimenticare che gli USA avevano già lanciato lo scorso anno la Build Back Better World (BW3), un’iniziativa infrastrutturale globale “basata su valori, standard elevati e trasparenti guidata dalle principali democrazie per contribuire a ridurre il fabbisogno di infrastrutture di oltre 40 trilioni di dollari nel mondo in via di sviluppo, che è stato esacerbato dalla pandemia di COVID-19” e pensata come un’alternativa alla B.R.I. cinese18.

Attraverso B3W, il G7 e altri partner che la pensano allo stesso modo, gli USA si coordinerebbero nella mobilitazione del capitale del settore privato in quattro aree di interesse: clima, salute e sicurezza sanitaria, tecnologia digitale ed equità e uguaglianza di genere, con investimenti imponenti da parte delle rispettive istituzioni finanziarie per lo sviluppo.

B3W avrebbe una portata globale, dall’America Latina e dai Caraibi all’Africa fino all’Indo-Pacifico. In qualità di partner principale in B3W, gli Stati Uniti vorrebbero mobilitare il pieno potenziale dei suoi strumenti di finanziamento allo sviluppo, tra cui la Development Finance Corporation, USAID, EXIM, la Millennium Challenge Corporation e l’Agenzia per il commercio e lo sviluppo degli Stati Uniti, così come organismi complementari come il Fondo di consulenza sulle transazioni. In tal modo, l’Amministrazione Biden mira a integrare gli investimenti infrastrutturali nazionali nell’American Jobs Plan e a creare nuove opportunità per dimostrare la competitività degli Stati Uniti all’estero generando contemporaneamente posti di lavoro in patria.

Non essendo riusciti a dare concretezza alla B3W, gli Stati Uniti hanno approfittato dei vertici G7 (Elmau, 26-28 giugno) e NATO (Madrid, 28-30 giugno) per ricompattare i loro alleati in Europa e nell’Indo-Pacifico in funzione anticinese. In più, il 24 giugno 2022 Washington ha lanciato una significativa iniziativa per intensificare le proprie attività in Oceania. Il gruppo dei 7 (Usa, Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone e Regno Unito) e l’Unione Europea hanno annunciato la collaborazione globale per le infrastrutture e gli investimenti (Partnership for Global Infrastructure and Investment, PGII). I partecipanti promettono di riversare 600 miliardi di dollari in un piano implicitamente alternativo alla Belt and Road Initiative; allo stesso tempo, la vicenda segnala le difficoltà incontrate dalla Casa Bianca nell’allestire un piano infrastrutturale in armonia con i loro partner, soprattutto quelli europei, che peraltro non vogliono rinunciare completamente ai rapporti economici con la Repubblica Popolare Cinese19.

Economica o militare, l’epicentro della sfida tra Washington e Pechino è ancora a Taiwan

L’Oceania sta diventando uno spazio cruciale della competizione marittima tra Stati Uniti e Repubblica Popolare Cinese. Mentre la guerra russo-americana si protrae in Ucraina, Washington e Pechino stanno approntando piani antagonisti per accrescere la rispettiva presenza economica e militare nel cuore del Pacifico, sinora nella quasi totale disponibilità della Marina a stelle e strisce. L’esempio più importante dell’intraprendenza della leadership cinese è l’accordo di sicurezza firmato a giugno con le Isole Salomone. Esso consente all’Esercito popolare di liberazione (Epl) di inviare soldati sul posto e quindi crea i presupposti per lo sviluppo di un suo nuovo avamposto navale lontano dai confini nazionali. L’obiettivo di lungo periodo di Pechino è infrangere il contenimento attuato dagli Stati Uniti lungo la «prima catena di isole» (imperniata su Giappone, Taiwan e Filippine), chiuderla in una morsa, allontanare la linea di difesa dalla costa e quindi accedere liberamente all’Oceano Pacifico”20.

La Cina sta stringendo accordi di vario genere con la Cambogia (ammodernamento della base di Ream), con Papua Nuova Guinea (costruzione del parco industriale di Daru), con Tonga (dove l’EPL ha trasportato ingenti quantità di aiuti in seguito allo tsunami che ha colpito l’isola) e nelle Figi (riparando l’unico cavo di fibra ottica che le collega a Tonga), iniziative tuttavia legittime e pacifiche nell’ambito della sua tradizionale diplomazia economica.

Dopo la provocazione operata dalla Pelosi con la sua visita Taiwan, Pechino ha sospeso però ufficialmente la cooperazione con Washington in otto campi: il dialogo tra le Forze Armate, le attività anticrimine e la lotta al cambiamento climatico, avvertendo il chiaro deterioramento del clima regionale.

Il Giappone, ad esempio, vorrebbe schierare circa 1000 missili a lunga gittata presso le isole Kyushu e Nansei, a pochi chilometri da Taiwan, mentre l’Australia ha recentemente ospitato le esercitazioni militari Pitch Black 2022, cui hanno preso parte 17 Paesi, tra i quali Germania, Francia, Regno Unito e Olanda21.

Nei giorni scorsi, il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ha identificato quattro possibili linee di condotta che la Cina potrebbe adottare nel caso intraprendesse una offensiva militare ai danni di Taiwan; nel suo annuale rapporto sulle capacità militari cinesi inviato al Congresso federale, il Pentagono riserva infatti ampio spazio agli sviluppi riguardanti l’isola.

Secondo il rapporto, nel caso la Cina decidesse di invadere Taiwan, potrebbe optare a grandi linee per una di quattro linee d’azione: la prima costituirebbe in un blocco marittimo, accompagnato magari da attacchi missilistici o dall’occupazione delle isole taiwanesi più vicine alla Cina, e da attacchi informatici ed elettronici. La Cina potrebbe optare invece per “operazioni di forza o coercitive limitate”, con “attacchi informatici o cinetici limitati” contro le infrastrutture politiche, militari ed economiche dell’isola – tesi a demoralizzare la popolazione – e con possibili infiltrazioni di forze speciali per attacchi mirati a infrastrutture e alla leadership.

La terza opzione sarebbe una campagna aerea e missilistica, con attacchi di precisione tesi a degradare significativamente le capacità di difesa di Taiwan e “neutralizzarne” la leadership. La quarta opzione, infine, sarebbe una invasione militare in forze con sbarchi coordinati su tutti i territori insulari taiwanesi, e il tentativo di stabilire una testa di ponte sulla costa occidentale dell’isola. Il rapporto evidenzia che la Cina continua a sviluppare e testare le capacità necessarie a condurre tale operazione, che però resta “una tra le operazioni militari più complesse e difficili”, e oltre a mettere sotto forte pressione le forze armate cinesi innescherebbe probabilmente un intervento diretto da parte della Comunità Internazionale. Ciononostante, il Pentagono ritiene che la Cina sia già capace di operazioni anfibie di portata inferiore a una invasione su larga scala, come ad esempio lo sbarco e la conquista delle piccole isole di Pratas e Itu Aba, controllate da Taiwan, e le isole, meglio protette e di maggiori dimensioni, di Kinmen e Matsu: operazioni che comporterebbero comunque un rischio politico elevatissimo e “possibilmente proibitivo” per la Cina.

Secondo il rapporto presentato dal Pentagono al Congresso, la Cina rappresenta “la sfida sistemica più significativa” per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti e per una comunità internazionale libera e aperta. Durante una call organizzata con i giornalisti prima della pubblicazione del documento, un funzionario del Pentagono rimasto anonimo ha affermato che le ambizioni della Cina sono “sempre più chiare”, in ambito militare e non solo: “Un elemento importante nella loro strategia è rappresentato dal tentativo di espandere a dismisura la propria influenza, al fine di modificare alcuni aspetti dell’ordine internazionale e fare i propri interessi”, ha spiegato il funzionario del Pentagono, sottolineando un approccio militare “sempre più coercitivo” da parte di Pechino nella regione indopacifica22.

Come sempre, gli Stati Uniti rimangono maestri nell’attribuire agli altri le proprie intenzioni, seppure in questa occasione fatichino a trovare un terreno globalmente condiviso per attuare i propri piani geopolitici.

NOTE AL TESTO

1 Hu Chunchun, Pechino, il mondo “altro” e un conflitto tutto occidentale, “Limes 7/2022, p. 142.

2 Peiyu Weng e You Ji, L’America vuole la NATO in Asia per strangolare la Cina, “Limes” 7/2022, p. 145.

3 Questa considerazione implica anche una seria riflessione sull’origine del Covid-19 e sulla possibilità che si tratti di guerra batteriologica contro la Cina. Al riguardo si veda: Focus CeSEM, Il vizietto americano. Stati Uniti e guerre non convenzionali, 18 marzo 2020, www.cese-m.eu; la relazione del tenente-generale russo Igor Kirillov riportata il 5 agosto 2022 da followupnewsworld.com: “Dato l’interesse dell’Amministrazione statunitense per lo studio di agenti biologici “a bersaglio ristretto”, tali dichiarazioni di nuovo costringono a rivedere le cause della pandemia di coronavirus e il ruolo dei biologi militari statunitensi nella comparsa e diffusione dell’agente patogeno COVID-19.

Nel maggio 2022, Jeffrey Sachs – uno dei maggiori esperti della prestigiosa rivista medica “The Lancet” e professore alla Columbia University, la principale istituzione accademica per la biosicurezza globale, ha affermato in una conferenza in Spagna che: “… il coronavirus è stato creato artificialmente e con alta probabilità utilizzando i progressi americani nelle biotecnologie…”. (citazione). Secondo i nostri esperti, ciò è evidenziato dalla insolita variabilità delle varianti genomiche che causano il picco di incidenza della maggior parte dei coronavirus, dalle differenze significative in termini di letalità e contagiosità, dalla diffusione geografica irregolare e dalla natura imprevedibile del processo epidemico nel suo complesso. Nonostante gli sforzi per contenere e isolare i casi, la pandemia sembra essere alimentata artificialmente dall’introduzione di nuove varianti del virus in una regione o in un’altra”; il recente articolo della rivista “The Lancet”, riportato da Sarah Newey su “The Telegraph”, Major Covid report suggests virus could have leaked from a US lab, 14 settembre 2022. Anche autori cinesi sospettano che il coronavirus sia stato ingegnerizzato a fini militari. Per anni i biolaboratori statunitensi hanno raccolto il DNA di diversi gruppi etnici per sviluppare armi batteriologiche selettive e colpire la popolazione cinese nell’ambito di una “guerra ibrida”, cfr. Wenqiang Wang – Guan-Zhu Han, Ancient Adaptative Evolution of ACE2 in East Asians, “National Library of Medecine – National Center for Biotechnology Information”, 3 agosto 2021.

4 Report of the National Intelligence Council’s 2020 Project, Mapping the Global Future, NIC, dicembre 2004.

5 Negli ultimi anni altri Paesi come Canada, Regno Unito e Australia hanno intensificato le restrizioni all’uso della tecnologia 5G da parte di Huawei e Zte, cfr. Diane Bartz and Alexandra Alper, U.S. bans new Huawei, ZTE equipment sales, citing national security risk, “Reuters”, 25 novembre 2022.

6 Questa guida provvisoria era stata emessa per trasmettere la visione del presidente Biden su come l’America si impegnerà con il mondo e per fornire una guida ai dipartimenti e alle agenzie federali, per allineare le loro azioni mentre l’Amministrazione inizia a lavorare su una strategia di sicurezza nazionale. Il documento è pubblicato sul sito della Casa Bianca, cfr. Interim National Security Strategic Guidance, www.whitehouse.gov, 3 marzo 2021.

7 Elena Maria Brusca, National Security Strategy 2022: gli Stati Uniti al centro, “Geopolitica”, 28 ottobre 2022.

8 The White House, The National Security Strategy 2022, www.whitehouse.gov, 12 ottobre 2022.

9 Joint Leaders Statement on AUKUS, www.whitehouse.gov, 15 settembre 2021. I Cinque Occhi (Five Eyes in inglese, acronimo: FVEY) è un’alleanza di sorveglianza che comprende Australia, Canada, Nuova Zelanda, Regno Unito e Stati Uniti. Questi Paesi fanno parte dell’accordo UKUSA, un trattato di cooperazione congiunta in materia di intelligence dei segnali, con il compito di sorvegliare il mondo intero.

10Sebbene la cooperazione non abbia ancora previsto l’ingresso formale di nuovi Stati negli accordi di condivisione di informazioni classificate, la partnership avanzata sarebbe già tale da voler portare Tokyo e Berlino ad allinearsi in maniera esclusiva ad accordi bilaterali di condivisione di intelligence. Il Giappone, in particolare, può già contare su un elevato livello di cooperazione con i paesi FVEY per la sua attenzione all’intelligence dei segnali e perché ha costruito nuove attrezzature di sorveglianza utili ai sistemi di raccolta dei FVEY, tanto che si è già parlato di un possibile ingresso per contrastare le minacce militari e cibernetiche di obiettivi quali Cina, Corea del Nord e Russia. Infatti, la Cina è l’avversario più citato nel Libro Bianco annuale della Difesa del Giappone insieme alla Corea del Nord. Inoltre, integrare Tokyo nell’espansione dei FVEY significherebbe avere un vantaggio in un potenziale scenario di collisione con Taiwan. Ma l’apertura al Giappone comporterebbe anche la rivelazione dei requisiti, dei punti di forza e di debolezza dei Paesi FVEY, quindi si tratta di decisioni strategiche altamente sensibili.

 Girish Luthra, AUKUS and the Eastern’s Indo-Pacific Evolving Security Architecture, orfononline.org, 10 maggio 2022.

11 NATO 2022 Strategic concept, www.nato.int, Madrid, 29-30 giugno 2022.

12 Henry Foy and Demetri Sevastopulo, US steps up pressure on European allies to harden China stance, “Financial Times”, 29 novembre 2022.

13 Henry Foi and Demetri Sevastopulo, Nato holds first dedicated talks on China threat to Taiwan, “Financial Times”, 30 novembre 2022.

14 Caitlin Johnstone, NATO Exists To Solve The Problems Created By NATO’s Existence, https://caitlinjohnstone.substack.com/, 1 dicembre 2022.

15 Peng Weng e You Ji, op. cit., p. 153.

16 Ibidem, pp. 151-152.

17 Ministry of Foreign Affairs of the People’s Republic of China, President Xi Jinping Holds Talks with European Council President Charles Michel, fmprc.gov.cn, 1 dicembre 2022.

18 President Biden and G7 Leaders Launch Build Back Better World (B3W) Partnership, whitehouse.gov, 12 giugno 2021.

19 Giorgio Cuscito, In Europa e nel Pacifico, Usa e Nato danno la caccia alle vie della seta, “Limes”, 30 giugno 2022.

20 Giorgio Cuscito, NELL’OCEANO PACIFICO LA REPUBBLICA POPOLARE PROVA AD ACCERCHIARE GLI USA, “Limes” 7/2022, p. 155.

21 Giorgio Cuscito, La Cina all’assedio di Taiwan, “Limes” 8/2022, p. 194.

22 Un rapporto del Pentagono analizza le quattro possibili strategie della Cina contro Taiwan, “Agenzia Nova”, 30 novembre 2022.

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