L’HINDUTVA E IL COMPLESSSO PROCESSO DI COSTRUZIONE DELL’IDENTITÀ NAZIONALE

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di Sonia Falsone

Il testo mostra come l’Hindutva, nato nel contesto coloniale, abbia progressivamente plasmato l’identità collettiva indiana alla luce delle teorie sulla formazione delle identità nazionali e individuali. Integrando in modo dinamico elementi di cultura di massa, principi dell’economia neoliberista e riferimenti religiosi, ha costruito un racconto unitario e patriottico della nazione. Questa narrazione, pur presentandosi come inclusiva, si fonda su un modello d’identità flessibile che può abbracciare le diversità linguistiche e religiose delle minoranze solo a condizione che queste si conformino ai valori dominanti. In tale processo il potere assume un ruolo cruciale, stabilendo le pratiche linguistiche e culturali ritenute legittime e delineando così meccanismi di inclusione—o, al contrario, di esclusione e marginalizzazione—di chi si sottrae alla norma identitaria maggioritaria.

In una sua recente pubblicazione[1] Aravind Unni ha analizzato come i recenti progetti urbanistici realizzati in India siano accompagnati da una narrativa di ricostruzione e ringiovanimento degli spazi urbani, finalizzata a rafforzare l’identità indù così come teorizzata dall’Hindutva. La costruzione del tempio RamMandir viene presentata come una delle massime espressioni di questa nuova prassi, che sta portando gradualmente alla marginalizzazione delle comunità minoritarie e all’eliminazione dei simboli delle loro identità dalle città[2]. La diffusione delle idee del nazionalismo indù al di fuori della sfera politica non è un fenomeno nuovo: numerosi studiosi hanno già evidenziato come tale ideologia influenzi settori come l’economia e la cultura[3]. Nel 2015 Edward Anderson ha coniato il termine “Neo-Hindutva” per descrivere questa nuova manifestazione del nazionalismo[4]. Le profonde trasformazioni che l’Hindutva ha subito nel tempo, tuttavia, non hanno cambiato l’obiettivo ultimo di questo movimento: la creazione di uno Stato con un’identità forte in grado di unificare la popolazione.

Questa esigenza di costruire una solida identità nazionale ha radici che risalgono all’epoca coloniale. Non è un caso che la prima teorizzazione dell’Hindutva risalga al 1892, con la pubblicazione di “Hindutva: HindurPrakritaItihas” di Chandranath Basu, il cui scopo era la riscrittura di una “storia autentica” della popolazione indù, anche a costo di ricondurre a un’unica categoria tradizioni molto diverse tra loro. Questo processo accomuna l’esperienza dell’India a quella di altri Stati che hanno vissuto forme di dominazione coloniale. Un esempio significativo è l’opera di Mas Marco Kartodikromo “Semarang Hitam [Black Semarang]” del 1924, in cui la letteratura diventa strumento per dare voce a una ipotetica comunità indonesiana unita contro i colonizzatori olandesi[5]. Nel caso dell’Hindutva, la traduzione delle idee di Chandranath Basu in un vero e proprio movimento politico è avvenuta solo negli anni Venti del Novecento, con la pubblicazione di “Essentials of Hindutva” di Savarkar in cui sono stati indicati i tre pilastri su cui si sarebbe dovuta fondare la futura nazione indiana: terra, sangue e cultura comune. A questa forma di nazionalismo politico si è affiancato anche un nazionalismo culturale con la nascita nel 1925 della RashtriyaSwayamsevakSangh (RSS), un’organizzazione culturale il cui impianto ideologico è stato particolarmente influenzato dalla leadership di Golwakar che, come si dirà in seguito, è riuscito a creare un meccanismo di costruzione identitario accettabile per l’India post-coloniale e in grado di influenzare anche l’ambito politico. Infatti, molti dei membri dell’RSS sono poi diventate figure centrali nel sistema di governo dell’India, ad es. l’attuale Primo Ministro ne è stato membro, e dell’economia, ad es. Suresh Prabhu è stato Ministro del Commercio e dell’Industria tra il 2014 e il 2017. In questo contesto la costruzione di un’identità nazionale è contemporanea alla costruzione della Nazione che, come teorizzato da Benedict Anderson, può essere considerata una comunità politica immaginata[6]. Infatti, sebbene la maggior parte delle persone che abitano in un determinato territorio non si conosceranno mai nella realtà, l’esistenza di una lingua e di una cultura generalmente condivisa sarà in grado di creare nella loro mente un’immagine di comunione in grado di creare un senso di unità. Questi elementi di unificazione e identificazione diventano delle rappresentazioni attraverso le quali le persone costruiscono la propria identità individuale come evidenziato nelle teorizzazioni di George H. Mead. Infatti, questi sottolinea nelle sue teorie sociologiche l’importanza della lingua nella strutturazione dell’identità individuale, in quanto il linguaggio è uno strumento in grado di veicolare significati simbolici condivisi e, di conseguenza, pratiche con effetti formativi e unificanti.[7]

In questo quadro, la comunicazione e il linguaggio diventano degli strumenti molto potenti per i nazionalismi, in quanto potenzialmente consentono di proiettare l’immagine del loro archetipo identitario anche al di fuori della sfera politica. Studi come MarketisingHindutva[8] si muovono in questa direzione ed evidenziano come le stesse dinamiche identitarie si manifestino oggi al di là della sfera politica toccando settori come l’economia e la cultura. Secondo parte della letteratura, questo processo in India è stato favorito dall’incontro tra l’Hindutva e le teorie economiche neoliberiste, che ha consentito di promuovere programmi di modernizzazione e crescita conformi a quella che è ritenuta essere l’identità autentica della nazione. In questo modo si sono creati dei mercati anche nell’ambito della cultura, che rafforzano l’identità collettiva e diffondono i simboli dell’identità nazionale. Tuttavia, questo può generare e consolidare disuguaglianze anche all’interno della stessa comunità indù, dato che spesso tali evoluzioni implicano l’uniformazione della cultura e la perdita ad es. delle diversità linguistiche e religiose che caratterizzano le stesse comunità induiste che vivono in India. Questo stato dei fatti viene evidenziato da parte della ricerca che evidenzia come il cinema di Bollywood o il teatro, specialmente quello risalente ai primi anni del periodo post-coloniale, tenda a concentrarsi su figure maschili di religione induista appartenenti alle classi sociali e alle caste più alte. Allo stesso tempo, viene evidenziato come forme di teatro e cinema indipendenti tendono a voler scardinare queste immagini dell’India dando voce alle storie delle parti più emarginate della società. Questo comporta però la possibilità che gli interpreti vengano colpiti da ritorsioni anche violente di cui un esempio sono gli attacchi intervenuti nel 2003 contro gli spettatori alla rappresentazione dell’opera “Ponga Pandit”, perché contraria alla rappresentazione dell’India e della religione induista elaborata dal partito nazionalista BJP, che già allora stava acquisendo un ruolo sempre più importante nella politica indiana.[9]

L’analisi di questi processi non sarebbe però completa, se non venisse analizzato anche il ruolo che ha il potere – e in particolare la maggioranza che lo esercita – nello sviluppo dell’identità collettiva e individuale. Foucault, esponente del post-strutturalismo, è stato uno degli autori che ha sottolineato l’importanza che ha il potere nella definizione dell’identità del soggetto attraverso la normalizzazione di determinati simboli o pratiche. Il linguaggio è uno degli strumenti principali con cui interviene questa evoluzione, in quanto le relazioni di potere sono radicate nel significato che viene attribuito a determinati termini usati anche abitualmente dalla popolazione. Di conseguenza il processo di formazione dell’identità, diversamente da quanto sostenuto da Mead, diventa una costruzione soggettiva sempre mediata da relazioni di potere, che plasmano i modi in cui il soggetto si definisce, si riconosce e si distingue dagli altri [10]. Sebbene questi concetti riescano a descrivere in modo corretto le modalità con cui l’Hindutva è riuscito a plasmare l’identità nazionale, è necessario considerare che una delle chiavi del suo successo è stata la scelta di creare quella che viene definita “un’identità flessibile e adattabile”. Tale decisione risale all’epoca post-coloniale ed è stata quasi una decisione obbligata, dato che dopo l’assassinio di Ghandi è stato necessario adottare una retorica meno conflittuale e, allo stesso tempo, trovare un modo per inserire all’interno dell’impianto ideologico alcuni dei simboli caratterizzanti del movimento del Mahatma. Questa scelta si è rivelata strategica per Golwakar, data la necessità di ridisegnare l’immagine dell’RSS e ottenere la revoca della messa al bando dell’organizzazione[11]. Infatti, verso la fine del 1948 vennero organizzate diverse marce non violente, che recuperavano molti degli elementi simbolici del movimento di Ghandi, per richiedere al governo di ripristinare la riformata organizzazione dell’RSS[12]. In questa prospettiva, il fatto che l’Hindutva e l’organizzazione RSS cerchino di produrre una forte identità collettiva nazionale, centrata su valori culturali e spirituali ritenuti autenticamente “indiani” o “Hindu”, ha un forte impatto sulla formazione dell’identità dell’individuo. Una recente analisi empirica ha mostrato che la percezione diffusa oggi tra i membri RSS è che l’Hindutva trascenda l’aspetto puramente religioso e diventi una filosofia di vita radicata nella cultura, nella storia e nella patria, volta a creare “onestà, sacrificio, unità e solidarietà” [13]. L’Hindutva contemporanea si presenta quindi come un’identità flessibile, capace di inglobare differenze linguistiche, castali o persino religiose, a patto che esse si riconoscano nella narrazione patriottica centrale. In questo senso, la c.d. nesting theory[14] aiuta a comprendere la complessa struttura identitaria costruita dalla narrazione dominante dell’Hindutva. Infatti, il nesting descrive il processo attraverso il quale un’entità politica viene incorporata in un’altra senza che nessuna delle due venga cancellata, producendo una sovrapposizione di confini verticali (territoriali) e orizzontali (non territoriali) che può dividere persino chi condivide lo stesso spazio fisico. In questo intreccio si generano nuove identità, lealtà e simboli, mentre quelle pregresse vengono ridefinite o attenuate: alcune entità vengono assorbite parzialmente o del tutto da strutture più ampie, ma le vecchie appartenenze non scompaiono mai completamente. Alcune di esse trovano una collocazione stabile all’interno di realtà più inclusive e continuano a operare pacificamente su scala ridotta; quelle soggette a divieto o repressione invece si fanno latenti oppure si fondono con altre identità e lealtà, arricchendo ulteriormente il mosaico politico.

L’identità collettiva costruita attraverso questi meccanismi, tuttavia, rischia di produrre una inclusione solo apparente. La ricerca empirica già menzionata rivela che solo una minoranza dei membri dell’RSS interpreta il termine “hindu” in senso esclusivamente religioso; la maggioranza afferma che chiunque rispetti la cultura e la storia dell’India possa essere considerato parte della nazione[15]. Da ciò ne consegue che l’apertura alle minoranze è condizionata all’adesione alla norma identitaria maggioritaria che, pur presentandosi come inclusiva, tende a diventare marginalizzante, dato che l’accettazione dipende dalla decisione di rinunciare ad aspetti fondamentali della propria identità o di relegarli alla sfera privata. Un’espressione concreta di questa logica si manifesta nella questione del consumo di carne bovina, ancora oggetto di un acceso dibattito pubblico. La sacralità della mucca, riconosciuta da ampie fasce dell’induismo, è stata politicizzata e usata come parametro identitario, al punto da alimentare pratiche discriminatorie e violente. In diversi casi, gruppi di vigilanti privati (c.d. cow vigilantes) hanno aggredito – talvolta con esiti mortali – persone appartenenti a comunità minoritarie, come musulmani e Dalit, sospettate di trasportare, vendere o consumare carne bovina[16]. Questi episodi, oltre a mostrare l’intreccio tra potere simbolico e coercizione fisica, evidenziano come l’identità imposta dall’alto possa tradursi in forme concrete di esclusione sociale e culturale.

In conclusione, l’Hindutva si presenta oggi come un progetto identitario complesso, flessibile e profondamente radicato nella storia coloniale e post-coloniale dell’India, capace di adattarsi ai mutamenti politici, economici e culturali. La sua forza risiede nella capacità di proporsi come narrazione totalizzante, capace di inglobare e riordinare le molteplici identità presenti nella società indiana all’interno di una cornice patriottica e culturale “hindù”, apparentemente inclusiva ma, nei fatti, spesso escludente. Comprendere queste dinamiche è fondamentale per analizzare non solo il presente dell’India, ma anche per riflettere più in generale su come i progetti nazionalisti contemporanei si costruiscano attraverso pratiche culturali, simboliche ed economiche che ridefiniscono continuamente i confini tra appartenenza e alterità. In questo contesto, il concetto di identità non può essere inteso come dato statico, ma va analizzato come il prodotto di relazioni di potere e processi storici in continua evoluzione.

Bibliografia:

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Anderson, Edward, e Arkotong Longkumer. 2018. «‘Neo-Hindutva’: evolving forms, spaces, and expressions of Hindu nationalism». Contemporary South Asia 26(4): 371–77. doi:10.1080/09584935.2018.1548576.

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Biswas, Titaś, e Abhilash Banerjee. 2023. «Class-Caste Politics, Hierarchy, and Hindutva in Indian Cinema and Protest Theatre». Wasafiri 38(3): 76–85. doi:10.1080/02690055.2023.2208970.

Chacko, Priya. 2019. «Marketizing Hindutva: The state, society, and markets in Hindu nationalism». Modern Asian Studies 53(2): 377–410. doi:10.1017/S0026749X17000051.

Chaudhary, Neha, e Saarang Narayan. 2024. «Hindutva in the shadow of the Mahatma: M. S. Golwalkar, M. K. Gandhi, and the RSS in post-colonial India». Modern Asian Studies 58(3): 885–911. doi:10.1017/S0026749X24000040.

Dunn, R. G. 1997. «Self, Identity and Difference: Mead and the Poststructuralists». The Sociological Quarterly 38(4): 687–705.

Ferguson, Yale H., e Richard W. Mansbach. 2009. «Identities in a postinternational world». In Remapping Global Politics: History’s Revenge and Future Shock, Cambridge University Press, 143–80. doi:10.1017/cbo9780511491344.006.

Human Rights Watch. 2019. «Violent Cow Protection in India: Vigilante Groups Attack Minorities. » https://www.hrw.org/report/2019/02/19/violent-cow-protection-india/vigilante-groups-attack-minorities (6 agosto 2025).

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NOTE AL TESTO

[1] Unni A., Hindutva Urbanism: How National Schemes and Events Displace Marginalised Communities, The Wire, 22-01-2025 

[2] Per una diversa lettura degli eventi legati alla costruzione del tempio Ram Mandir si riporta il riferimento a questo articolo di Banerji Anuttama, The Ram Mandir Symbolizes a New Form of Hinduism, The Diplomat, 24-01-2024.

[3] Per un ulteriore approfondimento di queste dinamiche si indica il libro “The Unholy Trinity. Hindutva, Capitalism and Imperialism” scritto da Nayak, Bhabani Shanka e pubblicato nel 2025 da Springer Nature Web

[4] Anderson E. e Longkumer A., “‘‘Neo-Hindutva’: evolving forms, spaces, and expressions of Hindu nationalism”, Contemporary South Asia, vol.26, 2018

[5] Anderson B., “Imagined communities: reflections on the origin and spread of nationalism”, 1996, Verso.

[6] Anderson B., “Imagined communities: reflections on the origin and spread of nationalism”, 1996, Verso.

[7] Dunn R.G., “Self, Identity and Difference: Mead and the Poststructuralists”, The Sociological Quarterly, vo.38, 4,1997

[8] Chacko P., “Marketizing Hindutva: The state, society and markets in Hindu nationalism”, Modern Asian Studies, vol.53, 2, 2019.

[9] Biswas T. e Banerjee A., “Class-Caste Politics, Hierarchy, and Hindutva in Indian Cinema and Protest Theatre”, Wasafiri, vol. 38, 2023

[10] Dunn R.G., “Self, Identity and Difference: Mead and the Poststructuralists”, The Sociological Quarterly, vo.38, 4,1997.

[11] Intervenuta nel 1948 dato che l’assassinio di Ghandi era stato perpetrato da uno dei membri dell’RRS. Una seconda messa al bando verrà poi disposta da Indira Ghandi durante lo Stato di emergenza dichiarato negli anni Settanta. 

[12] Chaudhary N. e Narayan S., “Hindutva in the shadow of the Mahatma: M. S. Golwalkar, M. K. Gandhi, and the RSS in post-colonial India”, Modern Asian Studies, vol.58, 2024.

[13] Tiwari P. K., Kumar A. e Rathi A., “The Appeal of Hindutva; A Study of the Articulation and Perception of Rashtriya Swayamsevak Sangh’s Ideology”, Asian Journal of Human Services, vol.28, 2025.

[14] Ferguson Y. e Mansbach R., “Identities in a postinternational world”, Remapping Global Politics: History’s Revenge and Future Shock, 2009, Cambridge University Press.

[15] Tiwari P. K., Kumar A. e Rathi A., “The Appeal of Hindutva; A Study of the Articulation and Perception of Rashtriya Swayamsevak Sangh’s Ideology”, Asian Journal of Human Services, vol.28, 2025.

[16] Human Rights Watch, “Violent Cow Protection in India: Vigilante Groups Attack Minorities”, report 2019.

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