La nuova architettura del potere in Togo: analisi della riforma costituzionale di Faure Gnassingbé

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di Giulio Chinappi

La riforma costituzionale ha trasferito il potere esecutivo a Faure Gnassingbé come Presidente del Consiglio dei Ministri, mentre la presidenza è divenuta un ruolo cerimoniale affidato a Jean-Lucien Savi de Tové.

La trasformazione istituzionale che ha attraversato il Togo nei mesi scorsi rappresenta un nuovo capitolo nella storia politica del piccolo Stato dell’Africa occidentale. A vent’anni esatti dal suo insediamento, Faure Gnassingbé ha lasciato la carica di Presidente della Repubblica per assumere quella, fino a quel momento inedita, di Presidente del Consiglio dei Ministri, che va a sostituire il ruolo del Primo Ministro. Contestualmente, la figura presidenziale è stata ridimensionata ad un ruolo esclusivamente cerimoniale e simbolico, affidata all’ottantaseienne Jean-Lucien Savi de Tové. Un evento che, lungi dal passare inosservato, ha sollevato un dibattito acceso sui reali scopi di questa riforma costituzionale e sulle sue conseguenze per la politica togolese.

Sin dall’approvazione della nuova Costituzione nell’aprile 2024, era chiaro che il Togo stesse per voltare pagina. La riforma, votata congiuntamente dall’Assemblea Nazionale e dal Senato, ha sancito l’abolizione dell’elezione diretta del capo dello Stato, introducendo un sistema parlamentare in cui il potere esecutivo effettivo spetta al Presidente del Consiglio dei Ministri. Seguendo questa logica, il Presidente della Repubblica, eletto indirettamente da un collegio composto dai parlamentari, assume un ruolo essenzialmente rappresentativo: celebra l’unità nazionale, accoglie i capi di Stato stranieri e presiede cerimonie di carattere ufficiale, ma rinuncia a qualsiasi iniziativa politica autonoma.

Il 3 maggio di quest’anno è dunque una data spartiacque: in una solennità sobria, Faure Gnassingbé ha prestato giuramento come primo Presidente del Consiglio dei Ministri della Quinta Repubblica togolese. Quattro giorni dopo, il 7 maggio, l’intero “Congresso” (cioè, l’Assemblea unita al Senato) ha eletto Jean-Lucien Savi de Tové alla Presidenza della Repubblica, all’unanimità dei 150 membri presenti. Savi de Tové, figura storica dell’opposizione e già ministro del Commercio, ha accettato l’incarico in un clima di grande rispetto istituzionale, ma con la consapevolezza che si tratta di una carica priva di poteri reali, concepita più per legittimare il nuovo sistema che per esercitare la sovranità popolare.

Mentre il governo e il partito di maggioranza, l’Union pour la République (UNIR), hanno descritto la riforma come un passo verso la “depersonalizzazione” del potere e il rafforzamento delle istituzioni, l’opposizione ha gridato al colpo di Stato costituzionale. Secondo i sostenitori del governo, affidare il potere a un capo dell’esecutivo legato al successo elettorale in parlamento assicura coerenza e responsabilità politica, garantendo al contempo che il Presidente della Repubblica rimanga un arbitro neutrale e super partes. In questa logica, il limite di due mandati presidenziali (otto anni complessivi) tutela il ricambio, mentre la possibilità di rimanere a lungo come Presidente del Consiglio dei Ministri consente al partito di governo di attuare programmi di lungo termine.

L’opposizione, però, contesta aspramente questa visione. Jean-Pierre Fabre, leader dell’Alliance Nationale pour le Changement (ANC), e Dodji Apévon, a capo delle Forces démocratiques pour la République (FDR), hanno definito la riforma una “deriva monarchica”, un escamotage studiato su misura per consentire a Faure Gnassingbé di restare al potere a tempo indeterminato, pur passando formalmente la presidenza a un’altra persona. Nelle piazze di Lomé e dei principali centri urbani si sono tenute manifestazioni pacifiche in cui gli oppositori hanno sventolato cartelli con scritte come “Il popolo togolese dice NO a una Costituzione impopolare, illegale e illegittima” e “NO alla monarchia” (ricordiamo che Faure Gnassingbé aveva ereditato la presidenza da suo padre Gnassingbé Eyadéma, al potere ininterrottamente dal 1967 al 2005, dopo essere salito al potere con un colpo di stato sostenuto dalle potenze occidentali). A detta degli organizzatori, l’assenza di un referendum popolare e il voto a porte chiuse in Parlamento avrebbero privato i cittadini di qualsiasi voce in capitolo, rafforzando la convinzione che la riforma fosse stata imposta dall’alto senza alcun confronto né con la società civile né con la comunità internazionale.

Questa tensione politica si inserisce in un quadro più ampio di controluce delle condizioni democratiche in Togo. Negli ultimi anni, infatti, le elezioni del 2010, del 2015 e del 2020 sono state tutte segnate da accuse di brogli, restrizioni alla libertà di stampa e difficoltà di accesso ai media esteri. Nel 2025, la Corte di giustizia della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (CEDEAO) ha invitato il governo a rilasciare diversi attivisti e giornalisti detenuti, ma molte misure repressive restano in vigore. Tra gli episodi più clamorosi vi è l’arresto del giovane poeta Honoré Sitsopé Sokpor, noto con lo pseudonimo “Affectio”, incarcerato per aver diffuso un semplice appello all’indignazione: un caso che ha suscitato critiche in patria e all’estero, alimentando l’idea di uno Stato pronto a silenziare ogni voce dissenziente.

Nonostante questo contesto di forte polarizzazione politica, il Togo ha messo in mostra, dal punto di vista economico, alcuni indicatori positivi che hanno attirato l’attenzione delle agenzie di rating internazionali. Lo scorso 20 aprile, l’agenzia statunitense Standard & Poor’s ha innalzato il rating sovrano del Togo da “B” a “B+”, sottolineando i progressi registrati in termini di crescita del PIL, stabilità dei prezzi e investimenti infrastrutturali. Il porto di Lomé, in particolare, è stato definito un “nodo logistico di primo piano”: inaugurato come terminal container negli anni 2010, ha visto raddoppiare il traffico merci in otto anni, raggiungendo i 30 milioni di tonnellate annuali. Grazie alla sua profondità e alla posizione strategica sul Golfo di Guinea, il porto è diventato hub privilegiato per l’import-export dei paesi dell’Alleanza degli Stati del Sahel (composta da Mali, Niger e Burkina Faso, tutti paesi che non dispongono di uno sbocco sul mare), consolidando il ruolo del Togo in ambito regionale.

Sulla base delle stime di S&P, la crescita del PIL si attesterà su valori intorno al 6 per cento nei prossimi tre anni. Le esportazioni di materie prime, in particolare cotone e fosfati, hanno mantenuto un buon andamento, mentre la diversificazione dell’economia – promossa con investimenti nei settori manifatturiero e agroindustriale – sembra avviarsi con successo. Al tempo stesso, l’agenzia segnala come principali vulnerabilità la povertà diffusa (con un PIL pro capite di circa 1.100 dollari) e i rischi politici e di sicurezza nelle regioni settentrionali, che potrebbero scoraggiare nuovi capitali esteri.

Accanto alla dimensione interna, il Togo ha assunto un crescente rilievo sul piano diplomatico. Su mandato dell’Unione Africana, Faure Gnassingbé ha condotto una mediazione nel conflitto che oppone la Repubblica Democratica del Congo e il Ruanda, recandosi a Kinshasa per incontrare il presidente Félix Tshisekedi e inviando il suo ministro degli Esteri, Robert Dussey, per fare il punto sugli sviluppi in corso. L’obiettivo dichiarato è arrivare a un accordo di pace entro la fine di giugno 2025, coinvolgendo non solo le parti in causa ma anche un gruppo di contatto formato da Stati Uniti, Francia e Qatar. In questa veste di mediatore neutrale, il Togo ha potuto rinsaldare legami di cooperazione sia con le potenze regionali sia con quelle globali, rafforzando la percezione di sé come attore affidabile nella risoluzione dei conflitti africani.

Contemporaneamente, il governo togolese ha progressivamente ridotto la dipendenza dalle tradizionali potenze occidentali. Dopo la sospensione da parte della Millennium Challenge Corporation statunitense di un programma da 400 milioni di dollari nel 2021, motivata da ragioni politiche, e una collaborazione meno visibile con la Francia, il Togo ha guardato con crescente interesse alla Cina. Già a settembre 2024, durante il Forum sulla cooperazione sino-africana a Pechino, Xi Jinping e Faure Gnassingbé avevano annunciato l’elevazione dei rapporti bilaterali a “partenariato strategico globale”. L’intesa comprende progetti infrastrutturali, programmi agricoli, interventi per la gestione delle risorse idriche e il potenziamento delle reti di trasporto. Per Pechino, investire sul porto di Lomé e sulle vie di comunicazione togolesi significa garantire un corridoio commerciale stabile verso i paesi del Sahel, mentre per il Togo è un’opportunità per diversificare le fonti di finanziamento e alleggerire i condizionamenti esterni.

Il Togo, dunque, si trova oggi a un bivio storico. Da un lato, la riforma costituzionale e il nuovo assetto istituzionale offrono un modello di democrazia parlamentare che, se applicato con correttezza, potrebbe stabilizzare il Paese e favorire una governance basata sul controllo reciproco tra Parlamento e governo. Dall’altro lato, la permanenza di Faure Gnassingbé al vertice dell’esecutivo senza limiti di mandato e il ricorso a pratiche elettorali e giudiziarie discutibili rischiano di trasformare questa riforma in uno strumento di consolidamento del potere personale.

In chiave internazionale, invece, il Togo si posiziona oggi come mediatore credibile e partner strategico. Il rafforzamento dei legami con la Cina, unito al sostegno formale dell’Unione Africana, amplia il suo peso diplomatico in Africa occidentale. Tuttavia, il Paese dovrà bilanciare con cura questi nuovi equilibri, per consolidare un’autonomia estera genuina e sostenibile.

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