di Giulio Chinappi
La drammatica sconfitta elettorale della compagine socialista dopo 20 anni di governo rappresenta una lezione storica sulla pericolosità delle divisioni interne nel campo progressista.
Articolo pubblicato su lacittafutura.it
Le elezioni presidenziali boliviane dello scorso 17 agosto hanno segnato una tragica svolta nella storia politica del paese andino. Per la prima volta dopo quasi due decenni di governo socialista, il Movimiento al Socialismo (MAS) è stato estromesso dal palazzo presidenziale, relegato a percentuali di poco superiori al 3% ed estromesso dal ballottaggio che il prossimo 19 ottobre deciderà il nome del nuovo capo di Stato tra due candidati di destra: Rodrigo Paz Pereira del Partito Democratico Cristiano (Partido Demócrata Cristiano, PDC), al comando con il 32,06% dei consensi, e Jorge “Tuto” Quiroga dell’alleanza Libertà e Democrazia (Libertad y Democrácia), meglio nota come Libre, (26,94%). Un risultato impensabile solo pochi anni fa, quando il “Processo di Cambiamento” sembrava aver messo radici profonde nella società boliviana.
La sconfitta della sinistra progressista
La débâcle elettorale del MAS rappresenta il classico caso in cui un movimento progressista viene sconfitto non tanto dalla forza dei suoi avversari, ma dalle proprie contraddizioni interne. Come ha lucidamente analizzato Óscar Laborde, ex Presidente del Parlamento del MERCOSUR, “la sorpresa per la sconfitta del MAS non è stata nessuna sorpresa, ma era già cronaca di una morte annunciata”. La “nefasta divisione” – per usare le parole dello stesso Laborde – ha prodotto ciò che nemmeno il golpe del 2019 era riuscito a realizzare: l’espulsione della sinistra dal governo e la perdita di una parte significativa del consenso popolare.
Negli ultimi giorni, le analisi che sono state pubblicate in rete hanno tentato di trovare un singolo colpevole per questa tragedia politica. Tuttavia, a nostro modo di vedere, le responsabilità di questa frattura vanno distribuite equamente tra Evo Morales e Luis Arce, sebbene con dinamiche e gravità differenti. Morales, leader carismatico e fondatore del MAS, non è riuscito a trovare una collocazione post-presidenziale che non fosse in conflitto con il suo successore. La sua insistenza nel voler mantenere un ruolo centrale ha generato una pericolosa dualità di comando all’interno del Movimento, minandone l’unità e la coesione strategica.
La strategia del “voto nullo” promossa da Morales nelle elezioni recentemente svoltesi si è rivelata un tragico autogol per il progressismo boliviano e latinoamericano in generale. Come sottolineato dall’analista Hugo Moldiz, ex ministro proprio sotto Morales, questa posizione “ha finito per avvantaggiare tutti tranne le candidature di sinistra” e rappresenta una delle cause immediate della sconfitta. Invece di concentrare le energie nel costruire un’alternativa unitaria, Morales ha preferito una linea di ostilità verso il governo di Arce, facilitando così l’ascesa della destra.
Da parte sua, il Presidente uscente Luis Arce non può esimersi dalle sue responsabilità. Il suo governo ha commesso l’errore di concepirsi come una semplice continuazione di quelli di Morales, senza innovare il progetto politico né creare nuovi consensi oltre la base tradizionale. Ha inoltre sottovalutato il malcontento popolare verso alcune politiche economiche e ha gestito in modo inefficace le relazioni con i movimenti sociali, tradizionale bacino di sostegno del MAS. Infine, una parte dell’elettorato ha percepito le sue politiche come troppo moderate, il che ha causato un rallentamento del Processo di Cambiamento rispetto ai mandati di Morales.
Uno degli aspetti più significativi di questa sconfitta risiede proprio nella frattura tra il MAS e i movimenti sociali che per quasi vent’anni ne avevano costituito la spina dorsale. La “frammentazione sociale di sindacati e movimenti” – come ha correttamente identificato Moldiz – ha privato il processo di cambiamento del suo carattere popolare e partecipativo, trasformandolo in un apparato sempre più burocratizzato e distante dalle esigenze reali delle classi subalterne.
Il risultato elettorale parla chiaro: il candidato ufficiale del MAS, Eduardo del Castillo, sostenuto da Arce, ha ottenuto un imbarazzante 3,14%, mentre Andrónico Rodríguez a capo della lista Alleanza Popolare (Alianza Popular, AP), una ulteriore scissione del MAS non legata a Morales, ha raggiunto l’8,11%. Sommando queste due forze, la sinistra masista non supera comunque l’11%, una percentuale irrisoria rispetto al 47% ottenuto da Arce nel 2020.
deve concentrarsi sulla necessità di superare il personalismo e costruire leadership collettive, di rinnovare il progetto politico senza tradirne i principi fondamentali, di ristabilire un legame organico con i movimenti sociali.
Il compito immediato del movimento popolare boliviano risulta dunque essere duplice: da un lato organizzare la resistenza contro i tentativi di smantellamento delle conquiste popolari che il prossimo governo di destra cercherà probabilmente di realizzare; dall’altro avviare un profondo processo di ricostruzione programmatica e organizzativa che permetta di “imparare le lezioni e ricominciare da zero”, come ha concluso Moldiz.
La sconfitta del MAS è grave ma non definitiva. Spetta ora alla sinistra boliviana e continentale trasformare questo duro colpo in un’opportunità di rinnovamento, costruendo un progetto che superi i limiti del ciclo apertosi nel 2006 senza tradire le aspirazioni di giustizia sociale e liberazione nazionale che hanno animato il Processo di Cambiamento.
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