a cura di Giacomo Gabellini – Il Contesto
Il 3 aprile, il generale Michael Langley, a capo dell’Us Africa Command (Africom), ha testimoniato dinnanzi alla Commissione Forze Armate del Senato statunitense. Nel corso della relazione, Langley ha qualificato esplicitamente Ibrahim Traoré, capitano delle forze armate del Burkina Faso salito al potere nel 2022 grazie a un colpo di Stato, come nemico degli interessi statunitensi.
Più specificamente, ha accusato Traoré di utilizzare le riserve di oro appena nazionalizzate «per proteggere la sua giunta». Dal canto suo, Traoré, che il 9 maggio ha presenziato alla parata militare tenutasi a Mosca in occasione degli ottant’anni della sconfitta del nazismo, ha effettivamente impresso una svolta decisiva alla traiettoria politica del suo Paese, rafforzando la compagine “revisionista” – composta da figure come il maliano Assimi Goïta, il nigerino Omar Tchiani, il senegalese Bassirou Diomaye Faye – che lavora senza sosta per ridefinire radicalmente il ruolo dell’Africa nel contesto geopolitico attuale. Come scrive la «Bbc», «Ibrahim Traoré ha sapientemente costruito la figura di leader panafricanista determinato a liberare la sua nazione da quelle che considera le grinfie dell’imperialismo occidentale e del neocolonialismo. Il suo messaggio è risuonato in tutta l’Africa e oltre, con i suoi ammiratori che lo identificano come un seguace di eroi africani come il burkinabé Thomas Sankara». Ne parliamo assieme a Filippo Bovo, giornalista e saggista specializzato in questioni africane.
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