La strategia antiterrorismo della Repubblica Popolare Cinese. Visione internazionale, cooperazione regionale e partenariati

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di Stefano Vernole

PER APPROFONDIRE – LI WEI “CINA E ANTITERRORISMO”, ANTEO EDIZIONI

Perché è nato il terrorismo? Le responsabilità occidentali secondo Pechino

Nonostante le minacce interne, la Cina ha insistito negli scorsi anni a vedere la Comunità Internazionale come un tutto connesso e ha aderito al concetto generale di governance globale e cooperazione internazionale nell’antiterrorismo; per Pechino, ciò significa opporsi ai doppi standard nella valutazione delle minacce e riconoscere il ruolo guida delle Nazioni Unite.

Nella sua visione geopolitica, “costruire una comunità dal futuro condiviso per l’umanità” attraverso la Belt and Road Initiative, la Cina guarda oltre ai conflitti religiosi e culturali ma ritiene che si possa garantire la sicurezza ed eliminare il terrorismo alla radice solo attraverso lo sviluppo economico1.

Nel valutare storicamente la condotta internazionale delle grandi potenze, la Cina ricorda spesso come siano stati proprio gli aiuti statunitensi all’Afghanistan ad aver creato un’organizzazione terroristica come Al Qaeda; Bin Laden fece affidamento sul Pakistan per fondare una base a Tora Bora e in aree vicine al fine di supportare la jihad islamica in funzione antisovietica2.

Proprio una branca locale di Al Qaeda si è insediata successivamente in Xinjiang rivendicandolo come parte del Turkestan orientale. Lo stesso processo di azione-reazione è avvenuto in Yemen, Somalia, Iraq e Siria (con Al Nusra)3. In Egitto, invece, gruppi islamisti provocarono nel 1997 l’uccisione di più di 60 turisti stranieri a Luxor.

Gruppi terroristici di matrice non islamista si sono manifestati negli anni Novanta nei Paesi occidentali come la Gran Bretagna (minacciando di avvelenare il sistema di approvvigionamento idrico), negli Stati Uniti (con gli attentati dinamitardi dei suprematisti bianchi) e in Giappone (con l’attacco tramite gas nervino Sarin alla metropolitana di Tokyo nel 1995).

Se risaliamo infatti alle origini del problema, la Cina non ha mai smesso di criticare duramente il colonialismo europeo4. In Sri Lanka, dove i singalesi buddisti sono circa il 74% della popolazione e gli indù Tamil il 14%, il dominio britannico adottò la strategia del divide et impera dando origine ad un risentimento reciproco tra i due gruppi etnici. Nel dopoguerra, la popolazione Tamil cercò di creare un movimento separatista nelle aree orientali e settentrionali, scatenando una guerra civile terminata pochi anni fa dopo un crescendo di attentati suicidi.

Eurocentrismo, neo-colonialismo e visione unipolare rimangono perciò alla base del risentimento che ancora oggi si manifesta in alcune aree del Pianeta nei confronti delle politiche occidentali: ecco la necessità, secondo la Cina, di un radicale cambio di prospettiva.

No al doppio standard e all’ingerenza mascherata da “diritti umani”

La Cina ha criticato fortemente l’atteggiamento degli Stati Uniti dopo lo scioglimento dell’Unione Sovietica nel 1991.

Gli USA, in particolare, hanno ignorato la sicurezza e la sovranità degli altri Paesi basandosi sulla loro facoltà di intervenire militarmente e ingerirsi costantemente negli affari interni di nazioni sovrane, al solo scopo di esportare con la forza i valori e gli interessi nordamericani.

Emblematico che dopo la guerra all’Iraq nel 1991, le forze estremiste che si oppongono alla presenza militare nordamericana in Arabia Saudita abbiano attaccato con questa motivazione la base USA a Dhahran, considerandola una forza di occupazione5.

Un altro argomento occidentale fortemente osteggiato è quello dei “diritti umani”, considerato da Pechino un pretesto al diritto di ingerenza nella sovranità degli Stati. Il “dominio della narrativa” ha generato un doppio standard geopolitico, quando ad esempio gli Stati Uniti e i loro alleati hanno cercato di ostacolare le azioni militari della Russia per contrastare il terrorismo ceceno e quelle della Cina contro il separatismo uiguro.

L’11 settembre 2001 ha temporaneamente rallentato questo fenomeno (nel 1999 l’aggressione della NATO alla Federazione Jugoslava – che aveva avuto come corollario il bombardamento dell’Ambasciata cinese a Belgrado – utilizzò il pretesto umanitario di difendere gli albanesi del Kosovo da una presunta violenza genocida dei serbi), ma dopo un temporaneo riallineamento tra USA, Russia e Cina gli opposti interessi geopolitici finirono per prevalere.

Nel Sud-est asiatico, in funzione anticinese, gli USA hanno finanziato Abu Sayyaf, le Tigri Tamil, Jemaah Islamiyah e altre organizzazioni terroristiche, così come le forze separatiste in Tibet, ad Hong Kong e in Xinjiang6.

Il terrorismo internazionale come sottoprodotto della guerra globale al terrorismo avviata dagli USA

Numerosi gravi incidenti catalogati dalla NATO come “danni collaterali” – dall’uccisione di civili innocenti alle torture ai prigionieri nelle carceri di Abu Ghraib e nella base di Guantanamo, la profanazione del Corano e di altri simboli religiosi – sono diventati pretesti per il reclutamento di Al Qaeda prima e la nascita dello Stato Islamico (ISIS) poi. Un’intensificazione degli attacchi si è registrata ad esempio subito dopo il riconoscimento statunitense di Gerusalemme quale capitale di Israele. Inoltre, secondo la Cina, la pratica di usare l’antiterrorismo come uno strumento (si veda ad esempio il sostegno occidentale all’Esercito siriano libero contro il Governo di Damasco e alla stessa Al Nusra) piuttosto che come uno scopo, impedisce di frenare completamente il terrorismo7.

Questa è la ragione principale per cui la cooperazione internazionale antiterrorismo basata su alcune Risoluzioni dell’ONU si è arenata presto, lasciando il passo alla cooperazione a livello regionale e a quella bilaterale.

Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha comunque adottato circa 70 risoluzioni relative al terrorismo negli scorsi anni, le più importanti delle quali sono la 1373 del 2001 e la 1540 del 2004, nonché le sanzioni contro i Talebani, Al Qaeda e lo Stato Islamico.

La Risoluzione 1373 prevede che tuti gli Stati membri debbano prevenire e reprimere il finanziamento di atti terroristici, astenersi dal fornire qualunque supporto ai gruppi terroristici e promuovere la collaborazione internazionale per stroncare i legami tra terroristi e criminalità organizzata transnazionale. La 1540 invece implica che tutti gli Stati membri debbano controllare e regolare la proliferazione di armi nucleari, chimiche e biologiche e i loro mezzi di consegna nel Paese. L’istituzione dell’Ufficio per l’antiterrorismo con la Risoluzione 71/291 è stata la prima grande riforma dell’ONU per il coordinamento della strategia globale ma le sue attività avvengono principalmente su richiesta degli Stati membri8.

Le Nazioni Unite hanno così riconosciuto che l’occupazione straniera, il dominio coloniale e il razzismo sono una causa politica per l’emergere della violenza e del terrorismo, rifiutando categoricamente lo scontro di civiltà.

Ma certamente manca ancora un consenso unanime nella definizione internazionale di “terrorismo” e secondo Pechino l’atteggiamento degli USA dopo l’11 settembre 2001 ha indebolito la cooperazione internazionale.

Dal 2015, la Cina ha ratificato o aderito a dodici delle tredici convenzioni antiterrorismo dell’ONU, ribadendo che tali sforzi devono comunque rispettare la sovranità dei Paesi interessati. L’Esercito Popolare di Liberazione ha partecipato ad almeno ventiquattro operazioni internazionali sotto l’egida delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace, mobilitando circa 3000 militari (ad esempio nel Golfo di Aden, in Somalia ecc.)9.

La Cina e la sfida terroristica interna

Per molti anni le forze separatiste dello Xinjiang hanno tentato di dividere la regione a forte presenza uigura dal resto della Cina, con l’obiettivo di costituire uno Stato indipendente del Turkestan orientale, anche attraverso l’utilizzo di bombe e di attentati terroristici. Negli ultimi anni, tuttavia, lo slancio delle attività terroristiche in Cina è stato effettivamente frenato, con oltre il 98% degli attacchi repressi nelle fasi di premeditazione10.

Oltre a quelli subiti all’interno del Paese, la Cina ha registrato diversi attentati alle proprie rappresentanze diplomatiche ed attività economiche all’estero, ad esempio in Kirghizistan (attacco all’Ambasciata cinese nel 2016) e in Pakistan (attacco al consolato cinese a Karachi nel 2018, mentre diversi incidenti si sono registrati anche nella zona di Gwadar) con l’obiettivo di sabotare i progetti della B.R.I.

Dopo che le forze separatiste del Turkestan Orientale sono state fortemente ridimensionate, in Cina è tuttavia apparso un nuovo gruppo terroristico chiamato Hijirat; esso è colluso con quelle forze terroristiche internazionali che hanno incitato i musulmani a lasciare la propria patria e ad unirsi all’ISIS in Medio Oriente11. La propaganda di Daesh è stata efficace soprattutto nello Xinjiang, si pensi solo alla presenza dei combattenti uiguri in Siria contro il legittimo Governo di Damasco.

Il Presidente cinese ha quindi deciso (19° Congresso del PCC) di integrare l’antiterrorismo nella strategia di sicurezza nazionale del Paese, allo scopo di proteggere la vita e le proprietà delle persone. Per Xi Jinping, il terrorismo non è una questione di etnia o di religione, perché i terroristi sono nemici di tutti i gruppi etnici: la sicurezza nazionale è quindi la pietra angolare della pace e della stabilità della nazione cinese.

Il Consiglio di sicurezza nazionale è presieduto dallo stesso Presidente cinese, riferisce direttamente all’Ufficio Politico Centrale e al Comitato Permanente integrando gli affari interni ed esterni; il suo obiettivo è costituire un sistema di sicurezza nazionale centralizzato, integrato, efficiente ed autorevole12.

La “Legge della Repubblica Popolare Cinese sulla salvaguardia della sicurezza nazionale ad Hong Kong”, intende prevenire, sopprimere e punire i reati di secessione, sovversione e collusione con un Paese straniero o a danno della stabilità interna. Le pene variano dai tre anni all’ergastolo a seconda della gravità del reato; ad esempio l’art. 24 definisce “terroristici” atti come la violenza contro altre persone, l’innesco di esplosioni e il sabotaggio di mezzi di trasporto o infrastrutture. L’art. 20 invece identifica come perseguibile per secessione chi, con o senza l’uso della forza, pianifica, commette o partecipa ad atti volti a separare Hong Kong dal resto della Cina: l’intento di Pechino è preservare l’ordine, nel rispetto del principio “un Paese due sistemi”. La Legge prevede pure la creazione di un Comitato speciale per la salvaguardia della sicurezza nazionale presieduto dalla governatrice Carrie Lam, mente il Capo esecutivo potrà designare – previa consultazione con l’ANP – tutti i giudici di Hong Kong13.

La Legge sulla sicurezza nazionale cinese in Xinjiang

La Legge antiterrorismo cinese è stata adottata il 27 dicembre 2015 in conformità con la Costituzione della RPC e si basa su tre punti fondamentali: 1) la massima prevenzione al terrorismo; 2) la protezione della vita e delle proprietà dei cittadini; 3) la cooperazione internazionale, cioè una concezione olistica della sicurezza nazionale. La legge antiterrorismo fornisce protezione giuridica e stabilisce un lavoro unificato per tutta la nazione cinese; sotto la guida del Gruppo di Guida Nazionale Antiterrorismo (NCTLG) è stato istituito il Centro Nazionale di informazione antiterrorismo per coordinare il lavoro interdipartimentale e interregionale dell’intelligence e la raccolta di informazioni. Nell’azione di prevenzione, un ruolo fondamentale viene attribuito al sistema di controllo delle entità che forniscono servizi di trasporto merci, quelle postali e di consegna espressa14.

Tutte le forze sociali che possono essere utilizzate – come i comitati di villaggio, i comitati dei residenti, le imprese statali e private e le organizzazioni non governative – devono lavorare insieme per combattere il terrorismo. Per favorire tale collaborazione, nel 2014 l’Ufficio nazionale antiterrorismo della Cina ha distribuito al pubblico a Pechino, Shangai, Liaoning, Henan, nel Guangdong e nello Xinjiang un manuale di 45 pagine stampato a colori per rendere i cittadini più consapevoli delle tecniche di lotta al terrorismo; inoltre, il 15 aprile di ogni anno viene celebrata la Giornata dell’educazione alla sicurezza nazionale.

Le nuove disposizioni sono state pensate per realizzare un apparto di sicurezza ad hoc che prevenga, sopprima e persegua atti di sovversione, separatismo, terrorismo e collusione con Paesi esteri, che diventano così reati punibili con pene che possono arrivare fino all’ergastolo.

Queste misure, combinando il combattimento con la prevenzione, hanno efficacemente frenato l’ondata di attacchi terroristici e protetto i diritti umani di tutti i gruppi etnici in Cina. Le misure sono del tutto in linea con la Strategia globale contro il terrorismo delle Nazioni Unite e il Piano d’azione per la prevenzione dell’estremismo violento; secondo il Governo di Pechino, negli ultimi quattro anni non c’è stata un solo atto terroristico nello Xinjiang.

L’essenza della questione relativa allo Xinjiang è salvaguardare la sovranità nazionale, l’indipendenza e l’unità del Paese e proteggere il diritto delle persone di tutti i gruppi etnici a vivere e lavorare in pace e sicurezza. La Cina si oppone fermamente a qualsiasi persona o forza che semini instabilità, divisione e disordini e rigetta qualsiasi interferenza nei suoi affari interni15.

Pechino crede che i suoi crescenti interessi internazionali debbano essere protetti dal terrorismo

La Cina vuole che le proprie forze d’élite antiterrorismo svolgano un ruolo più importante all’estero, proteggendo i suoi crescenti interessi internazionali, seguendo le indicazioni del presidente Xi Jinping sul perseguimento di una politica estera più vigorosa: “I preparativi antiterrorismo devono seguire l’espansione degli interessi strategici del Paese”, secondo Zhang Xiaoqi, il capo dell’intelligence della polizia armata popolare cinese, che gestisce le forze antiterrorismo del Paese. “Dobbiamo sforzarci di diventare una forza deterrente per salvaguardare la sicurezza nazionale, una forza pionieristica per proteggere gli interessi d’oltremare e una forza d’élite per la lotta universale”16.

Nel 2015 la Cina ha approvato una nuova legge antiterrorismo di ampia portata che consente all’esercito e alla polizia di condurre o partecipare a missioni antiterrorismo all’estero. Sebbene la legge non definisca chiaramente il ruolo internazionale delle forze antiterrorismo cinesi, un rapporto del Consiglio europeo per le relazioni estere ha affermato che essa “ha il potenziale per portare a un cambiamento drammatico nell’uso di potenza militare cinese all’estero”.

Li Wei, che dirige la ricerca antiterrorismo presso il China Institutes of Contemporary International Relations, un think tank statale, ha affermato che qualsiasi operazione all’estero sarà condotta insieme ai governi locali. “Non sarà unilaterale, ma in collaborazione con il governo locale, a differenza delle attività antiterrorismo dell’esercito americano”, ha affermato. Li ha aggiunto che l’attenzione all’antiterrorismo esterno della Cina non riguarderà solo le operazioni militari, ma anche la condivisione dell’intelligence e la cooperazione giudiziaria, in particolare nei Paesi che fanno parte dell’iniziativa di investimento per le infrastrutture della Nuova Via della Seta.

Zhang Baohui, professore di scienze politiche alla Lingnan University di Hong Kong, ha aggiunto che la Cina sta entrando nelle fasi finali della sua strategia per “diventare una potenza globale” e che per questa ragione sarà coinvolta nella difesa dei suoi interessi, soprattutto nelle parti “inquiete” dell’Asia centrale e dell’Africa17.

Il 1 aprile 2017 lo Xinjiang ha implementato ufficialmente il regolamento di de-radicalizzazione della Regione Autonoma Uigura; si tratta di una forte garanzia legale per deideologizzare individui e gruppi estremisti i quali, rifiutando la vita normale, cercano di incitare all’odio, alla discriminazione e agitano la violenza distorcendo la dottrina religiosa islamica o utilizzando metodi socialmente destabilizzanti. La Cina sostiene con i propri mass media che l’Islam è una religione di pace, carità e tolleranza, aiutando il pubblico a distinguere i terroristi dai fedeli musulmani.

Pechino elimina prontamente anche le informazioni terroristiche da Internet che è diventato uno dei metodi più utilizzati per reclutare potenziali attentatori (si veda ad esempio il fenomeno dei “lupi solitari”). Inoltre, il Governo cinese ha rafforzato il ruolo delle guide religiose patriottiche e definito accuratamente il confine tra pratiche etno-religiose e attività estremiste illegali. Nello Xinjiang una particolare attenzione è stata dedicata allo sradicamento della povertà assoluta, una piaga che a Kashgar e Hotan favoriva il reclutamento dei terroristi18.

La struttura antiterroristica regionale della SCO

La Cina partecipa attivamente alla struttura regionale antiterrorismo (RATS) dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shangai (SCO), un’agenzia che fornisce collegamenti, informazioni e analisi ai propri membri (Russia, Cina, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Uzbekistan, India, Pakistan e Iran, più Paesi osservatori quali Mongolia, Afghanistan, Bielorussia, mentre lo status di “partner di dialogo” è a beneficio di Azerbaigian, Armenia, Cambogia, Nepal, Turchia e Sri Lanka).

La SCO secondo la visione cinese deve promuovere l’istituzione di un nuovo ordine politico ed economico internazionale più equo e democratico dell’attuale, integrandosi con la B.R.I.

La linea d’azione dell’Organizzazione per la Cooperazione è fortemente influenzata dalle preoccupazioni espresse dai Paesi membri dell’Asia centrale relativamente alla sicurezza; essi identificano nel terrorismo, nel separatismo e nel fondamentalismo le principali minacce alla loro esistenza. Nel 2003 venne costituito a Shanghai un centro per l’anti-terrorismo e durante il vertice dell’Organizzazione tenutosi a Tashkent, in Uzbekistan, dal 16 al 17 luglio 2004, si pervenne ad un accordo per l’istituzione di una Struttura regionale per l’anti-terrorismo (RATS, Regional Anti-Terrorism Structure). Il 21 aprile 2006 l’Organizzazione decise di fondare un nuovo organismo per rafforzare il proibizionismo e combattere i crimini relativi alla produzione ed al commercio di droga. Nell’aprile 2006, nonostante l’Organizzazione non avesse in programma di trasformarsi in un blocco militare, visto il crescente aumento delle minacce di “terrorismo, fondamentalismo e separatismo”, si ritenne necessario un massiccio coinvolgimento delle forze armate. L’Organizzazione ha finora effettuato solo esercitazioni militari antiterrorismo19.

Nell’ambito dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (SCO), la Cina e i Paesi coinvolti hanno firmato i seguenti documenti: la Convenzione di Shanghai sulla lotta al terrorismo, il separatismo e l’estremismo, la cooperazione tra gli Stati membri della SCO sulla lotta al terrorismo, il separatismo e l’estremismo, la Convenzione SCO sulla lotta al terrorismo, la Convenzione SCO sulla lotta all’estremismo, il Programma di cooperazione SCO sulla lotta al terrorismo, al separatismo e all’estremismo per il 2019-2021 e il Piano d’azione SCO per la cooperazione con la Repubblica islamica dell’Afghanistan sulla lotta al terrorismo, al traffico di droga e alla criminalità organizzata.

La Cina ha svolto una serie di proficui scambi di controterrorismo e cooperazione con i Paesi interessati attraverso meccanismi bilaterali e multilaterali come esercitazioni congiunte antiterrorismo, operazioni congiunte di difesa delle frontiere e repressione delle attività illegali del cyberspazio da parte di forze terroristiche, separatiste ed estremiste, nonché cooperazione in materia di sicurezza, scambio di informazioni e cooperazione giudiziaria durante i principali eventi internazionali20.

Per Pechino, il Kazakhstan occupa una posizione geografica che lo rende una zona chiave sia all’interno del progetto di connettività regionale promosso attraverso la Silk Road Economic Belt (tratto terrestre dell’iniziativa Belt and Road), sia all’interno della rete di rifornimento energetico sviluppata dalla Cina in Asia Centrale. Il Kazakhstan costituisce una delle principali fonti di rifornimento di gas naturale per la Cina (in seguito a un accordo siglato nel 2018 le forniture di gas kazako alla Cina dovrebbero raggiungere il valore di 10 miliardi di metri cubi) e offre un punto di transito per il passaggio del gas che la Cina importa dal Turkmenistan.

Per il Kazakhstan, Pechino offre un mercato alternativo verso il quale dirigere le proprie esportazioni di gas naturale, il che consente ad Astana di perseguire un obiettivo centrale della propria strategia di sicurezza multivettoriale, ovvero la diversificazione delle proprie relazioni sia commerciali sia politiche.

Il mantenimento della stabilità e delle reti di interscambio regionali non esaurisce le finalità che Cina e Kazakhstan attribuiscono alla propria partnership. Nel caso di Pechino, l’intensificarsi delle iniziative in ambito securitario con Astana/Nur-Sultan non è un fenomeno isolato ma si colloca all’interno di un processo più ampio attraverso il quale la Cina sta instaurando una rete di legami militari nell’intero settore centro-asiatico.

Le iniziative di Pechino appaiono orientate in prevalenza a costruire un consenso intorno al radicamento della presenza cinese in Kazakhstan ma non implicano una sfida diretta alla presenza militare della Russia. L’assistenza fornita dalla Cina al Kazakhstan in ambito militare è ancora limitata al supporto tecnico, mentre il trasferimento di assetti bellici è minimo.

Ad oggi, tuttavia, la partnership ha dato i suoi frutti soprattutto nell’ambito della gestione dei confini e nella lotta al terrorismo e al narcotraffico. La cooperazione securitaria risulta perciò più approfondita rispetto alla cooperazione militare tradizionale, un settore nel quale il Kazakhstan mantiene ancora rapporti di dipendenza dalla Russia21.

Tutta l’Asia centrale teme le tensioni in Afghanistan, per questo gli Stati membri dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (SCO) hanno invitato le parti in conflitto in quel Paese ad astenersi dall’uso della forza e da azioni destabilizzanti. I ministri degli esteri dei Paesi implicati nell’area, come Cina, Russia, India, Uzbekistan, Tagikistan, Pakistan, si sono recentemente riuniti a Dushanbe per affrontare la delicata questione della pacificazione della regione e la Cina ha già espresso il timore che i separatisti uiguri possano stabilirsi in territorio afghano. Allo stesso tempo i rappresentanti dei Talebani hanno promesso di combattere sia i gruppi dello Stato islamico che il traffico di droga, oltre a non consentire a formazioni armate straniere di penetrare nel loro territorio, indipendentemente dagli obiettivi che perseguono22.

L’Afghanistan visto dalla Cina.

Il corridoio di Wakhan è una striscia di terreno lunga 270 km ma larga meno di 13 km che termina al confine tra Afghanistan e Cina. A nord del corridoio si trova la regione tagika del Gorno-Badakhshan, teatro di una piccola ma feroce guerra civile negli anni ’90. A sud si trova il grande Kashmir, aspramente conteso tra India, Pakistan e Cina. All’estremità orientale del corridoio, attraversando il passo innevato del Wakhjir, c’è lo Xinjiang cinese. La Cina, allo scopo di tutelare il proprio interesse nazionale, ha chiesto l’applicazione congiunta delle aree di frontiera nella zona e a questo scopo pare stia costruendo una base militare in Tagikistan23.

Dopo l’acquisizione del potere da parte dei Talebani, la Cina è stato il primo Paese straniero a destinare aiuti umanitari di emergenza (del valore di 200 milioni di yuan) all’Afghanistan. I Talebani, che stavano affrontando una catastrofe umanitaria e un tracollo economico, hanno accolto con favore la pronta consegna di cibo e forniture mediche da parte di Pechino. Inoltre, la Cina ha recentemente finanziato un progetto di costruzione nel complesso del Ministero della Giustizia e ci sono rapporti che suggeriscono che aziende cinesi abbiano visitato l’Afghanistan per esplorare opportunità minerarie.

La Cina ha mantenuto una comunicazione diretta con l‘attuale Amministrazione di Kabul ed entrambe le parti si sono incontrate in diverse occasioni, a livello bilaterale e internazionale, per discutere i piani per la ricostruzione dell’Afghanistan. Pechino è stata anche attiva in vari colloqui internazionali, multilaterali e bilaterali sulle questioni afghane con i governi regionali e le potenze internazionali. I Talebani considerano Pechino un partner importante con abilità economica e Pechino ha dimostrato di essere un interlocutore affidabile con la sua assistenza continua.

Sul fronte diplomatico, la Cina ha compiuto sforzi per raccogliere sostegno internazionale e aiuti per la ricostruzione dell’Afghanistan, in particolare invitando la comunità internazionale a revocare le sanzioni e scongelare le risorse straniere afghane. Di conseguenza, Pechino e altri Stati della regione si sono uniti per sollecitare le potenze occidentali a fornire assistenza al Paese.

Ci sono due aspetti centrali nell’interesse di Pechino in Afghanistan: garantire la sicurezza alle proprie frontiere occidentali e ai suoi progetti Belt and Road in Asia centrale e Pakistan.

Pechino riconosce “i tre mali” – terrorismo, separatismo e fondamentalismo religioso – come minacce alla propria sicurezza nazionale e ha apertamente esortato i Talebani a rompere nettamente con altri gruppi terroristici, in particolare con il Movimento islamico del Turkestan orientale e lo Stato islamico. La Cina vuole anche che i Talebani combattano queste forze estremiste per prevenire il terrorismo transfrontaliero e la diffusione del radicalismo nello Xinjiang.

In secondo luogo, la Cina ha bisogno di un paradigma di sicurezza favorevole nella regione per proteggere i suoi interessi economici. Dal 2013, la Cina ha effettuato ingenti investimenti in Asia centrale e Pakistan attraverso il corridoio economico Cina-Asia centrale-Asia occidentale e Cina-Pakistan. Questi investimenti intorno all’Afghanistan hanno aumentato drasticamente la vulnerabilità di Pechino ai conflitti nella regione. Esistono preoccupazioni per i militanti che lanciano attacchi al personale e ai progetti cinesi. Un Afghanistan stabile ridurrebbe le minacce alla sicurezza, migliorerebbe il clima degli investimenti e aiuterebbe la Cina a portare avanti i propri obiettivi economici.

Sebbene i Talebani abbiano recentemente affermato che garantiranno la sicurezza degli investitori cinesi, la minaccia rimane elevata poiché ci sono altre rivalità e attività militanti sul campo che mettono a rischio gli interessi della Cina. All’inizio dello scorso ottobre, lo Stato islamico Khorasan ha collegato il suo attentato suicida a una moschea a Kunduz, in Afghanistan, come rappresaglia per la stretta collaborazione dei Talebani con Pechino, che l’ISIS-K considera maltrattante gli uiguri.

Fino a quando la sicurezza per i progetti e il personale cinesi non saranno garantiti, è improbabile che le aziende cinesi si precipitino a fare affari in Afghanistan. I Talebani dovrebbero innanzitutto dimostrare di aver abolito i legami con altre organizzazioni terroristiche e di voler ridurre il traffico di droga.

I Talebani potrebbero adottare l’esempio del Pakistan di dispiegamento di forze di sicurezza speciali per salvaguardare le iniziative e il personale cinesi24. Un’altra opzione è che le aziende cinesi assumano la sicurezza da società di sicurezza private che sono già presenti nella regione.

Se queste compagnie private entreranno in Afghanistan, sarà interessante considerare le loro possibili affiliazioni al Governo cinese e se tale presenza rappresenterà, in una certa misura, una sorta di coinvolgimento militare da parte di Pechino25.

La cooperazione antiterroristica cinese in Asia: conclusioni

La Dichiarazione di Xiamen nel 2017 dei Paesi BRICS ha ribadito la loro solidarietà e la risolutezza nella lotta al terrorismo, invitando tutte le nazioni ad adottare un approccio globale per combattere la radicalizzazione.

Russia e Cina, in particolare, hanno espresso la convinzione che il terrorismo non debba essere associato ad una nazione o civiltà, né che la comunità internazionale debba adottare doppi standard nel combatterlo (ciò vale soprattutto per i separatisti ceceni e quelli del Turkestan orientale, definiti dall’opinione pubblica occidentale “combattenti per la libertà”).

Il 14 novembre 2016 la Duma russa aveva approvato l’accordo sulla condivisione di informazioni con la controparte cinese, l’organizzazione di riunioni comuni, consultazioni periodiche e operazioni militari congiunte nelle aree frontaliere (sia a livello terrestre che marittimo). Un punto saliente è rappresentato dalla Valle del Ferghana, situata all’incrocio tra Tagikistan, Kirghizistan e Uzbekistan, in passato passaggio importante per attacchi terroristici e contrabbandieri26.

Un’altra collaborazione antiterrorismo cinese molto attiva è quella con il Pakistan (da qui pressioni cinesi per il cambio ai vertici dell’ISI, i servizi segreti pakistani), con Myanmar e più recentemente con Thailandia, Malesia e Indonesia per il contrasto ai militanti jihadisti che si spostano tra un Paese asiatico e l’altro.

La Cina condivide il fatto che in un mondo sempre più multipolare ci sia bisogno di una governance multilaterale per eliminare il caos globale. L’interconnettività garantita dalla B.R.I. ai continenti asiatico, europeo e africano permetterà di costruire una rete globale, multilivello, per raggiungere uno sviluppo sostenibile, diversificato, indipendente ed equilibrato lungo tutto il suo percorso. Rifacendosi all’antica saggezza cinese, la costruzione di una comunità di futuro condivisa per l’umanità in un’ottica win-win ribalta la visione occidentale dei rapporti internazionali basata sul conflitto, sullo scontro di civiltà e sul gioco a somma zero. La Cina, al contrario, teme che alcuni Paesi occidentali possano sostenere nuovamente i gruppi terroristici allo scopo di sabotare la costruzione della Belt and Road Initiative27.

I prossimi 10-20 anni saranno un periodo importante per la Cina per diventare una potenza globale. Quindi un buon ambiente interno è essenziale per evitare il verificarsi di eventi terroristici, le cui attività avrebbero un impatto significativo sulla sicurezza nazionale.

Da questo punto di vista sono fondamentali i progressi compiuti nell’industria digitale: dal 2017, un programma prevede la raccolta delle informazioni biometriche (compresi impronte digitali e DNA) per qualsiasi operazione che coinvolga l’hukou, il permesso di residenza necessario all’iscrizione in una scuola pubblica o all’ottenimento del passaporto. Nelle città più a rischio, vengono messe in atto tecnologie sempre più efficaci: telecamere, check-point dotati di scanner identificativi nelle stazioni di treni e autobus e nelle principali strade, polizia dotata di dispositivi portatili per analisi vocale e scannerizzazione di smartphone alla ricerca di contenuti sospetti, restrizioni sul web ecc., mentre il bagaglio di dati personali è dal 2020 connesso al capillare sistema di videosorveglianza28.

La strategia di integrare i tradizionali metodi di controllo con le più recenti tecnologie non si limita al solo Xinjiang, ma investe tutto il Paese ed è già realizzata nelle grandi città per smascherare evasori fiscali, contratti di lavoro non regolari, commercianti abusivi, passeggeri senza biglietto sui mezzi pubblici e altro. I suoi risultati si sono dimostrati molto efficaci nel combattere la pandemia, riscontrando una certa soddisfazione nella popolazione cinese.

Tuttavia, anche se Pechino sta sviluppando la sua strategia in modo estremamente veloce, essa è ancora leggermente insufficiente sotto molti aspetti. Ad esempio, i principali materiali di base delle apparecchiature di ispezione di sicurezza antiterrorismo non possono essere prodotti a livello locale e l’efficienza della trasmissione di informazioni tra i vari dipartimenti è lenta.

Si tratta di problemi che devono essere urgentemente risolti e che richiedono ancora un duro lavoro di implementazione29.

www.cese-m.eu

NOTE AL TESTO

1 Fabio Massimo Parenti, La Via cinese. Sfida per un futuro condiviso, Meltemi, Milano, 2021.

2 Jane Perlez and Yufan Huang, On State TV, Chinese Forces Storm a Compound a Lot Like Bin Laden’s, “New York Times”, 28 marzo 2017.

3 Giordano Stabile, Siria, l’armata di uiguri cinesi che combatte Assad, “La Stampa”, 3 marzo 2016.

4 Il suo fortissimo desiderio di rivalsa discende dal lungo “Secolo dell’umiliazione”, i 110 anni tra il 1839 e il 1949 durante i quali la Cina ha perso la sovranità su una larga fetta del proprio territorio a favore delle potenze occidentali, soprattutto europee.

5 Nel giugno 1996, ad esempio, un camion bomba uccise 16 soldati USA nella base aerea di Dhahran. Il 12 ottobre 2000 perirono 17 marinai in un attentato al cacciatorpediniere statunitense, ormeggiato nel porto di Aden, in Yemen.

6 Per il supporto USA ai Tamil cfr. ad esempio il sito internet tamilnation.org. Cfr. anche “Asian Tribune”, The U.S. early flirtation with Tamil militancy: A CIA Disclosure, Bangladesh, 17 febbraio 2017.

7 L’antiterrorismo selettivo degli Usa porta solo a più casi di terrorismo: Hua Chunying, portavoce del ministero degli Esteri ha stigmatizzato così l’ingerenza statunitense nello Xinjiang, cfr. “Xinhua”, 5 dicembre 2019.

8 Edoardo Vittorio Lazzaro, Terrorismo: i regimi dell’ONU per il contrasto al finanziamento, altalex.com, 9 gennaio 2021.

9 L’unica base militare cinese all’estero ad oggi è a Gibuti, dove sono dislocate basi militari anche di altre potenze. Stando ad alcuni analisti, la Cina starebbe per aprire una base militare anche in Tagikistan, alla luce delle possibili infiltrazioni di gruppi estremisti dall’Afghanistan e il conseguente sabotaggio dei corridoi della Nuova Via della Seta, cfr. Chris Devonshire-Ellis, China To Build Military Bases In Tajikistan, “Silk Road Briefing”, 2 novembre 2021. Anche la cooperazione militare tra Cina e Cambogia potrebbe sfociare nell’apertura di una base navale cinese in quel Paese, cfr. Gabriel Honrada, China digging Cambodia a deep-water naval base, “Asia Times”, 24 gennaio 2022.

10 Stefano Vernole, Xinjiang, la Nuova Frontiera: tra difesa territoriale e sviluppo economico, www.cese-m.eu, 27 aprile 2021.

11 Rapporto Xinjiang. Capire la complessità, costruire la pace promosso dal Cesem con EURISPES e Istituto Diplomatico Internazionale, 27 maggio 2021.

12 Andrea Turi, Le ingerenze straniere nella Regione ammnistrativa speciale di Hong Kong, www.cesem-eu, 29 ottobre 2020.

13 Andrea Turi, La legge di tutela della sicurezza nazionale ad Hong Kong, www.cesem.eu, 8 ottobre 2020.

14 Andrea Turi, La destabilizzazione dello Xinjiang attraverso il terrorismo, www.cese-m.eu, 26 ottobre 2021.

15 Rappresentanza permanente della RPC presso le Nazioni Unite, Statement at the International Webinar: Counter-Terrorism, De-radicalization, and Human Rights Protection, Ginevra, 17 settembre 2020.

16 China seeks global role for elite counter-terrorism forces, “Regional Cooperation Council”, 4 ottobre 2018.

17 Li Wei, Xi Jinping — On war against common enemy of mankind, “Xinhua”, 12 settembre 2021.

18 Stefano Vernole, La rinascita economica dello Xinjiang dopo la pacifica liberazione, www.cese-m.eu, 27 aprile 2021.

19 Ministero degli Esteri cinese: OCS ha esplorato nuovo tipo di strada per la cooperazione e sviluppo delle organizzazioni regionali, “Radio Cina Internazionale”, 15 giugno 2021.

20 The State Council Information Office of the People’s Republic of China, The Fight Against Terrorism and Extremism and Human Rights Protection in Xinjiang, 14 ottobre 2021.

21 Benedetta Giuliani, Sviluppo e limiti della cooperazione difensiva tra Cina e Kazakhstan, “CESI”, 5 luglio 2019.

22 Taliban to participate in third regional meeting on Afghanistan in China, “Business Standard”, 12 marzo 2022.

23 GT Exclusive: Chinese firms explore lithium projects in Afghanistan, but risks remain, “Global Times”, 23 novembre 2021.

24 Pakistan, China Conduct First Ever Joint Anti-Terrorism Exercise Under SCO, “Outlook India”, 5 ottobre 2021.

25 Mercy Kuo, China in Afghanistan: How Beijing Engages the Taliban, “The Diplomat”, 25 dicembre 2021.

26 Asim Kashgarian, China, Russia Working Together on Security Threats in Central Asia, “VOA News”, 27 ottobre 2021.

27 Marco Crabu, Pakistan: giallo sul cambio al vertice dei servizi segreti militari (ISI), “Analisi Difesa”, 30 ottobre 2021.

28 Maria Morigi, Xinjiang, antiterrorismo e controllo sociale, “L’Antidiplomatico”, 18 febbraio 2022. In alcune stazioni ferroviarie la polizia pattuglia utilizzando occhiali per il riconoscimento facciale che in pochi secondi smascherano i viaggiatori in possesso di documenti falsi.

29 Huijie Zheng, Zhenxing Chang, Hezi Liu and Yu Zhu, Analysis and prospect of China’s contemporary

anti-terrorism intelligence perception, “Tsinghua University”, Pechino, maggio 2021.

Bibliografia

Li Wei, Cina e antiterrorismo, Anteo, Cavriago, 2019.

AAVV, Le origini dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shangai, 2015, www.cese-m.eu

Rapporto Xinjiang: Capire la complessità costruire la pace, 2021, www.cese-m.eu

Costa, Turi, Vernole, Focus Hong Kong Kong e Focus Xinjiang, 2020-2022, tutti gli articoli sono scaricabili dal sito

Stefano Vernole è vicepresidente del Centro Studi Eurasia e Mediterraneo e responsabile per le relazioni esterne

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