Recensione di “MYANMAR. NELLA TERRA DORATA” di Lorenzo Maria Pacini (Anteo Edizioni, 2025)

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di Maria Morigi

E’ con grande interesse che ho letto il saggio monografico di Lorenzo Maria Pacini  “MYANMAR. NELLA TERRA DORATA” fresco di stampa per Anteo edizioni. La materia viene affrontata con una prospettiva storica che soddisfa la mia formazione di studiosa di religioni orientali poiché il saggio fornisce gli strumenti  necessari per una comprensione approfondita della civiltà e realtà del Paese, oltre che della sua instabilità, assolvendo egregiamente il compito che si pone uno studio storico e geopolitico. Evitando di insistere sul confronto improprio con modelli occidentali, l’autore “disinnesca” pregiudizi e luoghi comuni i quali, se ripresi da articoli di stampa, possono sortire l’unico effetto di depistare il lettore e creare faziosità. A titolo personale infatti mi sono resa conto di una diffusa propensione al “giudizio facile” quando lavoravo sullo Xinjiang o l’Afghanistan e mi scontravo continuamente con l’ignoranza – da parte del pubblico e pure delle “intelligence” o dei cosiddetti esperti – a proposito di etnie e appartenenze a scuole religiose.

Definendo il concetto di civiltà, nel saggio è attribuita particolare attenzione alle componenti culturali etniche, alle migrazioni / spostamenti di popoli e all’influenza del buddhismo Theravāda, “Scuola degli Anziani” o “Piccolo Veicolo” (Hīnayāna), dominante nell’Asia meridionale e nel Sud-Est asiatico (Sri Lanka, Thailandia, Cambogia e Laos) legata alla tradizione antica e autorevole di Maestri / Anziani. Il buddhismo Theravāda, ancora praticato dalla maggior parte della popolazione del Myanmar, è centrato  sulla ricerca di una Via individuale di Illuminazione, su compassione e non violenza. Una specie di radicalismo sociale che divenne nel tempo pilastro della vita socio-politica. E, come osserva Pacini “La natura egualitaria della società birmana è il risultato della cultura buddista.(cit. pag 68)

Alla luce dell’ endemica instabilità e conflittualità etnica del Myanmar – ma anche di gran parte del Sud- Est asiatico – è necessario aver chiaro che cosa rappresentano i cosiddetti “Stati etnici” in costante ricerca di autonomia, unità e identità.  Come sostiene Anthony D. Smith, etnicità e nazionalismo hanno relazioni strette: il conflitto con lo Stato nazione può insorgere quando le etnie richiedono statuti e autonomie locali, oppure rivendicano un’altra identità rispetto alla nazione e, con il diffondersi della globalizzazione, la questione etnica si è accentuata per la perdita di credibilità e autorità da parte dello Stato nazione. La complessità del Myanmar è una lampante conseguenza delle rivendicazioni di libertà e riconoscimento del gran numero di minoranze etniche che popolano il territorio, eppure sono ufficialmente riconosciuti solo 8 gruppi etnici: Bamar (68%), Shan (9%), Karen (7%), Rakhine (4%), Chin (2,5%), Mon (2%), Kayah (1,83%), Kachin (1,5%), con oltre 100 dialetti e lingue diverse. Fin dalle negoziazioni condotte dal generale Aung San (padre di Aung San Suu Kyi, assassinato nel 1947) per convincere i gruppi di minoranza ad aderire alla nuova Unione una volta raggiunta l’indipendenza dal colonialismo, le minoranze etniche aspiravano all’istituzione di una federazione o addirittura alla nascita di diversi stati autonomi. Il Myanmar è dunque un esempio di nazionalismo etnico fondato sull’idea legittimante di coloro che la guidano (i Bamar / Burman). Tuttavia la mancanza di rispetto per le garanzie richieste, ha prodotto un paese estremamente frammentato e coinvolto in estenuanti guerre etniche.

Infatti, proprio la conflittualità tra etnie ha generato il sistema del Tatmadaw  (“Forze armate”) amministrato dal Ministero della Difesa, che ha affrontato le maggiori insurrezioni etniche, soprattutto negli stati di Kachin, Kayin, Kayah e Shan. Il golpe del febbraio 2021 da parte del Tatmadaw ha dato inizio alla guerra civile e ha riportato il paese nel passato dei conflitti interetnici proprio interrompendo gli incontri che Aung San Suu Kyi aveva avviato con le minoranze etniche. Le persecuzioni non riguardano ormai soltanto le minoranze, ma tutto il popolo birmano unito nella rabbia per la violenza delle repressioni da parte del Tatmadaw. È nato così il Governo di Unità Nazionale (NUG), composto da politici deposti , esponenti di gruppi etnici e di fazioni d’opposizione sostenuto dalla Forza di Difesa Popolare (PDF) che collabora con gruppi armati etnici storicamente presenti nel Paese. Un’alleanza tra ribelli senza visione unitaria e obiettivi comuni che ha aggravato la situazione dalla fine del 2023.

Altro punto cruciale per comprendere il Paese sono i danni enormi provocati dal colonialismo britannico. Pacini a tal proposito osserva che la conflittualità tra etnie e la perdita di prestigio della religione buddhista e del Sangha (il clero buddhista inteso come comunità) sono le dirette e devastanti conseguenze del colonialismo britannico. Pacini scrive a pag 21: “Il periodo coloniale si caratterizzò per una profonda disgregazione sociale, dovuta principalmente alla separazione imposta dai britannici tra Sangha e Stato”. Dal 1° gennaio 1886, conclusa la Terza guerra anglo-birmana con l’abolizione della monarchia e la soppressione del clero buddhista, i due pilastri della società birmana che si legittimavano a vicenda, il  Myanmar settentrionale fu annesso all’India quale provincia. il “piano dei villaggi strategici” messo in atto dai britannici consisteva  in esecuzioni di massa, roghi dei villaggi, deportazioni di famiglie e ribelli verso la Birmania inferiore. Parallelamente, con l’integrazione dell’economia birmana nell’apparato coloniale orientato all’export, si determinò il crollo irrimediabile del sistema economico fondato sull’autosufficienza agricola: espropriazioni, pignoramenti, aumento vertiginoso del valore delle terre e dei prezzi del risoI contadini espropriati non riuscivano a trovare lavoro nemmeno sulle loro terre perdute, poiché […] non potevano competere con le migliaia di lavoratori indiani che migravano in Birmania. I villaggi birmani, disoccupati e disorientati in una società in dissoluzione, talvolta ricorrevano a furti e rapine…”(cit pag 22)

Dal capitolo 3 l’autore affronta in modo puntuale argomenti di geo-politica, geo-economia e relazioni con i vicini regionali (India, Cina, Laos, Cambogia e Vietnam) per concludere al capitolo 5 con la collocazione del Myanmar nel mondo multipolare come un cuscinetto strategico tra i due giganti, India e Cina, al crocevia di rotte commerciali ed energetiche vitali. L’adesione del Myanmar all’ASEAN accresce la sua importanza economica come un nodo chiave per produzione, logistica e commercio in settori come il tessile, l’agricoltura e l’energia. Notizia recente è che Il ministro per gli investimenti e le relazioni economiche estere del Myanmar, Kan Zaw, ha annunciato durante una sessione dell’Eastern Economic Forum (EEF) che il Paese è fortemente interessato ad entrare a far parte dei BRICS, intendendo trovare nuove fonti di finanziamento per la tecnologia attraverso la cooperazione.

Considerato che il Myanmar è l’unico paese dell’ASEAN confinante con l’India per 1600 km di confine, l’India è il primo attore regionale ad incidere nei rapporti tra i due paesi. Dal 2019 si contano vari incontri e visite di Stato tra India e Myanmar, in particolare nella visita di Stato in India del febbraio 2022 sono stati firmati 10 memorandum d’intesa per l’attuazione di programmi di sviluppo dello Stato di Rakhine, la prevenzione della tratta di esseri umani e la cooperazione in settori quali petrolio, comunicazioni e ricerca sanitaria. Se la cooperazione in materia di difesa e sicurezza si è rafforzata nel corso degli anni, l’autostrada trilaterale India-Myanmar-Thailandia è il grande progetto di connettività in cui l’India è coinvolta. Il governo indiano ha contribuito alla creazione di istituti di eccellenza tecnologica, informazione, agricoltura, formazione industriale, sanità, ecc.; ha curato il restauro della Pagoda Anandadi Bagan, meraviglia architettonica dell’XI secolo, sito del Patrimonio mondiale UNESCO; ha lanciato l’operazione “Brahma” per fornire assistenza immediata alle popolazioni colpite dal terremoto del 28 marzo 2025.

A proposito di rapporti con la Cina “I rapporti tra Cina e Myanmar sono stati a lungo cordiali, descritti con il termine birmano “Pauk Phaw”, che si traduce in “fratelli di sangue” e rappresenta un’espressione affettuosa riferita alla Cina e al suo popoloscrive Pacini a pag 81, sottolineando che “l’uso di questo concetto nelle relazioni bilaterali sino-birmane risale agli anni Cinquanta, all’indomani della fondazione della Repubblica Popolare Cinese e dell’indipendenza della Birmania dal dominio coloniale britannico. La Birmania, del resto, fu uno dei primi Paesi non comunisti a riconoscere il governo di Pechino nel 1950… La prima visita ufficiale all’estero di Deng Xiaoping fu proprio in Myanmar. Benché la Cina abbia sostenuto i regimi militari in Myanmar da 1988, probabilmente per garanzia di sicurezza, negli anni più recenti si assiste ad un sensibile cambiamento poiché Myanmar è, per la Cina, strategicamente importante nell’ambito dell’iniziativa Belt and Road e rappresenta un partner con un ruolo geopolitico importante di passaggio strategico tra la provincia cinese dello Yunnan, il Sud-Est e il Sud dell’Asia .

Nel 2017 Aung San Suu Kyi ha partecipato a Pechino al primo “Forum sulla cooperazione internazionale della Belt and Road Initiative”; in seguito è stato istituito un comitato per  lo sviluppo del Corridoio Economico Cina-Myanmar (CMEC). Nel gennaio 2020 il presidente Xi Jinping è andato in visita ufficiale in Myanmar affermando di voler rafforzare cooperazione economica e partenariato strategico. Negli ultimi anni, Pechino ha intensificato i rapporti bilaterali, tanto che numerosi progetti economici congiunti sono attualmente in corso (gasdotto operativo nel 2013 e oleodotto Cina-India-Birmania che collegano la provincia cinese dello Yunnan con l’Oceano Indiano, espansione del commercio transfrontaliero lungo arterie come l’autostrada Yunnan-Birmania).

C’è anche da considerare la collaborazione con gli stati del Sud-Est tenendo conto della diaspora delle popolazioni birmane:  milioni di origine birmana vivono in Thailandia, Malesia e Singapore. Nell’aprile 2024, dopo il tentativo fallito delle forze ribelli di prendere Myawaddy,  la Thailandia ha intensificato gli aiuti umanitari istituendo una “zona sicura” per i rifugiati. Thailandia e Cambogia hanno intrapreso iniziative di pace per limitare i danni della guerra civile; il Vietnam, con cui i rapporti sono sempre stati collaborativi, è diventato un investitore di spicco in Myanmar avviando legami e progetti comuni.

Le domande finali proposte nel  saggio suonano forse come provocazioni, ma preferisco considerarle domande retoriche con risposta affermativa:

1- avendo rapporti con tutti i principali attori del mondo multipolare, il Myanmar potrà assumere un ruolo significativo nel consolidamento dello stesso auspicabile ordine mondiale multipolare?  

2- il Myanmar potrà costituire un nuovo potenziale Heartland per il Sud-Est Asiatico? 

La risposta che Pacini dà alle domande poste è inequivocabile: il Paese “ha una sua identità culturale millenaria, una storia filosofico-politica molto coerente e duratura nel tempo, è posizionato geograficamente quale ponte fra diverse civiltà e diversi domini, ed è bersaglio delle potenze talassocratiche per eccellenza. La biografia perfetta per essere definito Heartland. […] il Myanmar può farsi guida del blocco del Sud-Est Asiatico, la cui integrazione con la Cina e in generale l’Asia Orientale, è fondamentale per definire l’intera mappa di quella parte di mondo.” (Cit pag 132).

NOTE AL TESTO

Anthony D. Smith  (1939 – 2016) antropologo e sociologo britannico che ha distinto fra le tipologie “civiche” ed “etniche” con cui possono essere classificate le nazioni

Dalla quarta di copertina:

C’è un mondo nuovo che sta emergendo e il Myanmar, la “terra dorata”, rappresenta un luogo del tutto speciale per la trasformazione globale in atto. Attraverso un’esplorazione attenta della storia di quella terra lontana, l’Autore ci introduce nella profondità della dottrina filosofica e politica del popolo del Myanmar, per poi affrontare le sfide geopolitiche e geoeconomiche che si aprono all’orizzonte del prospero futuro di una terra e di un popolo che è pronto a dare un grande esempio di pace e di successo condiviso al mondo intero.

Lorenzo Maria Pacini, nato nel 1994, è professore associato di Filosofia politica e Geopolitica presso l’UniDolomiti di Belluno (Italia) e l’UniCampus HETG di Ginevra (Svizzera). Si occupa principalmente di multipolarità, nuove teorie e sistemi politici, analisi strategica. Consulente in relazioni internazionali e intelligence, è editorialista per il think tank internazionale Strategic Culture Foundation of Russia e per la Sovereignty Association of Brasil. Membro del Multipolarity Forum e dell’European Geopolitical Multipolar Alliance.

Prefazione di U Mg Mg Ohn, Ministro dell’Informazione della Repubblica dell’Unione del Myanmar.


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