Scudo Democratico Europeo: prodromi della nuova gestione tecnocratica

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Andrea Falco Profili

È nel diffondersi di un linguaggio apparentemente innocuo che spesso si celano i più pericolosi rivolgimenti della politica. Così, dietro la locuzione “Scudo Democratico” – espressione entrata nel lessico europeo con la benedizione di von der Leyen e recentemente materializzatasi in Italia attraverso il disegno di legge Lombardo-Calenda – si nasconde un dispositivo politico denso di ambiguità e paradossi.

Nella sua formulazione ufficiale, lo Scudo Democratico Europeo si presenta come strumento di tutela mirato a proteggere il voto, il dibattito pubblico e le istituzioni rappresentative dall’aggressione di forze ostili, siano esse hacker stranieri, centrali di disinformazione o agenti eversivi. Un “antidoto necessario” alla presunta vulnerabilità delle democrazie occidentali, esposte al rischio di manipolazione da parte di attori che sfrutterebbero le libertà democratiche per sabotarle dall’interno. Eppure, tali misure si rivelano facilmente portatrici di una contraddizione latente: la democrazia che, pur di salvarsi, accetta di sospendere sé stessa. Infatti, le misure “protettive” proposte, dalla rimozione di contenuti informativi al blocco di utenti, fino alla sospensione stessa del procedimento elettorale, costituiscono un’inversione da quel principio di sovranità popolare che ha delineato su carta la legittimazione della democrazia europea, approdando ad una “democrazia sotto tutela”. Il discorso pubblico liberamente filtrato e, in ultima analisi, forze già trincerate nei palazzi di governo in grado di stabilire quali forze possano legittimamente aspirare ad esso.

I laboratori dell’esclusione

Questo modello di “auto-immunizzazione” democratica ha conosciuto negli ultimi mesi tre manifestazioni emblematiche. In Romania, le elezioni presidenziali del novembre 2024 hanno visto l’annullamento del primo turno dopo l’inattesa vittoria del nazionalista Călin Georgescu, critico della NATO. Con il pretesto di presunte ingerenze russe – mai concretamente dimostrate – si è proceduto a invalidare un voto già espresso, successivamente arrestando il candidato e scatenando proteste di piazza. L’intervento ha assunto tutti i connotati di un golpe in forma giuridica. Va inoltre rilevato che l’Agenzia Nazionale Fiscale ha successivamente escluso la presenza di finanziamenti illeciti, generando interrogativi sulla solidità delle motivazioni addotte alla sospensione della democrazia.

In Francia, la neutralizzazione dell’opposizione ha assunto una veste più sofisticata: la condanna giudiziaria di Marine Le Pen a cinque anni di ineleggibilità, pena che la esclude dalla corsa presidenziale del 2027. Una sanzione sproporzionata per irregolarità amministrative, cronologicamente distanti e prive di arricchimento personale, che ha coinciso con l’ascesa nei sondaggi del Rassemblement National. In questo caso, la maschera dello Stato di diritto copre un dispositivo di esclusione selettiva, con il 42% dei francesi che percepiscono motivazioni politiche nella sentenza.

Il caso tedesco rivela un approccio ancora diverso, ma non meno problematico. La designazione dell’AfD (partito votato da circa un quarto degli elettori) come “organizzazione estremista accertata” da parte dei servizi interni ha aperto la strada a sorveglianza massiva e persino a dibattiti sul bando legale della formazione. Una forma di profilassi preventiva che lascia un interrogativo aleatorio: è compatibile con il principio democratico l’etichettatura di milioni di cittadini-elettori come potenziali nemici dello Stato?

La doppia morale occidentale

La filosofia dello Scudo rivela la sua più stridente contraddizione nella pratica del doppio standard. Gli stessi attori istituzionali che condannano con veemenza presunte violazioni democratiche nei Paesi non allineati al blocco atlantico, tacciono – o peggio, applaudono – quando pratiche analoghe si manifestano nel cuore dell’Europa. Quando a Caracas l’opposizione tenta la sedizione con sostegno statunitense, Bruxelles tuona contro l’autoritarismo; quando a Parigi si neutralizza l’opposizione per via giudiziaria, regna un silenzio complice. Questa asimmetria morale si estende al concetto stesso di ingerenza straniera. L’influenza occidentale nei processi politici dell’Est Europa o del Sud globale viene definita “sostegno alla democrazia”; qualsiasi presunta influenza russa in Occidente diventa invece “attacco ibrido” che legittima misure d’emergenza. Si configura così un sistema di geometrie variabili, dove i principi liberali vengono applicati o sospesi secondo convenienza geopolitica. Particolarmente problematica appare l’interpretazione estensiva del cosiddetto “paradosso di Popper” sulla tolleranza. La massima, già ampiamente distorta, secondo cui una società aperta non dovrebbe tollerare gli intolleranti viene reinterpretata ulteriormente fino a giustificare l’esclusione preventiva di forze politiche che, per quanto radicali, operano all’interno del quadro costituzionale. L’asticella dell’intollerabile si abbassa pericolosamente, fino a includere qualunque critica sostanziale al modello euroatlantico.

Un’infrastruttura cruciale nel sostenere questa architettura è costituita dai media, che hanno largamente abbracciato la narrazione dell’emergenza permanente. La retorica dominante dipinge un quadro manicheo: da un lato i sinceri democratici, dall’altro i barbari alle porte, populisti invariabilmente descritti come burattini di potenze ostili. Questa narrativa apocalittica, che evoca costantemente fantasmi storici (il fascismo, l’ascesa di Hitler), normalizza misure eccezionali e le rende ontologicamente strutturali ridefinendo i limiti della democrazia europea. Si assiste così a un fenomeno paradossale: mentre i rapporti internazionali documentano un declino ventennale della qualità democratica in Europa, il discorso pubblico identifica la causa del male non nelle disfunzioni sistemiche (disuguaglianze, austerità, deficit di rappresentanza, violazione del principio di sussidiarietà), ma nelle forze che contestano tali disfunzioni. Il sintomo viene scambiato per malattia, e la cura proposta, lo Scudo, aggrava ulteriormente la patologia. Il panorama informativo si polarizza ed emerge un neo-maccartismo europeo, dove il dissenso politico viene tacitamente equiparato al tradimento o alla complicità con il nemico.

La profezia autoavverante

La contraddizione ultima dello Scudo Democratico Europeo risiede nella sua natura autolesionista. Nel tentativo di preservare la democrazia dalle sue presunte minacce, si finisce per eroderne i fondamenti. L’esito è una spirale negativa, più si restringono gli spazi democratici per contrastare il populismo, più quest’ultimo trova conferma nella sua denuncia del sistema come elitario e manipolatorio. Il paradosso esplode quando élites tecnocratiche e politiche, convinte di star salvando la democrazia dai suoi nemici interni (e dai loro presunti finanziatori esterni), accelerano invece proprio quella crisi di legittimità che alimenta le alternative antisistema che ridiscutono la stabilità della costruzione euroatlantica. Le misure eccezionali che il sistema unipolare ha sperimentato alle periferie dell’impero, come un boomerang tornano a colpirne il centro.

L’applicazione delle misure proposte dallo Scudo, osservate nei suoi prodromi è profondamente rivelatrice: colpisce esclusivamente attori politici che sfidano l’allineamento geopolitico euro-atlantico e la visione post-nazionale dell’Europa. La minaccia alla democrazia coincide con la minaccia all’egemonia di un particolare modello politico ed economico. La protezione della democrazia formale diventa lo strumento per preservare un determinato assetto sostanziale, impedendo che visioni alternative possano competere ad armi pari nel confronto elettorale. Particolarmente inquietante appare la tendenza a patologizzare il dissenso: etichettare come “manipolata” l’ascesa di figure come Georgescu permette di evitare il confronto con le ragioni del loro successo. Se l’avversario è il prodotto di “ingerenze russe”, non è necessario interrogarsi sul malessere sociale che ha reso fertile il terreno per il suo messaggio. L’uso strategico dell’intelligence come arbitro della legittimità politica produce una degenerazione securitaria che elimina il confronto democratico e consegna all’Europa un modello fondato sulla gestione tecnocratica del dissenso.

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