Una nuova Siria, o solo un nuovo vestito?

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di Andrea Garbo

Inclusione apparente e potere centralizzato: la strategia ambigua di al-Sharaa per riportare la Siria sulla scena internazionale

Il nuovo governo siriano non serve solo a svolgere le necessarie funzioni esecutive ma è anche una bacheca di messaggi. Ogni nomina è un segnale accuratamente selezionato, rivolto sia a un pubblico interno frammentato che a un’attenta comunità internazionale.

Al centro c’è al-Sharaa, figura temprata dalla guerra, ora intento a reinventarsi come amministratore pragmatico. La sua missione: stabilizzare una nazione divisa e ottenere la riammissione nella comunità degli Stati. Per farlo, deve affrontare un delicato esercizio di equilibrio: riconciliare le fazioni interne mentre cerca accettazione e sostegno da parte delle potenze esterne. Uno dei suoi obiettivi più urgenti è la revoca delle sanzioni occidentali. Questo non solo sbloccherebbe un sollievo economico vitale, ma segnerebbe anche il pieno reinserimento della Siria nell’ordine internazionale.

Un esecutivo come segnale

Il nuovo governo ha prestato giuramento il 29 marzo. Pur composto in gran parte da lealisti di al-Sharaa, alcune nomine hanno un peso simbolico. Hind Kanawat, avvocata cristiana, è ora Ministra del Lavoro; Raed Saleh, già capo dei White Helmets sostenuti dall’Occidente, è stato nominato Ministro delle Emergenze e dei Disastri. Altri incarichi sono andati a membri delle comunità drusa, alawita e curda: ogni nome è un gesto deliberato verso l’inclusione etnica e settaria. Ma questa diversità superficiale cela una realtà più profonda: i portafogli di reale influenza—difesa, interno, esteri e giustizia—restano saldamente nelle mani dei membri del partito di al-Sharaa, Hayat Tahrir al-Sham (HTS). Questa strategia di “inclusività tattica” permette alla Siria di mostrarsi conforme alle norme pluraliste della società internazionale liberale, mantenendo però il controllo centralizzato sul potere.

Alcuni dei nuovi ministri portano con sé una competenza reale in linea con i loro ruoli, rafforzando il secondo messaggio di al-Sharaa: la competenza. Le nomine sembrano cercare un equilibrio tra i lealisti ideologici di HTS e professionisti tecnocratici apolitici. È un gesto pragmatico rivolto a due pubblici: una popolazione interna stanca del caos, e una comunità internazionale in cerca di segnali di governance funzionale. Questo approccio tecnocratico distingue anche il nuovo governo dal precedente, percepito come corrotto, settario e inetto. Resta da vedere se questi ministri avranno vera autonomia, ma la loro presenza da sola segnala maturità istituzionale, cruciale per il reinserimento della Siria nella società internazionale.

Equilibrio interno e sovranità fragile

Internamente, la legittimità di al-Sharaa è messa alla prova. L’economia è in caduta libera e la sua alleanza con le altre milizie siriane è fragile. Sebbene abbia iniziato a unificare le fazioni armate sotto un esercito nazionale ristrutturato, le divisioni etniche restano nette. Le tensioni con la comunità alawita, considerata il principale sostegno al regime caduto di Assad, sono sfociate in violenze lungo la costa. Un accordo preliminare con le Forze Democratiche Siriane (SDF) a guida curda è stato firmato a marzo, ma il braccio politico delle SDF ha rifiutato di riconoscere il nuovo governo, definendolo “escludente”.

Il tessuto sociale siriano resta estremamente fragile. Al-Sharaa, nel tentativo di accontentare l’ala siriana più conservatrice, ha ricostituito la figura di Gran Mufti, una sorta di leader spirituale islamico legato però al potere politico. Questa nuova carica è stata assegnata ad al-Rifai, studioso islamico esiliato in Turchia durante il regime di al-Assad. Anche se non della stessa scuola islamica dei membri di HTS, il nuovo Gran Mufti rappresenta una fazione conservatrice, come comprovato da diverse dichiarazioni dello stesso al-Rifai contro varie organizzazioni internazionali che a suo parere stavano compromettendo la stabilità della famiglia tradizionale islamica. La reintroduzione della carica del Gran Mufti è un altro tassello per smantellare l’eredità laica del regime baathista di Assad e segna il ritorno di una Siria islamica e sunnita.

Al-Sharaa deve narrare con attenzione il suo governo. Dopo decenni di dominio baathista, la governance laica in Siria è associata all’autoritarismo, mentre la brutalità dell’ISIS ha screditato le alternative islamiste radicali. Ciò lascia ad al-Sharaa un corridoio ideologico molto stretto: deve costruire un modello di governance islamica moderata che parli al suo popolo ma sia accettabile anche per i partner internazionali. Se riuscisse in questo difficile equilibrio, ne trarrebbe legittimità sia interna che internazionale, aprendo la strada alla stabilizzazione della Siria.

Accettazione regionale, esitazione internazionale

Dalla formazione del nuovo governo, dignitari stranieri hanno affollato Damasco. La Turchia e gli Stati arabi, in particolare quelli del Golfo, hanno in gran parte accolto con favore l’ascesa di al-Sharaa, vedendovi il ripristino dell’ordine e il potenziale riassestamento di un sistema statale collassato (con il vantaggio aggiuntivo di indebolire il loro nemico regionale, l’Iran). Questi Stati hanno privilegiato l’ordine politico e la ripresa del dialogo diplomatico rispetto a parametri liberali — una risposta perfettamente coerente con l’etica pluralista della società internazionale regionale.

Al contrario, le nazioni occidentali restano caute, mantenendo le sanzioni come leva per ottenere riforme sistemiche. Sebbene alcuni Paesi europei abbiano mostrato segnali di riavvicinamento, spinti in parte da preoccupazioni legate ai rifugiati, gli Stati Uniti sono rimasti in gran parte disimpegnati. Tuttavia, molti in Occidente hanno accolto con favore la diversità del nuovo governo, considerandola un segnale di progresso verso l’inclusività.

Al di là dell’apparenza: una presa di potere mascherata

Mentre l’Occidente osserva in cerca di segnali di liberalizzazione, al-Sharaa sta consolidando il potere. Abolendo la carica di Primo Ministro, ha creato un sistema iper-presidenziale. Fedelissimi e membri di Hayat Tahrir al-Sham (HTS) ora occupano posizioni chiave. Queste riforme mirano a riaffermare sovranità e legittimità nella società internazionale tramite un canale alternativo: non conformandosi alle norme liberali, ma dimostrando controllo politico e coerenza istituzionale.

Questa strategia duplice — apparire inclusivo e centralizzare il potere — ha suscitato reazioni contrastanti. Le Forze Democratiche Siriane (SDF) l’hanno pubblicamente respinta. Alcuni Stati europei, desiderosi di rimpatriare i rifugiati ed evitare nuovi conflitti, sembrano disposti ad accettare una facciata di riforma. Gli Stati arabi, per nulla estranei al pragmatismo autoritario, vedono in al-Sharaa un potenziale garante della stabilità regionale.

Conclusione: un caso per un coinvolgimento condizionato

Al-Sharaa sta mostrando un’immagine accuratamente costruita: un leader civile con un tocco populista, costruito per piacere all’Occidente, ma con un passato militante. Il suo governo è il palcoscenico su cui interpreta il suo ruolo più critico: non quello di comandante militare, ma di aspirante membro della società internazionale.

Tuttavia, l’immagine non è riforma. Il nuovo governo siriano non si è ancora impegnato verso una governance democratica, e la possibilità dell’imposizione di un sistema giuridico basato sulla Sharia resta probabile. Se l’Occidente vuole sostenere la transizione della Siria senza legittimare una regressione autoritaria, deve accompagnare il coinvolgimento con la responsabilità.

Una sospensione temporanea e condizionata delle sanzioni potrebbe fornire ad al-Sharaa le risorse necessarie per ricostruire il Paese e attuare riforme inclusive. Allo stesso tempo, l’Occidente manterrebbe un margine di pressione — pronto a reintrodurre le restrizioni nel caso in cui la Siria ricadesse nell’autoritarismo. Una mossa del genere bilancerebbe la pressione normativa con la pazienza strategica: dopotutto, ordine, legittimità e aspettative condivise — non solo la coercizione — modellano il comportamento degli Stati.

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