Un nuovo Accordo Cina-U.E. sugli investimenti? Vantaggi e difficoltà

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di Stefano Vernole

Il seguente articolo fa parte del focus “Cina e Unione Europa: ascesa pacifica e globalizzazione multipolare”, un progetto del Centro Studi Eurasia e Mediterraneo

Le premesse e lo stallo del CAI

Il 30 dicembre 2020 Repubblica Popolare Cinese (RPC) ed Unione Europea (UE) hanno annunciato la conclusione dei sette anni di negoziati volti alla definizione del Comprehensive Agreement on Investment (CAI), un accordo che si proponeva di fornire un unico framework legale agli investimenti tra le due parti, andando a sostituire i ventisei accordi bilaterali in vigore.

Dal 2013, anno in cui i negoziati sono iniziati, la necessità di arrivare a un accordo si era fatta sempre più evidente man mano che il volume di scambi commerciali e d’investimento tra i due attori andava a crescere. Stando ai dati di Eurostat per il 2019 (quindi prima dello scoppio della pandemia), l’interscambio tra UE e Cina toccava i 560 miliardi di euro con un deficit europeo di 164 miliardi.

L’UE e la Cina sono mercati strategici l’uno per l’altro, con un volume di scambi commerciali medio di oltre 1,5 miliardi di euro al giorno. L’ampio e in rapida crescita mercato interno cinese, che conta 1,4 miliardi di consumatori, e il suo peso come seconda economia mondiale (la prima per PIL a parità di potere d’acquisto), rappresentano significative opportunità commerciali per le aziende europee. Quando le imprese del Vecchio Continente hanno la possibilità di competere e prosperare in tali mercati, generano benefici diretti per l’economia europea in termini di maggiore produttività, determinata da una scala più ampia di operazioni, esportazioni, innovazione e competitività globale.

Tuttavia, secondo la versione di Bruxelles, il mercato cinese è tradizionalmente molto meno aperto agli investimenti esteri rispetto a quello dell’UE e le aziende europee che operano in Cina non beneficiano degli stessi livelli di trasparenza e di concorrenza leale di cui godono quelle cinesi nel mercato europeo. Esamineremo più avanti questa affermazione, rilevando alcune contraddizioni nella narrativa comunitaria1.

Nel frattempo, bisogna ricordare che il CAI mirava proprio a colmare questa lacuna, contenendo impegni in materia di accesso al mercato e norme che contribuirebbero a creare condizioni di parità per gli investitori dell’UE in Cina, tra cui disposizioni chiare sulle imprese statali, obblighi di trasparenza per i sussidi e direttive che vietano i trasferimenti forzati di tecnologia. IL CAI contiene principi ambiziosi in materia di sviluppo sostenibile, tra cui l’impegno della Cina ad attuare efficacemente l’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici.

L’Accordo si inserisce in quelle che sono le tre grandi criticità che hanno tradizionalmente caratterizzato l’ingresso della Cina sui mercati globali: reciprocità di accesso al mercato, parità di condizioni per tutti gli operatori e regole condivise sul clima, la salute e il lavoro. Da ambo le parti, però, rimane effettiva la possibilità di tutelare unilateralmente gli interessi nazionali attraverso meccanismi di screening ad hoc degli investimenti in entrata.

Per quanto riguarda la reciprocità di accesso al mercato, l’UE ha riconosciuto positivamente alcune concessioni fatte dalla Cina: dalla rimozione delle barriere in settori come quello dei veicoli elettrici, delle telecomunicazioni e degli ospedali privati fino ad una maggiore apertura dei servizi finanziari, immobiliari e di spedizione. Tutti ambiti a cui le aziende europee danno priorità da tempo. Per quanto concerne, invece, la parità delle condizioni per tutti gli operatori nel mercato, Pechino ha assicurato di essere disposta a disciplinare maggiormente le aziende di Stato, ad offrire un più alto grado di trasparenza riguardo i sussidi pubblici e ad inserire norme contro il trasferimento forzato di tecnologia.

Da ultimo, quanto agli standard condivisi sul clima, la salute e il lavoro, il CAI prevede che la Cina si impegni a ratificare diverse convenzioni nel contesto dell’Organizzazione internazionale del lavoro (ILO), nonché una convenzione ad hoc contro il lavoro forzato. Quest’ultimo tema è uno degli aspetti più problematici dell’Accordo poiché mette al centro delle discussioni la questione della regione cinese nord-occidentale del Xinjiang. Pechino, infatti, è stata accusata, tra le altre falsità, di aver costretto centinaia di migliaia di appartenenti a minoranze etniche al lavoro forzato all’interno di quelli che sono denominati “campi di internamento”2. Nel dicembre 2020, il Parlamento europeo aveva già adottato la Risoluzione d’urgenza per gli uiguri, comprensiva di una clausola che prevedeva il bando delle importazioni di prodotti sospettati di essere legati al lavoro forzato nello Xinjiang. Di conseguenza, le aspettative erano per un Accordo che comprendesse un impegno maggiore da parte delle Autorità cinesi in quest’ambito.

Oltre alla questione della vasta portata dei flussi commerciali e d’investimento, il principio che sembrava essere alla base della decisione europea di lavorare per concludere i negoziati entro la scadenza del 31 dicembre 2020 era quello di “ottenere tutto il possibile” dalla situazione. Le istituzioni europee, infatti, erano già consapevoli che dopo la pandemia sarebbe stata l’economia cinese a crescere maggiormente e, di conseguenza, avevano dato priorità all’Accordo.

Entrambe le parti hanno allora concordato di proseguire i negoziati sulla tutela degli investimenti e sulla risoluzione delle controversie, da concludersi entro due anni dalla firma del CAI3. La Cina ha assunto impegni significativi per garantire alle aziende dell’UE l’accesso al mercato nazionale. L’accordo di libero scambio vincola le aperture autonome intraprese dalla Cina negli ultimi 20 anni e prevede ulteriori aperture di mercato in diversi settori, sia terziari che non terziari. Per quanto riguarda i comparti non-terziari, la Cina ha assunto impegni significativi nel settore manifatturiero, che rappresenta oltre la metà degli investimenti totali dell’UE in Cina, di cui il 28% per il settore automobilistico e il 22% per i materiali di base. Nel settore dei servizi, la Cina si è impegnata anche a garantire l’accesso degli investitori europei ai servizi di telecomunicazione (servizi cloud), ai servizi finanziari, all’assistenza sanitaria privata, ai servizi ambientali e a quelli relativi al trasporto aereo (sistemi di prenotazione computerizzati).

Questi impegni garantiscono alle imprese europee certezza e prevedibilità per le loro attività nei settori interessati, poiché la Cina non potrebbe più vietarne l’accesso o discriminarle.

Il CAI stabilisce norme chiare per le imprese statali, obblighi di trasparenza per i sussidi e regole che vietano i trasferimenti forzati di tecnologia e altre pratiche distorsive, migliorando le condizioni di concorrenza per gli investitori europei in Cina. L’Accordo include norme sulla trasparenza e altre garanzie che faciliterebbero l’ottenimento di licenze e autorizzazioni e il completamento delle procedure amministrative da parte delle aziende europee. Garantisce alle imprese europee anche l’accesso agli organismi di normazione cinesi.

Le due parti si sono infine impegnate a collaborare per raggiungere standard di protezione all’avanguardia e un meccanismo di risoluzione delle controversie che tenga conto dei lavori intrapresi sulla riforma strutturale in materia di investimenti nell’ambito della Commissione delle Nazioni Unite per il diritto commerciale internazionale (UNCITRAL).

L’attuazione degli impegni assunti nell’Accordo verrebbe monitorata a livello di vicepresidente esecutivo da parte dell’UE e di vicepremier da parte della Cina. Oltre ai contatti regolari a tale livello, l’Accordo prevede la possibilità di tenere tali riunioni con breve preavviso e su base ad hoc in caso di gravi problemi riguardanti l’attuazione degli impegni, unitamente ad un solido meccanismo di risoluzione delle controversie tra Stati, analogo a quello previsto dagli accordi commerciali vigenti nell’UE. Il CAI istituisce un gruppo di lavoro specifico per monitorare l’attuazione delle questioni relative allo sviluppo sostenibile, tra cui gli standard di lavoro e l’azione per il clima.

Insomma, vi erano tutte le condizioni per una ratifica che però non è mai avvenuta.

Gli ostacoli geopolitici al CAI non frenano il commercio bilaterale

L’obiettivo dell’UE rimane quello di sostituire gli attuali trattati bilaterali di investimento degli Stati membri con la Cina con un unico accordo modernizzato a livello europeo ma rispetto al 2020 il quadro geopolitico è notevolmente cambiato.

Innanzitutto, il CAI non è stato implementato a causa delle reciproche misure punitive. Dopo che il Consiglio d’Europa (l’organo che riunisce i ministri dei 27 governi degli Stati membri) ha comminato sanzioni per quattro funzionari cinesi e una società di costruzioni “per violazioni dei diritti umani contro la comunità uigura nello Xinjiang”, Pechino ha risposto sanzionando a sua volta cinque europarlamentari, tre deputati nazionali e due ricercatori europei, ma anche due organi delle istituzioni comunitarie e altrettanti think-tank. Gli individui che rientrano nell’elenco delle sanzioni di Bruxelles sono soggetti a un divieto di ingresso nei Paesi UE e al congelamento di eventuali beni detenuti nel territorio dell’Unione. È anche proibito a privati e imprese europee fare affari con questi soggetti, dando loro accesso, direttamente o indirettamente, a risorse economiche. A loro volta, ai sanzionati (tutti colpevoli di “aver seriamente danneggiato la sovranità e gli interessi della Cina e volontariamente diffuso menzogne e disinformazione”) e alle loro famiglie sono proibiti l’ingresso sul territorio nazionale (comprese Hong Kong e Macao) e ogni tipo di affari con la Repubblica Popolare Cinese. A quel punto, la maggioranza dei parlamentari europei ha votato una risoluzione per cui i deputati “non prenderanno in considerazione alcun colloquio sulla ratifica dell’Accordo UE-Cina finché non saranno revocate le recenti sanzioni cinesi contro i legislatori UE”. Dopo la disputa del 2021, il CAI viene abbandonato da Bruxelles e non è più riportato sul tavolo, nonostante i ripetuti tentativi di Pechino di rianimare il testo. Stando alla UE, l’accesso al mercato cinese è diventato sempre più restrittivo per le aziende straniere a causa di normative stringenti, pressioni governative e tensioni geopolitiche, facendo precipitare i flussi di investimento e la fiducia delle imprese.

Contemporaneamente, le conseguenze della pandemia e della politica protezionistica degli Stati Uniti d’America hanno originato una “nuova guerra fredda” le cui conseguenze si avvertono anche nei rapporti bilaterali tra Pechino e Bruxelles. La Cina viene definita dalla UE allo stesso tempo “un partner, un concorrente e un rivale sistemico”, con conseguenze diplomatiche negative. Secondo l’Unione Europea: “l’equilibrio tra sfide e opportunità offerto dalla Cina si è modificato nel tempo. Le nostre relazioni economiche sono gravemente sbilanciate, sia in termini di flussi commerciali che di investimenti, a causa di una significativa asimmetria nelle rispettive aperture di mercato. Inoltre, il modello economico cinese ha causato distorsioni sistemiche con ricadute negative sui partner commerciali. Secondo il FMI (istituzione storicamente guidata da Washington, n.d.r.), l’adozione di politiche industriali da parte della Cina, in particolare il sostegno ai settori prioritari, ha un impatto sui partner commerciali. Per l’UE, garantire la reciprocità, raggiungere condizioni di parità e affrontare le asimmetrie nelle relazioni sono questioni prioritarie. L’UE conferma il suo impegno ad affrontare queste sfide attraverso il dialogo con la Cina e sottolinea l’importanza dell’OMC come strumento migliore per affrontare le cause profonde dell’attuale squilibrio”4.

In realtà, l’UE e la Cina discutono politiche e questioni relative al commercio e agli investimenti in una serie di dialoghi, tra cui i più importanti sono: il Vertice annuale UE-Cina, con scambio a livello presidenziale per migliorare il coordinamento politico sulle questioni più importanti, tra cui il commercio; il Dialogo economico e commerciale di alto livello UE-Cina (HLED), dove un Vicepresidente della Commissione europea e il Vice Primo Ministro cinese si incontrano per discutere di questioni specifiche: sono accompagnati, se necessario, da commissari UE e ministri cinesi.

A livello globale, l’UE si impegna a riformare l’Organizzazione Mondiale del Commercio per rispondere alle sfide della transizione verde e digitale, promuovendo al contempo condizioni di parità a livello globale e ha invitato la Cina a svolgere un ruolo commisurato al suo peso economico per contribuire al raggiungimento di questi obiettivi di riforma. Pechino non si è certo tirata indietro. La Cina ha firmato il 30 maggio 2025 una convenzione per l’istituzione a Hong Kong di un nuovo organismo di mediazione per la risoluzione delle controversie tra Stati (IOMed). Il suo status sarà equiparabile a quello della Corte internazionale di giustizia e della Corte permanente di arbitrato delle Nazioni Unite all’Aja. Il Ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha affermato che la nascita dell’IOMed contribuirà a superare la mentalità a somma zero del ‘vincere o perdere’, a promuovere la risoluzione amichevole delle controversie internazionali e a costruire relazioni esterne più armoniose, con reciproco rispetto e comprensione. La cerimonia di firma della Convenzione sull’istituzione dell’IOMed ha visto la partecipazione di alti rappresentanti di oltre 80 Paesi e di circa 20 organizzazioni internazionali, tra cui le Nazioni Unite.

Il commercio bilaterale rimane fondamentale, specie in questo momento di turbolenze geopolitiche. L’anniversario delle relazioni UE-Cina offre uno spazio simbolico prezioso, da sfruttare con pragmatismo per ripensare una relazione che, pur complessa, rimane di primaria importanza per entrambe le parti.

Nel 2024, le importazioni di prodotti manifatturieri dall’UE rappresentavano il 97% delle importazioni totali dalla Cina, con i beni primari che contavano solo per il 2%. I prodotti manifatturieri più importati sono stati macchinari e veicoli (55%), seguiti da altri prodotti manifatturieri (34%) e prodotti chimici (8%). Nel medesimo anno, le esportazioni di beni manifatturieri dell’UE costituivano l’88% delle esportazioni totali verso la Cina, con i beni primari che rappresentavano l’11%. I beni manifatturieri più esportati sono stati macchinari e veicoli (51%), seguiti da altri beni manifatturieri (20%) e prodotti chimici (17%). Per quanto riguarda il commercio di servizi, l’UE ha da tempo mantenuto un surplus commerciale con la Cina. Nel 2023, tale surplus ammontava a 15,7 miliardi di euro e la Cina risultava il suo quarto partner commerciale nel settore dei servizi, dopo Stati Uniti, Regno Unito e Svizzera. Lo scorso anno, gli investimenti dell’UE in Cina si sono concentrati principalmente sui settori automobilistico, dei materiali di base e delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione.

Il valore cumulativo degli stock di investimenti diretti esteri (IDE) cinesi nell’UE dal 2000 è stato calcolato a 188 miliardi di euro nel 2024, con un aumento annuo degli IDE di 11,9 miliardi di euro dal 20095. I flussi di IDE cinesi verso l’UE ammontano a 9,4 miliardi di euro nel 2024 (rispetto ai 5,2 miliardi di euro del 2023); i tre settori principali sono stati il ​​settore automobilistico, l’intrattenimento, i media e l’istruzione, nonché i beni e servizi di consumo. Nella maggior parte dei casi, gli investimenti diretti esteri cinesi nell’UE non sono più dominati da fusioni e acquisizioni, bensì da investimenti greenfield (si riferiscono perciò alla creazione di una nuova impresa, stabilimento o attività produttiva in un Paese straniero, partendo da zero e su un’area precedentemente non occupata da attività umane). Nel primo trimestre del 2025, gli investimenti diretti esteri dell’UE in Cina hanno mantenuto il loro slancio, per un totale di 3,06 miliardi di euro, segnando la migliore performance dal primo trimestre del 2022 e dimostrando come la posizione “responsabile” della RPC nell’attuale turbolenza globale venga tenuta in grande considerazione.

La variabile Trump e le proposte cinesi

Grazie a questo flusso ininterrotto di rapporti e constatata l’aggressività commerciale dell’Amministrazione Trump, la Cina ha proposto alla UE una revoca delle sanzioni comminate ad alcune figure europee nel 2021. Ursula von der Leyen ha avuto una telefonata con il premier cinese Li Qiang, alimentando le voci di un rilancio delle relazioni economiche dopo anni di scontri. Il resoconto rilasciato dall’ufficio di Li è stato notevolmente ottimista, sottolineando un “impulso di crescita costante” nei legami bilaterali. Bruxelles, pur rimanendo prudente, ha anche chiarito che il blocco europeo non cercherà di sganciarsi dall’economia cinese come condizione per ottenere una tregua dai dazi di Trump. La revoca delle sanzioni agli europei, avvenuta ufficialmente alla fine di aprile 2025, è stato un segnale positivo per la ripresa del dialogo ma non è detto che porterà automaticamente alla ratifica del “congelato” Comprehensive Agreement on Investment.

L’Unione Europea punta ad ottenere alcune concessioni, come la possibilità di attrarre investimenti cinesi in Europa che generino valore aggiunto, favoriscano il trasferimento del know-how tecnologico e contribuiscano alla creazione di posti di lavoro. Alcuni Stati membri hanno mostrato una maggiore apertura nei confronti della Cina (si veda per esempio la visita del Primo Ministro spagnolo, Pedro Sanchez, a Pechino), mentre altri rimangono più scettici, indebolendo la coesione interna attraverso una battaglia tutta intra-europea per accaparrarsi gli investimenti cinesi.

Restano comunque forti le preoccupazioni sul piano della sicurezza. Il Libro Bianco sulla Difesa europea dal titolo “Defence readiness 2030” pubblicato dalla Commissione europea e dal Servizio europeo di azione esterna (Seae) menziona più volte la Cina, sostenendo che Pechino rappresenti una sfida sistemica e sistematica in numerosi ambiti, puntando non soltanto al primato, ma anche alla supremazia tecnologica e commerciale. La cosiddetta “neutralità pro-Russia” della Cina ha portato molti Stati membri a mantenere un atteggiamento scettico nei confronti di ogni rafforzamento dei legami con Pechino (ma come giudicare la loro “neutralità pro-Israele”?).

Un altro elemento di novità riguarda l’insediamento del nuovo Governo tedesco. In quanto prima economia dell’UE, la posizione del cancelliere Friedrich Merz sulla Cina è fondamentale per la ridefinizione dei nuovi equilibri europei. In contrasto con il suo predecessore, il leader cristiano-democratico ha la reputazione di avere una linea dura nei confronti della RPC: infatti, per ora, sembra optare per una risposta forte e coordinata da parte dell’UE verso quella che riconosce come una “minaccia cinese crescente sul piano della sicurezza”6. Tuttavia, sebbene si sia esposto in termini critici sulla Cina anche sul piano economico, rimane incerto quale direzione prenderà la politica tedesca, alla luce delle pressioni esercitate dall’industria nazionale. Nonostante tutto, Berlino sembra propensa a coordinare le proprie scelte con gli altri membri dell’Unione Europea, senza ammettere la necessità di un rapporto più stretto con Pechino.

La RPC chiede la fine delle restrizioni europee sull’acquisto di tecnologia, in particolare dei macchinari più avanzati per la produzione di chip high-tech, non gradisce i dazi UE sulle auto elettriche provenienti dalla Cina e altre restrizioni agli investimenti. Una recente direttiva emanata da Bruxelles, ad esempio, appare davvero autolesionistica; il 20 giugno 2025, la Commissione europea ha deciso di escludere le imprese cinesi dagli acquisti pubblici dell’UE di dispositivi medici superiori a 5 milioni di euro, mentre consente l’aggiudicazione di non più del 50 % dei fattori produttivi provenienti dalla Cina. Che sia controproducente ce lo conferma la stessa Unione, quando nel dispositivo della direttiva scrive: “Saranno previste eccezioni laddove non esistano fornitori alternativi”, ammettendo le inevitabili difficoltà che deriveranno dall’adozione di questo provvedimento, anche in considerazione del fatto che “le esportazioni cinesi di dispositivi medici verso l’UE sono più che raddoppiate tra il 2015 e il 2023”7. La Camera di commercio cinese presso l’UE (CCCEU) ha giudicato le conclusioni dell’IPI non imparziali né basate su fatti oggettivi: “L’affermazione secondo cui la maggior parte dei prodotti e dei fornitori dell’UE subisca un trattamento discriminatorio nel mercato degli appalti pubblici cinese non rispecchia la realtà. La Cina e l’UE intrattengono da tempo scambi su questioni relative all’Accordo OMC sugli appalti pubblici (AAP) e alle pratiche in materia di appalti pubblici. In questo contesto, l’adozione frettolosa di misure unilaterali da parte dell’UE è profondamente deludente per la comunità imprenditoriale. La decisione di escludere le aziende cinesi e imporre requisiti di localizzazione è un palese atto di discriminazione nei confronti dei prodotti e dei fornitori cinesi nel settore degli appalti pubblici in ambito medico dell’UE. Distorce gravemente la concorrenza leale e mina il principio di parità di condizioni”, invitando Bruxelles a ritirare il provvedimento.

Consapevole delle proprie ragioni, Pechino continua però a muoversi razionalmente e si è detta disposta ad accelerare l’esame e l’approvazione delle esportazioni di terre rare verso le aziende dell’Unione Europea, in presenza di domande regolari e legali.

Anche le consultazioni tra Cina e UE sugli impegni per i prezzi dei veicoli elettrici di fabbricazione cinese esportati in Europa sono entrate nella fase finale, ma rimangono ancora necessari sforzi da entrambe le parti. Secondo una dichiarazione del Ministero del Commercio di Pechino: “La Cina attribuisce grande importanza alle preoccupazioni dell’Europa ed è disposta a istituire un canale verde per le domande idonee, ad accelerare l’esame e l’approvazione e a dare istruzioni al livello operativo di mantenere una comunicazione tempestiva al riguardo”. Wang Wentao ha affermato di sperare che il blocco europeo a sua volta “intraprenda azioni reciproche, adotti misure efficaci per facilitare, salvaguardare e promuovere il commercio conforme di prodotti ad alta tecnologia con la Cina”8.

Le restrizioni imposte dal Governo cinese all’esportazione di terre rare avevano costretto alcune aziende europee ad interrompere la produzione di questi minerali molto ricercati, essenziali per la realizzazione di smartphone, batterie e veicoli elettrici così come per l’industria militare. Come spiegato da CLEPA (European Association of Automotive Suppliers): “L’industria europea delle forniture automobilistiche sta già subendo notevoli perturbazioni a causa delle recenti restrizioni all’esportazione di terre rare e magneti imposte dalla Cina. Queste restrizioni hanno portato alla chiusura di diverse linee di produzione e impianti in tutta Europa, con ulteriori ripercussioni previste nelle prossime settimane a causa dell’esaurimento delle scorte. Le attuali sfide sottolineano l’importanza di una cooperazione costruttiva tra Cina e UE per garantire catene di approvvigionamento stabili e resilienti per il settore automobilistico globale”. Secondo Benjamin Krieger, Segretario Generale del CLEPA: “Invitiamo urgentemente sia le autorità dell’UE che quelle cinesi a impegnarsi in un dialogo costruttivo per garantire che il processo di rilascio delle licenze sia trasparente, proporzionato e allineato alle norme internazionali. Cina ed Europa condividono l’interesse comune di salvaguardare l’integrità delle catene di approvvigionamento e del commercio globali. I fornitori cinesi di magneti permanenti dipendono dai loro clienti europei tanto quanto i produttori europei dipendono dai materiali cinesi. Le interruzioni prolungate rafforzeranno gli sforzi in corso in Europa per diversificare gli approvvigionamenti e investire nello sviluppo di motori elettrici privi di terre rare. Tuttavia, queste misure non offrono soluzioni a breve termine e non possono affrontare i gravi rischi che attualmente affliggono le catene di approvvigionamento. Minacciano inoltre la produzione automobilistica e migliaia di posti di lavoro nell’Unione Europea”9.

Lo scenario globale e i possibili accordi

Le relazioni Cina-Europa sono naturalmente influenzate dal più ampio contesto internazionale e dalle attuali sfide geopolitiche, con l’emergere di disallineamenti nelle percezioni e l’intreccio di cooperazione e competizione. Nonostante le minacce e le incertezze, la Cina e l’Unione Europea possiedono ancora una spinta intrinseca per un continuo sviluppo positivo ed entrambe le parti sono impegnate a costruire una relazione relativamente razionale e sostenibile. Attualmente, la politica europea nei confronti della Cina è principalmente influenzata da diversi fattori sfavorevoli. Uno dei problemi principali è la percezione confusa della Cina, mentre, allo stesso tempo, l’Europa si trova a un bivio, incerta sulla sua direzione futura. Nel 2019, l’UE ha definito esplicitamente la Cina come partner, concorrente e rivale sistemico, sperando di gestire le sue relazioni con la Cina su diverse dimensioni ma questa aspirazione è irrealistica e una percezione così caotica lascia perplessa anche Pechino.

Da una parte, c’è la cieca spinta verso il “de-risking” economico con la Cina, introdotto nel 2023 da Ursula von der Leyen, volto a rafforzare la gestione del rischio intervenendo nel commercio e negli investimenti tra Cina ed Europa e limitando le aziende cinesi e le loro catene di approvvigionamento. Poco più di un anno dopo, l’UE ha dovuto ammettere che i risultati della sua strategia di “disaccoppiamento” sono stati tutt’altro che concreti. Essa non solo ha portato a maggiori difficoltà operative per le imprese, ma ha anche perturbato significativamente lo sviluppo delle relazioni economiche e commerciali tra Cina ed Europa.

Nelle elezioni del Parlamento Europeo del 2024, i partiti politici tradizionali hanno subito battute d’arresto, mentre i movimenti anti-establishment hanno guadagnato terreno, con il populismo che ha acquisito un notevole slancio. Il panorama politico europeo sta attraversando un profondo cambiamento e si può affermare che le frequenti fluttuazioni nelle politiche cinesi di alcuni Paesi europei siano in gran parte influenzate dall’attuale mancanza di leadership europea, dalle divisioni sociali e dalle lotte intestine politiche. Questo sentimento conservatore e xenofobo rischia di alimentare ulteriormente il protezionismo, già promosso dall’Amministrazione Trump.

Scambi stretti ad alto livello fungono da “stabilizzatore”. La visita del presidente cinese Xi Jinping in Francia, Ungheria e Serbia lo scorso anno ha dato una forte spinta all’ulteriore espansione dei legami economici e commerciali bilaterali. Analogamente, leader europei, tra cui il Primo Ministro belga Alexander De Croo, il cancelliere tedesco Olaf Scholz, il presidente italiano Sergio Mattarella, il presidente polacco Andrzej Duda, il presidente finlandese Alexander Stubb e altri, hanno visitato la Cina nel 2024. Sia la Cina che l’Europa sono consapevoli che la concorrenza e le divergenze non sono motivi per rifiutare la cooperazione; solo attraverso la comunicazione e il dialogo si può costruire la fiducia reciproca e risolvere le incomprensioni.

In secondo luogo, relazioni economiche e commerciali pragmatiche possono apportare sostanziali benefici ad entrambe le parti. Date le diffuse preoccupazioni sulla direzione politica intrapresa da Washington, Cina ed Europa condividono un terreno comune nella mitigazione dei “rischi provenienti dagli Stati Uniti” e hanno esigenze di cooperazione realistiche per contrastare l’unilateralismo, promuovere l’azione globale per il clima e sostenere gli sforzi per la pace e la risoluzione dei conflitti. Nel 2025, è probabile che le incertezze globali aumentino anziché diminuire, e le sfide che Cina ed Europa si troveranno ad affrontare diventeranno senza dubbio più ardue. Il punto cruciale sta nel modo in cui entrambe le parti riusciranno a ridefinire le proprie posizioni e a gestire obiettivamente le proprie relazioni. Sebbene vi siano certamente differenze tra Cina ed Europa, concentrarsi esclusivamente su queste divergenze potrebbe impedirci di vedere i numerosi punti in comune e le opportunità di cooperazione esistenti. Cina ed Europa dovrebbero continuare a sostenere i propri valori “tradizionali” e andare oltre la logica del realismo, abbracciando il principio di ricercare un terreno comune pur mantenendo le differenze e ricercando l’armonia nella diversità. “Questa è una responsabilità e una missione che dovrebbe essere condivisa da entrambe le parti: non solo per salvaguardare i rispettivi interessi, ma anche per contribuire collaborativamente a una maggiore certezza in questo mondo tumultuoso e in trasformazione”10.

Nel febbraio 2025, il Ministero del Commercio cinese ha pubblicato un nuovo Piano d’azione per la stabilizzazione degli investimenti esteri. Esso fa parte di un processo a lungo termine di apertura graduale di più settori agli investimenti esteri e di sperimentazione di riforme volte a liberalizzare parzialmente settori precedentemente chiusi (nel settore dei servizi, delle telecomunicazioni, dell’istruzione e dell’assistenza sanitaria). I leader cinesi tengono particolarmente a sottolineare la natura “volontaria e unilaterale” di queste riforme liberalizzatrici e a contrapporle alle misure protezionistiche adottate dalle economie occidentali.

Il Piano d’Azione 2025 è un esempio del cambiamento amministrativo e della volontà politica della Cina. Va considerato come un tentativo di inviare un messaggio all’esterno per convincere gli europei dell’intenzione della RPC di aprire ulteriormente l’economia, facilitare gli investimenti e garantire i diritti degli investitori stranieri, attuali e futuri. Gran parte del Piano d’azione riguarda il miglioramento della struttura e del contesto di investimento esistenti, l’aumento dell’efficacia delle leggi e delle procedure esistenti, il rafforzamento del supporto agli investitori, la semplificazione e la chiarezza delle procedure e la facilitazione di determinate operazioni (come fusioni e acquisizioni con e di società cinesi). Si concentra inoltre sulla ricerca di nuovi modi per incoraggiare gli investitori a trasferirsi in Cina, tra cui la modifica del sistema legale per facilitare e incoraggiare gli investimenti azionari esteri nelle società cinesi quotate.

Il significato principale è che, avendo gradualmente aperto l’intero settore manifatturiero, il Piano d’Azione rappresenta un segnale dell’intenzione cinese di fare lo stesso nei settori rimasti chiusi o sottoposti a restrizioni. In primo luogo, ciò comporta esperimenti in “aree pilota” per l’apertura delle telecomunicazioni, dell’assistenza medica (compresi gli ospedali interamente di proprietà straniera) e delle biotecnologie, con la Zona Dimostrativa di Pechino che svolge un ruolo guida nell’espansione dell’apertura del settore dei servizi. In seguito, verrà sviluppato un piano per l’espansione ordinata dell’apertura autonoma nei settori dell’istruzione e della cultura. Le nuove aree destinate ad un’apertura graduale includono settori a cui gli europei desiderano da tempo accedere.

Idealmente, per la Cina questi cambiamenti vorrebbero convincere l’UE a riaprire i negoziati sull’Accordo globale sugli investimenti. Più realisticamente, se la rivisitazione del CAI stesso non è possibile, allora almeno l’Europa potrebbe riconsiderare alcune delle proprie restrizioni agli investimenti e al commercio cinesi, in particolare, ma non solo, nel settore dei veicoli elettrici.

L’UE si è confermata il secondo partner commerciale della Cina nei primi cinque mesi del 2025, con un interscambio totale di 2,3 trilioni di yuan (317 miliardi di dollari), in aumento del 2,9% su base annua e pari al 12,8% del totale cinese, secondo i dati pubblicati dall’Amministrazione generale delle dogane di Pechino. Le esportazioni verso l’UE si sono attestate a 1,57 trilioni di yuan, con un aumento del 7,7%, mentre le importazioni si sono attestate a 728,33 miliardi di yuan, in calo del 6,1% su base annua. Nonostante alcune difficoltà, gli analisti hanno affermato che i dati riflettono la forte resilienza delle relazioni economiche tra Cina e UE, poiché le due parti condividono un elevato grado di complementarietà e hanno sviluppato una relazione profondamente simbiotica nel corso degli anni. Le relazioni economiche e commerciali tra Cina e UE sono diventate un’importante fonte di stabilità per entrambe le parti in un periodo di crescente incertezza nell’economia globale e nel commercio internazionale.

La strada migliore per entrambe le parti è quello di concentrarsi sul potenziamento delle aree di cooperazione tradizionali, in particolare nel settore manifatturiero, espandendosi al contempo in settori emergenti strategici come la produzione intelligente, la transizione verde, l’economia digitale e l’intelligenza artificiale. Cina ed Europa puntano a una “globalizzazione green”, collaborando nei Paesi della Belt and Road e in iniziative trilaterali in Africa, Medio Oriente e America Latina. Pechino auspica che Global Gateway e IMEC restino aperti e complementari, a beneficio dello sviluppo sostenibile globale: collaborazioni concrete già esistono, come dimostrano i progetti comuni in Italia e Portogallo.

Conclusioni

Nel frattempo, la Cina prosegue il suo percorso di attrazione degli investimenti esteri alleggerendo la burocrazia per le imprese.

Il 9 aprile 2025, la Cyberspace Administration (CAC) cinese ha pubblicato una sessione di domande e risposte (Q&A) sulle politiche di gestione della sicurezza transfrontaliera dei dati, offrendo interpretazioni pratiche su come le aziende possono conformarsi al quadro nazionale in evoluzione. Il documento fornisce chiarimenti importanti su diverse aree che hanno rappresentato sfide per le imprese, in particolare le multinazionali. Fa luce su come i “dati generali” possano circolare liberamente oltre confine, su come le aziende debbano valutare la necessità di esportare informazioni personali e su cosa si intenda per “dati importanti”. Il chiarimento fornito dalla CAC, secondo cui i dati generali possono essere trasferiti liberamente oltre confine, è quindi rilevante, poiché elimina ogni incertezza sulla validità di tale interpretazione. Le Q&A sul trasferimento transfrontaliero dei dati introducono diverse misure volte a facilitare il processo di esportazione delle informazioni personali per le aziende. In particolare, la possibilità per le multinazionali di fare affidamento sulla certificazione di gruppo, piuttosto che firmare un contratto standard per ogni nuovo scenario di esportazione o tipo di dati, semplificherà notevolmente le operazioni. Ciò riduce la complessità legale, accelera i processi aziendali e consente una collaborazione più efficiente tra le aziende con sede in Cina e le loro affiliate estere. Le valutazioni di sicurezza sono il meccanismo di conformità più rigoroso per i trasferimenti transfrontalieri di informazioni personali; ridurre la frequenza con cui le aziende devono ripresentare la domanda, consentendo proroghe pluriennali, alleggerisce notevolmente l’onere della conformità. Ciò aiuta le imprese a risparmiare tempo, ridurre i costi amministrativi e mantenere la continuità nelle operazioni transfrontaliere, soprattutto per quelle che gestiscono volumi elevati di informazioni personali o dati importanti11.

In attesa del vertice di fine luglio a Pechino tra Xi Jinping e von der Leyen che potrebbe sbrogliare il bandolo della matassa, il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha avviato una visita di sette giorni in Belgio, Germania e Francia per “riaprire canali di dialogo in un’epoca segnata da incertezze e tensioni globali, ma anche da opportunità di cooperazione strategica”. Contemporaneamente, il Ministro del Commercio cinese Wang Wentao ha tenuto un incontro tramite collegamento video con il commissario europeo per il commercio e la sicurezza economica Maros Sefcovic su questioni economiche e commerciali, tra cui l’indagine anti-sovvenzioni sui veicoli elettrici e altri casi di misure di risarcimento commerciale, controlli sulle esportazioni e accesso al mercato. Entrambe le parti hanno concordato di “compiere sforzi congiunti per incontrarsi a metà strada, svolgere un solido lavoro di preparazione economica e commerciale per l’importante agenda Pechino-Bruxelles di quest’anno e promuovere uno sviluppo sano, stabile e sostenibile delle relazioni economiche e commerciali Cina-UE”12.

NOTE AL TESTO

1 Il Ministero del Commercio cinese (MOFCOM) ha pubblicato sia nel 2023 che nel 2024 un rapporto molto duro sulla conformità degli Stati Uniti alle norme dell’OMC, criticando Washington come un distruttore del sistema commerciale multilaterale, un praticante di unilateralismo e prepotenza, un manipolatore di doppi standard sulle politiche industriali e un perturbatore delle catene industriali e di approvvigionamento globali. In particolare, il rapporto si è soffermato a lungo su numerose azioni specifiche degli Stati Uniti che destano seria preoccupazione, tra cui le barriere commerciali tariffarie e non tariffarie, come le cosiddette indagini e tariffe della Sezione 301. Inoltre, ha elencato le politiche industriali protezionistiche degli Stati Uniti in una vasta gamma di settori, tra cui veicoli elettrici, semiconduttori e sistemi fotovoltaici. Eppure, il G7 (di cui fanno parte Italia, Germania e Francia) ha accettato che le multinazionali statunitensi vengano esentate dalla tassa minima del 15%. In un Paese come l’Italia, dove le imprese pagano il 42,6% di imposte, permettere alle corporations USA di pagare tra lo 0 e il 3% significa creare un durissimo dumping fiscale e danneggiare fortemente la produzione nazionale.

2 Il rapporto dal titolo Xinjiang. Capire la complessità, costruire la pace, promosso dal nostro Centro Studi (CeSEM) insieme ad EURISPES-Laboratorio BRICS e Istituto Diplomatico Internazionale (IDI), ha fornito un quadro più obiettivo e realistico della situazione attraverso analisi di esperti, studiosi e testimoni che hanno avuto modo di visitare la regione autonoma cinese, le sue città, i villaggi e i campi di formazione e reinserimento, di cui molto si parla in Occidente. Il rapporto è scaricabile dalla nostra pagina internet https://www.cese-m.eu/cesem/2021/05/disponibile-nuovo-rapporto-sullo-xinjang-promosso-con-eurispes-e-istituto-diplomatico-internazionale/, 27 maggio 2021.

3 Accordo di principio tra UE e Cina, Policy.trade.ec.europa.eu.

4 Ibidem.

5 Secondo il database COMTRADE delle Nazioni Unite sul commercio internazionale, le esportazioni dell’Unione Europea verso la Cina hanno raggiunto i 227,17 miliardi di dollari nel 2024, mentre le importazioni dell’Unione Europea dalla Cina sono state pari a 560,36 miliardi di dollari.

6 Ivano Di Carlo, L’Unione Europea tra la Cina di Xi e gli Stati Uniti di Trump, ISPI, 9 giugno 2025.

7 Commissione Europea, La Commissione limita la partecipazione cinese all’acquisto di dispositivi medici, ec.europa.eu, 20 giugno 2025. In risposta, Pechino ha annunciato nuove restrizioni all’importazione di dispositivi medici europei, escludendo le aziende dell’UE dagli appalti pubblici cinesi se il valore contrattuale supera i 45 milioni di yuan (circa 6,28 milioni di dollari). La misura, in vigore da domenica 7 luglio, non si applicherà alle aziende europee che producono direttamente in Cina. Questa misura segue di pochi giorni l’introduzione da parte della Cina di dazi antidumping sul brandy europeo, con un occhio particolare al cognac francese, nonostante siano previste alcune eccezioni per i principali produttori.

8 La Cina rappresenta oltre il 60% della produzione mineraria di terre rare e il 92% della produzione raffinata mondiale, secondo l’Agenzia internazionale per l’energia. Cfr. Agenzia “Reuters” del 7 giugno 2025.

9 CLEPA, Urgent action needed as China’s export restrictions on rare earths disrupt European automotive supply chains, clepa.eu, 4 giugno 2025.

10 Wang Shuo e Xue Yuhao, Can China-Europe relations navigate through challenges in 2025?, “Global Times”, 13 gennaio 2025.

11 Arendse Huld, L’agenda legislativa cinese per il 2025: leggi e regolamenti chiave per le aziende straniere, “China Briefing”, 22 giugno 2025.

12 Agenzia Xinhua, 20 giugno 2025.

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