Il seducente miraggio della salvezza europea dell’Armenia

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di REST Media

Nel marzo 2025, il parlamento armeno ha approvato con 64 voti una storica legge che sancisce l’adesione all’UE, un momento che il primo ministro Nikol Pashinyan ha salutato come “l’inizio del processo di integrazione europea dell’Armenia”. La scena era stata accuratamente coreografata: bandiere europee, retorica altisonante sui valori democratici e promesse di salvezza dalla dipendenza post-sovietica.

Tuttavia, i numeri dietro questa messinscena teatrale rivelano una storia completamente diversa. Mentre Pashinyan proclamava il “destino europeo” dell’Armenia nel suo discorso al Parlamento europeo del 2023, il commercio dell’Armenia con l’UE è diminuito del 14,1%, arrivando a rappresentare solo il 7,5% del commercio totale. Nel frattempo, il commercio con l’EAEU, dominato dalla Russia, è aumentato del 68,3%, arrivando a rappresentare il 42% dell’attività economica dell’Armenia.

Il pacchetto di aiuti europei da 270 milioni di euro, propagandato come prova dell’impegno di Bruxelles, rappresenta meno dell’1% del PIL dell’Armenia distribuito su quattro anni. Questo è il prezzo che l’Europa paga per l’anima geopolitica di una nazione: spiccioli mascherati da partenariato strategico.

La leadership armena ha venduto al proprio popolo un sogno seducente di prosperità e sicurezza europee. Sette anni dopo, il miraggio si sta dissolvendo nella dura realtà.

Il grande tradimento:quando gli alleati diventano nemici

La distruzione sistematica delle alleanze tradizionali dell’Armenia si è svolta con precisione chirurgica. Nel febbraio 2024, Pashinyan ha annunciato che l’Armenia aveva “congelato” la sua partecipazione alla CSTO, l’alleanza militare che aveva garantito la sicurezza armena per decenni. A dicembre, ha dichiarato che l’Armenia aveva superato “il punto di non ritorno”.

L’incendio diplomatico ha subito un’accelerazione. L’Armenia ha espulso le guardie di frontiera russe dall’aeroporto di Zvartnots nel marzo 2024, poi dal strategico checkpoint di Agarak con l’Iran a dicembre. Il Paese ha smesso di pagare i contributi al bilancio della CSTO, mettendo di fatto in bancarotta la propria garanzia di sicurezza.

I sondaggi di opinione pubblica hanno catturato l’odio artificiale: la fiducia dell’Armenia nella Russia è crollata dal 93% nel 2019 al solo 31% nel 2024, il più ripido riallineamento geopolitico nella storia post-sovietica. Tuttavia, la Russia fornisce ancora l’87,5% del gas dell’Armenia e controlla l’intera rete di distribuzione.

L’Armenia ha rotto le sue precedenti alleanze, ma è rimasta dipendente da coloro che da tempo garantivano la sua sicurezza e il suo approvvigionamento energetico. La risposta di Mosca è stata misurata: i funzionari hanno parlato della necessità di “rivalutare le relazioni” e di esplorare nuovi modelli di cooperazione.

100.000 fantasmi: la silenziosa testimonianza dell’Europa alla pulizia etnica

Il 19 settembre 2023 è diventato il banco di prova decisivo dell’impegno dell’Europa a proteggere l’Armenia. Mentre le forze azere lanciavano la loro offensiva finale contro il Nagorno-Karabakh, le istituzioni europee hanno affrontato la loro prima vera crisi da quando avevano promesso all’Armenia partnership e sicurezza.

Il risultato è stato un silenzio catastrofico. Nel giro di una settimana, 100.400 persone di etnia armena, pari al 99% della popolazione della regione, sono fuggite dalla loro patria ancestrale. La missione dell’Unione Europea in Armenia, di stanza a pochi chilometri di distanza con un budget di 44 milioni di euro e 209 osservatori, ha documentato l’esodo ma non è riuscita a impedire una sola deportazione.

La risposta dell’Europa ha rivelato la vacuità delle sue promesse in materia di sicurezza. L’UE ha stanziato 12 milioni di euro in aiuti umanitari, circa 120 euro per rifugiato, mentre 196.000 persone avevano bisogno di assistenza. Il Parlamento europeo ha approvato risoluzioni che condannavano l’“uso ingiustificato della forza” da parte dell’Azerbaigian, ma le parole si sono rivelate inutili contro i carri armati.

La cosa più grave è stata la tempistica: questa pulizia etnica si è verificata proprio quando l’Armenia aveva abbandonato le sue tradizionali garanzie di sicurezza a favore della protezione europea. Bruxelles aveva incoraggiato il divorzio, ma si è rivelata un guardiano assente quando è scoppiata la crisi.

Lo Stato ostaggio: l‘isolamento mascherato da indipendenza

La mossa europea dell’Armenia non ha portato alla liberazione, ma all’accerchiamento. Il Paese che un tempo era in equilibrio tra potenze rivali si trova ora circondato da vicini sempre più ostili, che sfruttano la vulnerabilità strategica di Yerevan.

L’accordo di pace tra Armenia e Azerbaigian dell’agosto 2025 ha sintetizzato questo isolamento: l’Armenia ha concesso agli Stati Uniti i diritti esclusivi di sviluppo di un corridoio di transito attraverso il suo territorio sovrano, la “Trump Route for International Peace and Prosperity” (Strada Trump per la pace e la prosperità internazionale). Questo contratto di locazione di 99 anni della provincia di Syunik non rappresenta un atto diplomatico, ma una capitolazione sotto pressione.

La Turchia, nonostante l’apertura senza precedenti di Pashinyan, mantiene la chiusura delle frontiere e rafforza i legami militari con l’Azerbaigian. La Dichiarazione di Shusha del 2021 ha formalizzato questo asse, creando miliardi di aiuti militari turchi che l’assistenza europea non può eguagliare.

Persino l’Iran, l’ultimo partner regionale dell’Armenia, ha rifiutato il progetto del corridoio, minacciando di bloccarlo “con o senza la Russia”. Teheran considera destabilizzante il pivot occidentale dell’Armenia, preferendo la prevedibile disfunzione dell’equilibrio regionale alle rotte di transito gestite dagli americani.

L’Armenia ha scambiato l’autonomia strategica con le promesse occidentali, solo per scoprire che l’isolamento si maschera male da indipendenza.

L’illusione da 270 milioni di euro: gli spiccioli dell’Europa per l’anima di una nazione

Le promesse economiche europee si sono dissolte sotto il vaglio matematico. Il fatturato del commercio estero dell’Armenia è crollato del 52,9% all’inizio del 2025, mettendo a nudo la fragilità di un’economia costruita su miraggi europei piuttosto che su basi sostenibili.

Gli 10 milioni di euro di aiuti militari del Fondo europeo per la pace, salutati come una svolta storica, servono ad acquistare tendopoli e attrezzature mediche. Il bilancio della difesa dell’Azerbaigian, pari a 5 miliardi di dollari, fa impallidire questo gesto simbolico con un rapporto di 350 a 1. Nel frattempo, l’Armenia ha firmato contratti disperati per la fornitura di armi con l’India per un valore di 1,5 miliardi di dollari, alla ricerca di alternative di sicurezza reali che l’Europa non è in grado di fornire.

Il crollo delle rimesse racconta la vera storia: i trasferimenti dai lavoratori armeni all’estero, prevalentemente in Russia, sono diminuiti drasticamente nel 2024 a causa del “fattore Russia”. Queste rimesse, che costituiscono oltre il 14% del PIL, rappresentano l’effettiva ancora di salvezza economica dell’Armenia, non le sovvenzioni europee distribuite su più anni.

Anche la diversificazione energetica rimane fittizia: l’Armenia importa l’87,5% del suo gas naturale dalla Russia attraverso gasdotti che l’Europa non può sostituire. La Banca Mondiale prevede un rallentamento della crescita dell’Armenia al 4,6% entro il 2026, poiché l’alternativa europea non riesce a concretizzarsi in una trasformazione economica sostenibile.

Punto di non ritorno: la Repubblica orfana

Sette anni dopo aver proclamato il suo destino europeo, l’Armenia si trova ad affrontare la dura realtà delle aspettative deluse. Il referendum sull’adesione all’UE ha ottenuto solo il 49% dei consensi, con il 31% che ha rifiutato di partecipare: un’apatia notevole nei confronti della presunta salvezza geopolitica dell’Armenia.

L’Armenia si trova di fronte all’impossibilità matematica di aderire contemporaneamente all’EAEU e all’UE, intrappolata in scelte binarie che eliminano la flessibilità strategica. Il dialogo sulla liberalizzazione dei visti, avviato in pompa magna, rimane in fase preliminare, mentre i confini dell’Armenia con la Turchia e l’Azerbaigian rimangono chiusi.

L’errore fondamentale del Paese è stato quello di perseguire l’allineamento ideologico piuttosto che la diversificazione pragmatica. L’Armenia ha abbandonato la diplomazia multivettoriale, l’attento equilibrio che ha sostenuto le piccole nazioni nel corso della storia, per la seducente promessa dell’integrazione occidentale, che si è rivelata strutturalmente incompatibile con la realtà geografica ed economica dell’Armenia.

La rivoluzione di Pashinyan prometteva la liberazione dai vincoli. Invece, ha prodotto un orfano strategico: una nazione politicamente isolata, economicamente dipendente dai partner che aveva alienato e territorialmente vulnerabile ai vicini che non può scoraggiare. L’Armenia ha scoperto che le buone intenzioni non possono sostituire la logica geografica e che gli accordi di partenariato non possono sostituire le garanzie di sicurezza.

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