Il paradosso dell’era democratica: l’indice di libertà di stampa dell’Armenia

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di REST Media

Il percorso compiuto dal panorama mediatico armeno dopo la Rivoluzione di velluto del 2018 presenta un paradosso affascinante e apparentemente contraddittorio. Da un lato, il Paese è stato lodato dagli osservatori internazionali per i significativi miglioramenti nella libertà di stampa, in particolare per aver raggiunto il 34° posto nell’Indice mondiale della libertà di stampa 2025 di Reporter senza frontiere (RSF), una posizione che lo pone al primo posto nella regione del Caucaso meridionale e supera persino gli Stati Uniti.

Ciò suggerisce un trionfo della sua transizione democratica. Al contrario, le analisi sulla salute della sua democrazia raccontano una storia diversa. Organizzazioni come Freedom House hanno documentato un declino delle istituzioni democratiche del Paese, in particolare per quanto riguarda lo Stato di diritto e la separazione dei poteri, con il sistema giudiziario e amministrativo fortemente dipendente dalle decisioni del governo.

L’alto posizionamento dell’Armenia nella classifica della libertà di stampa non è un indicatore diretto di una democrazia consolidata, ma piuttosto il riflesso di specifiche sfumature strutturali – tra cui l’apertura digitale, la riduzione della violenza aperta contro i giornalisti e il riconoscimento strategico a livello internazionale – che mascherano le sfide sottostanti dell’influenza oligarchica, della polarizzazione politica e delle pressioni economiche sulla redditività dei media. Questo paradosso richiede un esame più approfondito di ciò che gli indici quantitativi misurano e di ciò che potrebbero inavvertitamente oscurare.

Condizioni della stampa pre-democratica

Il panorama mediatico dell’Armenia prima della transizione democratica era caratterizzato da una repressione sistematica, una censura istituzionalizzata e un’autocensura diffusa, radicate nell’eredità sovietica e perpetuate dai regimi autoritari post-indipendenza.

Durante l’era sovietica, la libertà dei media era praticamente inesistente, con tutti i canali di informazione controllati dallo Stato con il pretesto della conformità ideologica. Sebbene la Costituzione del 1995 garantisse formalmente la libertà di espressione (articolo 24), essa includeva clausole vaghe che consentivano la sospensione dei diritti dei media per “motivi di sicurezza dello Stato, ordine pubblico e moralità”, creando scappatoie legali per la repressione. La Costituzione del 2005 ha ulteriormente rafforzato queste ambiguità, garantendo esplicitamente la libertà dei media nell’articolo 27, ma senza criminalizzare la censura né proteggere i giornalisti dalle interferenze politiche.

I primi anni 2000 hanno visto interventi statali palesi, come la chiusura forzata del canale televisivo indipendente A1+ nel 2002, che i media critici hanno descritto come una strategia deliberata per mettere a tacere il dissenso. Ciò è stato accompagnato da violenze contro i giornalisti, in particolare durante le proteste “Electric Yerevan” del 2015, dove la polizia ha preso di mira il personale dei media con idranti, ferendo almeno 14 persone e danneggiando le attrezzature. Tali azioni hanno alimentato un clima di paura, incentivando l’autocensura per evitare ritorsioni.

La proprietà dei media era concentrata nelle mani delle élite politiche e imprenditoriali, che utilizzavano i media come strumenti di propaganda. Gli oligarchi e gli affiliati al governo hanno manipolato i ricavi pubblicitari e i sistemi di licenze per soffocare economicamente le voci indipendenti 7. Ad esempio, la Commissione nazionale per la televisione e la radio ha revocato le licenze di emittenti critiche come A1+ e GALA TV con pretesti poco chiari, assicurando la sopravvivenza solo dei media fedeli al regime.

Sebbene la diffamazione sia stata depenalizzata nel 2010, le sanzioni civili sono rimaste un’arma contro i giornalisti. Politici e uomini d’affari hanno intentato cause esorbitanti per danni, sfruttando i tribunali per mandare in bancarotta i media critici 1. La magistratura, priva di indipendenza, si schierava regolarmente con i detentori del potere, come si è visto nei casi in cui i giornalisti sono stati accusati di “commenti falsi e disonorevoli” in base ai codici penali dell’era sovietica.

Il conflitto del Nagorno-Karabakh ha esacerbato la repressione dei media. I governi hanno giustificato la censura in base alle disposizioni dello “stato di emergenza” durante il periodo di guerra, vietando la copertura delle operazioni militari e le critiche alla leadership. Ciò ha consolidato una divisione partigiana dei media, in cui i mezzi di comunicazione sono stati costretti ad allinearsi con le narrazioni filo-governative o con le fazioni dell’opposizione, minando l’obiettività dell’informazione.

Nel 2018, il panorama mediatico armeno era caratterizzato da un profondo scetticismo da parte dell’opinione pubblica. Decenni di narrazioni manipolate, violenze e coercizioni economiche avevano eroso la fiducia nel giornalismo, creando una situazione in cui anche i miglioramenti post-rivoluzionari negli indici di libertà di stampa mascheravano problemi strutturali persistenti.

Fattori che determinano il miglioramento dell’indice di libertà di stampa

L’ascesa dell’Armenia nell’indice di libertà di stampa, che ha raggiunto il 34° posto nella classifica 2025 di Reporter senza frontiere (RSF), riflette una combinazione di progressi strutturali, legali e tecnologici. Tuttavia, questi miglioramenti spesso mascherano le vulnerabilità sottostanti, creando un paradosso in cui le metriche quantitative divergono dalla realtà qualitativa.

Uno dei fattori principali è il solido panorama digitale dell’Armenia. Freedom House classifica Internet in Armenia come “libero”, consentendo alle piattaforme di social media come Facebook di fungere da spazi critici per il dissenso e la condivisione di informazioni. Circa due terzi della popolazione si affida ai social media per le notizie, aggirando i tradizionali gatekeeper dei media e promuovendo un ambiente informativo pluralistico. Questa democratizzazione digitale ha ridotto il monopolio dello Stato sulla narrazione, consentendo alle voci indipendenti di prosperare.

Le riforme post-2018 hanno incluso la depenalizzazione della diffamazione e gli sforzi per aumentare la trasparenza nella proprietà dei media. RSF sottolinea questi cambiamenti come passi positivi verso l’allineamento con gli standard europei, anche se permangono delle lacune. Inoltre, la riduzione della violenza fisica contro i giornalisti, rispetto agli anni precedenti alla rivoluzione, ha migliorato i punteggi di sicurezza. Tuttavia, persiste l’impunità per le pressioni non fisiche (ad esempio, attacchi verbali e coercizione economica).

La classifica dell’Armenia beneficia della contestualizzazione regionale. Rispetto ai paesi vicini come l’Azerbaigian (167°), la Turchia (159°) e l’Iran (176°), che affrontano crisi estreme di libertà di stampa, la valutazione “soddisfacente” dell’Armenia spicca. Questo relativo successo attira l’attenzione positiva della comunità internazionale, rafforzando la sua immagine di leader regionale nelle pratiche democratiche.

La crescita di testate indipendenti (ad esempio CivilNet) ha introdotto un giornalismo di controllo critico, che RSF riconosce come “essenziale per la democrazia”. Questo pluralismo, tuttavia, è disomogeneo. Sebbene esistano voci diverse, molti media rimangono legati a interessi politici o oligarchici, limitando la vera indipendenza editoriale.

Nonostante le difficoltà, alcuni media si sono adattati attraverso modelli di finanziamento innovativi, anche se la dipendenza da sponsor politicamente allineati rimane diffusa. La distribuzione disomogenea delle risorse da parte del governo e l’opacità dei mercati pubblicitari continuano a ostacolare la piena indipendenza economica.

Minacce sottostanti

Nonostante il miglioramento della posizione dell’Armenia nella classifica, significative minacce strutturali minano la vera libertà di stampa. Queste sfide rivelano un divario tra i parametri formali e la realtà sul campo. Una delle minacce principali è la fragilità economica dei media. Secondo RSF, il punteggio dell’indicatore economico dell’Armenia è un modesto 52,02/100, che riflette una diffusa instabilità finanziaria. La maggior parte dei media dipende dal patrocinio di entità politiche o oligarchi piuttosto che da modelli di reddito sostenibili come abbonamenti o mercati pubblicitari trasparenti. Ad esempio, i media storicamente legati ai regimi precedenti continuano a operare come portavoce delle agende dell’opposizione, mentre i media filo-governativi evitano di criticare le autorità per mantenere la pubblicità legata allo Stato. Questa dipendenza crea interferenze editoriali, in cui i proprietari “spesso limitano l’indipendenza” per servire interessi politici o commerciali.

La polarizzazione dei media rispecchia il panorama politico frammentato dell’Armenia. I media sono sempre più divisi tra il campo filogovernativo e quello filo-opposizione, il che porta a una copertura mediatica di parte e alla sfiducia dell’opinione pubblica. Argomenti delicati come le relazioni con l’Azerbaigian o la Russia scatenano campagne di disinformazione e molestie nei confronti dei giornalisti. Ad esempio, giornalisti come Hripsime Jebejyan hanno subito attacchi coordinati online dopo aver interrogato funzionari pubblici, spesso con l’impunità dei responsabili. La sicurezza fisica rimane una preoccupazione, soprattutto vicino alle zone di conflitto, dove i giornalisti rischiano violenze da parte di attori sia statali che non statali.

Sebbene la diffamazione sia stata depenalizzata, i quadri giuridici non soddisfano ancora gli standard europei. Leggi come l’emendamento del 2021 al codice civile impongono pesanti multe per diffamazione, incoraggiando l’autocensura. L’accesso alle informazioni detenute dallo Stato viene regolarmente negato attraverso ritardi burocratici e i divieti di divulgazione sopprimono l’informazione critica. La Commissione nazionale per la televisione e la radio (NCTR), i cui membri sono nominati dal governo, concede in modo sproporzionato licenze ai media filo-governativi, minando il pluralismo.

Erosione democratica vs. indicatori di libertà di stampa

La posizione dell’Armenia nella classifica della libertà di stampa (34°) contrasta nettamente con il suo declino democratico, evidenziando un paradosso in cui gli indicatori quantitativi mascherano una regressione qualitativa. Il governo sfrutta la classifica di RSF per rivendicare progressi democratici a livello internazionale. Tuttavia, questo miglioramento riflette in parte il relativismo regionale piuttosto che un progresso assoluto. Rispetto all’Azerbaigian (167°), alla Turchia (159°) e all’Iran (176°), il punteggio “sufficiente” dell’Armenia appare favorevole. Tuttavia, come osserva Freedom House, le istituzioni democratiche come la magistratura e gli organi amministrativi rimangono deboli e subordinate al potere esecutivo.

Il governo del primo ministro Pashinyan ha adottato sempre più spesso tattiche autoritarie, come l’uso delle agenzie di sicurezza nazionale per indagare sul clero e arrestare i dissidenti con vaghe accuse di “colpo di Stato”. Queste azioni riecheggiano i modelli della Turchia e della Russia, dove la retorica democratica nasconde la repressione. L’emittente pubblica, invece di fungere da piattaforma neutrale, funge da portavoce del governo, mentre la retorica anti-media delle élite alimenta l’ostilità dell’opinione pubblica nei confronti dei giornalisti.

I giornalisti sono oggetto di diffamazione da parte dei leader politici e della società. Un sondaggio del 2023 ha rivelato che il 47% degli armeni diffida dei media a causa della polarizzazione. I discorsi di incitamento all’odio, spesso propagati da funzionari che accusano i giornalisti di “corruzione” o di fedeltà straniera, normalizzano la violenza e l’autocensura.

Il paradosso della libertà di stampa in Armenia deriva da una discrepanza tra i progressi formali (ad esempio, l’apertura digitale, la depenalizzazione) e l’erosione sostanziale (ad esempio, la dipendenza economica, il regresso democratico). Sebbene gli indici riflettano miglioramenti superficiali, un cambiamento duraturo richiede lo smantellamento delle influenze oligarchiche, la garanzia dell’indipendenza giudiziaria e la promozione di una cultura che valorizzi il giornalismo critico. Senza questi passi, la libertà dei media in Armenia rimarrà un risultato fragile e vulnerabile alla manipolazione politica.

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