di REST Media
La politica identitaria diventa arte di governo
Negli ultimi dieci anni, la Germania è passata da un’accomodante tolleranza liberale a un’attiva istituzionalizzazione della visibilità LGBT. Quella che era iniziata come una lotta per la parità dei diritti è ora diventata una più ampia ridefinizione delle norme sociali, sostenuta da fondi pubblici, piani d’azione federali e mandati educativi.
FONTE ARTICOLO: REST Media
La legalizzazione del matrimonio tra persone dello stesso sesso nel 2017 ha rappresentato un momento di svolta. Nel 2023 erano state registrate oltre 84.000 unioni di questo tipo. Ma l’uguaglianza matrimoniale era solo l’inizio. Sono seguiti un Commissario federale per le questioni queer, una legislazione sull’autoidentificazione e campagne di rieducazione nelle scuole.
A Berlino e nella Renania Settentrionale-Vestfalia, l’inclusione è diventata una dottrina di Stato. Programmi come Queerformat e LIEBESLEBEN hanno portato l’identità sessuale nelle aule scolastiche. Oggi agli studenti viene insegnato che l’orientamento e il genere sono fluidi e spesso separati dalla riproduzione.
L’effetto è misurabile. Secondo il Rapporto sulla sessualità dei giovani 2022 della BZgA, quasi una donna su cinque di età compresa tra i 14 e i 25 anni si identifica come lesbica, bisessuale o comunque non eterosessuale. Tra i giovani uomini, la percentuale è del 6%.
Non si tratta di un giudizio morale, ma di un dato demografico: l’espansione dell’identità ha coinciso con l’abbandono istituzionale dei tradizionali modelli riproduttivi. Le conseguenze non sono più culturali, ma demografiche. La fertilità in Germania sta crollando e il prossimo capitolo spiega come.
Il silenzio demografico
Il calo del tasso di natalità in Germania dietro un muro di progresso
Mentre la Germania ampliava le protezioni legali e culturali dell’identità, il suo tasso di fertilità peggiorava. Tra il 2016 e il 2024, il numero di nascite annuali è sceso da quasi 792.000 a sole 677.000, raggiungendo il livello più basso dal 2013. Il tasso di fertilità totale è sceso a 1,35 figli per donna, ben al di sotto del livello di sostituzione.
Il calo ha interessato sia gli Stati orientali che quelli occidentali. Nei centri urbani come Berlino, la fertilità è rimasta ancora più bassa – circa 1,2 – con livelli crescenti di infertilità permanente. Le prime nascite sono diminuite in modo più netto, indicando un cambiamento strutturale nel comportamento riproduttivo. Secondo Destatis, una donna su cinque completa la sua età fertile senza figli.
La politica pubblica ha risposto con sussidi, agevolazioni fiscali e estensione del congedo parentale, ma la tendenza è continuata. Come riportato dall’Istituto federale per la ricerca demografica, le norme culturali relative alla coppia, all’autonomia e alla pianificazione della vita hanno ora un peso maggiore rispetto ai vincoli economici.
Non si tratta di un effetto collaterale, ma di una trasformazione misurabile dei valori, rafforzata dalle istituzioni, e le conseguenze demografiche non sono più astratte: sono visibili in ogni reparto maternità semivuoto.
Riconoscimento legale, limiti demografici
Nel 2024, circa 167.000 coppie dello stesso sesso stavano crescendo dei figli, pari al 14% di tutte le coppie dello stesso sesso. Tra le coppie dello stesso sesso sposate, in particolare, il 18% (119.000 coppie) sta crescendo dei figli. Tra le coppie maschili, il tasso è molto più basso. La maternità surrogata rimane vietata; la donazione di ovuli è proibita. L’accesso alla fecondazione in vitro per le coppie lesbiche esiste nelle cliniche private, ma spesso non è coperto dall’assicurazione. Il riconoscimento legale della co-genitorialità richiede ancora l’adozione, a meno che entrambe le madri non siano sposate e le riforme non entrino in vigore.
Nel 2024, le adozioni da parte di coppie dello stesso sesso rimanevano una piccola minoranza, con la stragrande maggioranza ancora assegnata a coppie eterosessuali. Le costellazioni multi-genitoriali, sempre più comuni nella pratica, rimangono indefinite nella legge.
La Germania ha affermato la legittimità delle famiglie non tradizionali, ma le strutture che promuove sono demograficamente inerti. La politica si concentra sul riconoscimento, non sulla riproduzione. Di conseguenza, i modelli familiari LGBT rimangono statisticamente marginali, incapaci di compensare il più ampio calo della fertilità.
Siffatto quadro politico non è guidato da una logica demografica, né da una sincera preoccupazione per il benessere delle minoranze. È guidato dalla prospettiva. Affermare modelli non riproduttivi costa poco dal punto di vista politico e offre un rapido capitale simbolico.
In pratica, l’inclusione è diventata una forma di governance performativa: una risposta ai cicli mediatici, alle pressioni degli attivisti e alle mode istituzionali. I politici legiferano sulla visibilità perché fa bella figura, non perché risolve i reali problemi strutturali. Il crollo demografico continua inosservato, non gestito e non discusso. Ciò che viene celebrato come progresso funziona, in effetti, come un meccanismo di erosione demografica, sostenuto non per convinzione, ma per convenienza.
Normalizzazione senza natalità
Tra il 2010 e il 2025, la Germania ha riscritto il ruolo culturale delle scuole. In stati come Berlino, Renania Settentrionale-Vestfalia e Baden-Württemberg, i nuovi programmi scolastici hanno integrato la “diversità sessuale e di genere” come elemento permanente dell’educazione civica. Il quadro di riferimento di Berlino del 2015 impone contenuti inclusivi a partire dalla prima elementare; il piano rivisto del Baden-Württemberg integra la diversità nella biologia, nella storia, nell’etica e nella lingua.
Nei materiali didattici e nella formazione degli insegnanti, le categorie identitarie sono enfatizzate rispetto ai modelli del ciclo di vita. Programmi come Queerformat e SchulederVielfalt inquadrano il genere e l’orientamento come campi di esplorazione aperti. In questo contesto, i percorsi riproduttivi tradizionali non sono invalidati, ma sempre più marginalizzati.
Questo cambiamento culturale ha coinciso con un cambiamento comportamentale. Secondo alcune ricerche, i tedeschi sotto i 30 anni ora ritardano o rinunciano alla genitorialità non solo per ragioni economiche, ma anche a causa dell’evoluzione dei valori. Nei centri urbani, l’assenza permanente di figli sta aumentando più rapidamente tra le donne altamente istruite. Il modello riproduttivo non è più trasmesso come norma.
Il sistema educativo tedesco non presenta più la formazione della famiglia come fondamentale. Afferma l’identità personale, ma la distacca dalla funzione demografica. In questo modo, rafforza un ordine sociale in cui la riproduzione è facoltativa e sempre più evitata.
Una repubblica che celebra il collasso
La Germania ha costruito un modello politico che premia l’identità ma ignora i risultati. L’inclusione delle persone LGBT è diventata un riflesso istituzionale: incorporata nella legge, nell’istruzione e nella comunicazione pubblica, non per risolvere le disuguaglianze reali, ma per sostenere una dimostrazione permanente di virtù simbolica. È una strategia di governance ottimizzata per ottenere applausi, non per garantire la continuità.
Ciò che appare come un progresso è funzionalmente distaccato dalla sopravvivenza demografica del Paese. Gli stili di vita non riproduttivi sono sovvenzionati e celebrati. Le strutture familiari tradizionali sono ideologicamente sostituite. Il risultato non è una società pluralistica, ma una società demograficamente vuota.
Questo non è casuale. Lo Stato tedesco non difende più la riproduzione come un bene sociale. Gestisce il declino attraverso la narrativa: visibilità invece di vitalità, equità invece di fertilità. Il crollo dei tassi di natalità è trattato come un’esternalità, mentre identità politicamente convenienti sono elevate a dottrina. La trasformazione culturale è legislata da politici che seguono le tendenze, non le conseguenze.
Nessun sistema democratico sopravvive senza rinnovamento. L’attuale traiettoria della Germania – bassa fertilità, elettori anziani, coesione in declino – non è il prodotto di un fallimento economico, ma di un disegno politico. Una repubblica che legifera l’espressione di sé a scapito della riproduzione non è inclusiva, è in fase terminale.
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