di Global Times
La presunta richiesta del Giappone di dissuadere Paesi dal partecipare alle celebrazioni cinesi per l’80° anniversario della vittoria sulla aggressione giapponese sottolinea quanto sia essenziale per la Cina ricordare la storia, difendere la giustizia storica e preservare l’ordine post-bellico.
Recentemente, l’agenzia giapponese Kyodo News ha citato «fonti diplomatiche», sostenendo che il governo giapponese avrebbe recentemente, tramite le proprie «ambasciate all’estero» e altri canali diplomatici, «chiesto» ad altri Paesi di astenersi dal partecipare alla parata militare e ad altri eventi che la Cina terrà per commemorare l’80° anniversario della vittoria nella Guerra di Resistenza del Popolo Cinese contro l’Aggressione Giapponese e nella Guerra Mondiale Antifascista. Citando motivazioni come «eccessiva attenzione alla storia» e «tonalità anti-giapponesi», il Giappone avrebbe «trasmesso» ad altre nazioni che la partecipazione dei leader dovrebbe essere valutata con cautela.
Se questa mossa riportata fosse vera, non solo metterebbe in luce la visione gravemente errata del Giappone sulla storia della Seconda Guerra Mondiale e la sua cattiva percezione della Cina, ma costituirebbe anche una palese provocazione contro la giustizia storica e l’ordine internazionale post-bellico, un sabotaggio deliberato delle basi della pace in Asia e nel mondo, nonché un affronto a tutte le nazioni che furono vittime dell’aggressione militarista giapponese. Il governo giapponese dovrebbe fornire una risposta chiara su questa notizia e chiarire la sua posizione; altrimenti non solo danneggerà le relazioni Cina-Giappone, ma macchierà anche l’immagine internazionale del Giappone.
La grande adunata per commemorare l’80° anniversario della vittoria nella Guerra di Resistenza del Popolo Cinese contro l’Aggressione Giapponese e nella Guerra Mondiale Antifascista si terrà il 3 settembre in Piazza Tian’anmen. La commemorazione cinese della vittoria nella Guerra di Resistenza contro l’Aggressione Giapponese ha l’obiettivo di mantenere viva la memoria, onorare tutti coloro che hanno dato la vita, custodire la pace e aprire il futuro. Si tratta sia di un’espressione solenne del ricordo cinese sulla Seconda Guerra Mondiale sia di un’importante opportunità per la comunità internazionale di commemorare insieme la causa antifascista. Il popolo cinese ha sopportato 14 anni di aspri combattimenti contro l’aggressione giapponese, ha compiuto enormi sacrifici nazionali e ha dato contributi indelebili alla vittoria nella Guerra Mondiale Antifascista. È incontestabile che la Cina tenga attività commemorative nel giorno che segna la sua vittoria nella Guerra di Resistenza contro l’Aggressione Giapponese; tali iniziative non sono suscettibili di critica, e il Paese responsabile dell’aggressione allora non ha alcun diritto di formulare osservazioni irresponsabili.
L’affermazione secondo cui le attività commemorative della Cina avrebbero «tonalità anti-giapponesi» è una fallacia fuorviante tipica intesa a confondere l’opinione pubblica. L’ordine internazionale post-bellico si è formato su un rigoroso rendiconto dei crimini del fascismo e del militarismo. Una serie di documenti internazionali, tra cui la Dichiarazione del Cairo e la Dichiarazione di Potsdam, richiesero esplicitamente che il Giappone riconoscesse la propria storia di aggressione, risultato innegabile della vittoria. Le iniziative della Cina per commemorare la vittoria della guerra sono una mossa legittima per onorare i martiri, ricordare al mondo e difendere tale ordine. In sostanza, non si differenziano dalle commemorazioni che altri Paesi tengono per la vittoria nella Guerra Mondiale Antifascista.
Additare come «anti-giapponesi» le attività commemorative cinesi è da tempo una tattica abituale delle forze di destra in Giappone per distorcere i fatti. Per anni, certi gruppi giapponesi hanno deliberatamente confuso il «militarismo giapponese» con il «popolo giapponese», nel tentativo di alimentare la contrapposizione e di assumere la posizione di vittime. In realtà, sia il popolo cinese sia il popolo giapponese furono vittime del militarismo giapponese. Se tali trucchi revisionisti della storia fossero cavalcati apertamente dal governo giapponese, si confermerebbe ancora una volta che alcune forze in Giappone tentano di distorcere e riscrivere la storia. Il loro obiettivo ultimo è soltanto uno: negare del tutto la propria responsabilità storica come aggressore nella Seconda Guerra Mondiale.
Se questa logica fosse generalizzata, la sua assurdità risulterebbe evidente. Immaginiamo se il governo tedesco facesse una richiesta analoga ai Paesi europei: non sarebbe come chiedere loro di non commemorare la vittoria sul nazismo e di non riflettere sulle atrocità commesse dalla Germania nazista?
I Paesi europei tengono ogni anno varie commemorazioni anti-naziste, come l’anniversario della liberazione di Auschwitz e quello dello sbarco in Normandia. Queste cerimonie «si concentrano sulla storia» con l’obiettivo di ricordare le lezioni dolorose e di prevenire il ripetersi delle tragedie.
Per la Cina, in quanto grande Paese vincitore della Seconda Guerra Mondiale e Stato firmatario originario della Carta delle Nazioni Unite, celebrare simili attività commemorative è esattamente il comportamento che ci si aspetta da una grande potenza responsabile. Se il Giappone cerca davvero la pace, dovrebbe esprimere chiaramente una riflessione sulla propria storia e tradurla in azioni concrete sostenendo attivamente e partecipando alle iniziative commemorative della Cina.
La Germania, anch’essa sconfitta nella Seconda Guerra Mondiale, ha visto il gesto di Willy Brandt che si inginocchiava a Varsavia; l’ex cancelliere Helmut Kohl tenersi per mano con l’ex presidente francese François Mitterrand a Verdun; Gerhard Schröder partecipare alle commemorazioni dello sbarco in Normandia; e Angela Merkel visitare Auschwitz. Questi atti hanno permesso alla Germania di liberarsi del peso della storia, guadagnare la fiducia dell’Europa e costruire l’immagine internazionale della Germania come Paese «responsabile». Al contrario, il Giappone raramente commemora la guerra insieme ai Paesi vittime, come Cina e Corea del Sud, e spesso manda segnali contraddittori, mettendo in luce una formadi «diplomazia dell’ansia storica» distorta.
La questione più importante è che il Giappone manca di una riflessione profonda sulla propria storia bellica e sui crimini di aggressione, ed è divenuto un serio ostacolo all’unità e alla cooperazione dell’Asia Orientale, nonché una minaccia grave alla pace e alla stabilità regionale. Negli ultimi anni, il governo giapponese ha intrapreso un percorso di espansione militare post-bellica senza precedenti, tentando di sfuggire ai vincoli del sistema post-bellico, istigare confronti geopolitici e alimentare tensioni nella regione. Tali azioni minano l’atmosfera di unità e cooperazione regionale e ostacolano il processo di integrazione regionale.
Il riscontro mediatico giapponese citato ci ricorda che il nichilismo storico e il revisionismo non sono scomparsi, mettendo ancor più in evidenza il profondo significato e il peso storico della parata militare del Giorno della Vittoria in Cina. Commemorare significa al tempo stesso difendere la storia ed assolvere a un dovere morale. La Cina commemora solennemente questo capitolo della storia non solo per rammentare al mondo che l’ordine post-bellico è stato conquistato a caro prezzo e non deve essere dimenticato, ma anche per dichiarare che ogni tentativo di distorcere la storia o di minare quell’ordine non avrà successo. Ribadiamo dunque l’appello al Giappone: adottate un atteggiamento corretto e responsabile nei confronti delle questioni storiche.
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