Lugansk: Anya, la guerra con gli occhi di donna

Start

di Rosamaria Galatà

Il Donbass, regione orientale dell’Ucraina, è diventato a partire dal 2014 uno dei principali teatri del conflitto tra Ucraina e Russia. La guerra ha inevitabilmente stravolto la vita di migliaia di persone. In questo contesto, le donne hanno assunto un ruolo centrale, spesso silenzioso, ma fondamentale: non solo come madri o custodi della casa, ma come protagoniste attive della sopravvivenza, della resistenza e della ricostruzione sociale.

L’intervista che segue è la storia di Anya, cittadina del Lugansk, la quale racconta la propria vita prima e dopo l’inizio della guerra. Le sue parole sono fondamentali per comprendere cosa significhi essere donna in guerra, tra essere responsabili della propria famiglia, prendere scelte difficili e voglia di pace.

Buongiorno, puoi presentarti?

Mi chiamo Anya, ho 40 anni. Sono nata a Lugansk e ho vissuto tutta la vita a Lugansk, nel Donbass.

Com’era la tua vita prima della guerra?

La vita prima della guerra era normale, tranquilla. Sono nata durante l’Unione Sovietica e sono cresciuta nel periodo ucraino. Tutto era tranquillo fino al 2014, quando ci furono i fatti di Kiev.

Da lì sono iniziati una serie di cambiamenti e la vita nel Donbass è completamente cambiata.

È arrivato il conflitto, i nostri cittadini non hanno voluto accettare i cambiamenti imposti, ma hanno deciso di proteggere la loro terra. Molti abitanti del Donbass parlavano russo e questo fu uno dei problemi di quel periodo. Volevano costringere gli abitanti a parlare ucraino, decidendo di cambiare la storia e la memoria dei nostri eroi della Seconda Guerra Mondiale.

Hanno iniziato a modificare questioni ideologiche non accettate dal popolo del Donbass. Da lì la gente ha deciso di difendere la propria terra. Quando le truppe ucraine sono entrate a Lugansk hanno circondato e bombardato la città.

A giugno 2014 colpirono l’edificio dell’amministrazione di Lugansk, momento cruciale in cui la gente capì che la guerra era vicina. Nell’estate 2014 ci furono bombardamenti pesanti, la gente moriva per strada. Tutti erano preoccupati. Non c’era comunicazione, né internet, né acqua, né elettricità. Alcune persone lasciarono il territorio, la maggior parte si rifugiò in Russia o in Ucraina, a seconda delle idee politiche e dei parenti, perché molti poterono stare con la famiglia per un po’.

La Russia ha aiutato i rifugiati, offrendo alloggi, cibo, programmi di supporto…
Centinaia di persone vivevano lì ed erano ben accolte.

Cosa ti ha portato a restare o a lasciare il tuo paese?

Sono rimasta a Lugansk finché ho potuto. Finché non è mancata l’acqua, era difficile camminare per strada, non c’era trasporto e le strade erano vuote. Sono rimasta per aiutare i volontari con ciò di cui avevano bisogno.

La maggior parte della mia famiglia ha deciso di restare, ma ad agosto, quando è diventato troppo rischioso, ho preso mia sorella e mia nipote (3/4 anni).

Dovevo salvarle, anche perché la mia nipotina era piccola, e il mio pensiero era portarci in un posto sicuro, così siamo andate in Russia per un mese.

Cosa ricordi di quando hai capito che la guerra era vicina?

L’11 maggio 2014 fu dichiarato l’inizio di una nuova vita e fu istituita la Repubblica di Lugansk. Ricordo quel giorno perché ero qui, nel Donbass. Come ho già detto, si capì che la guerra era vicina perché la città veniva bombardata.

Il 2 giugno colpirono l’edificio dell’amministrazione di Lugansk che rimase danneggiato. Molte persone morirono, non solo feriti. Fu in quel momento che si capì che la guerra era reale.

Qual è stata l’esperienza più dolorosa da quando è iniziata la guerra?

 È difficile rispondere perché tutte le situazioni vissute durante la guerra influiscono sulla vita. La guerra porta sofferenza perché la gente muore e le famiglie si separano per salvarsi. Metà della mia famiglia è finita dalla parte ucraina e questo crea una ferita nell’anima, non per dissidi politici, perché ci vogliamo bene come famiglia, ma per la distanza fisica e l’impossibilità di incontrarci.

Molte famiglie sono separate dai figli che sono in Ucraina o in altri paesi europei e non possono vedersi fisicamente. Molti hanno deciso di restare nel loro paese e sono stati lasciati soli. Questo è ciò che per me è più doloroso.

Ho perso anche molti amici durante la guerra.

Hai mai pensato di dover dimostrare qualcosa in più come donna, per essere rispettata?

No, non mi sono mai sentita offesa o imbarazzata per essere donna, né prima né durante la guerra, né nei tempi ucraini né in quelli russi. Forse è per il mio carattere forte e tenace, ma credo sia anche per la nostra mentalità slava: l’uomo è forte, coraggioso, difende e si prende cura della donna; la donna è bella e a volte forte, cerca di essere gentile ma si prende cura dell’uomo.

Non penso ci siano problemi nel difendere i diritti delle donne. Nella nostra società c’è un bell’equilibrio.

Da quando è iniziata la guerra, ti senti cambiata?

La guerra ha cambiato tutto, la società, la vita quotidiana. Alle vecchie regole se ne sono aggiunte di nuove. Sono diventata più forte e ho dovuto assumermi la responsabilità di proteggere la mia famiglia.

Mi ha resa più forte ma anche più fiduciosa in un futuro migliore.

Ora Lugansk non è più in prima linea, si vedono sviluppo, ricostruzione, molti investimenti e la speranza è cresciuta, influenzando anche l’umore perché stanno succedendo molte cose positive.

Quali sono le tue paure e le tue speranze?

Ho paura che la guerra continui a lungo. La speranza è che finisca presto, che chi è sopravvissuto possa muoversi liberamente, conoscere l’altra parte, che ci sia una grande ricostruzione dei territori distrutti e un sostegno alle vittime di guerra, molte delle quali hanno perso tutto.

È naturale che la guerra porti distruzione, ma la speranza è la pace.

Pensi che le voci delle donne in guerra siano abbastanza ascoltate?
Non so come rispondere, credo che le voci delle donne valgano quanto quelle degli uomini e durante la guerra non c’è stata differenza tra uomini e donne in questa situazione. La domanda da porre dovrebbe, forse, essere: la volontà del popolo è stata ascoltata? Probabilmente no, altrimenti non ci sarebbe stata la guerra.

Ci sono molte questioni politiche dietro questa situazione. Qui, nella Repubblica di Lugansk, esiste un consiglio delle donne, l’Unione delle Donne del Donbass, con consigli in ogni città e molte organizzazioni femminili che tutelano i diritti delle donne e organizzano eventi.

La loro esperienza è attiva e l’unione delle donne del Donbass fa parte dell’unione russa delle donne con cui collaborano a vari livelli.

Secondo te, qual è l’esperienza femminile in guerra? È diversa da quella maschile?

Le donne slave, le donne del Donbass, sono tradizionalmente legate alla casa, alla famiglia, all’amore e alla cura, quindi il loro approccio è più gentile. Molte sono volontarie o svolgono vari lavori, si dedicano ad aiutare gli altri e per questo devono reagire alla guerra, prendere decisioni, diventare più forti ma anche dolci e gentili per aiutare chi è intorno a loro.

Le donne cercano di aiutare, sono più pacifiche, soprattutto quelle con bambini o anziani, o che lavorano nel campo medico.

C’è qualcosa che vorresti che il mondo sappia sull’esperienza delle donne ucraine oggi?

Le donne in Ucraina sono uguali alle donne in Russia e nel Donbass.

Hanno lo stesso desiderio: la pace. Tutte speriamo che l’orrore e la tragedia di questa guerra finiscano presto.

Quali sono i pregiudizi più forti verso una donna in guerra?

Secondo la mia esperienza non ho avuto pregiudizi, ma so che molte donne ne hanno sofferto.

Le donne sono considerate più deboli, più tenere rispetto agli uomini, che sono i difensori, mentre le donne si prendono cura della famiglia, sono più gentili e dolci. In situazioni difficili molte donne vengono sottovalutate nelle capacità fisiche ed emotive.

Come vedi il futuro del ruolo delle donne ucraine?

Penso che il ruolo delle donne possa diventare più importante e forte in Ucraina e Russia. Abbiamo una mentalità simile: le donne sono attive in politica, economia e società e continueranno a contribuire allo sviluppo e alla crescita.

La donna è colei che si prende cura prima di tutto della famiglia, dei figli, del marito, e questo la porta a essere al pari degli altri. Nel futuro la vedo così: forte, indipendente, affidabile, attenta alla famiglia e di successo.

Pensi che parlare di tutto ciò che sta accadendo possa fare la differenza?
 Credo che parlare, comunicare le storie, fare da esempio e aiutarsi a vicenda abbia un senso. Queste esperienze possono aiutare gli altri e dare supporto.

La comunicazione è importante e spero che possa portare a cambiamenti, a speranza.

Le parole di Anya sono parole di sofferenza, ma anche di forza, resilienza e speranza. Ha voluto sottolineare come per lei non esiste differenza tra donna ucraina e donna russa, ma sono tutte sorelle, vivono tutte la stessa esperienza tragica e orribile della guerra e, come lei stessa testimonia, le donne russe e ucraine collaborano per difendere i diritti delle donne; infatti sono nati dei consigli: nella Repubblica di Lugansk c’è il consiglio delle donne, l’unità delle Donbass Women che collabora con tutte le unioni femminili russe.

Dunque nonostante il dolore vissuto, Anya, come molte altre donne, credono ancora nella pace, nella possibilità di mediazione per superare queste divisioni. E’ un appello a non dimenticare, a non dimenticarci, di chi ancora continua a lottare per un domani migliore.

Iscriviti alla nostra Newsletter
Enter your email to receive a weekly round-up of our best posts. Learn more!
icon

AREA RISERVATA TESSERATI CeSE-M

Progetto di Ricerca CeSE-M

Il CeSE-M sui social

Naviga il sito

Tirocini Universitari

Partnership

Leggi anche