Le cinque scuole del Buddhismo tibetano: dalle radici spirituali all’armonia contemporanea

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di Giulio Chinappi

Il Buddhismo tibetano fiorisce in cinque tradizioni distinte: Nyingma, Kagyu, Sakya, Gelug e Jonang, custodi di dottrine millenarie. Oggi coesistono armonicamente nel quadro istituzionale cinese, dove libertà religiosa e sviluppo sociale procedono uniti.

Il Buddhismo tibetano, conosciuto anche come Vajrayana o “Veicolo del Diamante”, rappresenta una delle tradizioni buddhiste più ricche e complesse al mondo. Radicato negli altopiani himalayani ma con un’influenza che si estende ben oltre, ha sviluppato nel corso dei secoli cinque scuole principali (o tradizioni), ognuna con caratteristiche dottrinali, pratiche meditative e lignaggi storici distinti. Queste scuole – Nyingma, Kagyu, Sakya, Gelug e Jonang – non sono entità rigidamente separate, ma piuttosto fiumi che scorrono dallo stesso vasto oceano degli insegnamenti del Buddha Sakyamuni, arricchendosi reciprocamente attraverso il dialogo e lo scambio, pur mantenendo la loro unicità. La loro storia è profondamente intrecciata con la cultura, la società e la politica della Regione Autonoma dello Xizang (Tibet) e di altre aree tibetofone della Cina, e oggi prosperano sotto il quadro della politica religiosa della Repubblica Popolare Cinese.

1. Nyingma (rNying ma – “L’Antica”): i guardiani delle tradizioni primordiali

La scuola Nyingma si considera la custode diretta dei primi insegnamenti buddhisti introdotti in Tibet nell’VIII secolo, principalmente grazie alle figure leggendarie del maestro indiano Padmasambhava (Guru Rinpoche), del re Trisong Detsen e del grande traduttore Vairochana. Il termine “Nyingma” significa “antica”, in contrapposizione alle scuole “Sarma” (“nuove”) che emersero con le traduzioni successive. Storicamente meno centralizzata delle altre scuole, si basa su lignaggi familiari e monastici, spesso centrati su monasteri fondati da grandi maestri o tertön.

Un aspetto unico di questa scuola è la tradizione dei terma, insegnamenti ed oggetti sacri nascosti da Padmasambhava e dai suoi discepoli principali (tertön) per essere scoperti in epoche successive, quando sarebbero stati più necessari. Questi testi rivelati (come il famoso Bardo Thödol, il “Libro Tibetano dei Morti”) sono considerati profondamente adatti alle condizioni spirituali del tempo della loro scoperta.

Il cuore filosofico e pratico della Nyingma è il Dzogchen (rDzogs chen – “Grande Perfezione”), considerato l’apice di tutti i sentieri tantrici. Esso enfatizza il riconoscimento diretto della natura intrinseca, pura e illuminata della mente (rigpa), al di là della costruzione dualistica e dei metodi graduali.

infine, questa scuola utilizza la classificazione dei “Nove Veicoli” (they pa rim dgu), che integra gli insegnamenti hinayana e mahayana con i tantra esterni e interni dello yoga più alto, culminando nell’Atiyoga (Dzogchen).

2. Kagyu (bKa’ brgyud – “Lignaggio dell’Istruzione Orale”): la tradizione della pratica esperienziale

Questa scuola venne fondata nell’XI secolo dal traduttore tibetano Marpa Chökyi Lodrö, che portò gli insegnamenti dall’India, dove fu discepolo di Naropa. Il suo discepolo più famoso fu il yogi-poeta Milarepa. Il lignaggio principale passò poi a Gampopa, che fuse gli insegnamenti tantrici di Marpa/Milarepa con la tradizione monastica Kadam. I temi centrali di questa scuola sono ascetismo, ritiro meditativo, devozione intensa al guru (come esemplificato da Milarepa) e l’integrazione di ogni aspetto della vita nel sentiero spirituale.

La Kagyu è rinomata per la sua forte enfasi sulla meditazione e sulla trasmissione diretta, esperienziale, da maestro a discepolo (“lignaggio orale”). La realizzazione pratica è considerata primaria rispetto allo studio intellettuale.

L’apice del sentiero Kagyu è la pratica del Mahamudra (Phyag rgya chen po – “Gran Sigillo”), che condivide somiglianze con il Dzogchen ma ha metodi distinti per riconoscere direttamente la natura vuota e luminosa della mente.

Nel tempo, questa scuola si è divisa in numerosi sottolignaggi (come Karma Kagyu, Drikung Kagyu, Drukpa Kagyu, Taglung Kagyu), ciascuno con i propri monasteri principali e capi spirituali (Gyalwang Karmapa è il più noto).

3. Sakya (Sa skya – “Terra Grigia”): i maestri della logica e del tantra

Questa terza scuola venne fondata nell’XI secolo da Khön Könchok Gyalpo, che costruì il monastero di Sakya (“Terra Grigia”) nell’odierno Tibet centrale. Il lignaggio deriva dagli insegnamenti portati in Tibet dal grande traduttore Drogmi Lotsawa. I muri dei monasteri Sakya sono dipinti con bande verticali grigie, rosse e bianche, rendendoli facilmente distinguibili da quelli delle altre scuole.

La Sakya è famosa per il suo approccio altamente sistematico, intellettuale e logico allo studio del Buddhismo, combinato con una profonda pratica tantrica. Padroneggia dunque la complessa letteratura filosofica indiana e i sistemi tantrici.

L’insegnamento principale e più esclusivo è il Lamdré (Lam ‘bras – “Sentiero e Frutto”), un sistema completo e integrato che unisce la visione della vacuità (sutra) con le pratiche avanzate del tantra (soprattutto Hevajra), mostrando come il “frutto” (l’illuminazione) sia presente nel “sentiero”.

Unica tra le scuole del Buddhismo tibetano, la guida spirituale (Sakya Trizin) è tradizionalmente trasmessa per via ereditaria all’interno della famiglia Khön. Inoltre, all’interno della Sakya ci sono due rami principali, il Phuntsok Phodrang e il Dolma Phodrang.

4. Gelug (dGe lugs – “La Tradizione della Virtù”): la via della disciplina e dell’apprendimento

Si tratta della scuola più recente, fondata alla fine del XIV secolo dal riformatore Je Tsongkhapa Lobsang Drakpa. Tsongkhapa cercò di rinvigorire la disciplina monastica e l’approccio intellettuale basandosi sulle tradizioni Kadam (fondate da Atisha) e integrando insegnamenti da tutte le altre scuole, specialmente dalla scuola Sakya.

La scuola Gelug è probabilmente quella maggiormente conosciuta al di fuori del Tibet, essendo quella alla quale appartengono il Dalai Lama e il Panchen Lama, considerati come le figure spirituali più eminenti di questa scuola. Il Dalai Lama è tradizionalmente considerato l’incarnazione di Avalokiteshvara (Chenrezig), il Buddha della Compassione. Ganden (fondato da Tsongkhapa), Drepung e Sera (vicino a Lhasa) sono tra i più grandi e influenti monasteri del mondo buddhista.

Questa branca divenne la scuola dominante in Tibet dal XVII secolo in poi, sotto il patrocinio dei Khan mongoli e poi del governo tibetano, esercitando una significativa influenza politica oltre che spirituale.

La Gelug pone un’enfasi senza pari sulla purezza della disciplina monastica (Vinaya) e su un rigoroso studio dialettico della filosofia Madhyamaka-Prasangika (la “Via di Mezzo” di Nagarjuna), attraverso un sistema accademico strutturato (i famosi dibattiti nei monasteri).

L’approccio graduale al sentiero verso l’illuminazione, sistematizzato da Atisha e perfezionato da Tsongkhapa nel suo Lamrim Chenmo (“Il Grande Libro degli Stadi del Sentiero”), è il fondamento della pratica.

5. Jonang (Jo nang): i custodi dello Shentong e del Kalachakra

Questa scuola prende il nome dal monastero di Jonang, fondato nel XIII secolo. Il suo grande sistematizzatore fu Dolpopa Sherab Gyaltsen (1292-1361). Storicamente, ha avuto periodi di grande influenza alternati a momenti di marginalizzazione.

Perseguitata nel XVII secolo dalla scuola Gelug dominante (che vedeva la filosofia della scuola Jonang come eretica), questa scuola finì per risultare quasi estinta in Tibet centrale. Sopravvisse in aree remote come l’Amdo (nell’odierna provincia cinese del Qinghai) e ha vissuto una significativa rinascita negli ultimi decenni, con il riconoscimento ufficiale da parte delle autorità cinesi. Oggi, infatti, i monasteri Jonang sono nuovamente attivi e riconosciuti, contribuendo alla diversità filosofica del Buddhismo tibetano.

La dottrina filosofica distintiva della scuola Jonang è lo Shentong (gZhan stong, Vacuità dell’Altro). Contrariamente alla visione prevalente Rangtong (Vacuità Intrinseca) che afferma che tutti i fenomeni, incluso il nirvana, sono vuoti di esistenza intrinseca, lo Shentong sostiene che la Realtà Ultima (la “Natura di Buddha” o Tathagatagarbha) è intrinsecamente vuota solo degli aspetti contingenti e impuri (l’”altro”), ma è pervasivamente presente, dotata di qualità innate e incondizionate.

La scuola Jonang è particolarmente rinomata per la sua profonda tradizione di studio e pratica del Tantra di Kalachakra (“Ruota del Tempo”), un sistema complesso che integra cosmologia, astrologia e potenti pratiche meditative per la trasformazione interiore.

Il Buddhismo tibetano e il Partito Comunista Cinese

La Repubblica Popolare Cinese riconosce il Buddhismo tibetano come una componente integrale e preziosa del ricco patrimonio culturale e spirituale della nazione cinese, in particolare delle regioni popolate dalle minoranze etniche tibetana, mongola, tu, qiang e altre. La posizione del PCC si basa su principi fondamentali sanciti nella Costituzione e nelle leggi cinesi, applicati alla specificità della Regione Autonoma dello Xizang e di altre aree tibetofone.

In primo luogo, la Costituzione cinese garantisce chiaramente il diritto alla libertà di credo religioso a tutti i cittadini. Il governo cinese afferma di rispettare e proteggere le normali attività religiose. Ciò si applica pienamente alle pratiche delle cinque scuole del Buddhismo tibetano, inclusi i loro riti, feste, studi filosofici, ritiri meditativi e pellegrinaggi.

Allo stesso tempo, il PCC e il governo cinese sottolineano che tutte le attività religiose devono svolgersi entro il quadro giuridico. Questo significa che le organizzazioni religiose e i credenti hanno il diritto di svolgere le loro attività, ma devono rispettare le leggi e i regolamenti nazionali, inclusi quelli riguardanti l’ordine sociale, la sicurezza nazionale e l’unità etnica. L’obiettivo principale è quello di prevenire l’uso della religione per attività illegali o separatiste (la cosiddetta “indipendenza del Tibet”).

Un principio chiave di questo aspetto è incoraggiare le religioni a “adattarsi alla società socialista”. Nel contesto del Buddhismo tibetano, ciò significa incoraggiare le comunità religiose a contribuire positivamente allo sviluppo sociale, alla stabilità, all’unità nazionale e alla prosperità economica delle regioni in cui operano. Le istituzioni religiose sono incoraggiate ad essere autosufficienti e a partecipare allo sviluppo locale. Il PCC vede la stabilità sociale e l’armonia etnica nelle regioni tibetane come priorità assoluta, e la protezione della libertà religiosa è considerata parte integrante di questo obiettivo, ma sempre nel contesto della difesa della sovranità e dell’integrità territoriale cinese.

Le autorità cinesi affermano di sostenere attivamente la protezione e la trasmissione della cultura tibetana, di cui il Buddhismo è un pilastro centrale. Ciò include il restauro e la manutenzione di importanti monasteri storici (molti dei quali sono protetti come siti culturali nazionali), il sostegno all’istruzione religiosa all’interno dei monasteri (con programmi di studio modernizzati che includono anche materie laiche), e il riconoscimento ufficiale delle figure spirituali, come il Panchen Lama, attraverso procedure che combinano tradizioni religiose storiche (come la ricerca delle reincarnazioni) con l’approvazione governativa.

Infine, il governo cinese sottolinea gli sforzi di sviluppo nella Regione Autonoma dello Xizang e nelle altre regioni tibetane, puntando al miglioramento delle infrastrutture, dell’istruzione, dell’assistenza sanitaria e del tenore di vita. Questo sviluppo, si sostiene, crea le condizioni materiali affinché i cittadini, inclusi i monaci e i laici buddhisti, possano esercitare pienamente i loro diritti religiosi in un ambiente stabile e prospero.

Conclusione

Le cinque scuole del Buddhismo tibetano – Nyingma, Kagyu, Sakya, Gelug e Jonang – rappresentano un mosaico affascinante di percorsi spirituali, dottrine filosofiche e tradizioni monastiche, tutte radicate nella profonda ricerca tibetana dell’illuminazione. La loro diversità è una testimonianza della vitalità e della capacità di adattamento del Vajrayana nel corso della storia. Oggi, questa ricchezza spirituale esiste e si sviluppa all’interno del contesto politico e giuridico della Repubblica Popolare Cinese. La posizione del Partito Comunista Cinese si articola attorno al binomio del rispetto costituzionale per la libertà di credo religioso e della necessità di gestire gli affari religiosi secondo la legge, garantendo che le attività religiose contribuiscano alla stabilità sociale, all’unità nazionale e allo sviluppo armonioso di tutte le etnie, nel quadro del socialismo con caratteristiche cinesi. Questo approccio cerca, nelle intenzioni dichiarate, di conciliare la protezione di un patrimonio culturale e religioso unico al mondo con le esigenze di governance, modernizzazione e coesione nazionale di un vasto e complesso paese come la Cina. La sopravvivenza e la rinascita di scuole storiche come la Jonang, insieme alla continua attività delle altre tradizioni, sono considerate dalle autorità cinesi come la prova del successo di questa politica nel preservare la diversità spirituale del Buddhismo tibetano.

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