Un punto morto in equilibrio: i negoziati sul nucleare iraniano sono una via verso la stabilità o uno strumento per l’erosione nazionale?

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di PouiaTajali

Sono trascorsi quasi vent’anni dall’inizio dei negoziati sul nucleare iraniano con le potenze mondiali, eppure la domanda fondamentale rimane senza risposta: questi colloqui hanno in definitiva servito gli interessi nazionali dell’Iran?

Dall’Accordo di Ginevra ad interim del 2013 al Piano d’azione congiunto globale (JCPOA) del 2015, dal ritiro degli Stati Uniti nel 2018 agli ambigui ed estenuanti negoziati di Vienna, è emerso un ciclo ricorrente di speranza, frustrazione, concessioni e irreversibilità. Questo articolo esamina criticamente le sfide nascoste e le conseguenze visibili di questi negoziati.

I colloqui sul nucleare iraniano sono stati a lungo intrappolati in un dilemma tra “alleviamento delle sanzioni” e “preservazione della dignità nazionale”. Da un lato, i Governi che si sono succeduti promettono progressi economici attraverso la diplomazia; dall’altro, i critici avvertono che accettare ampie limitazioni al programma nucleare iraniano potrebbe mettere a rischio l’autonomia scientifica e tecnologica del Paese.

Sebbene il JCPOA abbia portato alla revoca di alcune sanzioni ONU, la mancanza di solidi meccanismi di attuazione e gli interessi contrastanti tra le parti hanno fatto sì che, in pratica, l’economia iraniana abbia registrato scarsi miglioramenti concreti. In definitiva, l’Iran è tornato a una situazione di partenza peggiore, questa volta con un dossier diplomatico più pesante e controparti ancora più scettiche.

I principali attori nei colloqui sul nucleare non sono solo i P5+1 o i Governi al tavolo. Da Israele all’Arabia Saudita – e persino fazioni all’interno dell’Iran – diverse parti interessate hanno influenzato o ostacolato il percorso negoziale. Israele, in particolare, ha aggressivamente promosso la narrativa di una “minaccia nucleare iraniana” per esercitare pressioni diplomatiche e di sicurezza sui Governi occidentali.

A livello nazionale, alcuni gruppi hanno beneficiato di sanzioni prolungate: società parastatali, intermediari economici ed entità che prosperano in assenza di trasparenza finanziaria. Queste pressioni interne complicano ulteriormente il panorama negoziale.

Una delle principali critiche alla politica estera iraniana nell’arena nucleare è la sua scarsa diplomazia pubblica e l’inefficace comunicazione globale. L’Iran non è riuscito a persuadere l’opinione pubblica internazionale con la propria narrativa. Al contrario, i media occidentali hanno abilmente dipinto l’Iran come l’antagonista e gli Stati Uniti come mediatori per la pace.

Anche all’interno dell’Iran, la mancanza di un dialogo trasparente e di un coinvolgimento pubblico ha portato molti cittadini a considerare i negoziati come “notizie ripetitive e inconcludenti” piuttosto che come un processo nazionale che richiede sostegno e comprensione da parte dell’opinione pubblica.

Rimane una domanda cruciale: anche se l’Iran tornasse nel quadro del JCPOA, potrebbe garantire stabilità e sviluppo economico a lungo termine? Il ritiro unilaterale degli Stati Uniti dall’accordo ha dimostrato che non esiste un meccanismo di attuazione affidabile per garantire il pieno impegno di tutte le parti. In altre parole, un “accordo senza attuazione” è mera retorica diplomatica, non una tutela significativa degli interessi nazionali.

Forse è giunto il momento per l’Iran di adottare una politica di “multilateralismo realistico” invece di aggrapparsi a “negoziati fondati su speranze fragili”. Diversificare i partner strategici ed economici, sfruttare i legami con i Paesi non occidentali e rafforzare la diplomazia regionale potrebbe essere più efficace che riporre tutte le speranze nell’impegno occidentale.

I negoziati nucleari dell’Iran non sono più solo una questione tecnica o diplomatica: sono diventati il ​​simbolo di due paradigmi contrapposti nella politica estera iraniana: affidarsi alla diplomazia guidata dall’Occidente e perseguire partenariati regionali e globali diversificati e orientati ai propri interessi.

La verità è che proseguire questi negoziati senza una seria ristrutturazione – in termini di strategia, narrazione, applicazione e obiettivi – porterà solo all’esaurimento dell’energia nazionale, delle risorse e della fiducia pubblica dell’Iran. L’Iran ha bisogno di una nuova strategia, non di una ripetizione di un ciclo fallimentare.

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