Singapore: il consolidamento del PAP e il ruolo internazionale della città-stato

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di Giulio Chinappi

L’articolo esplora il recente voto a Singapore, dove il primo ministro Lawrence Wong ha consolidato il primato del People’s Action Party. Analizza le ragioni del successo elettorale, il contesto sociale ed economico e il posizionamento strategico di Singapore in politica estera.

La tornata elettorale dello scorso 3 maggio ha confermato, con cifre schiaccianti, la leadership del People’s Action Party (PAP) a Singapore. Con il 65,6 % dei consensi e 87 seggi conquistati sui 97 in palio, il partito guidato da Lawrence Wong rafforza il suo storico dominio, che dura ormai da sei decenni. Quando, nel maggio del 2024, Wong aveva preso il posto di Lee Hsien Loong, molti analisti si erano chiesti quanto l’elettorato avrebbe appoggiato la nuova generazione di leader (“4G”), chiamata a misurarsi con sfide economiche e sociali diverse da quelle dei suoi predecessori. I risultati parlano chiaro: i singaporiani hanno scelto la continuità, premiando la promessa di stabilità e di gestione prudente dell’economia.

Il consenso per il PAP non è mai calato al di sotto del 60 % in quasi tutte le elezioni dalla fine degli anni Sessanta, ma il voto del 2020 aveva segnato una lieve flessione, con poco più del 61 %, la più bassa performance dal Dopoguerra. Il ritorno al 65 % rappresenta dunque un segnale di rinnovata fiducia nei confronti del partito di governo, anche se i commentatori sottolineano come il margine di vittoria debba anche essere attribuito alla debolezza dell’opposizione socialdemocratica, rappresentata dal Workers’ Party (WP). Molti elettori hanno premiato il percorso di Wong, convinti che la sua visione di “continuità e innovazione” sappia mantenere l’equilibrio tra crescita economica e adeguate tutele sociali.

A determinare il risultato ha contribuito in larga misura il contesto internazionale. L’economia di Singapore, da sempre dipendente dalle esportazioni e dalla piena integrazione nei flussi commerciali mondiali, è stata scossa, negli ultimi anni, dalle tensioni tra Stati Uniti e Cina e dalle conseguenze della pandemia prima, e dei rincari energetici poi. Su questo sfondo, la promessa del PAP di mantenere un avanzo fiscale robusto per finanziare sussidi mirati e infrastrutture digitali ha trovato ampia risonanza. Al tempo stesso, le misure per attenuare l’aumento dell’IVA al 9% e i pacchetti di sostegno alle famiglie meno abbienti hanno alleggerito la pressione sui bilanci domestici, ottenendo l’apprezzamento di un elettorato sempre più sensibile al costo della vita.

L’opposizione, che, come detto, è guidata dal Workers’ Party, ha confermato i suoi 10 seggi, ottenendo un risultato di consistenza ma non di espansione (11,22% delle preferenze complessive), e si è visto inoltre attribuito altri due seggi per garantire la rappresentanza minima di 12 deputati all’opposizione, come previsto dalla Costituzione. Il WP ha puntato su candidature giovani e competenze professionali, cercando di intercettare il malcontento di una fetta dell’opinione pubblica, in particolare tra i cittadini di età inferiore ai quarant’anni. Tuttavia, la sua capacità di crescita è risultata limitata anche dalla segretezza dei collegi di tipo Group Representation Constituency (GRC), strutturati per favorire squadre di candidati coese, spesso ostiche da sfidare per i partiti minori. Nonostante ciò, il mantenimento della quota del 10,3 % dei seggi rappresenta un indicatore significativo del desiderio di pluralismo politico.

Secondo gli analisti, le ragioni profonde dell’egemonia PAP risiedono nella formula di “patto sociale” che ha caratterizzato Singapore fin dalla guida del fondatore Lee Kuan Yew: in cambio di una compressione delle libertà civili, il governo garantisce ordine, sicurezza e un’economia efficiente. Nel corso degli anni, questo patto ha prodotto un’espansione del PIL pro capite da 500 dollari nel 1965 a oltre 90.000 ai giorni nostri, una rete di servizi pubblici performante e un’urbanistica all’avanguardia. Tuttavia, la generazione attuale si trova a mettere in discussione alcune rigidità del modello, lamentando squilibri sociali, mancanza di spazio per il dissenso e un costo della vita percepito come eccessivo, soprattutto nel mercato immobiliare.

Sul versante dei provvedimenti interni, Lawrence Wong ha dovuto bilanciare la tradizione del rigore finanziario con l’urgenza di rispondere al malumore per gli affitti e per la pressione fiscale sui consumi. L’adozione di rimborsi selettivi sui prelievi dell’IVA e la revisione del bando sulle abitazioni pubbliche hanno costituito i pilastri della campagna elettorale. L’attenzione al tema dell’invecchiamento demografico e del sostegno alle famiglie giovani ha inoltre rafforzato il profilo sociale del PAP, che ha promosso incentivi alla natalità e nuovi programmi di welfare.

La posizione internazionale di Singapore, strettamente intrecciata con la sua strategia domestica, è oggi caratterizzata da un delicato equilibrio tra grandi potenze. La città-stato ha consolidato la propria vocazione di “ponte” commerciale e diplomatico, mantenendo buoni rapporti tanto con gli Stati Uniti quanto con la Cina. Nel maggio 2025, la Marina di Singapore e la Marina dell’Esercito Popolare di Liberazione cinese hanno condotto l’esercitazione congiunta Exercise Cooperation-2025 nel Mar Cinese Meridionale, finalizzata a rafforzare le capacità antimina e le operazioni di ricerca e soccorso. Queste manovre hanno illustrato la volontà di Pechino e di Singapore di garantire la sicurezza delle rotte marittime, cruciali per il commercio globale, e di promuovere un clima di fiducia reciproca in una regione spesso fonte di tensioni.

La cooperazione bilaterale si estende anche sul fronte economico: Singapore attrae investimenti cinesi nei settori tecnologici, infrastrutturali e finanziari, proponendosi come hub per il Sud-Est Asiatico. Allo stesso tempo, la città-stato spinge per una politica di diversificazione, cercando nuovi partner e mercati, in particolare in Europa e in Medio Oriente, per ridurre la dipendenza da un singolo blocco economico. Questa strategia di “doppia apertura” permette a Singapore di salvaguardare la propria autonomia decisionale, pur restando saldamente ancorata alle dinamiche del libero scambio.

Nell’ambito dell’ASEAN, Singapore esercita un’influenza di primo piano. Solo poche settimane prima delle elezioni, a marzo 2025, il governo aveva sancito l’elevazione delle relazioni con il Vietnam a Partenariato Strategico Globale. Singapore ha inoltre sostenuto con forza il progetto di rafforzamento della cooperazione digitale e della sicurezza informatica all’interno del blocco ASEAN, promuovendo anche il rilancio dell’ASEAN Smart Cities Network per lo sviluppo urbano sostenibile. In qualità di membro fondatore, la città-stato è da sempre fautrice della centralità dell’associazione nei negoziati internazionali, ritenendo il coordinamento interno al gruppo la chiave di volta per equilibrare le pressioni delle potenze extra-regionali.

La politica estera singaporiana si caratterizza altresì per un impegno appassionato nelle tematiche globali, quali la lotta al cambiamento climatico e la tutela degli oceani. Singapore presiede il Comitato per la sicurezza marittima dell’ASEAN ed è tra i promotori di un Codice di Condotta che disciplini i comportamenti nei mari del Sud-Est Asiatico, cercando di mitigare i contrasti tra la Cina e gli altri Stati rivieraschi. In parallelo, la diplomazia di Lawrence Wong ha ribadito la vocazione multilaterale del Paese, sostenendo i negoziati sull’Accordo Transpacifico (CPTPP) e le intese per il commercio elettronico all’interno della regione.

Guardando oltre l’immediato, il PAP dovrà affrontare alcuni nodi cruciali. Innanzitutto, la crescente domanda di spazi di partecipazione democratica, alimentata dall’uso dei social media e da un’istruzione sempre più globalizzata. La prudenza con cui Singapore affronta la libertà di espressione rischia di risultare un freno alla sua attrattività come polo d’innovazione. In secondo luogo, il delicato bilanciamento tra mantenere un avanzo finanziario e investire in nuove infrastrutture tecnologiche e sociali. Infine, la competizione per il capitale umano, con la necessità di attrarre e trattenere talenti globali senza sacrificare la coesione interna.

Ad ogni modo, il rinnovato mandato conseguito il 3 maggio offre al governo di Lawrence Wong il tempo e l’autorevolezza necessari per mettere in pratica un’agenda riformista, capace di bilanciare la stabilità economica e sociale con un’apertura civile più ampia. Le sfide poste dalla geopolitica, tra rivalità Usa-Cina e ricomposizione degli equilibri regionali, richiedono una politica estera flessibile e lungimirante. Singapore ha dimostrato finora di sapersi muovere con acume nel labirinto delle grandi potenze, puntando su dialogo e partenariati selettivi. Il 2025 segna dunque non solo la conferma di un governo, ma l’avvio di una fase in cui la città-stato dovrà reinventare parte delle sue certezze per restare competitiva e coesa in un mondo in rapida trasformazione.

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