Pakistan e India verso un conflitto. Cui prodest?

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di Stefano Vernole (vicepresidente Centro Studi Eurasia e Mediterraneo)

Il Pakistan afferma che l’India stia preparando un “attacco militare a breve” e, se fosse vero, la regione dell’Asia meridionale precipiterebbe verso la catastrofe.

Il pretesto ufficiale? Un sanguinoso attacco a Pahalgam, in Kashmir, che ha ucciso 26 civili lo scorso 22 aprile. Ma se questo fosse solo l’ultimo “casus belli” di una strategia atlantista vecchia di decenni, pensata per fomentare il fervore nazionalista e distogliere l’attenzione da crisi più profonde?

L’avvertimento del Pakistan è netto: qualsiasi aggressione indiana verrà affrontata con la forza. Entrambe le parti sono intrappolate in una “guerra fredda” regionale all’ombra del riallineamento globale. La Cina e la Russia osservano preoccupate, invitando alla moderazione e proponendosi come mediatrici. E gli Stati Uniti d’America? Sorridono sullo sfondo, desiderosi di un’instabilità che mantenga divisa l’Eurasia e continui a “gonfiare” i profitti del complesso militare-industriale.

Il tempismo non potrebbe essere più sospetto. Il dollaro vacilla. L’Occidente sprofonda nel declino morale ed economico. I BRICS+ emergono sempre più come l’unica alternativa all’indegna governance mondiale nordamericana. Che tutto questo finisca in una scaramuccia o in una spirale più ampia, vi è una certezza: quando l’ordine unipolare vacilla, il caos diventa moneta corrente e la guerra diventa possibile.

In una manifestazione pubblica organizzata in fretta e furia in Bihar, dove si terranno le elezioni dell’assemblea statale entro la fine dell’anno, il Primo Ministro indiano Modi ha portato la retorica bellicosa a un nuovo livello: “Oggi, dal suolo del Bihar, dico al mondo intero: l’India identificherà, rintraccerà e punirà ogni terrorista e i suoi sostenitori. Li inseguiremo fino ai confini del mondo”. Ha aggiunto: “La punizione sarà significativa e severa, cosa a cui questi terroristi non avrebbero mai nemmeno pensato”. Il ministro della Difesa Rajnath Singh ha affermato: “I responsabili di tali atti riceveranno una forte risposta nel prossimo futuro. Non puniremo solo i mostri che hanno compiuto questo atto di brutalità e barbarie. Raggiungeremo anche coloro che si sono nascosti dietro una tenda per portare a termine questa cospirazione. Gli aggressori e i loro padroni saranno presi di mira”. Allo stesso modo, il Ministro degli Interni dell’Unione, Amit Shah, ha dichiarato: “I colpevoli di questo vile attacco terroristico non saranno risparmiati. E con una nazione che osserva attentamente, queste parole sono più di una promessa: sono un avvertimento” (1).

La tempistica dell’attacco di Pahalgam merita un’analisi approfondita. È avvenuto in un momento in cui il Primo Ministro Modi era in visita in Arabia Saudita, mentre il Vicepresidente statunitense J.D. Vance si trovava in India con la sua famiglia e poco prima che Donald Trump annunciasse una sospensione dei dazi a Nuova Delhi. Inoltre, mentre le elezioni in Bihar sono previste per ottobre-novembre 2025, molti Stati chiave come Assam, Kerala, Tamil Nadu e Bengala Occidentale dovrebbero andare alle urne nel 2026. Sul fronte interno, si sono registrate forti proteste a livello nazionale da parte dei musulmani in merito al Waqf Act, recentemente approvato, perché considerato l’ennesima legge anti-musulmana dopo il Citizenship Amendment Act (CAA). Il Governo indiano ha ricevuto un forte incentivo a creare distrazione e distogliere l’attenzione pubblica. Dopo aver incriminato il Pakistan senza una vera indagine e senza fornire prove, l’India ha proclamato una serie di misure ritorsive. In particolare, ha deciso di sospendere il Trattato sulle acque dell’Indo (IWT) del 1960 e ha annunciato la chiusura dell’Integrated Check Post di Attari. A tutti coloro che avevano attraversato il confine con visti validi è stato consigliato di rientrare attraverso quella rotta entro il 1° maggio 2025. L’India ha aggiunto che ai cittadini pakistani non sarà consentito viaggiare nel Paese con i visti SAARC Visa Exemption Scheme (SVES) e che tutti i visti rilasciati a cittadini pakistani sono considerati annullati, mentre ai cittadini pakistani attualmente in India sono state concesse solo 48 ore per andarsene.

I Consiglieri per la Difesa/Militare, Navale e Aerea dell’Alto Commissariato del Pakistan a Nuova Delhi sono stati dichiarati “persona non grata” e hanno avuto una settimana di tempo per lasciare l’India. Nuova Delhi ha anche deciso di ritirare i propri Consiglieri per la Difesa/Marina/Aerea dall’Alto Commissariato indiano a Islamabad.

In risposta, il Pakistan, a seguito della riunione del Comitato per la Sicurezza Nazionale, ha respinto la decisione dell’India di “congelare” l’IWT, sottolineando che non esiste alcuna clausola nell’accordo che ne consenta la sospensione unilaterale. Il Pakistan ha avvertito che qualsiasi deviazione delle acque sarebbe stata considerata un “atto di guerra” e ha deciso di chiudere il suo spazio aereo all’India. Sebbene il Pakistan avesse già bloccato gli scambi bilaterali a seguito delle misure illegali e unilaterali dell’India del 5 agosto 2019 riguardanti l’IIOJK (la Regione del Jammu-Kashmir), ha ora annunciato la sospensione di tutte le forme di commercio, inclusi gli scambi con Paesi terzi attraverso il territorio pakistano (2).

Il Pakistan ha inoltre chiesto ai cittadini indiani di lasciare il Paese, ad eccezione dei Sikh Yatri e ha osservato di riservarsi il diritto di sospendere gli accordi bilaterali, incluso quello di Simla. Il Pakistan ha poi espresso la sua ferma determinazione a difendere la propria sovranità e integrità territoriale da qualsiasi “disavventura”. Negli ultimi giorni, le crescenti tensioni bilaterali sono state accompagnate da segnalazioni di un intensificarsi degli scontri a fuoco lungo la Linea di Controllo (LoC).

Secondo Islamabad, sarà solo questione di tempo prima che il mondo apprenda che anche questo attacco a Pahalgam faceva parte della consueta strategia della destabilizzazione attraverso un’operazione sotto falsa bandiera. Il Pakistan, impegnato in una risoluta lotta contro il terrorismo proveniente dal suo confine occidentale, difficilmente può permettersi di aprire un nuovo fronte sui suoi confini orientali: le accuse indiane appaiono effettivamente prive di logica.

Il problema è che se non verrà condotta un’inchiesta internazionale neutrale e indipendente sull’accaduto – come richiesto subito da Pechino – per verificare le eventuali responsabilità di “parti terze” nell’attentato, Nuova Delhi e Islamabad continueranno a scambiarsi accuse reciproche, alimentando la retorica nazionalista e dirigendosi verso un conflitto aperto estremamente pericoloso, trattandosi di due potenze nucleari. Esercitazioni di guerra dell’esercito di Islamabad sono attualmente in corso nelle aree di Sialkot, Narowal, Zafarwal e Shakargarh al confine tra Pakistan e India.

Si tratta, quindi, di un banco di prova importante per la strategia d’integrazione eurasiatica, in quanto India e Pakistan appartengono entrambe all’Organizzazione per la Cooperazione di Shangai; peraltro, Islamabad ha da tempo manifestato la propria disponibilità ad entrare nei BRICS e a partecipare al Corridoio Internazionale Nord-Sud, iniziative alle quali l’India ha già aderito da anni.

NOTE AL TESTO

(1) Mahwish Hafeez, Pahalgam Incident: Another False Flag Operation?, ISSI, Islamabad, 29 aprile 2025.
(2) Stefano Vernole, KASHMIR SENZA PACE: UN FOCUS SUL DIRITTO INTERNAZIONALEwww.cese-m.eu, 7 febbraio 2025.

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