Le conseguenze economiche della crisi in Medio Oriente

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di Alessandro Marini

Le conseguenze economiche del conflitto in Medio Oriente sono complesse e intrecciate con fattori politici, storici, religiosi e sociali. Diversi aspetti economici possono essere considerati tra i principali motori e fattori di alimentazione delle tensioni in questa regione.

Partendo dal fattore più importante, la rivalità per le risorse naturali, sappiamo che il medio oriente è ricco di quest’ultime soprattutto di petrolio e gas naturale che hanno un’importanza cruciale per le economie globali. Le nazioni della regione come l’Arabia Saudita, l’Iran, l’Iraq, gli Emirati Arabi Uniti e il Kuwait sono alcuni dei principali produttori mondiali di petrolio. La competizione per il controllo di queste risorse ha alimentato conflitti tra diversi stati ma anche tra gruppi locali e potenze straniere che desiderano accedere a questi beni. I paesi del Medio Oriente sono vitali per l’approvvigionamento energetico globale. Le fluttuazioni dei prezzi di petrolio hanno un impatto diretto sull’economia di questi paesi e sulle politiche internazionali. Inoltre, il controllo delle rotte di trasporto energetico, come il canale di Suez e lo stretto di Hormuz, è un’operazione strategica che può scatenare conflitti. Le risorse idriche sono un altro punto di contesa, l’accesso all’acqua è particolarmente critico in una regione dove le risorse idriche sono scarse. I fiumi come l’Eufrate e il Tigri sono fonti vitali per la Siria o la Turchia infatti i conflitti su come gestire e distribuire l’acqua sono frequenti. Il medio Oriente presenta forti disparità economiche sia tra i paesi che all’interno di essi.

Alcuni stati come i paesi del golfo, sono tra i più ricchi del mondo grazie al petrolio, mentre altri come la Palestina, lo Yemen o la Siria soffrono di gravi problemi economici: alta disoccupazione, povertà e mancanza di opportunità. La povertà e la disuguaglianza sono fattori che alimentano il risentimento sociale e la radicalizzazione, dando supporto a movimenti politici estremisti come Hamas in Palestina o Hezbollah in Libano.

È presente anche il problema della disoccupazione tra i giovani che colpisce in misura diversa più stati come la Siria che raggiunge il 33,5% o la Giordania che addirittura raggiunge il 40,8%, questi senza prospettive di lavoro sono più vulnerabili alla propaganda e possono essere facilmente reclutati da gruppi estremisti.

L’intervento di potenze straniere come gli USA, la Russia, la Cina e altri attori regionali ha avuto conseguenze economiche devastanti. Le guerre in Siria, Iraq, Libia e Yemen hanno causato gravi danni alle infrastrutture, al commercio e all’agricoltura, spingendo milioni di persone in povertà e disperazione. Inoltre gli interventi stranieri sono spesso motivati dalla protezione degli interessi economici, come l’accesso alle risorse naturali o il controllo delle rotte commerciali strategiche. Inoltre le sanzioni imposte a paesi come l’Iran, che ha un importante economia basata sul petrolio, hanno avuto un impatto devastante sull’economia, ma anche sulla popolazione che soffre a causa di restrizioni commerciali e difficoltà di approvvigionamento.

I conflitti territoriali come quello israelo-palestinese sono strettamente legati a questioni economiche. La competizione per il controllo della Terra Santa, della Cisgiordania e della Striscia di Gaza, non è solo una questione politica e religiosa ma anche una questione economica legata all’accesso alle risorse agricole, minerarie e idriche.

I conflitti come la guerra in Siria, la rivalità tra l’Iran e l’Arabia Saudita e le tensioni tra Israele e i suoi vicini sono spesso influenzati da considerazioni economiche legate a risorse naturali e a influenze strategiche sulle rotte commerciali. Le guerre e i confini hanno anche avuto un impatto sull’economia dei paesi vicini, come la Turchia, il Libano e la Giordania che hanno ospitato milioni di rifugiati dalla Siria, dall’Iraq, dallo Yemen e da altri paesi in conflitto. L’accoglienza di grandi numeri di rifugiati ha esercitato una forte pressione sulle risorse economiche di questi paesi, portando a conflitti sociali e tensioni interne.

Molti rifugiati, che non possono accedere al mercato del lavoro ufficiale, sono costretti a vivere in condizioni di povertà, alimentando l’economia informale e creando tensioni con le popolazioni locali. Di rilievo è il ruolo delle armi e dell’industria bellica: il commercio delle armi è una componente fondamentale dei conflitti in Medio Oriente. Le vendite di armi a paesi come l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti e altri alimentano la guerra e il conflitto, e le industrie belliche nei paesi occidentali traggono enormi profitti da questo commercio. Allo stesso tempo i conflitti prolungati minano le economie locali, riducendo la capacità di sviluppo e aumentando la dipendenza da aiuti esterni.

Arrivando ad oggi, l’attacco terroristico del 7 ottobre 2023, quando il gruppo estremista Hamas ha lanciato un’offensiva a sorpresa contro Israele, con un massiccio bombardamento e incursioni armate, ha avuto significative conseguenze economiche sia per Israele che per la regione circostante. La violenza e il conflitto hanno avuto impatti immediati sull’economia israeliana, palestinese e sul contesto regionale più ampio, influenzando vari settori chiave. Quella dello stato ebraico è una delle economie più avanzate del Medio Oriente, ma l’attacco ha avuto effetti immediati e gravi su diversi settori. Riguardo la sicurezza e la difesa Israele ha dovuto aumentare la spesa per la sicurezza per rispondere all’attacco, attivando operazioni militari contro Gaza e mobilitando riserve militari.

La guerra ha portato a un incremento delle spese pubbliche destinate alla difesa e alla sicurezza, con un impatto significativo sul bilancio nazionale. Inoltre le incursioni hanno danneggiato infrastrutture civili e militari aumentando i costi di ricostruzione. La distruzione di abitazioni, negozi e altre strutture ha creato un bisogno immediato di investimenti per il recupero e la ricostruzione. La guerra ha anche causato interruzioni immediate delle attività economiche, con la chiusura temporanea di fabbriche, uffici e negozi nelle aree colpite.

Molti lavoratori sono stati costretti a rimanere in casa o a rifugiarsi riducendo la produttività. Il settore del turismo, già vulnerabile a causa della pandemia di Covid-19 ha subito un grave colpo. La violenza ha dissuaso i turisti dall’arrivare in Israele e le prenotazioni aeree sono diminuite drasticamente. Tuttavia anche altri paesi come la Giordania, il Libano e l’Egitto hanno risentito della crisi in termini di turismo che rappresenta rispettivamente il 10%, il 15% e il 40% del PIL.

Altro settore colpito è quello dei mercati finanziari, le borse israeliane hanno visto forti fluttuazioni subito dopo l’attacco, con un significativo calo iniziale delle azioni, in particolare nei settori vulnerabili come quello turistico, dell’energia e delle costruzioni. L’intensificarsi del conflitto ha aumentato la percezione di rischio associata a Israele da parte degli investitori internazionali, con una possibile riduzione degli investimenti diretti esteri (IDE). Il tasso di interesse potrebbe aumentare a causa dell’aumento del rischio geopolitico e della spesa pubblica per la sicurezza. Anche se Israele è meno dipendente dalle importazioni di energia rispetto ad altri paesi della regione, l’incertezza geopolitica ha sollevato preoccupazioni per la sicurezza delle sue infrastrutture energetiche, come i gasdotti e gli impianti di stoccaggio. L’aumento di tensioni in Medio Oriente ha avuto un impatto sul mercato globale dell’energia, con un potenziale aumento dei prezzi del petrolio e del gas a causa delle incertezze legate alla sicurezza della regione.

Ricordiamo come il Medio Oriente sia un hub globale per l’export di petrolio e gas, infatti detiene il 48% delle riserve globali di petrolio e il 40% delle riserve di gas naturale. Paesi come l’Arabia Saudita, l’Iran, l’Iraq, il Kuwait, il Qatar e gli Emirati Arabi Uniti sono tra i principali produttori ed esportatori. Esistono estese reti di oleodotti e gasdotti, terminal portuali per l’export di GNL e raffinerie moderne, il Qatar, ad esempio, è uno dei principali esportatori mondiali di GNL. Inoltre la regione è situata vicino a rotte marittime cruciali come lo Stretto di Hormuz dove transita circa il 20% del commercio globale di petrolio, o il canale di Suez e l’oleodotto SUMED che sono vie fondamentali per il trasporto verso l’Europa. Alcuni paesi del Medio Oriente sono membri chiave dell’Opec+, che influenza i prezzi globali tramite politiche di produzione. L’Arabia Saudita, in particolare agisce spesso come swing producer, regolando l’offerta per stabilizzare i prezzi.

 Osservando alcuni dati riguardo lo Stato Ebraico possiamo notare come nel 2024 l’economia israeliana è cresciuta dell’1% sostenuta principalmente dall’aumento della spesa militare, ma al di sotto della crescita dell’1,8% registrata nel 2023. Si prevede una ripresa con una crescita del 4% nel 2025 e del 4,5% nel 2026, a condizione che il conflitto si concluda. Il deficit è aumentato al 6,9% del PIL nel 2024, rispetto al 4,2% nel 2023, principalmente a causa di spese militari.

Il conflitto ha comportato costi significativi, con stime che variano tra 67 miliardi e 120 miliardi di dollari. Riguardo i settori economici colpiti circa 46 000 imprese israeliane hanno cessato attività, con previsioni che il numero possa salire a 60 000 entro la fine dell’anno. Importante sottolineare che circa 287 000 riservisti sono stati chiamati alle armi, riducendo la forza lavoro disponibile. Gli investimenti in start up sono diminuiti del 61%, con un impatto negativo sulla crescita del settore tecnologico. Le esportazioni sono diminuite del 18% mentre le importazioni sono calate del 42% influenzando negativamente il commercio estero. Il settore turistico ha subito un calo superiore al 75%, con una significativa diminuzione dei visitatori.

Soffermandoci sulla Palestina invece, è bene ricordare che l’economia della striscia di Gaza e della Cisgiordania era già in una situazione di grave difficoltà prima dell’attacco, a causa delle sanzioni, del blocco israelo-palestinese e delle tensioni politiche interne, tuttavia l’escalation del conflitto ha aggravato notevolmente la situazione economica.

La guerra ha provocato la distruzione massiccia delle infrastrutture a Gaza, inclusi ospedali, scuole, case e altre strutture vitali. La ricostruzione di queste infrastrutture richiederà ingenti risorse finanziarie che sono scarse a causa del blocco economico. Poi la fornitura di energia elettrica, acqua e cibo è stata gravemente compromessa, con milioni di palestinesi che affrontano gravi difficoltà nella vita quotidiana. Il conflitto ha messo in pausa molte attività economiche a Gaza, con un forte aumento della disoccupazione. La devastazione economica ha colpito soprattutto i settori del commercio, dell’edilizia e dell’industria dove molti palestinesi trovano impiego. L’escalation del conflitto ha spinto migliaia di palestinesi a fuggire dalle zone più colpite, creando ulteriori oneri sociali e aumentando il numero di rifugiati interni.

Questo ha reso ancora più difficile per le organizzazioni umanitarie fornire aiuti adeguati. Gaza e la Cisgiordania dipendono fortemente dagli aiuti internazionali per sostenere le loro economie. Con l’intensificarsi del conflitto, la comunità internazionale è chiamata a fornire maggiore sostegno umanitario, ma i conflitti geopolitici possono influenzare negativamente il flusso di aiuti. Nello specifico vediamo alcuni dati: il Pil della Striscia di Gaza è crollato dell’81%, nel quarto trimestre del 2023, passando da circa 670 milioni a 90 milioni di dollari.

Nel 2024, la disoccupazione ha raggiunto l’80%, con oltre 200 000 posti di lavoro persi. Il settore privato ha subito perdite per circa 1,5 miliardi di dollari nei primi due mesi del conflitto, pari a circa 25 milioni di dollari al giorno. In Cisgiordania la disoccupazione è aumentata dal 12,9% pre-conflitto al 32%. Il 96% delle imprese ha ridotto le proprie attività, principalmente a causa delle restrizioni nei movimenti e dell’aumento della violenza. Il numero di checkpoint è aumentato da 567 a 700, ostacolando ulteriormente il commercio e l’economia locale.

La distruzione delle abitazioni è la peggiore dalla Seconda Guerra Mondiale. Oltre il 95% delle scuole è danneggiato e il sistema sanitario è al collasso. La ricostruzione richiederà almeno un decennio, con costi stimati tra 40 e 50 miliardi di dollari. L’espansione degli insediamenti israeliani e la violenza dei coloni hanno danneggiato gravemente l’agricoltura e le attività economiche. A Gerusalemme est, l’80% delle imprese ha ridotto o chiuso le proprie attività.

Israele ha trattenuto oltre 1,4 miliardi di dollari in entrate fiscali tra il 2019 e aprile 2024, pari all’8,1% del PIL palestinese nel 2023. Ciò ha portato a un deficit di bilancio significativo, ritardi nei pagamenti ai dipendenti pubblici e riduzione dei servizi essenziali. L’aiuto internazionale è diminuito drasticamente, passando da 2 miliardi di dollari nel 2008 a soli 358 milioni nel 2023. A gaza il 64-70% dei terreni agricoli e il 58% delle serre sono stati danneggiati. La distruzione di pozzi e reti idriche ha compromesso ulteriormente la produzione agricola. Il settore agricolo rappresentava circa l’11% del Pil di Gaza ma la sua capacità produttiva è stata gravemente ridotta.

L’intensificarsi del conflitto tra Israele e Hamas ha avuto ripercussioni anche su altri paesi della regione e sull’economia globale. I paesi vicini a Israele come il Libano, la Siria e la Giordania potrebbero essere coinvolti indirettamente nel conflitto.

Il Libano in particolare, con il gruppo Hezbollah è un attore geopolitico chiave e ha potenzialmente il potere di alimentare il conflitto e ciò aumenterebbe i rischi economici per la regione. I paesi limitrofi come Giordania ed Egitto potrebbero dover affrontare un aumento dei rifugiati, con impatti economici significativi su questi paesi già sotto pressione a causa delle difficoltà interne. I paesi occidentali, in particolare gli USA e l’UE potrebbero dover incrementare gli aiuti economici a Israele, a Gaza e ai rifugiati e cercare di mediare una soluzione diplomatica al conflitto.

Altro punto importante è la svalutazione delle valute locali in Medio Oriente, come la lira turca e rial iraniano, sempre in seguito alla crisi che ha colpito la regione: la lira turca ha perso oltre il 90% del suo valore rispetto al dollaro USA dal 2013, nel 2024 ha continuato a svalutarsi nonostante un cambio di politica monetaria, con tassi d’interesse alzati oltre il 50% per cercare di contenere l’inflazione.

Mentre il rial ha raggiunto livelli storici di svalutazione, superando i 777 000 rial per dollaro nel dicembre 2024, rispetto ai circa 703 000 rial al momento dell’elezione di Donald Trump nel novembre del 2024. Questa caduta è stata alimentata da fattori interni ed esterni tra cui: tensioni geopolitiche, il conflitto tra Israele e Hamas, le azioni delle milizie sostenute dall’Iran e le preoccupazioni per un conflitto diretto con gli Stati Uniti hanno aumentato l’incertezza economica.

La crisi in Medio Oriente ha avuto un impatto significativo sul commercio internazionale e sulle catene di approvvigionamento globali, con conseguenze evidenti nel 2024 e nel 2025. Il conflitto nel Mar Rosso, alimentato dagli attacchi dei ribelli Houthi, ha portato a una drastica riduzione del traffico marittimo attraverso il Canale di Suez, con una diminuzione del 70% rispetto ai livelli pre-crisi. Di conseguenza, oltre 2000 navi hanno dovuto deviare intorno al Capo di Buona Speranza, aumentando i tempi di transito di circa 10-14 giorni e i costi di trasporto fino a 5040 dollari per TEU, rispetto ai circa 1095 pre-crisi.

Le deviazioni delle rotte marittime hanno comportato un aumento dei costi di trasporto, ad esempio una nave portacontainer che percorre la rotta Asia-Europa attraverso il Capo di Buona Speranza può incorrere in costi aggiuntivi di 400 000 dollari per le emissioni di CO2, secondo il sistema di scambio di emissioni dell’UE. Per far fronte a queste sfide, molte aziende stanno rivedendo le loro strategie di approvvigionamento. Alcune stanno adottando modelli di friendshoring spostando la produzione verso paesi politicamente stabili, mentre altre stanno aumentando le scorte per mitigare i rischi di interruzione.

Aspetto degno di nota riguarda la competizione tra Stati Uniti e Cina per l’influenza in Medio Oriente che si è intensificata negli ultimi 2 anni, con entrambe le potenze globali che cercano di consolidare alleanze strategiche e garantire l’accesso alle risorse energetiche della regione. La Cina ha ampliato significativamente la sua presenza economica e diplomatica in Medio Oriente. Nel 2023 ha facilitato l’accordo di normalizzazione tra Arabia Saudita e Iran, consolidando il suo ruolo di mediatore regionale. Nel 2024, la Cina ha invitato Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti a entrare nel blocco BRICS, segnando un rafforzamento delle relazioni con questi storici alleati degli Stati Uniti.

Sul fronte energetico, la Cina è diventata il principale partner commerciale del Consiglio di Cooperazione del Golfo e l’acquirente principale del petrolio iraniano, aggirando le sanzioni occidentali attraverso un sistema di pagamento in yuan e navi cisterna non tracciate. Inoltre, la Cina ha intensificato la cooperazione tecnologica con gli EAU, inclusi accordi nel settore dell’intelligenza artificiale e della difesa. gli Stati Uniti hanno cercato di rafforzare le loro alleanze storiche in Medio Oriente. Nel maggio 2025 il presidente Donald Trump ha annunciato l’intenzione di allentare le restrizioni sulle esportazioni di microchip verso alcuni paesi del Golfo, come parte di un tentativo di rafforzare i legami con questi stati e contrastare l’influenza cinese nella regione.

Tuttavia, gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni a due aziende cinesi nel 2024 per aver fornito materiali e componenti a uso duale necessari per la produzione di missili e droni avanzati destinati agli Houthi in Yemen. Nonostante i suoi sforzi, la Cina affronta sfide significative nel mantenere un equilibrio tra le sue alleanze in Medio Oriente. Il suo sostegno al regime iraniano, inclusi gli acquisti di petrolio e la cooperazione tecnologica, potrebbe complicare le relazioni con altri paesi della regione che vedono l’Iran come una minaccia. Inoltre, la crescente presenza militare cinese, come la costruzione di strutture negli Emirati Arabi Unit, ha suscitato preoccupazioni tra gli alleati occidentali.

Ampliando la descrizione su paesi emergenti come Egitto, Turchia e Pakistan vediamo come stanno affrontando gravi rischi economici a causa dell’aumento dei prezzi alimentari ed energetici, aggravati dalla crisi in Medio Oriente. L’Egitto, il più grande importatore mondiale di grano, dipende fortemente dalle forniture provenienti da Russia e Ucraina. Le interruzioni delle rotte commerciali nel Mar Rosso e l’aumento dei prezzi globali hanno messo a dura prova la sicurezza alimentare del paese. Nel 2024, il presidente al-Sisi ha ordinato un acquisto straordinario di 3,8 milioni di tonnellate di grano, ma è riuscito a ottenere solo il 7% della quantità desiderata, a causa di prezzi elevati e condizioni di pagamento sfavorevoli.

Sul fronte energetico, l’Egitto ha dovuto affrontare carenze di gas e blackout quotidiani, nonostante le aspettative iniziali di autosufficienza energetica grazie al giacimento di Zohr. La produzione di gas è diminuita mentre la domanda di energia è aumentata rapidamente, costringendo il paese a importare gas naturale liquefatto per un valore di 1,2 miliardi di dollari. La Turchia ha visto un’impennata dei prezzi alimentari e dell’energia, con un’inflazione alimentare superiore al 60% nel 2023. La crisi valutaria ha aggravato la situazione, aumentando il costo delle importazioni e riducendo il potere d’acquisto della popolazione.

Le politiche economiche interne, tra cui tassi di interesse bassi e un controllo statale sui prezzi, hanno contribuito a una crescente instabilità economica. Il Pakistan sta affrontando una grave crisi energetica, con interruzioni di corrente frequenti e una crescente domanda di energia che supera l’offerta. Le importazioni di energia sono diventate più costose a causa dell’aumento dei prezzi globali, mettendo sotto pressione le finanze del paese. inoltre, l’instabilità politica e la gestione inefficace delle risorse hanno aggravato la situazione, portando a disordini sociali e a una crescente insoddisfazione popolare.

In conclusione possiamo dire che le conseguenze economiche immediate dell’attacco del 7 ottobre sono state gravi per Israele e la Palestina, con impatti devastanti su vari settori economici. L’economia israeliana ha subito danni diretti a causa della guerra e delle interruzioni economiche, mentre la Striscia di Gaza e la Cisgiordania hanno affrontato una crisi umanitaria ed economica ancora più grave. Il conflitto ha anche avuto effetti destabilizzanti sulla regione e sull’economia globale, in particolare per quanto riguarda il rischio geopolitico e i mercati delle materie prime. A lungo termine, la ricostruzione e la stabilizzazione economica dipenderanno fortemente dal supporto internazionale e dalle dinamiche politiche in corso.

Paese/RegioneIndicatore EconomicoDato/Impatto
Palestina (Gaza)Contrazione del PIL-86% nel Q2 2024
Tasso di povertàDal 38% al 61%
LibanoContrazione del PIL-5% nel 2024
Settore agricolo80% del PIL regionale paralizzato
TurismoCrollo del 25% del PIL legato al turismo
GiordaniaCrescita del PILRallentamento al 2,4% nel 2024
TurismoCalo del 7,2% dei flussi turistici
EgittoTraffico del Canale di Suez-50% nel 2024
Rendita del CanaleDa $9,4 mld a $7,2 mld (-23,4%)
IsraeleRating S&PA/A-1 con outlook negativo
Crescita del PILPrevista al 3,3% nel 2025
Regione MENACrescita del PIL2,7% nel 2024 (in aumento da 1,9% nel 2023)
Debito pubblicoFino al 90% del PIL nei paesi importatori di petrolio
Commercio esteroCalo del 40% nel volume degli scambi
ItaliaImpatto sul PIL-0,2 punti nel 2025, -0,5 nel 2026
Costo crisi Mar Rosso€95 milioni al giorno per l’export
Canale di Suez / Mar RossoNavigazione container-90% tra dicembre 2023 e febbraio 2024
Merci deviate$1.000.000 di costi extra per viaggio
Prezzi del trasporto+256% sulle rotte Shanghai-Europa
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