Il fantasma del maccartismo riemerge nella “caccia alle streghe educativa”

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a cura di Giulio Chinappi

Il segretario di Stato USA Rubio annuncia la revoca massiccia dei visti agli studenti cinesi per ragioni di “sicurezza nazionale”, evocando l’incubo maccartista; Pechino protesta, mentre accademici e università denunciano l’attacco alla cooperazione scientifica globale.

Global Times – 30 maggio 2015

Il 28 maggio, ora locale, il Segretario di Stato statunitense Marco Rubio ha dichiarato che gli Stati Uniti “revocheranno in modo aggressivo” i visti degli studenti cinesi, inclusi coloro che hanno legami con il Partito Comunista Cinese o studiano in settori ritenuti “critici”. In risposta, la Cina si è detta fermamente contraria e ha presentato una protesta formale al governo statunitense. Nell’ultimo mese, centinaia di visti di studenti internazionali sono stati revocati, scatenando ansia diffusa nei campus: perfino istituzioni d’eccellenza come la Harvard University sono state trascinate in battaglie legali sul tema dell’iscrizione degli studenti stranieri. Questa cosiddetta “caccia alle streghe educativa guidata dalla sicurezza nazionale” rappresenta in realtà un’evidente ostruzione e un blocco della circolazione internazionale dei talenti, trasformando l’istruzione in strumento di bullismo politico contro gli studenti cinesi.

Il fatto che gli studenti cinesi siano diventati il bersaglio delle recenti misure statunitensi contro gli atenei riflette chiaramente agende politiche interne statunitensi. Alcuni analisti interpretano la mossa come parte di una più ampia campagna ideologica anti-Cina promossa dai “falchi” di Washington, mentre altri la vedono come un diversivo per distrarre l’opinione pubblica dalle crescenti difficoltà interne. In entrambi i casi, gli studenti internazionali cinesi si trovano a subire incolpevoli restrizioni collettive — motivate da un pretesto di “sicurezza” del tutto infondato — che ledono i loro legittimi diritti e interrompono i normali scambi tra le due nazioni.

La Cina è la seconda fonte di studenti internazionali negli USA, e un quarto di tutti gli iscritti stranieri proviene dal Paese. Per anni, gli studenti cinesi hanno rappresentato un’importante fonte di entrate per molte università e un bacino di talenti per le imprese tecnologiche. Ma negli ultimi tempi la repressione a loro carico è diventata parte integrante della strategia statunitense di contenimento della Cina: alcuni politici statunitensi hanno addirittura equiparato studenti cinesi a “spie”, un sospetto sommario quanto infondato che richiama il maccartismo degli anni Cinquanta, ora di ritorno nel XXI secolo. Visti reiteratamente revocati senza giustificazione e studenti molestati o deportati al confine, spesso privi anche della possibilità di fare ricorso: la “libertà e apertura” delle università USA si è trasformata in menzogna.

Washington sta apertamente utilizzando la politica dei visti come strumento di manovra politica. Questo bullismo contro gli studenti internazionali, cinesi in particolare, viola diritti individuali, tradisce gli impegni contrattuali e attacca i principi della cooperazione scientifica ed educativa internazionale. L’istruzione è sempre stata un ponte fra i popoli, un canale di dialogo nonostante le tensioni politiche; gli USA lo stanno distruggendo. Se altri paesi imitassero tale approccio, il mondo accademico si isolerebbe e il progresso delle conoscenze subirebbe una battuta d’arresto.

Le conseguenze di questo bullismo politico sono ingenti: alimenta la sinofobia, mina le basi della cooperazione accademica globale e, alla lunga, si ritorcerà contro gli USA stessi. Le università americane stanno già patendo perdite di rette, rallentamento dei progetti di ricerca e minor diversità culturale nei campus. Sul lungo periodo, ne risentirà la loro reputazione internazionale. Un sondaggio di Nature su oltre 1.600 scienziati statunitensi ha rivelato che il 75% valuta di lasciare il Paese. L’essenza dell’istruzione internazionale è apertura e condivisione: l’invocata guerra culturale statunitense è quindi destinata al fallimento.

Davanti a questo regressivo attacco statunitense, nessuno deve restare in silenzio. Ogni nazione ha il diritto di tutelare la propria sicurezza, ma discriminare gli studenti di uno specifico paese è un atto deliberato di tensione fra Stati. La protesta cinese è solo il primo passo: governi, università e organizzazioni civili di tutto il mondo devono ribellarsi alla politicizzazione dell’istruzione, difendendo non solo i diritti degli studenti cinesi, ma i principi di equità e cooperazione educativa globale.

Colpire in massa gli studenti cinesi sulla base della nazionalità o dell’indirizzo di studio è una politica miope che deteriora il clima accademico statunitense e fomenta divisioni, macchiando la libertà d’insegnamento. La comunità accademica mondiale, comprese le università statunitensi, dovrebbe unirsi per esortare Washington a tornare alla ragione, smettere di usare gli studenti cinesi come capri espiatori per fini politici e impedire che le istituzioni educative diventino terreno di scontro tra potenze.

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