Intervista ad Alejandro Palacios: esperto in marketing e comunicazione – fotoreporter | a cura di Cristiano Procentese
In un’Argentina segnata da profonde fratture sociali ed economiche, l’ascesa di Javier Milei ha ridisegnato gli equilibri politici tradizionali. Ne parliamo con Alejandro Palacios, professionista decisamente impegnato nella narrazione sociale del suo Paese.
Introduzione
In un’Argentina segnata da profonde fratture sociali ed economiche, l’ascesa di Javier Milei ha ridisegnato gli equilibri politici tradizionali. Ne parliamo con Alejandro Palacios, professionista decisamente impegnato nella narrazione sociale del suo Paese.
Con uno sguardo attento alle dinamiche di lungo periodo, dunque, egli analizza le radici del cambiamento e il malessere di una società che, stanca delle troppe promesse disattese, si è rivolta verso nuove forme di “radicalismo”.
Alejandro, da argentino ed esperto di comunicazione, come interpreta la figura di Javier Milei? È davvero un rivoluzionario che rompe gli schemi o semplicemente il prodotto estremo di una lunga crisi nazionale?
Concordo sul fatto che il presidente Milei sia il prodotto di una lunga crisi, come lei suggerisce, e dell’esasperazione di una parte della società che non si è mai sentita rappresentata dalle modalità dei partiti populisti che hanno governato il Paese per decenni.
Un’importante fetta di elettorato (da sempre decisiva nelle elezioni) — che potremmo definire moderato, pari circa al 25% o anche più — in passato aveva guardato con favore alle idee più vicine alla sinistra e oggi invece si è spostata verso una destra radicale caratterizzata da un linguaggio duro e di rottura. Elettori che hanno cambiato in primis perché spinti dalla sfiducia generata dalla percezione di impunità nei confronti di casi di corruzione, nonché dal modo con cui i settori populisti hanno affrontato temi sensibili come il diritto all’aborto o il sistema dei sussidi sociali.
Sebbene molte persone non fossero inizialmente contrarie a tali politiche, queste ultime sono state però vissute come manovre politiche dietro cui si celavano interessi e affari a vantaggio del governo in carica (guidato all’epoca dall’ex Presidente Cristina Kirchner)
Tutto questo malcontento, unito al fallimento economico, ha aperto la strada a idee radicali rappresentate dalla “motosega” e caratterizzate da tagli drastici in quasi ogni settore.
Da quando Milei ha assunto la presidenza, quali cambiamenti ha notato nel clima sociale? Lei percorre il Paese con la sua macchina fotografica: quali emozioni e atmosfere percepisce nelle strade, tra la gente?
La mia sensazione è che le divisioni restino profonde. Da un lato, c’è chi è soddisfatto dell’attuale politica monetaria che ha portato a una riduzione dell’inflazione e a una maggiore accessibilità del dollaro (che in Argentina è la moneta di riferimento).
Dall’altro lato c’è però chi si sente esattamente all’opposto, osservando l’insensibilità con cui le autorità affrontano questioni come le pensioni, le politiche di sostegno sociale e gli investimenti per i settori più fragili della fragilità; questioni non affrontate adeguatamente mentre i costi di energia, beni alimentari, servizi di base e trasporti sono decisamente aumentati (in primis a causa della rimozione dei sussidi).
Tutto ciò ha colpito direttamente i settori più vulnerabili, con i prezzi di beni come alimenti, affitti e carburanti che sono aumentati significativamente anche in dollari, rendendo oggi l’Argentina uno dei Paesi più costosi in cui vivere.
Cosa può apportare l’arte — e in particolare la fotografia — in un momento di tanta polarizzazione e tensione in Argentina? Crede che il suo lavoro possa aiutare a riflettere sulla situazione attuale e in generale sulle tematiche sociali?
C’è un detto che recita: “Argentina, non la capiresti”. Questo perché, nonostante viviamo in un contesto che dall’esterno appare terribilmente caotico, per noi è semplicemente la normalità. Siamo un popolo abituato a reagire e a trovare soluzioni alle difficoltà come pochi altri al mondo. Non è un caso che, in una popolazione relativamente piccola (circa 50 milioni di abitanti), abbiamo espresso figure di rilievo internazionale in tante aree — Papa Francesco, Messi, Borges e la regina dei Paesi Bassi, solo per citarne alcuni —; persone che non solo si sono distinte nei rispettivi ruoli, ma hanno anche provocato cambiamenti significativi nei loro ambiti.
Detto questo, la tensione e la polarizzazione in Argentina non ha raggiunto livelli di drammaticità paragonabili a quelli di altri Paesi.
Rispondendo alla domanda, non credo che il mio lavoro possa stimolare realmente una riflessione, però lo porto avanti con tanta passione e convinzione come se davvero potesse cambiare il mondo.
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