La nuova politica estera del Sudafrica sotto la leadership di Cyril Ramaphosa

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di Giulio Chinappi

Negli ultimi trent’anni, la politica estera del Sudafrica si è svolta in un intricato equilibrio tra alleanze storiche, interessi economici e impegno multilaterale. Le azioni recenti dimostrano come il Paese sia sempre più pronto a prendersi le proprie responsabilità di potenza emergente che promuove un nuovo ordine multipolare.

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Il servizio diplomatico sudafricano ha vissuto un anno frenetico, navigando tra diverse e delicate questioni di politica internazionale e suscitando le reazioni contradditorie degli analisti, con alcuni che hanno criticato l’approccio di Pretoria e altri che invece elogiano il ruolo assunto dal Paese nello scacchiere internazionale sotto la leadership dell’attuale presidente, Matamela Cyril Ramaphosa.

Tutto è iniziato con il Sudafrica che ha condotto esercitazioni navali congiunte con Russia e Cina nel febbraio 2023. Poi, a marzo, , le autorità di Pretoria si sono trovate di fronte a un dilemma: eseguire il mandato di arresto della Corte Penale Internazionale per il presidente russo Vladimir Putin, in vista del Summit BRICS di Johannesburg del mese di agosto, oppure rifiutarsi di farlo. Alla fine, il ritiro di Putin dal summit ha evitato a Pretoria di dover prendere una decisione, anche se ci sembra difficile pensare che il Sudafrica avrebbe potuto dare seguito ad una decisione tanto discussa e discutibile.

Allo stesso tempo, l’ambasciatore statunitense in Sudafrica ha accusato il Paese di inviare armi alla Russia tramite la nave Lady R. Poco dopo, il ministro degli Esteri sudafricano, Naledi Pandor, ha avuto una conversazione con il presidente del comitato politico di Ḥamās, Ismail Haniyeh, seguita da una visita in Iran per rafforzare i legami. A dicembre, infine, il Sudafrica ha citato Israele davanti alla Corte Internazionale di Giustizia, accusando il regime sionista di genocidio nella sua guerra a Gaza.

I critici del governo di Ramaphosa sostengono che tutto questo dimostra l’incoerenza della politica estera di Pretoria, sostenendo che è pronta a criticare il rispetto dei diritti umani in alcuni Paesi, ma sembra chiudere gli occhi su altre questioni. Tuttavia, molti analisti sostengono che tali critiche sono permeate dall’ingenuità sulla politica estera del Paese, affermando che questa si concentra prima sull’Africa, e poi sulla creazione di un mondo in cui nessun paese esercita troppa influenza globale. Le apparenti incongruenze sarebbero dunque dovute ad un complesso atto di bilanciamento tra questi obiettivi.

Oscar van Heerden, studioso delle relazioni internazionali e autore di Consistent or Confused: An Analysis of Post-Apartheid South Africa’s Foreign Policy, appartiene al novero di coloro che sostengono questa tesi. A suo modo di vedere, una “gamma complessa di fattori“, tra cui alleanze storiche e interessi economici, influenzano la politica estera del Sudafrica. ”Il paese è effettivamente molto coerente nella sua politica estera in Africa e nel mondo. Il nostro padre fondatore, Nelson Mandela, ha anche ricordato al mondo che i tuoi nemici non sono i miei nemici, e penso che il Paese sia rimasto fedele a questo“, ha dichiarato van Heerden ad Al Jazeera.

Zwelethu Jolobe, professore associato di politica presso l’Università di Città del Capo, concorda con l’approccio solo apparentemente zigzagante, affermando che il Paese sta “cercando di promuovere un ordine mondiale alternativo“, per via della sua duratura convinzione in una “società multipolare“. “Il Sudafrica sa che il mondo è un luogo complesso e, per avere la pace mondiale, la diplomazia multilaterale è il modo migliore per gestire le relazioni internazionali ed è al centro della sua dottrina di politica estera“, ha detto Jolobe ad Al Jazeera.

Negli anni, il Sudafrica è stato attivo in varie missioni di peacekeeping in tutto il continente, tra cui la missione MONUSCO delle Nazioni Unite nella Repubblica Democratica del Congo, alla quale partecipa con il sesto contingente più grande tra i 62 Paesi coinvolti. È spesso coinvolto in vari sforzi di mediazione, tra cui quelli riusciti in Sud Sudan e più recentemente tra l’Etiopia e i ribelli nella sua regione del Tigray.

Ex presidenti come Nelson Mandela e Thabo Mbeki sono stati rispettati come uomini di Stato di portata continentale che hanno contribuito a portare parti in conflitto al tavolo del dialogo nel corso degli anni. Il primo ha contribuito a risolvere una disputa tra Libia, Stati Uniti e Regno Unito, mentre il suo successore è stato un negoziatore durante la prima guerra civile in Costa d’Avorio.

E ora, van Heerden afferma che il Sudafrica è ancora una volta determinato a “giocare su entrambi i fronti“, poiché i precedenti mostrano che il governo sudafricano “non vede le cose in bianco e nero“. “È possibile riunire le persone in una stanza solo quando si è costruita fiducia nel tempo”, ha detto. Van Heerden ha anche respinto l’idea che il Paese stia schierandosi con i presunti “autocrati”: “Il mondo sta cambiando e il mondo deve adattarsi e cambiare“, ha detto. “Non possiamo mettere le nostre uova nel cestino occidentale; ci sono nuovi importanti attori come India, Cina e Brasile“.

Come esempio di questa politica, dall’inizio della guerra in Ucraina, il Sudafrica è stato attento a non condannare l’invasione russa, compreso il rifiuto di sostenere una risoluzione dell’ONU sulla questione. Molti analisti hanno affermato che la relazione di lunga data tra l’African National Congress (ANC) al potere e l’ex Unione Sovietica gioca un ruolo in questo. Allo stesso tempo, il presidente Ramaphosa ha effettuato un viaggio per incontrare separatamente Vladimir Putin Volodymyr Zelens’kyj. Nel primo incontro, Putin e Ramaphosa hanno anche redatto una proposta di pace in dieci punti, successivamente respinta dalla parte ucraina.

Si arriva infine all’episodio più recente della politica estera sudafricana, che secondo molti rappresenta il momento di maggior orgoglio nella politica estera del Paese degli ultimi tre decenni. L’11 gennaio 2024, il Sudafrica ha citato in giudizio Israele davanti alla Corte Internazionale di Giustizia con l’accusa di violare la Convenzione sul genocidio del 1948, per via dei bombardamenti indiscriminati e dell’assedio della Striscia di Gaza. Oltre 26.000 palestinesi, almeno la metà dei quali bambini, sono stati uccisi nei bombardamenti israeliani.

Secondo gli analisti, questo episodio ha rappresentato un cambio significativo nella politica estera del Sudafrica. La citazione in giudizio contro Israele è stata accolta con entusiasmo da molti all’interno e all’esterno del Paese, in particolare dai sostenitori della causa palestinese. Infatti, il Sudafrica sembra sempre più disposto ad esporsi in favore della causa del multilateralismo non solo attraverso piattaforme come i BRICS, ma anche prendendosi le proprie responsabilità di principale potenza del continente africano.

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