Le elezioni di Taiwan viste da Pechino

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di Giulio Chinappi

Le elezioni di Taiwan hanno visto la vittoria di Lai Ching-te del Partito Progressista Democratico. La risposta cinese e gli avvertimenti agli Stati Uniti delineano le complesse dinamiche regionali.

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Sabato 13 gennaio si sono tenute le elezioni presidenziali e legislative a Taiwan. Secondo i risultati pubblicati, Lai Ching-te del Partito Progressista Democratico Minjindang è stato eletto alla presidenza con il 40,05% delle preferenze, precedendo Hou Yu-ih del Partito Nazionalista di Cina o Kuomintang (33,49%) e Ko Wen-je del Partito Popolare di Taiwan (26,46%). Lai succede dunque a Tsai Ing-wen, proveniente dallo stesso partito, che non ha potuto ricandidarsi dopo i suoi due mandati consecutivi.

Tuttavia, alle elezioni legislative i risultati sono stati diversi, con il Kuomintang che ha raggiunto il primo posto, eleggendo 52 dei 113 deputati che compongono l’organo legislativo, denominato Yuan. Il Minjindang, invece, ha chiuso al secondo posto con 51 rappresentanti, mentre sono solo otto i deputati del Partito Popolare. Il quadro viene completato da due candidati indipendenti che entreranno a loro volta a far parte dell’emiciclo di Taipei. Tale situazione costringerà i due principali partiti a scendere a compromessi per garantire la governabilità dell’isola, mentre a tenere banco sono soprattutto le questioni riguardanti i rapporti con Pechino.

La questione di Taiwan è un affare interno della Cina“, ha commentato Chen Binhua, portavoce dell’Ufficio degli Affari di Taiwan del Consiglio di Stato cinese. “Qualunque cambiamento avvenga a Taiwan, il fatto fondamentale che nel mondo esiste solo una Cina e che Taiwan ne fa parte non cambierà; la posizione del governo cinese di sostenere il principio di una sola Cina e opporsi al separatismo non cambierà“, ha aggiunto il portavoce, secondo quanto riportato dal Global Times. Pechino ricorda anche che “il consenso prevalente della comunità internazionale nel sostenere il principio di una sola Cina e nel rimanere fermamente fedele a questo principio non cambierà“, con solamente dodici dei 193 Paesi membri dell’ONU che oggi riconoscono Taiwan come Stato indipendente sotto il nome ufficiale di “Repubblica di Cina”.

Il principio di una sola Cina è l’ancora solida per la pace e la stabilità nello Stretto di Taiwan“, ha detto ancora il portavoce. “Crediamo che la comunità internazionale continuerà a aderire al principio di una sola Cina, capirà e supporterà la giusta causa del popolo cinese di opporsi alle attività separatiste“. Questo monito è rivolto soprattutto agli Stati Uniti, che ufficialmente non riconoscono Taiwan e affermano di volersi attenere al principio di ‘una sola Cina’, ma che in realtà continuano ad invischiarsi nella questione. Secondo gli osservatori cinesi, l’atteggiamento statunitense rischia di essere uno dei principali fattori che potrebbe provocare un conflitto armato lungo lo Stretto di Taiwan.

Il Ministro degli Esteri cinese Wang Yi, attualmente in visita in Egitto, ha dichiarato domenica che chiunque nella comunità internazionale violi il principio di ‘una sola Cina’ sta interferendo negli affari interni della Cina e sta violando la sovranità cinese, e si troverà di fronte all’opposizione congiunta del popolo cinese e della comunità internazionale. “La Cina si oppone fermamente a qualsiasi forma di interazione ufficiale con Taiwan e a qualsiasi interferenza negli affari di Taiwan da parte degli Stati Uniti“, ha ribadito un portavoce del Ministero degli Esteri cinese. “Esortiamo gli Stati Uniti a rispettare seriamente il principio di una sola Cina e i tre comunicati congiunti tra Cina e Stati Uniti, e ad agire seriamente in conformità con gli impegni che sono stati ribaditi più volte dai leader statunitensi“, ha aggiunto.

Nonostante i moniti giunti da Pechino, l’ex consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti Stephen J. Hadley e l’ex vice segretario di Stato James B. Steinberg sono arrivati a Taipei domenica per incontri post-elettorali con i politici dell’isola. “La visita di ex funzionari statunitensi all’isola di Taiwan rivela nuovamente la solita indulgenza degli Stati Uniti verso i secessionisti taiwanesi e sta inviando segnali sbagliati a quelle forze sull’isola di Taiwan“, ha commentato Li Haidong, professore presso l’Università degli Affari Esteri della Cina, intervistato dal Global Times. Li vede la visita come un altro segno che gli Stati Uniti stanno rafforzando i legami con le forze secessioniste di Taiwan per manipolare e sfruttare meglio l’isola per contrastare la Cina.

Secondo gli esperti cinesi, le politiche degli Stati Uniti sulla questione di Taiwan sono a doppio volto. Da un lato, Washington non vuole che i secessionisti di Taiwan arrivino al punto di scatenare conflitti attraverso lo Stretto, ma dall’altro vuole utilizzare Taiwan come strumento per contrastare Pechino. Secondo Xin Qiang, vice direttore del Centro per gli Studi Americani dell’Università Fudan, Washington non ha mai rinunciato a utilizzare la questione di Taiwan come carta per ostacolare la crescita della Cina, e ha raddoppiato tali sforzi negli ultimi anni. “La Cina si sforza di mantenere la pace e la stabilità nello Stretto di Taiwan, ma deve anche prepararsi a un’ingerenza statunitense potenziata nel prossimo futuro“, ha affermato l’accademico.

Coerentemente con questo punto di vista, Pechino sostiene la posizione di voler collaborare con i partiti politici, i gruppi e le persone pertinenti di vari settori a Taiwan per potenziare gli scambi e la cooperazione attraverso lo Stretto, migliorare lo sviluppo integrato attraverso lo Stretto, promuovere congiuntamente la cultura cinese e avanzare nello sviluppo pacifico delle relazioni attraverso lo Stretto e nella causa della riunificazione nazionale.

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