L’AFRICA E L’IMPATTO DELLA GUERRA IN UCRAINA

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di Gabriella Agyei

Il conflitto russo-ucraino ha innescato diverse gravi crisi, tra cui l’aumento dei prezzi di gas, grano e petrolio, che ha avuto un impatto particolarmente forte sull’Africa. L’aumento dei prezzi è andato a sovrapporsi a crisi preesistenti che si sono intrecciate, aggravandosi ulteriormente. Oltre all’alta inflazione, e al tentativo dei leader africani di preservare i propri interessi economici evitando l’aperta condanna dell’invasione russa, una conseguenza diretta della guerra è stata l’aggravarsi dello stato di insicurezza alimentare in cui si trovano molti Paesi africani, Corno d’Africa in particolare. Per ovviare a questa situazione e per calmierare i prezzi è stato firmato il “Black Sea Gran Initiative” tra Russia e Ucraina, con parte del carico destinato ai Paesi africani, il quale rischia però di non essere rinnovato il prossimo 18 luglio. Ulteriore conseguenza degli avvenimenti russi-ucraini è l’incertezza sul futuro della Wagner nel territorio africano, in cui il gruppo opera da anni per conto del Cremlino.

Introduzione

Il 20 febbraio 2023, giorno in cui è scoppiata la guerra in Ucraina, il sistema internazionale ha subito notevoli cambiamenti da un punto di vista economico, geopolitico e sociale. Lo shock finanziario asimmetrico nel mercato delle materie prime, che ha impattato l’Unione Europea ma anche molti Paesi dell’Africa e dell’Asia, ha portato a un improvviso aumento dei prezzi di petrolio, gas, grano e fertilizzanti. Da un punto di vista geopolitico, inoltre, l’invasione a larga scala avviata da Putin ha portato il mondo a dividersi in due blocchi principali: uno occidentale, caratterizzato prevalentemente da Unione Europea, Stati Uniti e Paesi Terzi che condannano Putin e sostengono attivamente l’Ucraina, e il blocco “non-allineato”, formato soprattutto dai paesi del BRICS (esclusa la Russia) che cercano di mantenersi neutrali, evitando di prendere posizione contro l’aggressione russa per tenere saldi i propri interessi economici.

In conferma della presa di posizione del blocco occidentale, sono stati lanciati e imposti diversi pacchetti di sanzioni nei confronti della Russia, al fine di isolarla economicamente. Tra le misure incluse sono presenti il congelamento delle riserve d’oro e le limitazioni alla Banca Centrale Russa sull’uso del dollaro e dell’euro. Quest’ultima misura in particolare, assieme alla mancanza di sicurezza nel trasporto marittimo di carichi di grano e fertilizzanti ha portato a un innalzamento dei prezzi delle assicurazioni sui mercantili, aumentando, conseguentemente, i prezzi delle merci.

Per far fronte alla difficoltà del trasporto sicuro di grano e fertilizzanti, delle quali Russia e Ucraina sono prime al mondo per esportazione, e permettere a queste materie prime di raggiungere i mercati internazionali (soprattutto quelli di Paesi a basso reddito), nel luglio 2022 è stato firmato il Black Sea Grain Initiative, un accordo tra Russia e Ucraina (mediato da Turchia e Nazioni Unite) che permette lo spostamento sicuro di grano e fertilizzante russo da tre principali porti ucraini nel Mar Nero: Odesa, Chornomorsk e Yuzhny/Pivdennyi. Per assicurarsi la corretta implementazione del suddetto accordo è stato istituito il Joint Cordination Centre (JCC), che prevede la collaborazione di operatori russi, ucraini, turchi e delegati delle Nazioni Unite. L’obiettivo dell’Accordo, oltre ad essere quello di calmierare i prezzi degli alimenti, è anche quello di attutire la grave crisi alimentare dispiegatasi in Africa, mandando il 25% dei carichi verso essa.


Africa

Crisi Alimentare

Seppur la guerra in Ucraina, infatti, abbia portato a conseguenze che hanno avuto un forte impatto a livello mondiale, ad essere stata colpita più duramente è stata proprio l’Africa. L’aumento dei prezzi è andato a sovrapporsi a crisi preesistenti che si sono intrecciate, aggravandosi ulteriormente. L’inflazione a livelli stellari e l’aumento del debito di gran parte dei Paesi, uniti alla guerra in Ucraina e la conseguente crisi alimentare (in stato di peggioramento) ha danneggiato gravemente il Continente.

L’Africa detiene il 65% di superficie globale di terre ancora coltivabili, ma, nonostante ciò, rimane una delle maggiori importatrici di materie prime essenziali (grano russo e ucraino in particolare), motivo per cui l’aumento improvviso dei prezzi degli alimenti, assieme alla mancanza di una necessaria diversificazione dei propri fornitori, l’ha profondamente impattata. Secondo un recente studio delle Nazioni Unite, tra il 2018 e il 2020, il 38% del grano importato nel continente africano derivava dalla Russia, mentre il 12% dall’Ucraina. Seppur i Paesi che lo importassero in maggior misura fossero Egitto con l’85%, Senegal e Ruanda con il 60%, 25 altri Paesi africani ne importavano più di un terzo da Russia e Ucraina, mentre 15 ne importavano più della metà. Con lo scoppio della guerra, invece, è stata innescata una carenza di circa 30 milioni di tonnellate di grano sul continente, secondo un report dell’African Development Bank, e il numero di africani attualmente in stato di insicurezza alimentare è aumentato, raggiungendo i 300 milioni. Queste persone rappresentano un terzo della popolazione globale che attualmente si trova in difficili condizioni alimentari. Per cercare di ovviare a questa crisi, tale organizzazione ha stanziato 1,5 miliardi di dollari per aumentare la produzione agricola e migliorare la distribuzione, attraverso investimenti e finanziamenti. Queste misure però sono tutte in vista del futuro. Nell’immediato, invece, la drammatica situazione in cui versano i Paesi africani, in particolare quelli del Corno d’Africa, permane.

L’Accordo sul grano, firmato dal ministro della Difesa russo Sergej Shoygu e dal ministro delle infrastrutture ucraino Aleksandr Kubrakov nel luglio 2022, ha contribuito a un leggero miglioramento della crisi economica. C’è stata infatti una diminuzione del 14% dell’indice dei prezzi alimentari rispetto al picco avuto nel marzo 2022. L’Accordo, inizialmente di una durata di centoventi giorni, è stato più volte prorogato in seguito, l’ultima a maggio 2023 con scadenza il 18 luglio. Dalle recenti notizie, però, emerge che Mosca non avrebbe intenzione di rinnovarlo a causa della mancanza delle condizioni accordate; il presidente Vladimir Putin ha accusato le forze ucraine di utilizzare il corridoio nel Mar Nero per lanciare attacchi con droni. Le recenti parole di Sergey Lavrov, ministro degli Esteri russo, confermano quest’intenzione. Il ministro degli esteri russo, infatti, rispondendo alle domande poste dai giornalisti in una conferenza stampa del 30 giugno, ha ribadito la volontà della Russia di ritirarsi dall’Accordo, sostenendo però di fornire gratuitamente grano e fertilizzanti ai Paesi africani che lo necessitano.

Il mancato rinnovo dell’Accordo, oltre ad aggravare per l’ennesima volta la crisi dell’export globale, colpirebbe duramente l’Africa Orientale. Secondo il Programma alimentare mondiale, nel Corno d’Africa con Paesi come Somalia, Etiopia, Kenya, Eritrea, Gibuti e Uganda dove circa 60 milioni di persone soffrono di un’insicurezza alimentare senza precedenti, la cessazione di export sicuro di grano e l’ulteriore aumento dei prezzi porterebbe a un’escalation della grave situazione alimentare.


Crisi economica

Come ulteriore conseguenza della guerra molti Paesi africani si sono trovati a dover fronteggiare, nuovamente, un’economia diretta verso il baratro. La confluenza di diversi gravi shock esterni tra cui la Pandemia Covid-19, il cambiamento climatico, l’aumento dei prezzi e dei tassi d’interesse, unito al rallentamento dell’economia mondiale ha messo a dura prova la stabilità economica che per tanto tempo si è cercato di raggiungere.

Con un’inflazione che ha assunto dimensioni preoccupanti (il 40% dei Paesi ha raggiunto la doppia cifra), il principale rimedio utilizzato è la stretta monetaria con l’aumento dei tassi d’interesse, principale strumento utilizzato dalle Banche Centrali per mantenere bassa l’inflazione. L’aumento dei tassi da parte della BCE o della FED però, complica ulteriormente l’accesso al credito, oltre ad aumentare inesorabilmente il debito.

La guerra in Ucraina ha esautorato le economie africane, chiudendo l’accesso ai finanziamenti, svuotando le riserve di valuta estera e mandando in confusione i bilanci nazionali. Un esempio eclatante è quello del Ghana, che si trova ad affrontare un’inflazione del 41% e un rapporto debito/PIL del 90%. La mancanza di moneta estera e il default dichiarato nel dicembre 2022, hanno portato il Paese ad optare, inizialmente, per l’avvio di un processo di de-dollarizzazione, abbandonando il dollaro statunitense a favore dell’oro, come misura per contrastare il calo delle riserve di valuta estera. Questa tendenza però ha subito uno stop a causa della grave situazione economica che ha richiesto un cambio di rotta del governo. Quest’ultimo ha chiesto un ulteriore prestito all’International Monetary Fund (IMF), il quale ha concesso tre miliardi di dollari nel corso di tre anni. Secondo la United Nations Development Programme, però, la soluzione non è concedere ulteriori prestiti ma ridurre (se non cancellare) il debito a causa delle crisi globali che si stanno dispiegando. Le politiche di austerità, infatti, unite alle fragilità interne, alle problematiche socioeconomiche e alle congiunture speculative, impattano soprattutto le fasce più deboli dei Paesi poveri: bambini, anziani e malati. Per questo motivo una possibile soluzione sta nell’intervento degli attori internazionali, per frenare l’aumento del divario con i Paesi industrializzati, processo accelerato dallo scoppio del conflitto russo-ucraino.


La “corsa all’Africa”: guerra e diplomazia

La guerra in Ucraina, da un punto di vista diplomatico, ha accelerato una “corsa all’Africa” già in atto da decenni per assicurarsi le sue grandi risorse naturali e l’appoggio diplomatico dei 54 Paesi. Secondo molti analisti, dallo scoppio del conflitto, sarebbero emerse delle dinamiche richiamanti la Guerra Fredda, favorendo la divisione del mondo in blocchi. Pari passo però, cresce la tentazione di molti Paesi di non allinearsi per preservare i propri interessi nazionali, evitando di sanzionare la Russia.

Tra i 35 Paesi che nell’ottobre del 2022 si astennero dal condannare l’invasione russa, ben 19 erano africani. Ciò sottolinea la volontà dei Paesi del Continente di ritagliarsi un ruolo privilegiato non schierandosi e cercando di volta in volta di strappare benefici.

Gli sforzi del blocco occidentale di mantenere la propria egemonia sul continente sono messi a rischio dall’iniziativa diplomatica portata avanti dalla Russia. I tour compiuti da Lavrov, dei quali l’ultimo avvenuto in Kenya, in cui c’è stato l’incontro con il presidente William Ruto e altri funzionari, hanno lo scopo principale di persuadere i leader africani sul fatto che le carenze di grano e fertilizzante non siano responsabilità del Cremlino, ma dell’Europa e del governo di Kyiv. Un ulteriore scopo è quello di evidenziare agli occhi dei leader africani i vantaggi dell’appoggiare il non-allineamento del BRICS. Nell’ultimo incontro a Nairobi Lavrov ha proseguito con la stigmatizzazione dell’Occidente sostenendo che, nonostante la stipula del Black Sea Initiative (menzionato precedentemente), ad essere incolpato per il taglio delle forniture dovrebbe essere l’Occidente, che devia carichi destinati ai Paesi africani verso mercati europei, ostacolando allo stesso momento l’esportazione di fertilizzanti russi, necessari al Continente.


Il futuro della Wagner in Africa

Gli eventi del 23-24 giugno 2023, caratterizzati dal tentativo di Evenji Prigozhin di destituire i vertici dell’esercito russo per evitare che la Wagner venisse assorbita in tale struttura, hanno catturato l’attenzione di analisti geopolitici in tutto il mondo. Le domande che ci si pongono sono tante, ma, concentrandosi sull’impatto che gli avvenimenti tra Russia e Ucraina hanno sul continente africano, non ci si può non porre la seguente domanda: che ne sarà della Wagner in Africa?

Il gruppo paramilitare è parte integrante e principale esecutore della penetrazione strategica russa nel continente. Seppur il Cremlino cerchi di mantenere una plausibile negabilità (a causa delle atrocità di massa di cui si macchia la Wagner), ha più volte utilizzato il gruppo per aiutare i leader autoritari a rimanere al potere e mantenere una presenza filorussa sul territorio. La società militare di Prigozhin è riuscita, nel corso degli anni, a penetrare nel tessuto sociale di molti Paesi africani, i quali si sono rivolti ai servizi del gruppo per ottenere sicurezza, in cambio dello sfruttamento di miniere e altre risorse. I governi che si sono appoggiati ai servizi della Wagner sono Repubblica Centrafricana, Libia, Mali, Sudan e un’altra decina di Paesi, che ne hanno usufruito in modo meno evidente.

La situazione in Mali è un esempio eclatante dell’operato della Wagner. Da ormai due anni, infatti, il gruppo paramilitare mercenario russo opera nel Paese saheliano. Dal 2012 quest’ultimo si trova in una situazione di perenne insicurezza e fragilità, a causa della violenza scatenata da fazioni militanti affiliate ad al-Qaeda e allo Stato Islamico. Proprio a causa di queste tensioni è stata avviata una missione di pace dalle Nazioni Unite, denominata MINUSMA (Missione di Stabilizzazione Integrata Multidimensionale delle Nazioni Unite in Mali), che però ha faticato a contenere la violenza armata, portando la giunta militare ad appoggiarsi alla Wagner. Il 30 giugno 2023 è stato previsto l’immediato ritiro della MINUSMA, in quanto considerato inefficace e addirittura parte del problema. Proprio per questa capacità di aizzare i Paesi africani contro l’Occidente e le sue diverse organizzazioni (portando la Russia in vantaggio) e per la flessibilità con cui il gruppo si muove, la Wagner rappresenta un’importante risorsa per Putin.

Nonostante il Cremlino avesse accennato allo scioglimento del gruppo mercenario in risposta alla ribellione, Sergey Lavrov ha affermato in un’intervista del 26 giugno che l’attività di Wagner in Mali e in Repubblica Centrafricana continuerà sicuramente. Queste affermazioni però vanno a contraddirsi con ciò che è stato pronunciato dal presidente russo la sera dello stesso giorno, in cui ha offerto ai soldati della Wagner la possibilità di tornare a casa, trasferirsi in Bielorussia o entrare nell’esercito regolare.

Ci si chiede quindi quali saranno gli sviluppi futuri. Nell’ipotesi di una eventuale nazionalizzazione del gruppo mercenario, quali sarebbero le conseguenze per l’Africa? Una possibilità è che, venuta a mancare la plausibile negabilità di cui Putin si è servito per tanti anni, avvenga un’escalation di presenza russa sui territori africani. Non dovendo più negare il rapporto tra Wagner e Cremlino, Putin potrebbe schierare uomini dell’esercito russo, rischiando però un’escalation delle tensioni tra Occidente e BRICS. Allo stesso modo, potrebbe accadere l’opposto. Putin, trovandosi già in una situazione delicata, potrebbe evitare l’ulteriore danneggiamento dei rapporti con l’Occidente ed evitare di rendere plateale il ruolo che ricopre all’interno dei territori africani. Gli interrogativi sono tanti e, seppur attualmente le risposte non siano date, ciò che si sa per certo è che è altamente improbabile che Putin voglia rinunciare ai successi raggiunti con la Wagner, e qualsiasi sia il risvolto, l’obiettivo sarà quello di continuare a mantenere i legami instaurati.


Conclusione

L’invasione ucraina avviata da Putin ha innescato importanti e diverse crisi a livello mondiale, l’impatto più forte però è stato sul continente africano, soprattutto a causa dell’aggravamento di situazioni problematiche già esistenti. Se la Russia decidesse effettivamente di non rinnovare l’Accordo sul Grano le gravi conseguenze porterebbero i diversi Paesi a dover adottare nuove strategie per fronteggiarle. Sarà interessante, però, assistere alle iniziative portate avanti dai leader africani per ritagliarsi un proprio spazio all’interno dello scenario diplomatico internazionale evitando l’allineamento per proteggere i propri interessi economici. In ultima istanza ci si chiede quale sarà il futuro della Wagner e l’impatto che le decisioni prese avranno sulla presenza russa nei territori africani.

Gabriella Agyei è una studentessa di Scienze Politiche presso l’Università di Bologna. In qualità di collaboratrice esterna del CeSem Centro Studi Eurasia E Mediterraneo si occupa di Africa Sub-sahariana.

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