Il diavolo e l’ipocrisia occidentale

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Il lato più patetico e materialistico della politica internazionale si è manifestato negli ultimi giorni in seguito alla morte del re saudita Abdullah, e all’ascesa del fratello Salman alla guida del retrogrado, iper-conservatore paese mediorientale. In un turbinio di messaggi di condoglianze da parte dei maggiori rappresentanti governativi dell’Occidente, fraterni alleati di Riyad, un folto numero di presidenti, regnanti e primi ministri, da Cameron a Hollande fino a Poroshenko, si è recato personalmente a rendere omaggio alla bara del sovrano, mostrando per l’ennesima volta l’ipocrisia sistematica delle relazioni fra Occidente e Oriente.

Il pessimo rapporto del governo monarchico assolutista dell’Arabia Saudita con i più elementari precetti democratici e di rispetto dell’individuo, l’atteggiamento repressivo nei confronti delle opinioni dissidenti, l’estrema segregazione di genere, l’islamizzazione forzata delle giovani generazioni, un sistema legale basato interamente sulla Sharia (cioè, sul Corano e sulla Sunnah) e molte altre nefandezze che appaiono intollerabili a chi vive, oggi, nel mondo occidentale, dovrebbero, a rigor di logica, rendere impossibile qualunque rapporto alla pari fra chi rappresenta l’oscurantismo e l’arretratezza e chi la “modernità”. E invece no. Nei rapporti internazionali prevale su tutto il calcolo mercantile, persino sui valori (perfettibili, ma ragionevoli) fondanti una civiltà, e le ricchezze petrolifere dei sauditi, inarrivabili per chiunque, esclusa la Russia, fanno prostrare anche il miglior “democratico”. Si aggiungano al tornaconto energetico le spese militari pazze degli arabi di Riyad (quarti, nella categoria, a livello mondiale, davanti a Regno Unito e Francia) che ingrassano significativamente i portafogli delle industrie belliche americane, russe, cinesi e via discorrendo: un collante più forte, pare, di qualunque divaricazione ideologica.

É il denaro, non certo un’idea di società e di politica, a determinare in modo chiaro e netto i buoni e i cattivi del Medio Oriente agli occhi delle cancellerie occidentali, a rendere puramente retorica qualunque marcia repubblicana, e farsesco l’ossequioso cerimoniale con il quale il nuovo sovrano, Salman, ben deciso a seguire le orme del fratello, e il presidente Obama, di ritorno da un viaggio istituzionale in India, hanno rinnovato la ormai pluridecennale intesa venale fra Stati Uniti e famiglia reale saudita nella capitale araba, martedì scorso.
Incrociando le bandiere e gli inni nazionali in un’atmosfera di riverenza reciproca, l’intesa fra lo Stato guida dell’Occidente e i “fratelli” del mondo islamico, nel nome della lotta al terrorismo e della stabilità istituzionale dell’area mediorientale, è una dissonanza rumorosa. Qualcuno dirà necessaria, in nome della ragion di Stato.

Senza le concessioni attuate a partire dagli anni Trenta nei confronti delle grandi imprese petrolifere americane, di ricerca e poi sfruttamento delle immense risorse petrolifere dell’Arabia Saudita, forse anche questo paese si troverebbe nella lista nera dei nemici dell’Occidente, fra le “canaglie” di fianco a Iran, Venezuela, Siria, bersaglio di guerre e destabilizzazioni: invece è forse l’unico paese al mondo con una forza diplomatica paragonabile a quella del gigante americano. Il boccone amaro da ingoiare, per i rappresentanti della democrazia, è la sprezzante indifferenza di Riyad verso ogni forma di rispetto dell’uomo e di libertà di espressione, tollerata (all’estero) senza contraccolpi e quasi sempre taciuta.

I mezzi di comunicazione mainstream e i politici alla guida del mondo libero ammettano che, al di là della propaganda quotidiana contro l’Islam estremista, vi è una solida realtà: anche il “cattivo” islamico, culturalmente inconciliabile (sulla carta) può diventare il miglior vicino di casa, purchè, beninteso, non promuova modelli economici diversi da quello dominante, e sia parte dei giochi mercantili globalizzati, creazione ipermoderna tutta occidentale, ma valida per tutte le latitudini. Tutto il resto? Chiacchiera, e ipocrita finzione.

Nicola Serafini

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